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Autore: M a i    31/01/2013    1 recensioni
[ Storia arrivata 2° al contest " Aforismi e citazioni ... tribute to Oscar Wilde" indetto da Kyra Nott sul forum di EFP]
[Ha partecipato al contest " The Canon Lovers - storie edite e inedite indetto da @orny@ sul forum di EFP]
[Ha partecipato al contest "L'Oscuro Signore risorgerà! Gettaci pure ad Azkaban, Crouch. Noi aspetteremo.- Flash contest sui Mangiamorte" indetto da Rowan936 sul forum di EFP]
[La storia partecipa al contest "Qual è la miglior Edita che abbiate mai scritto?" indetto sul forum di EFP da PhoenixQuill"]
[...] fai scorrere le dita tra le ciocche ribelle, tirandole indietro e lasciando una striscia umida. E poi lo senti: lo scricchiolio degli scalini mentre dei passi felpati salgono da te. Ed è questione di millesimi di secondo: quel maledetto organo perde tre battiti e inspiri rumorosamente, spezzando quell’apparente quiete. Trattieni il fiato così a lungo che la momentanea assenza di ossigeno ti manda in tilt il cervello, facendoti quasi perdere lucidità. Era giunto il momento, lui stava venendo da te. [...]
Credo che nella vita pratica si possa ottenere un vero successo, purché sia senza scrupoli; l'ambizione è sempre priva di scrupoli …
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andromeda Black, Bellatrix Lestrange, Voldemort | Coppie: Bellatrix/Voldemort
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Credo che nella vita pratica si possa ottenere un vero successo, purché sia senza scrupoli; l'ambizione è sempre priva di scrupoli …

                                                                                                                                      … basta che non t’importi del prezzo da pagare …
 
 
Le tue mani sono percorse da tremiti, il rumore di quell’organo insulso, che hai sempre disprezzato, stranamente forte, ti rimbomba nelle orecchie.  Il suono del tuo respiro affannoso sembra essersi raddoppiato per come lo percepisci tu. Una mosca ronza sulla finestra imponente alle tue spalle. Sbatte le ali in modo snervante, fermandosi solo per sfregare le antenne l’una contro l’altra. Poi cammina lungo il vetro fermandosi a tratti come in allerta di qualcosa. Al di là della vetrata, su una quercia secolare, un pettirosso picchietta il ramo nodoso in cerca di cibo. Infila il becco dentro una fessura e ne trae fuori un succulento lombrico rosato, che ingoia lentamente. Poi, calmata la fame, emette un fischio soddisfatto, arruffando le piume scarlatte come per scrollarsi di dosso il freddo pungente di quel vento insidioso che ha preso a soffiare. Le foglie più audaci, caparbie alla brezza, si muovono come a rallentatore, assecondando le movenze delle folate d’aria ma senza mai lasciar prendere loro il sopravvento. Le più deboli hanno già ceduto, trasportate fino al terreno duro dove ora giacciono, ormai talmente rinsecchite che non ne si capisce più il colore. Il cancello della villa, invece, cigola incessantemente producendo un rumore sinistro che si perde nell’aria tersa e che già annuncia i primi fiocchi di neve della stagione. Al piano di sotto, il chiacchiericcio è talmente basso che si smarrisce nello scoppiettio del fuoco, che divora le braci, le quali, per la maggior parte, già piegate alla sua potenza annientatrice. Dei passi nervosi percorrono avanti e indietro il pavimento di pietra, mentre il fruscio di un mantello li accompagna fedele. Con le palpebre serrate, eretta in piedi, cogli tutto questo con una tale precisione che è come se stesse accadendo lì, in quella stanza, a qualche metro da te. Ma quello che senti con più chiarezza è ciò che accade dentro il tuo corpo. Il sangue