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Autore: Clairy93    01/02/2013    9 recensioni
Trieste. 1942.
Nel pieno di una guerra all'apice della sua degenerazione, i destini di due giovani, Massimo e Vera, si incroceranno in una calda giornata di settembre. Lui, giovane tenente dell'esercito italiano. Lei, diciannovenne ebrea.
Una storia di sacrifici, di dolore e paura dalla quale però l'amore può trionfare persino sulle ideologie inconfutabili e sui pregiudizi.
Genere: Guerra, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali, Olocausto
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- Questa storia fa parte della serie 'Mi avevano portato via anche la luna'
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Settembre 1942, Trieste.

Quasi come ogni giorno dopo il lavoro, prima di tornare a casa, mi dirigo verso Piazza Unità d’Italia.
Mi siedo su una panchina, se ho denaro a sufficienza gustandomi un buon gelato, accarezzata dolcemente dalla brezza che scompiglia la gonna del mio abito. E di fronte a me, il mare di Trieste.
Adoro questi momenti. Da sola. Lontano dagli obblighi di famiglia, dal lavoro…e dalla guerra.

In questo momento le armate di Hitler stanno tentando con ogni mezzo possibile di sfondare Stalingrado che nonostante tutto offre una strenua resistenza.
Ormai le pretese territoriali del Führer e la sua ossessione per il potere sono chiare. E noi italiani siamo da tempo vincolati alla Germania dopo la scelta di Mussolini di stipulare un patto con Hitler.  

Come conosco queste notizie? Semplice, lavoro nella casa di un politico triestino, il signor Tommasi, e mi occupo dell’educazione del figlio dodicenne. Di conseguenza mi capita spesso di udire alcune discussioni del padre su tali argomenti.
E’ importante essere aggiornati, per non cadere nell’oblio della disinformazione. Tuttavia l’attendibilità delle notizie è piuttosto relativa. Il regime controlla e censura qualunque informazione possa comparire lesiva per la dittatura e impone alla nazione la sua visione del mondo. E non condividerla…beh, non ci si potrebbe nemmeno porre questo dubbio.

Ma in questi momenti “di tregua”, in cui ho la possibilità di godermi qualche minuto di pace, rimuovo dalla mia mente ogni pensiero o preoccupazione.
Siamo nel 1942. Una comune giornata di settembre. E’ ancora estate ma l’atmosfera che si respira è gelida.
Siedo su una panchina e osservo come incantata il moto perpetuo delle onde e le barche attraccate che ondeggiano.
Quando noto una figura in lontananza. Un uomo in divisa, con giacca e pantaloni grigi inseriti in stivali di pelle nera e un berretto sul capo.
Abbasso rapida lo sguardo rassettandomi nervosamente la gonna, sperando che l’uomo non si fermi.
Di soldati se ne vedono a dozzine per le strade, non è certo una novità. Tuttavia la loro presenza in città non denota un periodo di pace.
Con la coda dell’occhio controllo l’uomo e dove sia diretto.  Ma è proprio alla mia sinistra.

Ma tu guarda che fortuna…

“Buon pomeriggio!” saluta l’uomo, sollevando il berretto.
Mi volto e, dannazione, il suo sguardo mi rapisce. La dolcezza che intravedo nei suoi occhi, nei suoi lineamenti e nel suo sorriso mi incantano. Una qualità che non scorgo negli sguardi delle persone da parecchio tempo.
Accenno un sorriso, ricordandomi di riprendere a respirare.
“Cosa fate qui da sola?” chiede l’uomo.

Ecco, una domanda come questa sicuramente mi irriterebbe. Tuttavia pronunciata da quelle labbra assume tutta un'altra armonia.

“Sto facendo qualcosa di male?”
“No assolutamente. Ma non è prudente andare in giro da sole con i tempi che corrono. E tra poco scenderà la notte.”
“Stavo giusto tornando a casa.” mi alzo dalla panchina sistemando la borsa a tracolla.
“Posso riaccompagnarvi!” balza l’uomo “Se non vi infastidisce ovviamente. In questo modo sarò certo che non vi capiti niente.”
“Vi ringrazio, ma non dovete disturbarvi.”
“Nessun disturbo signorina. E’ mio dovere. Lasciate che vi accompagni.”

D’accordo, forse la sua insistenza un poco mi innervosisce.

