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Autore: fragolottina    13/02/2013    13 recensioni
"Ogni sei mesi tutti i ragazzi di tutte le scuole dello stato, di età compresa tra i diciassette ed i venti anni, venivano sottoposti ad un test.
Tutti i test erano spediti direttamente alla sede centrale dell’ADP a Vernon, dove erano analizzati, smistati e valutati.
C’erano tre responsi possibili: il primo, ragazzo normale, potevi continuare la tua vita come se niente fosse successo; il secondo, potenziale Veggente, non eri arrestato – od ucciso, come ebbi modo di scoprire in seguito – come un Veggente attivo, ma ad ogni modo eri obbligato a sottoporti a test clinici per valutare la tua resistenza al Mitronio, per calibrare una cura su misura; il terzo, potenziale Vegliante, un soldato, una risorsa del governo, da quel giorno la tua missione era quella di dare la caccia ai Veggenti attivi.
A quanto pareva, io ero una potenziale Vegliante."
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Synt'
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Mitrono fragolottina's time
questo capitolo l'avrò scritto e cancellato sulle millemila volte, quindi, inizio con il pararmi il sederino: non sono molto brava nelle scene d'azione, più che altro perchè non ho mai scritto storie che le prevedevano, perciò cercate di essere comprensive e abbiate un po' di pazienza, sono ancora in formazione.
poi, c'è davvero un sacco di roba in questo capitolo e mi tocca dirvi che a me piace. magari il pezzo più movimentato non è un esempio stratosferico di capacità narrative, ma per come la vedo io funziona.
è di nuovo un capitolo LUNGO... dobbiamo arrivarci a patti con questa cosa: sono capitoli lunghi c'è poco da fare. troppe cose da dire per riuscire ad entrare nelle standard 3500 parole, mi dispiace!
a più giù!

9.
Il soldato perfetto


Zach era nervoso, lo capivo anche se era al di là del vetro che divideva la parte anteriore della macchina da quella posteriore. L’ennesima misura di sicurezza per Nate.
    Invidiavo il suo sangue freddo o la sua stoicità, io non sarei riuscita a reggere tanta tensione.
Nate doveva sedere sul sedile dietro, al centro, per essere lontano dai finestrini, e con un vetro antiproiettile, spesso quanto il mio polso, tra lui e chi guidava. Una situazione del genere avrebbe mandato ai pazzi chiunque, probabilmente. Chiunque, ma non lui, che continuava semplicemente a digitare comandi sul suo portatile, diceva che un aggeggino come il suo palmare non gli bastava più, ci voleva un computer vero.
    Forse era semplicemente abitudine, però mi dispiaceva, doveva sentirsi un po’ isolato ad essere guardato sempre come se fosse fragilissimo. Almeno aveva Lynn, che gli sedeva accanto con una mano sul suo braccio, aveva un berretto rosso con due punte e due pompon in testa; quando avremmo iniziato lo avrebbero avuto tutti, per dividere le squadre.
    Per evitare fraintendimenti, il fucile da paint ball che mi aveva dato Matt era tutto completamente rosso, perfino i proiettili di vernice erano rossi.
    Da quello che avevo capito, c’era già una “me” cibernetica; la macchina sarebbe stato il cecchino della squadra blu, io sarei stato il cecchino della squadra rossa.
    Incredibilmente non ero nervosa. D’altronde non c’era niente di davvero pericoloso, era un gioco e quello che avevo tra le mani era un giocattolo. Perché avrei dovuto preoccuparmi? A quanto pareva, era anche un gioco in cui ero brava. Di tanto in tanto ripensavo allo shock causato da “Becky a caccia di frutti”, però, come aveva detto Nate, era stata colpa dell’isolamento non di quello che avevo fatto, oggi non avrei avuto nessuna cuffia.
    Ma non riuscivo a capire cosa avesse Zach e la sua tensione sussurrava inquietudine anche a me. Mi faceva sentire sul ciglio di un baratro, del tutto ignara di quando mi avrebbero spinta giù.
    La fabbrica era al di fuori della Synt che conoscevo, oltre quella interna e perfino oltre quella esterna. Ci volle circa un quarto d’ora di macchina per raggiungerla e, da come Jean intimava a Zach di rallentare, intuii che eravamo ad una velocità sostenuta.
    Quando, finalmente, la nostra Responsabile bussò al vetro antiproiettile per annunciarci che eravamo arrivati, mi trovai davanti un edificio enorme.