ti bolle nelle vene, attraversandoti dalla punta dei piedi fino alla testa. Come un fiume in piena travolge tutto purificando ogni tua cellula. Distrugge ciò che è abominio senza pietà, ti passa nelle gambe, nel busto stretto nel corsetto, divide la sua corsa ramificandosi nelle tue braccia fino ad arrivare alla falange delle tua dita affusolate. E poi dal collo sale fino alla testa, spazzando via ogni pensiero amaro, ogni dubbio scomodo su quella decisione che hai preso da tempo ormai, e che troppo ti ha fatto aspettare prima di compiersi. L’eccitazione e l’impazienza t’irrigidiscono, mentre automaticamente serri la mascella pronunciata con la stizza che preme per uscire allo scoperto. I polmoni lavorano a ritmo accelerato facendoti inspirare e respirare con foga come in cerca di liberarsi di qualcosa che ti opprime il petto. Nel cranio la tua materia grigia lavora febbrile, risuonano dei ticchettii acuti, come se il tuo cervello fosse formato da tante rotelle di un orologio, un meccanismo perfetto coscio più di tutti gli altri organi dell’importanza di ciò che stai per subire. Ti sembra di avere la testa incandescente, e non solo: pure il collo è caldo, a dimostrarlo diverse gocce di sudore si sono formate, e adesso scivolano lungo esso per poi finirti nel corpetto, tra i seni. Ti guardi le mani pallide, completamente bagnate e te le porti al viso per sciacquarti via quell’improvvisa quanto involuta debolezza. Fai scorrere le dita tra le ciocche ribelli, tirandole indietro e lasciando una striscia umida. E poi lo senti: lo scricchiolio degli scalini mentre dei passi felpati salgono da te. Ed è questione di millesimi di secondo: quel maledetto organo perde tre battiti e inspiri rumorosamente, spezzando quell’apparente quiete. Trattieni il fiato così a lungo che la momentanea assenza di ossigeno ti manda in tilt il cervello, facendoti quasi perdere lucidità. E’ giunto il momento, lui sta venendo da te. Dalla sommità delle scale, delle figure incappucciate emergono silenziose e ti circondano lentamente. Si dispongono lungo le pareti confondendosi nella penombra: dalle fessure dei cappucci una decina di occhi t’inchiodano al suolo. Ma tu non te ne accorgi neanche, fissi con insistenza la scala, attendendolo. Ti mordi il labbro inferiore, le iridi scure fremono incorniciate dalle folte ciglia nere. Ti sembra di soffocare, l’ansia che lui non mantenga la parola, che abbia cambiato idea, che non voglia una donna al suo servizio si fa largo in te.  Ti fai schifo da sola: come puoi esserti solo passata per la mente una cosa del genere?  Sei disgustosa, Bellatrix Lestrange e lo sai bene.  Non puoi avere nemmeno l’ombra di un dubbio nei suoi confronti.  E da quel momento non ne avrai, ti riprometti. Sì, ti riprometti, perché avevi già promesso a te stessa che non avresti avuto incertezze, e invece? Ti ricordi bene chi ti aveva fatto vacillare sulle tue convinzioni quella prima volta, e proprio come se fosse ieri …
– E’ vero, Bella ? – ti aveva chiesto quel pomeriggio d’agosto senza preamboli. Tu non avevi alzato nemmeno lo sguardo dal libro.
  • Che cosa? – le avevi domandato in risposta, annoiata, svoltando una pagina con svogliatezza.
  • Lo sai bene che cosa – aveva sussurrato lei con appena un filo di voce, ma con decisione.
  • No che non lo so, dimmelo tu – avevi ribattuto, ancora concentrata sulla lettura.
  • Perché ? -
Avevi corrugato la fronte perplessa dalla domanda imprevista. Finalmente le avevi degnato un’occhiata, con cui l’avevi squadrata per bene. Andromeda era sulla soglia della porta della tua camera, le braccia incrociate e l’espressione risoluta sul volto, che si frapponeva a quella di preoccupazione nascosta bene al di sotto.