“Va bene, come volete…”
Afferro la sacca colma di libri ma lui è più svelto e me la sfila di mano, sorridendomi. E non posso fare altro che allentare la presa.
“Come vi chiamate?” mi domanda.
“Vera. Vera Bernardis. E voi?”
“Tenente Massimo Riva, primo reggimento San Giusto.” mi offre la mano e la stringo un poco timorosa “E’ un piacere conoscerti, Vera.”
Ricambio il sorriso, ritirando la mano e abbassando imbarazzata lo sguardo.
“Sei una scrittrice?”
Lo osservo perplessa e Massimo mi indica con lo sguardo la borsa dei libri.
“Oh no! Sono un’insegnante, impartisco lezioni private a un bambino. E cerco di procurargli i volumi di cui ha bisogno.”
“…Eppure hai un volto da scrittrice.”
“E cosa ve lo fa pensare?” domando divertita.
“Hai quello sguardo…enigmatico, sognatore. Come se fosse smarrito in lontananze irraggiungibili.”
“Come siete poetico...”
“Davvero?” chiede Massimo, sfoggiando un sorriso raggiante.
Annuisco convinta e aggiungo: “E voi da quanto siete tenente?”
“Da un anno. Ma sono nell’esercito da quando ne avevo diciannove.”

Quasi senza accorgermene, desidero che non sia tanto vecchio da essere già diventato tenente…

“Siete stato costretto ad entrare nell’esercito?”
“Sì, inizialmente. Come lo sono stati tutti i ragazzini della mia età. Con il tempo capii che quella era la mia strada, così mi sono arruolato ufficialmente.”
Chissà, forse nota la mia espressione un poco incerta che, come spesso mamma mi rinfaccia, difficilmente riesco a celare.
“Non mi fraintendere!” aggiunge Massimo, sfiorandomi il braccio scoperto e causandomi un brivido che si diffonde lungo la schiena “Non sostengo la guerra né coloro che la incoraggiano. Difendere e aiutare i deboli sono i motivi per cui sono nell’esercito.”
“E’ chiaro che amate ciò che fate.”
“Oh sì, eccetto per la convivenza esclusivamente maschile in caserma…”
Gli sorrido divertita.
“Non c’è da scherzare! Uno scontro ad armi impari sarebbe meno massacrante, mi credi?”
Scoppio a ridere.
“Sei davvero carina quando ridi…”
Non riesco a sostenere il suo sguardo. Abbasso il capo imbarazzata, tentando di celare maldestramente il rossore che compare sulle mie guance.
“Non volevo metterti a disagio. Ma sono sicuro te lo avranno già detto tante volte…”

Beh… contava papà?

“Quanti anni hai Vera?”
“Diciannove. Voi?”
“Venticinque. Perciò dammi del tu, non sono poi così vecchio.”
“No, non lo sei. Anche se…”
Massimo mi osserva perplesso.
“Qualche ruga sotto gli occhi…”
Massimo rizza il sopracciglio in maniera tanto buffa che scoppio di nuovo a ridere.
Nonostante qualche momento imbarazzante durante il quale Massimo mi osserva silenzioso accennando un sorriso, è una piacevole passeggiata.
Si sorprende nel sapere le mie conoscenze su alcuni aspetti di politica e di guerra e lo esorto a raccontarmi maggiori dettagli.
“Mi pare tu ne sappia già abbastanza.”
“Non credo proprio! Sono certa il governo ci nasconda tante notizie solo per controllarci più facilmente.”
“Forse in periodi come questi Vera, meno si sa e meglio è.” mi risponde Massimo.

“Sono arrivata!” annuncio, giunti all’inizio del vialetto. Poco lontano si erge una graziosa villetta con un ampio giardino.
“Che bella casa! E da quando vivi qui?”
“Da quando sono nata. Ora perdonami ma devo proprio andare…”
“Scusa, hai ragione! Sono certo non mi sopporterai già più!”
“No! Non vorrei i miei genitori si preoccupassero per nulla.”
“Certo. Allora, ti saluto Vera.”
Massimo si sta allontanando quando lo chiamo allarmata.
Lui si volta raggiante, osservandomi speranzoso.
“La borsa con i libri…”
Massimo guarda la sacca tra le sue mani e sorride tra sé.
“Ma dove ho la testa! Ecco a te…”
Mi consegna la borsa e percepisco le sua dita sfiorare la mia mano. Mi guarda dritto negli occhi e non riesco a muovermi.
O forse non voglio…

“Sarà il caso che anche io torni in caserma.”
“Certo. Grazie per avermi accompagnata.”
“Dovere.”
Annuisco con il capo mentre la situazione si fa sempre più imbarazzante.
“Allora…ciao! E’ stato un piacere conoscerti Vera.” dice Massimo.
“Anche per me.”
Mi avvio lungo il vialetto. Guardo alle mie spalle e noto Massimo intento a guardarmi. Lo saluto con la mano e lui mi sorride. Finalmente si incammina e scompare dietro l’angolo.
Controllo attentamente che nessuno sia nelle vicinanze e specialmente che Massimo non torni indietro.
Ripercorro il vialetto e proseguo lungo la via raggiungendo una piccola abitazione in legno, provvista di qualche malinconica pianta rinsecchita accanto alla porta d’ingresso.
Casa mia.
   
 
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