    «Wow.» mormorai guardando in su. Tutta la struttura era sovrastata da una cupola di vetro che luccicava al sole, anche se in alcuni punti doveva essere stata rotta. Romeo l’aveva rotta, me lo sentivo. Era incredibile pensare che ci fosse bisogno di uno stabilimento così grande per creare qualcosa di tanto piccolo, come una fiala di Mitronio.
    Nate sbadigliò e si stiracchiò all’aria aperta. «Ehi, è incredibile!» esclamò. «Sono libero.»
    Lynn non disse niente, si limitò a passargli un braccio intorno alla vita. Quanta solitudine si nascondeva dietro tanta autoironia?
    Zach si guardò intorno ansioso e guardingo.
    «Qualcosa non va?» chiesi incerta.
    Lui mi fissò per alcuni secondi, poi scosse la testa. «Far uscire Nate è pericoloso.»
    Il diretto interessato sbuffò. «Sono un Vegliante anche io, grande eroe.» posò un braccio sulle spalle di Lynn e si diressero verso l’altro blindato che stava parcheggiando.
    «Rilassati, Zach.» lo supplicò Jean. «Diventi presuntuoso quando sei nervoso.»
    Già, lo stavo scoprendo anche io.
    Lui non rispose alle accuse e recuperò un borsone con su scritto “Courtney” dal bagagliaio della macchina.
    L’interno della fabbrica era tutto acciaio, polvere ed echi. Da quello che riuscivo a vedere sembrava una sala unica, costellata di apparecchi enormi di cui non avrei mai potuto immaginare l’utilizzo; sopra le nostre teste correva un passerella di metallo, immaginai che quando l’industria era ancora in funzione, chi ci lavorava non scendesse mai dove eravamo noi. Effettivamente la scenografia del gioco mi rendeva abbastanza nervosa, era tutto troppo vuoto, troppo abbandonato, troppo… mi fermai a guardare un’impronta, in parte ricoperta di polvere, marrone scuro: quell’impronta aveva cinque dita.
    «Come si fa il Mitronio?» chiesi a Nate sulla scia di un pensiero che non ricordavo, accelerando il passo per raggiungere lui e Lynn.
    Finsi di non vedere Courtney dietro di noi, con il suo cappello blu infilato nella tasca della giacca, che mi studiava critica.
    Scrollò le spalle. «Sarà una specie di inibitore.»
    Lo osservai, sorpresa che mi desse una spiegazione così vaga, mi ero abituata ad un Nate che sapeva tutto. «Tutto qui?»
    «Non me l’hanno mai fatto studiare, beh, in realtà nemmeno io mi sono mai dedicato davvero alla medicina. Ma, ehi!, se mi prendi un po’ di sangue di Romeo penso di riuscire ad imparare.» mi prese in giro.
    Feci una smorfia e mi toccai la tracolla del mio fucile da paint ball. «Temo di non avere l’arma giusta.» commentai ironica.
    «Dunque, dunque, dunque.» fece Jean per attirare la nostra attenzione su di lei. «Non so se vi ricordate che non siamo qui in gita.» iniziò. «Matt, il cecchino automatico è lassù.» indicò con la mano un punto sulla passerella alla nostra sinistra. «Cerca di farlo partire. Nate e Becky, voi starete al lato opposto, lassù.» indicò una scala a destra. «Da quelle parti c’è anche l’impianto elettrico, circoscrivi un area di azione e chiudi il resto, tanto per stare tranquilli.»
    Nate diede un bacio a Lynn, poi mi fece strada verso il punto che ci aveva mostrato Jean.
    «Lynn, Zach, Courtney e Jared, voi siete i bersagli.» la sentii proseguire.
    «Evviva.» esclamò sarcastica Courtney.
    Mi lanciai appena un’occhiata alle mie spalle per guardarla, mentre mi aggrappavo ai pioli di metallo della scala, lei sarebbe stata il mio primo obiettivo.
    Una volta sulla passerella, Nate raggiunse una colonnina e spostò un pannello, rivelando tutta una serie di interruttori, cavi e prese di corrente. Spinse un paio di pulsanti, allacciò un cavo dal suo pc alla colonna e, dopo aver digitato alcuni comandi, un gracchiare agghiacciante mi perforò i timpani. Una luce brillante circoscrisse un’arena nella quale svolgere l’azione. Alzai gli occhi verso la cupola, non era solo vetro, erano specchi: muovendo la loro inclinazione si poteva spostare la luce, lasciando in ombra tutto il resto.