  • Perché cosa ? - avevi chiesto tu, senza staccare gli occhi dalla sua figura, che rispecchiava anche troppo la tua, ma come avevate imparato a capire, solo fisicamente.
  • Perché lo vuoi fare ? -
Avevi ghignato divertita: ecco lì la tua brava sorellona a fare la madre in pena per le scelte di una figlia imprudente.
  • Fare che cosa ? – Volevi vedere quanto avrebbero retto prima di urlarti addosso, come faceva da piccola quando litigavate. Se non era cambiata da lì a qualche secondo sarebbe esplosa, irata dalla tua superficialità e dalla sfacciataggine con cui la stavi affrontando.
Ma a quanto pareva era cambiata.
  • Bella, non è uno scherzo. – aveva mormorato, mentre i tratti aristocratici del volto ribadivano, come il suo tono, tutta la serietà della faccenda.
A quel punto ti eri alzata con le labbra carnose piegate in una smorfia beffarda.
  • Ma Meda, io non so ancora di che stiamo parlando, non me l’hai ancora detto. – eri ripartita all’attacco, schernendola con la tua finta ignoranza.
  • Non te l’ho detto perché so che non ce n’è il bisogno – aveva ribattuto tranquilla lei, ostentando la stessa espressione di quando aveva fatto la sua apparizione in camera tua e che cominciava a darti sui nervi.  – E comunque tu non hai ancora risposto alla mia domanda, Bella. Perché lo vuoi fare ? –
Avevi socchiuso gli occhi, trattenendo la collera che minacciava di scoppiarti dentro e, abbandonando la tattica non – so – di – che – stai – parlando, avevi sbottato: -
Non sono affari tuoi –
  • Sì, che lo sono – aveva esclamato lei con una punta di rabbia, perdendo momentaneamente la pazienza - Sei mia sorella ! –
  • E questo chi lo dice ? – le avevi sputato contro, cattiva. Sapevi che quella volta avevi affondato il colpo. Ma lei l’aveva accusato senza mostrarti neanche un barlume del dolore che le avevi appena inflitto.
  • Dubiti che io sia tua sorella ? – ti avevo sussurrato, con l’amarezza che la divorava dentro, ma il cinismo stampato sul volto.
Ti eri piazzata davanti a lei, ad a malapena un passo, e, incatenando i suoi occhi ai tuoi  avevi mulinato la chioma corvina in un gesto di arroganza e di superiorità.  Avevi chinato il viso verso il suo e l’avevi interrogata sprezzantemente:
  •  Beh, Meda, siamo sincere, a parte l’aspetto fisico, che cosa abbiamo in comune noi due da poterci definire sorelle ? -
  • Se la poni in questi termini, Bella, stai mettendo in dubbio anche la tua consanguineità con Cissy, a questo punto - aveva obiettato lei con una semplicità disarmante.
  • Non mi sembra proprio, perché per quanto io e lei siamo diverse una cosa in comune ce l’abbiamo, e basta a compensare tutte le differenze che ci sono. Vuoi sapere qual è, già che ci siamo ? Puoi arrivarci anche da sola, Meda, ma ti risparmio la fatica. Cissy, come me e come fa tutto il resto della nostra famiglia, non frequenta quella fogna di parassiti del nostro mondo. Quella gentaglia di cui ti sei attorniata, la feccia che tu chiami amici. –
  • Come puoi chiamarli così ? Posso capire quel “feccia” e “parassiti” non sono altro che quelle malsane idee che i nostri genitori ci ripetono fin dalla culla, ma questa “gentaglia” ? – aveva chiesto lei, scuotendo la testa, amara, senza essere in grado di capire.
  • Meda, per me i Mezzosangue e i Nati Babbani sono gentaglia da evitare come la peste da principio, senza se, né ma – avevi  replicato, con fare ovvio, tu.
