Mi
fai compagnia?
Rea sospirò
e lesse per l’ennesima volta il riassunto che aveva fatto della situazione.
Dodici ragazzi morti, sei finiti in ospedale, tre rapiti e un bidello quanto
mai sospetto. Bel quadro.
Si
stiracchiò annoiata e invidiò la cena di suo padre. Forse entro qualche anno
Bearne avrebbe invitato anche lei ad andare con loro, quando la sua
appartenenza alla polizia fosse stata assicurata.
Senza dirlo
a Jason aveva preso dei moduli da riempire per iscriversi ai corsi base per
diventare poliziotta; li aveva nascosti dentro un cassetto nel comodino e ogni
tanto li guardava sognante. Già si immaginava mentre lavorava come suo padre ad
un caso, risolvendolo con maestria e ricevendo gli applausi dell’ufficio. Sì,
quella era decisamente la vita che voleva vivere.
L’unico
problema era che non voleva ancora prendere nessuna decisione senza prima aver
risolto quella situazione con lui. Le faceva male sapere che nessuno dei due
aveva ancora fatto un passo verso l’altro, per questo aveva chiesto di parlare
quando fosse rientrato. Se non si decideva a muoversi rischiava che quel
problema non venisse mai superato, quindi niente
orgoglio e facciamo la prima mossa, si era detta.
Si alzò
dalla sedia girevole, allontanandosi dal computer, e si stropicciò gli occhi.
“Voglio fare qualcosa!” si lamentò.
Prese il
telefono e guardò l’ora: le nove e mezzo. Era prestissimo per essere sabato.
Cosa le
aveva detto Laura? C’era una festa da qualche parte, giusto? Magari faceva
ancora in tempo ad andarci.
Cercò in rubrica
se aveva il numero della ragazza, ma si ricordò quasi subito di non averglielo
mai chiesto. Le uniche persone di cui aveva il cellulare erano Emma e Fabio.
Premette
l’invio di chiamata.
“Pronto?”
“Pronto, ciao Emma, sono Rea! Ti disturbo?”
“N-no, dimmi pure”
“Volevo sapere… ecco, in verità è una cosa imbarazzante”
“Hai bisogno nello
studio?”
“No, no, niente del genere! Solo che Laura oggi mi ha
detto che sareste andate ad una festa stasera e volevo sapere se ero ancora
invitata”
“…….”
“Emma?”
“Io non so di nessuna
festa. A me Laura ha detto che doveva studiare, così io sto facendo… ehm… altro”
“Ah. Forse ho capito male io, allora. D’accordo, fa’
niente, scusa il disturbo”
“Figurati, non ti
preoccupare. Buona serata”
“Anche a te”
Rea attaccò
e rimase un paio di minuti col telefono in mano, leggermente confusa. Perché
mai Laura avrebbe dovuto invitarla ad una festa dove aveva detto esserci anche
Emma se poi la festa non esisteva ed Emma stava “facendo altro”? Non aveva
nessun senso e forse, proprio per questo, avrebbe dovuto infischiarsene. Invece
il suo sesto senso si era messo in moto, facendola diventare sospettosa e
terribilmente agitata. Forse Laura nascondeva qualcosa? Ma allora lei cosa
c’entrava?
Si sdraiò
sul letto con un braccio sulla fronte e rifletté. Certo, non era una ragazza
che attirava molto l’attenzione: in quelle settimane aveva notato che teneva
sempre un basso profilo, parlava con tutti e sorrideva con tutti ma poi non
usciva mai con nessuno. Anche quelle poche volte in cui lei si era trovata a
studiare con Emma, escludendo il pomeriggio dell’incidente con l’albero, aveva
sempre gentilmente rifiutato il suo invito con una scusa.
Sgranò gli
occhi, colpita dal pensiero che aveva appena avuto: non poteva essere,
sicuramente si stava sbagliando.
Il cellulare
squillò, facendola sobbalzare.
“Pronto?” rispose.
“Salve, qui parla un
ragazzo che si annoia e che sta cercando qualcosa da fare. Chi è lì?”
Rea rise di
cuore.
“Ciao Fabio, che ti serve?”
“Uffa, e io che speravo
che tu non capissi chi era. Che stai facendo?”
“Niente, sono sdraiata sul letto che rifletto un po’ sui
nuovi indizi che sono venuti fuori. Tu?”
“Niente, sono sdraiato sul
letto che rifletto un po’ su di te”
La ragazza
ringraziò che lui non potesse vederla perché arrossì violentemente.
“Non dire certe cose” lo sgridò. Lui rise.
“Perché? È vero. senti
visto che siamo entrambi soli ti va se ci vediamo?” le propose. Lei guardò
tutte le scartoffie che aveva sulla scrivania e sospirò.
“Io devo rimanere in casa ad aspettare papà” rispose.
Seguì del silenzio dall’altra parte della cornetta.
“Però se vuoi vieni a farmi compagnia” lo invitò.
Fabio arrivò
a casa sua dieci minuti dopo, annunciato da un lungo suono di clacson. Rea lo
stava aspettando sulla porta, con le braccia incrociate e un sorriso divertito
sul viso.
“Benvenuto” lo accolse, aprendogli il passaggio.
“Che simpatica signora di casa” commentò lui, ridendo.
