Settimo Capitolo:
L'anima di un demone
Osservai con odio
il vegetale non ben identificato che galleggiava nella minestra. Le mie
illusioni sulla presunta cena con portate ricercate si erano letteralmente
dissolte.
Fin da piccola
avevo sempre opposto resistenza a William, quando forzatamente mi obbligava a
mangiare la zuppa, perché essendo mezzo demone le mie papille gustative erano
diverse da quelle di uno Shinigami e ingerire la sua minestra per me equivaleva
a mandar giù un blocco di acqua tremendamente salata.
Purtroppo lui non
riusciva a capire che i miei non erano semplici capricci, così, giorno dopo
giorno, mi fece odiare l’alimento. Non riuscivo nemmeno ad avvicinare il
cucchiaio alla bocca, perché il tremendo sapore
riaffiorava nella mia testa.
Eridan mi guardò
divertito, facendo un sorriso dolce, come se stesse osservando una bambina che
disperatamente tentava di fare qualche progresso. Eravamo seduti ai lati
estremi di un lunghissimo tavolo rettangolare in vetro, piuttosto spoglio se
non fosse per le rose blu poste come centrotavola.
I piatti erano
poggiati sopra a delle piccole tovagliette bianche, semplici, al contrario del
lavorato calice dorato, nel quale il demone non tardò a versare abbondante vino
rosso scarlatto.
<< Non ti
piace?>> domandò, facendo un sorriso sornione.
<< Tu... tu
lo sapevi!>> esclamai << Si può sapere che vuoi dalla mia vita? Non
mi stupirei se mi avessi addirittura uccisa per mettere in piedi tutta questa
messinscena>>
<< Gli
esperimenti possono raggiungere tre stadi di Enrage: quello chiamato
comunemente soft, ovvero che la creatura non riesce più a trattenere il potere,
ma comunque in modo ancora molto, molto contenuto; poi si passa all’Enrage puro,
vale a dire che la potenza dell’essere raggiunge il doppio o addirittura il
triplo della forza iniziale, diventando praticamente una macchina da guerra. Ma
tu hai nello scontro con l’esperimento del tempo hai raggiunto direttamente
l’ultimo stadio, ovvero l’Overage, cioè l’elemento a cui sei stata legata ha
preso il sopravvento, dopo che hai rischiato di perdere la vita. Purtroppo, non
essendo più tu a comandare il tuo cervello, sei stata sopraffatta dall’immenso
potere e... il tuo corpo si è praticamente disintegrato. Era un macello sai? I
tuoi muscoli non erano riusciti a reggere lo sforzo di muoversi alla velocità
quasi della luce e si erano ridotti a brandelli>> poi concluse,
sospirando << se non fosse stato per William e in seguito anche per
Undertaker e Frederick, saresti diventata cenere. Quindi non sono stato io ad
ucciderti. Tu mi hai librato dalle mie catene, io adesso ricambio il favore
addestrandoti>>
Chinai lo sguardo.
Osservavo la mia immagine nel pavimento di specchi che si ripeteva per
centinaia e centinaia di volte, perché anche il soffitto era stato rivestito
con lo stesso materiale, così come le pareti alla mia sinistra, mentre alla mia
destra si trovava un’ampia finestra che dava sul giardino.
Mi sentivo
sprofondare, come se con le mie azioni avessi rischiato di ferire una persona a
me cara.
<< Non dirmi
che ti senti in colpa>> sussurrò Eridan al mio orecchio.
Volsi lo sguardo
verso di lui, verso quel demone che continuava a sorridere, seppur stessi
soffrendo. Poteva un essere così apparentemente infido essere mio zio?
Non sapevo più a
chi credere, a cosa credere. Dal suo racconto sembrava quasi che fossi morta
per una sorta di un’autodistruzione. E forse aveva anche ragione, visto che le
immagini riguardanti lo scontro con l’esperimento del tempo erano ancora vive
nella mia testa, così come il dolore e la rabbia non avevano mai smesso di
pulsare dentro di me.
<< La tua
piccola anima vacilla>> continuò, con una voce persuasiva << Vedo i
tuoi occhi spegnersi al solo pensiero di un passato ormai trascorso e
irrimediabile. Sento il tuo cuore piangere mentre cerca senza successo la
verità>>
Le sue dita mi
sfiorarono le spalle e scesero finché non ghermirono dolcemente i lacci del
corsetto e tentarono di scioglierli. Tuttavia io balzai in piedi e, senza
neanche pensarci, azzardai a dargli uno schiaffo seguito poi da una serie infinita
di insulti, ma lui mi fermò prima, afferrandomi il polso.
Vidi una luce, un
luccichio nei suoi occhi verdi e fatui che non mi piacque affatto.
Provai a
liberarmi, ma ogni mio tentativo di fuggire si reputava vano; persino quando lo
colpii con una scarica elettrica, sperando almeno di ferirlo, non arrecò alcun
tipo di danno.