  • Gentaglia si definiscono delle persone per come si comportano, non per quanto sangue babbano gli scorre nelle vene. La vera gentaglia è quel branco che ti porti dietro,  quei tuoi amici Purosangue che ripetono come pappagalli tutte le panzane che i loro genitori gli mettono in testa
  • Meda ! Per tutte le mutande di Merlino ! – avevi urlato, afferrandola per le spalle e scuotendola con foga – ma tu che cosa vuoi dalla vita ? Dimmi, che cosa vuoi ? Io voglio che il nostro mondo si liberi di tutte quelle imperfezioni che l’hanno attaccato,voglio lucidarlo da tutto lo sporco da cui è stato inquinato, voglio un mondo governato dalla magia, e voglio essere io a coordinarlo, a ricostruirlo come era in principio, babbani da una parte, maghi dall’altra. Io voglio essere lassù, su quel sedile d’oro del Ministro della Magia, voglio essere io la strega  più potente, la donna che verrà acclamata dal mondo magico per averlo salvato dalla degradazione in cui è precipitato. Passare alla storia come la strega più rispettata e potente che sia mai esistita è il mio obbiettivo, Meda. Tu non vuoi la stessa cosa ? Non vuoi essere ricordata per  generazioni e generazioni ? Rispondimi, Meda, non lo desideri anche tu ? Non vuoi toccare il cielo con un dito ? Io sì, ma sono una Black e non mi accontenterò solo di questo, perché bisogna sempre volere di più e di più per arrivare fino ai confini di se stessi. E sai cosa mi aiuterà ad andare oltre, Meda ? Sai cos’è ? E’ l’ambizione, sì  quella strana cosa chiamata ambizione. È stato lui a insegnarmela, lui mi ha aperto gli occhi, lui mi ha fatto capire che nella vita pratica, purché si possa ottenere il vero successo, deve esserci l’ambizione, e sai cosa mi ha detto anche  il mio Signore ? Lo sai cosa mi ha detto ? Che l’ambizione è e sarà sempre più potente di quelle fandonie sull’amore e la lealtà, sull’amicizia e il perdono, perché lei supera quel limite che essi si sono imposti,  grazie alla sua mancanza di scrupoli, perché l’ambizione è sempre priva di scrupoli. E sarà lei la chiave della mia vittoria, del mio trionfo al suo fianco. Lui ci è già riuscito, Meda, ha superato quei limiti perché aveva ambizione, quell’ambizione sempre priva di incertezze, che gli ha permesso di non tentennare. E ora è lì, sul podio dei vittoriosi ed io fra qualche mese sarò lì con lui. L’ambizione non mi farà toccare il cielo con solo un dito, ma con tutta la mano !  - avevi concluso trionfante, ansimando,  una luce che ti balenava in quei pezzi di ossidiana che erano i tuoi occhi, ma invece di dare quella sensazione di speranza che dà di solito una fiamma nel buio, riempiva di un’insolita irrequietezza e provocava un brivido che scorreva lungo la spina dorsale.
  • Ti sbagli, Bella – ti aveva contraddetto Andromeda  con uno sguardo dolce – sia l’amore che l’ambizione ti portano in alto, ma la diversità sta nel modo in cui lo fanno. L’ambizione ti ci porta con anima e corpo distrutti, mentre l’amore ti ci fa arrivare più completa di quando sei partita – avevo preso la tua mano nelle sue – come puoi non cogliere questa differenza immane ?  -
Tu avevi ascoltato il discorso con la fronte che si aggrottava sempre di più, l’incredulità di quelle parole così in netto contrasto con le tue a impossessarti di te.  Completamente pervasa dall’insensatezza di quell’affermazione non avevi esitato a sfilare la mano dalla sue con il disgusto che ti bolliva nelle viscere, come lava nella camera magmatica di un vulcano.
  • Che cosa ti hanno fatto, Meda? – avevi sibilato indietreggiando.
