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Autore: Clairy93    08/02/2013    7 recensioni
Trieste. 1942.
Nel pieno di una guerra all'apice della sua degenerazione, i destini di due giovani, Massimo e Vera, si incroceranno in una calda giornata di settembre. Lui, giovane tenente dell'esercito italiano. Lei, diciannovenne ebrea.
Una storia di sacrifici, di dolore e paura dalla quale però l'amore può trionfare persino sulle ideologie inconfutabili e sui pregiudizi.
Genere: Guerra, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali, Olocausto
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Mi avevano portato via anche la luna'
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Appena entro in casa sono avvolta dall’odore pregnante della minestra che bolle sul fuoco e dallo sguardo preoccupato di mia madre.
“Vera! Finalmente sei tornata! Si può sapere perché ci hai messo tanto?”
“Anna sei angosciante!” interviene papà impegnato a preparare la tavola “E’ un poco in ritardo, lasciala in pace.”
“Giovanni! Ma con tutto quello che succede! Come fai a non preoccuparti se nostra figlia ritarda?”
“Mamma ti prego!” dico esasperata, appoggiando la sacca con i libri in un angolo “Non è successo niente e sto benissimo.”
“Anna! La zuppa!” zia Barbara, chiamata affettuosamente Baba, accorre al camino dove la minestra, dimenticata distrattamente da mia madre sul fuoco, bolle furiosamente.
“Non vorrai far bruciare la nostra cena? Mi pare già piuttosto misera.” dichiara zia Baba mescolando la zuppa.
Mamma si passa nervosa una mano tra i capelli e sospira. Il suo dolce sguardo è più stanco e affaticato del solito e non posso che scorgere nei suoi occhi il desiderio di fuggire lontano. E mi sento in colpa.
“Scusami mamma, non capiterà più promesso.”
Mi sorride flebilmente accarezzandomi una guancia.

“Allora, cosa mangiamo di buono?”
“Zuppa di cavolfiore e patate tesoro.” mi risponde zia Baba, scorgendo una nota di tristezza nella sua voce.
“Tanto per cambiare...” Quasi mi ero scordata di mio cugino Gabriele, nascosto sotto il tavolo intento a riparare una gamba traballante.
Mi chino e lo saluto con la mano e lui ricambia con un sorriso.
“Hai aggiustato la gamba del tavolo Gabriele?” chiede zia Baba.
La zia è la sorella di mio padre e viviamo nella stessa casa da qualche anno. La convivenza non è semplice, l’alloggio è angusto e gli spazi ristretti. Purtroppo non possiamo permetterci altro.
“Sì mamma, ho finito…” Gabriele spunta da sotto il tavolo spostandosi irritato i capelli dagli occhi.
Gabriele ed io abbiamo la stessa età e siamo cresciuti insieme. Eppure negli ultimi mesi non ho potuto non osservare dei cambiamenti in mio cugino. E’ cresciuto, è maturato. Ha delle responsabilità ora e i problemi della famiglia si addossano spesso su di lui.  E’ irritabile e in alcune occasioni si chiude in se stesso.
Mamma dice che i ragazzi sono fatti così. Vivono dei periodi nei quali sono particolarmente irrequieti. E puoi provare di tutto per capirli, sarà sempre inutile.
Mi avvicino a papà baciandogli una guancia e lo aiuto ad apparecchiare.
“Tesoro la prossima volta cerca di non tardare. La mamma ha già tante preoccupazioni…”
“Hai ragione papà, mi dispiace. Ho avuto solo un contrattempo.”
“Di che tipo?”
Abbasso lo sguardo imbarazzata.
“Vera, mi stai nascondendo qualcosa?” un sorriso colora la sua voce. 
“Papà no! Perché dovrei?”
“Non saprei, sei diventata tutta rossa.”

Accidenti a me!

“E dai Giovanni! Potrà avere qualche piccolo segreto la nostra Vera o no?” zio Simone ci raggiunge dall’altra stanza e si accomoda di fronte a suo figlio Gabriele.
Sorrido allo zio cercando maldestramente di nascondere il mio rossore.
“Quale segreto?” s’intromette mia madre “Tesoro sappiamo bene che non sei brava a nasconderli…”
“Perché insistete con questa storia? Non è successo niente, cambiamo argomento per favore!”
Afferrò maldestramente la borsa con i libri che ho lasciato sul pavimento e mi dirigo svelta nella stanza attigua, la camera da letto che condivido con mamma e papà. Appoggio sulla scrivania scricchiolante la borsa e scorgo il mio viso arrossato riflesso nello specchio.
Cerco di tranquillizzarmi e tornare al mio colorito naturale, allontanando dalla mia mente l’immagine insistente di Massimo.   