Il mio cuore
iniziò a martellare per la paura, i miei occhi erano spalancati, fermi su
quella figura che ricambiava lo sguardo. Le parole rimanevano bloccate in gola,
timorose di uscire.
<<
Lasciami!>> urlai.
<< Perché?
Tu ora sei mia, un mio piccolo balocco... il mio passatempo>> rise
<< Ti addestrerò, come promesso, però prima fammi divertire>>
Mi trascinò verso
di sé, con forza, poi mi baciò. Era un bacio ricco di bramosia e più i secondi
passavano, più venivo spinta addosso a lui, contro la mia volontà.
Non era di certo
uno di quei segni d’affetto che avevo letto in svariati libri. Il suo era un
qualcosa di molto più brutale, come se tutti gli anni di prigionia si
riversassero in un unico gesto, il quale si tramutava inevitabilmente da dolce
a inumano.
Piangevo, piangevo
per la mia stupidità, piangevo per l’odio che aveva pervaso del mio cuore. Non avrei
dovuto fidarmi, avrei dovuto rimanere all’Inferno a meditare sui miei sbagli.
Riuscii a
staccarmi dalle sue labbra quando evocai la mia Death Scythe e la utilizzai per
allontanarlo. Nemmeno quest’arma l’aveva scalfito quando avevo tentato di
ferirlo ad un fianco, però perlomeno mi aveva aiutato.
<< Stammi
lontano, demone>> ansimai, impugnando con entrambe le mani l’ascia
bipenne.
<< Ma che
bel gingillo... ti va forse di giocare?>>
Con un solo e
repentino gesto della mano evocò delle mani di luce, le quali mi trapassarono,
privandomi di tutte le energie. Crollai in ginocchio per terra, alzando a
fatica il capo per vedere la sua immagine perdere ancor di più di nitidezza,
come se la mia miopia non fosse abbastanza.
Si avvicinò,
sfiorandomi il mento, avvicinando il suo viso al mio collo.
Io però riuscii ad
alzarmi ugualmente, riuscendo a scansarlo, poi, barcollando, strinsi la Death
Scythe e la puntai contro di lui.
<<
Lilith...>> disse.
<< Pandora,
io sono Pandora>> ringhiai << Non sono né Lilith, né tantomeno un
tuo giocattolo. Io sono una Shinigami>>
<<
Già...>> ridacchiò Eridan << Piacere, io sono Eridan, figlio di
Chaos e di Lux, capo dei demoni supremi e sono anche tuo zio. Sei una creatura
bizzarra, sai? Metterti contro di me...>> aggiunse, in tono scherzoso.
<< Io sarei quella
pazza? Tu volevi fare cose... impure...>>
<< Mi hai fatto
divertire>> sorrise, poi aggiunse prima di uscire dalla stanza <<
Mangia la minestra, altrimenti si raffredda... Pandora>>
Lo guardai mentre
lasciava la sala. Dal suo volto cadde una lucente lacrima, la quale si scontrò
con il pavimento, diventando una macchia in un mare di perfezione.
Non avevo mai
visto una luminosità simile, sfiorava infatti quella pura del sole. Normalmente
i demoni non mostravano i sentimenti, erano esseri subdoli, capaci soltanto di
torturare gli umani.
Eppure lui
sembrava diverso dagli altri, anche se mi aveva aggredita. Forse possedeva
anche lui un’anima, in fondo.
A questo pensiero
scossi la testa: certe volte riuscivo ad essere proprio un’ingenua, perché i
demoni non avevano un’anima, per questo motivo la cercavano da chi invece ne
possedeva una. Erano come degli zombie, con la differenza che questi ultimi non
erano né creati dall’ombra e né possedevano una volontà propria.
<<
Eridan!>> lo chiamai, prima che sparisse nei labirintici corridoi.
Lui si girò e mi
guardò con un’espressione interrogativa.
<< Eridan...
tu hai un’anima?>> gli domandai.
<< Tempo fa
la stessa domanda me la fece Lilith, quando io, accecato dalla potenza, avevo
ucciso il nostro unico figlio>> poi sospirò << comunque, purtroppo
sì... se non ce l’avessi, sarei un demone libero>>
Ci fu un lungo
silenzio, interrotto soltanto da uno stormo di uccelli che copriva, come se
fosse una candida nuvola, la calda luce che scaldava la Terra ormai da fin
troppo tempo.
<< Io sono
un mostro, Pandora>>
<< I mostri
non ammetterebbero mai di essere tali. Certo, se mi aggredisci un’altra volta
però ti ritroverai la mia Death Scythe impiantata da qualche parte>>
Eridan si voltò
verso di me, facendo un’inquietante espressione a trentadue denti. Incrociò le
braccia e inclinò appena in capo, ridacchiando.
<< Davvero?
Così non sarei un mostro? Bene... in tal caso... domani la sveglia è alle
quattro del mattino>>
<<
bastardo>> ringhiai.
No, lui non era un
mostro. Lui era un demone supremo ed era infinitamente peggio.
Fine Settimo
Capitolo!