  • Che cosa hanno fatto a te, Bella  – aveva sussurrato lei di rimando, l’angoscia per il  tuo rifiuto ora totalmente visibile.
  • Che cosa mi hanno fatto ?! – avevi ripetuto istericamente, smarrendo del tutto il controllo – Credi che sia io quella a cui hanno fatto il lavaggio del cervello ?!  Quella che ha perso la testa per un rifiuto umano che ti ricopre di stoltezze e ciance inutili ?!  Credi che sia io quella che sta tradendo la sua stessa carne ?!
  •  Bella, quelle non sono affatto ciance inutili e stoltezze ! – Si era avvicinata cercando di  accarezzarti, ma tu ti eri scansata prontamente, repellente a un suo qualsiasi tocco.
  •  Ah, lo pensi davvero ? La punizione di nostro padre non ti ha fatto capire niente, vero ? Beh, a questo punto ho io una soluzione per farti felice e contenta e non compromettere la nostra reputazione per sempre: vattene, sparisci, scappa con il tuo pseudo principe azzurro dal sangue sporco, costruisciti una bella famigliola con lui, fatti tutti i marmocchi contaminati che vuoi. Ci penserò io a ridare il prestigio alla nostra casata, a far tornare i Black la famiglia più influente del mondo magico. E sai che ti dico ? Mettici il meno possibile, puoi andartene anche stasera, anche ora, non ci sarà nessuno a impedirtelo. Così il prossimo ottobre, quando  arriverà il gran giorno, io, al suo cospetto, potrò affermare che l’erbaccia che aveva contaminato il mio albero genealogico è stata estirpata definitivamente. Da quando metterai piede fuori da questa casa io avrò solo una sorella, perché Cygnus Black e Druella Black  hanno messo al mondo solo due bambine. Per noi  Andromeda Black non sarà mai esistita  !  -  
Andromeda aveva preso alla lettera le tue parole, una settimana dopo aveva fatto le valigie ed era fuggita senza un biglietto di  spiegazione. Eri stata l’unica a parlare quella prima sera senza di lei: chiacchieravi ilare del più e del meno ed eri andata avanti per tutto il tempo della cena, anche se nessuno ti rispondeva o ti ascoltava soltanto. Le tue chiacchiere si disperdevano nell’atmosfera tesa che aleggiava. Fischiettavi spensierata tra un boccone e l’altro, canticchiavi canzoni senza un vero senso, composte anche solo da monosillabi. Normalmente, tutto questo era severamente vietato sotto il tetto dei coniugi Black , ma nessuno si era preso la briga di rimproverarti, probabilmente nessuno se n’era nemmeno accorto delle tue trasgressioni. Tua madre non c’era neanche a tavola, si era rintanata in camera dietro a un collasso di crisi nervose continue, che aveva comportato una serie infinita di bicchieri di cristallo e piatti di porcellana in frantumi  per la sua improvvisa incapacità di maneggiarli. Narcissa aveva stuzzicato il cibo con la forchetta d’argento senza mangiare niente, con gli occhi ancora rossi dei pianti silenziosi e nascosti che aveva fatto e, il capofamiglia si era sfogato in cucina con gli elfi, dopo che dei peli bianchi che aveva trovato nel piatto , avevano fatto traboccare del tutto il vaso e il suo autocontrollo già danneggiato dalla fuga della secondogenita. Anche le giornate seguenti non erano susseguite meglio, sempre incorniciate dagli attacchi di collera frequenti di Cygnus Black e dalle crisi isteriche di Druella Black.  Effettivamente, tu eri stata l’unica a non soffrirne per nulla, almeno durante il giorno. La notte infatti non riuscivi a chiudere occhio, tormentata dalla sua voce che ti rimbombava nella mente. Ti sbagli, Bella, sia l’amore che l’ambizione ti portano in alto, ma la diversità sta nel modo in cui lo fanno. L’ambizione ti ci porta con anima e corpo distrutti, mentre l’amore ti ci fa arrivare più completa di quando sei partita –  Una nenia assillante che si ripeteva nella tua testa, come un disco rotto.