“Che vuoi farci, è una dote naturale. Sono una padrona
meravigliosa, così meravigliosa che abbiamo anche lo spuntino se ci viene fame”
ribatté la ragazza.
“Ho mangiato da poco, per il momento non mi va nulla”
“Vai via subito?” chiese lei.
“No, perché?”
“Quindi significa che abbiamo un po’ di tempo per farti
venire fame” spiegò. Si rese subito conto che quella frase poteva
suonare piuttosto ambigua. Arrossì e si voltò.
Fabio la
guardò sorridendo.
“Che carina che sei quando sei rossa” le disse. La
ragazza sbuffò.
“Non sono rossa!” esclamò.
“Secondo me sì. Fatti vedere un po’ meglio, così ti dico se
sei rossa oppure no”
“Cos…?”
Lui la prese
per un braccio e l’attirò a sé, avvicinando i loro visi e scrutandola bene.
“Mmmh…
direi che sei decisamente rossa. Sembri quasi un pomodorino” la prese in
giro dolcemente.
Rea cercò
con poca convinzione a staccarsi, con risultati che lasciarono molto a
desiderare.
“Non è colpa mia” si lamentò.
“A me piaci quando sei imbarazzata. Sei così tenera”
commentò il ragazzo.
“M-ma io non devo essere tenera, devo essere aggressiva se
voglio fare il poliziotto” ribatté lei.
“Adesso sei con me e non devi essere o fare nient’altro. A me
va bene così” le confessò lui.
Rea non
seppe cosa rispondere, troppo confusa dal battito del suo cuore per reagire.
Fabio la
baciò, liberandole le mani e abbracciandola.
“Tu sei scorretto” lo accusò la ragazza quando
riuscì a parlare. Lui si allontanò leggermente, guardandola.
“Perché?”
“Mi baci sempre quando io non me l’aspetto e questo non è
giusto!” spiegò, mettendo il broncio come i bambini.
“Vuoi che ti avverta prima di baciarti?” si stupì il
ragazzo, trattenendosi dal ridere. Lei arrossì.
“N-non dico quello, solo che… i-io non…” balbettò
la rossa.
Lui la
spinse verso la parete che aveva dietro e ce la bloccò con le braccia. Rea
sentì il respiro accelerare e ili cuore battere forte contro le costole.
“C-che fai?” domandò.
“Ti bacio” le rispose semplicemente il ragazzo.
Era forte.
Era passionale. Era bellissimo. Era… lei non aveva nemmeno più degli aggettivi
per descriverlo.
Gli passò le
mani dietro la testa, attirandolo a sé e stringendolo forte.
Senza sapere
come fosse successo, cinque minuti dopo erano sdraiati sul divano a spogliarsi.
Jason aveva
passato una serata stupenda, doveva ammetterlo. Nonostante Emma avesse
diciassette anni meno di lui e fosse una studentessa in crisi pre-esame, era
simpatica, acuta e piacevole. Oltre che bella, certo.
L’aveva
riaccompagnata a casa, sentendosi come un ragazzino quando l’aveva baciata
prima che scendesse di macchina, per poi aspettare che entrasse come un
gentiluomo.
Sorrise
mentre apriva la porta di casa, felice di aver passato una così bella serata e
sapendo che adesso lo aspettava un chiarimento con sua figlia, cosa che lo
rendeva ancora più felice ed euforico.
Entrò in
corridoio e mise la giacca sull’attaccapanni.
“Rea, sono tornato!” esclamò, andando verso la
cucina.
Quando passò
davanti il salotto e vide la ragazza che dormiva abbracciata a Fabio si bloccò,
col cuore in tumulto. Erano nudi sotto la coperta?
“Rea!” gridò. Lei sobbalzò spaventata e si sedette,
allungando una mano verso il cassetto del tavolo e tirando fuori la pistola di
suo padre.
“Chi c’è?” chiese confusa. Quando vide Jason in
piedi nel mezzo della stanza la sua testa si voltò automaticamente verso il
ragazzo sdraiato accanto a lei e chiuse gli occhi, maledicendosi.
“Ma porca di quella... papà, aspetta, posso spiegarti.
Spero” disse, alzandosi.
L’uomo si
voltò per non vederla nuda, sentendo una certa rabbia assalirlo.
“Fabio, svegliati maledizione!” lo chiamò Rea,
dandogli un colpo sulla spalla. Lui aprì un occhio e la guardò.
“Dammi cinque minuti” si lamentò.
“Alzati subito!” ordinò. Il ragazzo si sedette e si
stiracchiò, un po’ indolenzito.
“Certo che ci si dorme male sul tuo divano” commentò.
“Non era stato comprato per questo, mi dispiace”
ribatté Jason, infuriato.
Lui vide
l’uomo e deglutì.
“B-buonasera, signor Simon” lo salutò, cercando di
ricordare dove avevano buttato i vestiti.
“Buonasera anche a te, spero che tu ti sia divertito”
ricambiò l’uomo.
Cinque
minuti dopo Fabio era alla porta che si stava congedando.
“C-ci vediamo lunedì a scuola” disse a Rea.
“Spero che non mi uccida prima” gli sussurrò lei
all’orecchio. Gli dette un veloce bacio sulle labbra e poi tornò da suo padre,
tremante.
“Non mi devi dire niente?” le chiese l’uomo. La
ragazza deglutì.