Raggiungo la cucina e mi siedo accanto a Gabriele.
“Perché non vuoi rivelarci chi hai incontrato?” mormora mio cugino, giocherellando distrattamente con un cucchiaio “Tuo papà ha detto che ci sposeremo prima o poi, non dovresti nascondere la verità.”
“Papà si diverte molto a ripetere che ci sposeremo Gabriele solo perché siamo cresciuti insieme. E comunque non è successo niente.”
Finalmente la cena è in tavola e l’eccessivo interesse per il mio pomeriggio svanisce mentre consumiamo la nostra minestra, piuttosto misera e abbondantemente annacquata.
“Potevamo almeno comprare del pane da accompagnare a questa brodaglia...” dice Gabriele raccogliendo la minestra con il cucchiaio e rovesciandola nel piatto.
“Smettila di lamentarti Gabriele!” urla zio Simone, sollevando lo sguardo dal piatto “Siamo abbastanza fortunati da avere qualcosa di caldo per cena! Potevi comprare tu il pane!”
“Ma certo papà, dovrei fare tutto io in questa maledetta casa non è vero?”
Gabriele sbatte irritato un pugno sul tavolo e si alza.
“Tesoro per favore torna qui!” implora zia Baba.
“Mi è passata la fame…” Gabriele si dirige verso la soglia di casa ed esce sbattendo rumorosamente la porta.
Zia Baba sta per raggiungere il figlio ma la fermo con un cenno.
“Ci parlo io zia.”

Afferro uno scialle e lo indosso prima di uscire di casa. La fresca brezza serale mi fa rabbrividire e mi stringo nelle spalle.
“Mi dispiace vederti arrabbiato sai?” raggiungo Gabriele e mi appoggio sulla staccionata.
Lui solleva indifferente le spalle e sospira guardando dritto davanti a sé.
Non appena intravedo cosa stringe tra le dita, spalanco gli occhi sconcertata.
“E da quando fumi?”
“Non cominciare anche tu Vera! Sono libero di fare ciò che voglio.”
“No non è vero! Il denaro che spendi per questa robaccia ci serve per vivere.”
“Sono soldi che ho guadagnato da solo. Posso spenderli come voglio.”
“Penso invece che tu lo stia facendo per dispetto…”
“Sai cosa ti dico? Non mi interessa Vera. Sono stufo e vorrei solamente andarmene da questa città!” Gabriele tira una profonda boccata di fumo e getta la sigaretta spegnendola con la scarpa.
Noto le sue labbra tremare mentre si passa inquieto una mano tra i capelli.
“Gabriele, capisco che è difficile sopportare questa situazione e che gran parte degli incarichi ricadono sulle tue spalle.” mi avvicino e poso una mano sulla sua spalla “Ma sai che non possiamo permetterci di lasciare Trieste. E siamo già tanto fortunati ad avere una casa e stare insieme. Siamo una famiglia Gabriele e dobbiamo rimanere uniti. Ora più che mai.“
Lui mi sorride e i suoi occhi verdi si illuminano di quel bagliore che ormai conosco così bene.
Gabriele posa un braccio attorno alla mia spalla stringendomi a sé proprio come quando eravamo piccoli e la vita con le sue complicazioni sembrava più facile.
“Tutto si aggiusterà Gabriele e la fortuna girerà dalla nostra parte. Me lo sento.”
“Sono già fortunato ad avere te Vera.”
“Come sei dolce caro cugino. E sei diventato davvero forte, quasi mi stritoli!”
Lui ride e allenta la presa.
“Non ti piacerebbe scappare lontano Vera? In America magari…e vivere la nostra vita liberamente?”
“Gabriele me lo hai già chiesto tante volte! E’ troppo lontana l’America e sai bene che i nostri genitori non lascerebbero mai Trieste.”
“Ma se avessimo abbastanza denaro…”
“Non ne abbiamo Gabriele.”
“D’accordo ma se fossimo ricchi, tu verresti con me?”
“Stai sognando un po’ troppo cugino mio. Ed io inizio ad avere freddo. Vieni?”
“Rimango fuori ancora un minuto. Tu vai a scaldarti.”

Dopo essere rientrata in casa e aver rassicurato zia Baba e zio Simone, laviamo i piatti mentre raccontiamo come si è svolta la nostra giornata.
Augurata la buonanotte, le luci si spengono e cala il silenzio.
Mi rigiro inquieta tra le coperte ma non riesco a prendere sonno.
Intreccio le braccia dietro la nuca e sospiro mentre osservo sconsolata il soffitto.
Non riesco a togliermi dalla mente l’immagine di Massimo, l’affascinante tenente che ho incontrato oggi.
Scrollo la testa per scacciare quel volto che vaga tra i miei pensieri.
Ma non ci riesco…
Dopotutto mi ha solamente riaccompagnato a casa. Insomma un gesto di cortesia, niente di più.
Allora perché se ricordo la passeggiata con Massimo, un’improvvisa agitazione mi travolge?
E soprattutto… perché continuo a pensarci?
Forse mi ha colpito il suo atteggiamento. O magari il modo in cui mi guardava…
Mi sorprendo a sorridere ripensando ai suoi complimenti e sento le mie guance arrossire.
Oh smettila Vera!
Affondo il viso nel cuscino e chiudo gli occhi. 
Quella notte l’eroe dei miei pensieri fu Massimo. Sapevo che non lo avrei più rivisto, ma nessuno poteva impedirmi di sognare.




   
 
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