Ed era stato così che, notte dopo notte, i primi dubbi avevano fatto breccia in te.
L’ambizione ti ci porta con anima e corpo distrutti, mentre l’amore ti ci fa arrivare più completa di quando sei partita ... La domanda che continuavi a porgerti, nel tentativo di liberarti da quella tiritera, era come ci volevi arrivare a toccare quel cielo. T’importava veramente di giungerci più completa di quando eri partita ? No, non t’interessava come riuscire a compiere quell’impresa, tu volevi solo riuscirci e non potevi avere freni a rallentarti. Volevi arrivarci prima possibile, ma senza fretta, il tuo destino si sarebbe ultimato con il tempo che gli necessitava. Ma per fare strada avevi bisogno di essere sorretta da lui, il tuo maestro, e lei, l’ambizione che ti avrebbe esortato a non arrenderti. Lei era indispensabile per raggiungere la tua meta, che volessi o no. E Andromeda questo non era riuscito a comprenderlo, il punto è che lei non riusciva a comprendere te e basta. Lei era un’illusa e nelle sue illusioni si sarebbe cullata finché un giorno non le avessi mostrato la realtà, quella vera, quella crudele da cui non si può scappare rifugiandosi tra le braccia del tuo uomo. No, Ted Tonks non sarebbe riuscito  a proteggerla dalla tua vendetta o dal mondo reale che presto avrebbe rivelato la sua natura alla cara dolce Andromeda. Le dimostrerai come si domina la vita di se stessi e quella degli altri, perché se non lo fai tu sarà qualcun altro a dominare te. Se non eliminerai ogni traccia di babbanità, sarà qualcun altro a eliminarla e a prendersi il merito. Se non toccherai quel cielo indaco, sarà qualcun altro a toccarlo.  Andromeda aveva perso la sua chance e tu ti saresti appropriata di quello che poteva essere suo, senza rimpianti, perché la vita funziona così da sempre e non sarebbe cambiata per lei. Non t’importa a che prezzo prenderai quel che sarebbe potuto appartenerle, nemmeno se sono - come sostiene lei – anima e corpo distrutti. Dopotutto tutto ha un costo, niente ti viene regalato. La vita è una continua  proposta di offerte, che tu devi valutare e poi scegliere quella più conveniente, non quella che non ti fa pagare, perché non esiste e mai esisterà, ma quella che ti fa pagare meno o sembra più vantaggiosa. Giunta a queste soluzioni dopo una settimana non hai avuto più incertezze e hai promesso che mai più ne sarebbero sorte, anche se poi non è stato così.
- Bellatrix –
Una voce acuta e fredda ti riscuote, strappandoti dall’abisso di ricordi in cui eri precipitata inconsapevolmente. Due dita gelate ti sollevano il mento con delicatezza. Gli occhi dalle iridi  scarlatte catturano i tuoi neri come la pece, annullandoti la capacità di pensare. Annaspi incapace di rispondere, deglutisci cercando di far uscire la voce e finalmente bisbigli, con lo sforzo più grande che tu abbia fatto in vita tua: - Mio … mio Signore … - 
Per un attimo, dubiti seriamente che quella che tu abbia udito sia la tua voce, talmente roca dall’emozione da esserti irriconoscibile. Il tuo signore, abbassatosi per far in modo che il suo viso sia alla stessa altezza del tuo, ti osserva curioso con la testa inclinata, come se fossi un raro esemplare di qualche specie d’animale in via d’estinzione. E solo allora ti rendi conto di essere scivolata a terra e di stare in ginocchio con la veste nera che forma un soffice mare di seta nera attorno a te. Mentre posi la mano sulla sua dalle lunga dita, che ti sta porgendo, senti la vista offuscarti e un forte emicrania colpirti all’improvviso. Barcolli senza riuscire a tenerti in equilibrio: sembri una bambina alle prese con i suoi primi passi e il tuo Signore,  proprio come se fosse tuo padre, ti sorregge impedendoti di cadere. Sbatti le palpebre confusa, disorientata da tutta quell’oscurità che ti circonda, e allora cerchi i suoi occhi e solo in quel momento riacquisti sicurezza. Perché loro sono il tuo unico punto di riferimento, la tua unica guida per non perdere te stessa lungo il cammino che ti attende da quel giorno in poi. È una sensazione strana per te, orgogliosa e superba come sei, sentirti così inetta davanti a lui, una ragazzina inesperta che ha tutto da imparare e che riesce sempre a far la figura della sciocca e dell’imbranata,  la figura classica della novellina di cui tutti si approfittano per la sua temporanea ignoranza e impreparazione. Quella che non viene mai presa in considerazione perché non sa ancora come vanno le cose, la novellina che tutti compatiscono o snobbano. E tu odi essere snobbata e molto di più compatita, perché sono i deboli quelli che vengono compatiti, e tu non vuoi essere considerata una debole. Ma davanti a lui sai che sei e rimarrai così, anche dopo anni e anni al suo servizio ti sentirai inadeguata e incapace. E lo accetti: sai che non potrà mai considerarti una sua pari, ma ti impegnerai con tutta quell’anima corrotta che possiedi a diventare la sua più devota e fedele Mangiamorte, la sua luogotenente migliore, su cui lui potrà sempre contare. La Mangiamorte che non lo deluderà mai,  pronta a correre in suo aiuto e ai suoi ordini appena aprirà bocca. Non ti importa di diventare in questo modo la sua schiava, se rinascessi in un’altra vita torneresti a esserlo senza esitazioni. Se il prezzo da pagare all’ambizione sarà la servitù eterna a lui non potresti avere costo più piacevole di quello, un costo che saresti felice di pagare in continuazione. Lui non accenna a lasciarti la mano, la stringe tra la sua, studia le sfumature della tua pelle, tracciando cerchi immaginari con il pollice pallido. Poi, come percependo il tuo sguardo di mal nascosta referenza, su di lui, solleva il capo facendoti sussultare quell’organo che tenti in tutti i modi di tenergli celato, come se te ne vergognassi. Fa vagare le iridi sul tuo viso, come in cerca di qualcosa e mormora tanto sommessamente che devi fare uno sforzo per capire le sue parole.
- È ora di unirti alla tua nuova famiglia, Bella –
Vorresti esprimere tutta la gioia che ti ha sommerso a quella frase, ma la lingua ha deciso di non collaborare, attorcigliandosi su sé stessa, e mentre cerchi di sbrogliarla senti il vomito salire, e quando ti arriva in bocca ti imprime il palato del sapore amaro della bile e dei succhi gastrici. Non sai da dove venga tutta quella spossatezza e cominci a spaventarti seriamente. Sei un bagno di sudore freddo, tremi senza controllo come se avessi freddo, quando hai l’impressione di essere neve che si scioglie al sole. I muscoli ti fanno male per la forza con cui persistono a sussultare, ma la cosa che ti impaurisce veramente non è che tu possa sentirti male da un secondo all’altro, ma che lui si accorga del fatto che tu ti stia per sentire male. Per poco non ti ritrai quando qualcosa di gelido ti tocca il polso: sono soltanto le dita del tuo Signore, che ti stanno sfiorando con la punta dei polpastrelli l’epidermide dalla venatura candida, e poi, in una lenta carezza, ti cominciano a risalire lungo il  braccio. La sua mano destra continua a tenere la tua, costringendoti a mantenere l’arto superiore volto verso l’alto, agevolando le falangi dall’altra mano nel loro percorso. Si soffermano più di una volta su un tratto di avambraccio, crogiolandotelo avanti e indietro, ma il punto è che tu non percepisci il piacere di quella carezza. Dovunque passano le sue dita i tuoi nervi non ricevono più impulsi, quel pezzo di pelle ti è completamente insensibile, non cogli quel leggero solletico che ti sta facendo, così come il gelo del suo tocco. Anche i muscoli in quei punti hanno smesso di essere scossi da brividi, al contrario del resto del tuo corpo che non ne vuole sapere di smettere. Le falangi proseguono il loro viaggio per poi fermarsi inaspettatamente sull’incavo. Qualcosa di duro si sostituisce alle sue dita: ti preme sulla cavità e ripete all’inverso il tragitto compiuto precedentemente dalle falangi. Ma non si arresta sul polso ma proprio al centro dell’avambraccio. Riaprì le palpebre gravi che avevi richiuso meccanicamente e involontariamente, rilassata dal quel trattamento inaspettato quanto gradevole: l’estremità della bacchetta del tuo Signore, appoggiata fino a qualche secondo prima sul tuo braccio, ora sta tracciando in aria un singolare simbolo. Poi la bacchetta cala, di nuovo, sull’avambraccio con delicatezza. E in quel momento fai conoscenza con la morte. Lingue di fuoco ti avvolgono, mentre la carne, i muscoli e le ossa urlano unanimi la loro protesta.  Senti il sangue ricominciare il lavoro che aveva lasciato in sospeso, ma questa volta investe tutto, senza fare distinzioni, e a lui, ora, s’è unito una linfa letale, che ti corrode il corpo, facendo implorare di una pietà disperata ogni fibra del tuo essere.  Senti la pelle liquefarsi, gli occhi fondersi come pezzi di vetro, le labbra piene squagliarsi perdendo tutta la loro carnosità, i capelli ricci sbriciolarsi come pezzi di carta, gli organi divorati dal liquido maledetto. Senti la tua esistenza frantumarsi in tanti cocci di nulla, ma nonostante il fluido abbia portato a termine la sua opera, la tua tortura non si ferma. Ci pensano le vampate di fuoco sempre più alte, alimentate dalla linfa come se fosse petrolio,  a ridurti in un insignificante cumulo di cenere. E, anche se non è rimasto più niente da bruciare, lui persiste ad avvampare. E così com’era iniziato tutto finisce: sei tornata in vita, una fenice risorta dalla sue ceneri. Non sei caduta, né hai urlato, neppure gli occhi hai serrato. Gli hai spalancati, fissi sul volto del tuo Signore che ha le labbra arricciate in una parodia di un sorriso. Abbassi lo sguardo sul tuo braccio e il marchio, il Marchio Nero, il suo marchio, è lì. Il sinuoso serpente che esce dalla bocca di un teschio ti adorna l’epidermide, il simbolo inequivocabile della tua appartenenza a lui. Non riesci a resistere, non puoi resistere: le tue dita corrono a coccolarlo, lo guardi con tanto calore, come se fosse la cosa più preziosa che possiedi al mondo, manca poco che ti metti a cantargli la ninna nanna come si farebbe con un bambino appena nato. Quando un bizzarro impulso ti si affaccia nella mente, non esiti  ad accontentarlo: chini il capo e baci il marchio, profanandolo. A quel bacio ne si susseguono altri, sempre più spinti, l’adrenalina che offusca la ragione. Alzi gli occhi languidi solo al suono del tuo nome.
Lui ti osserva, divertito dal tuo comportamento così passionale nei suoi confronti, e mentre ti passa un dito sulle labbra, sibila :
-Diventerai una grande strega, Bella –
E tu ti trovi pienamente d’accordo ma non puoi immaginare quanto abbia ragione, né che l’ambizione ti avrebbe chiesto un tributo molto più considerevole che il relitto del tuo cuore o la tua anima persa, ti avrebbe fatto pagare con la dannazione eterna. 
   
 
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