    Si sedette a gambe incrociate e continuando a dettare ordini cibernetici. «Accidenti, le grate non scendono più. Deve esserci un guasto.»
    «È una cosa grave?» chiesi.
    Scrollò le spalle. «Non così tanto.» aggirò il problema accendendo anche l’illuminazione artificiale, per aumentare ancora di più il contrasto tra la luce dell’area di gioco e ed il buio della zona interdetta circostante. A chiunque sarebbe stato chiaro dove poteva e non poteva andare. Era una buona idea, ma trovarmi in quel modo, sospesa in aria e circondata dal buio, mi faceva paura.
    «Nate?» chiamai, guardando il resto della banda tra le costruzioni di acciaio. Lynn si arrampicò, agile come un gatto, su quella che aveva tutta l’aria di essere una cisterna, per nascondere la bandiera in cima; Courtney invece la stava infilando dietro alcuni tubi di areazione: una puntava sulla difficoltà di raggiungere l’obbiettivo, l’altra su un buon nascondiglio.
    «Lo so.»
    «Non li vedremmo arrivare.»
    «E non abbiamo armi vere.» concluse.
    Lo guardai. «E se…?»
    «Speriamo di no.» mi interruppe.
    Ed io sperai, anche se iniziavo a credere che la tensione di Zach non fosse del tutto immotivata.

Era noioso. Era davvero troppo noioso perché era troppo facile, molto più di “Becky a caccia di frutti”. Se i giocatori fossero stati più numerosi forse sarebbe potuto essere divertente o stimolante, ma in quel modo, con solo due bersagli in campo, non c’era niente di interessante.
    Avevo già colpito Jared ad una gamba, Zach era stato centrato dietro la schiena dal cecchino automatico di Matt. Ogni volta che qualcuno veniva preso, era obbligato a rimanere fermo per cinque minuti. E come se non bastasse avevo scoperto che Courtney era un bersaglio un po’ più complicato da colpire: era brava a stare nascosta.
    Perché Zach aveva organizzato quella pagliacciata inutile? A questi livelli le lamentele di Courtney acquistavano un altro rispetto, sarebbe stato molto più sensato dormire.
    «Dobbiamo rimanere ancora molto?» chiesi a Nate.
    Lui si strinse nelle spalle e rise. «Ti giuro che l’avevo pensata in modo diverso.» commentò. «Io ti volevo, anzi, ci volevo laggiù con loro, non quassù appostati come al tiro al piccione.»
    «Fammi indovinare.» intuii assottigliando lo sguardo. «Zach ha detto che era troppo pericoloso?»
    «Naturalmente.»
    Feci una smorfia, appoggiai il fucile sul corrimano di metallo della passerella – non avevo capito esattamente come si dovesse tenere un fucile – e cercai Zach per sparargli. Lo colpii sul collo e la vernice gli schizzò fino alla bocca. Mi lanciò un’imprecazione fantasiosa, che sia io che Nate ignorammo, e sputò vernice rossa mista a saliva accanto a sé.
    «Colpo niente male, sai? Era un bersaglio lontano.» si congratulò Nate.
    «Non è me che devi colpire, cheerleader!» mi rimproverò invece Zach.
    «Mi annoio.» gridai di rimando.
    «Anche io.» rispose la voce di Matt dall’altra parte dell’area di gioco. «Ho un’idea, prova a prendere i proiettili che sparo io.»
    Uno sbuffo rimbombò tra le pareti di acciaio della fabbrica. «Ma siate realisti!» sbottò Courtney, nascosta dietro un serbatoio, ignara del fatto che la bandiera blu è proprio lì sopra. «È impossibile che sappia fare una cosa del genere.»
    Per alcuni secondi non parlò nessuno, poi riconoscemmo il sibilo e lo sparo del cecchino automatico di Matt ed un proiettile blu le imbrattò i capelli.
    «Sei fastidiosa.» la accusò.
    Risi godendomi la scena, solo una parte di me lontana, lontana, si chiese se effettivamente fossi in grado di colpire un altro proiettile; l’idea sembrava un po’ troppo fantascientifica, anche se sarebbe stata un ottimo banco di prova per testare la mia super mira.
    Il suo grugnito di frustrazione fu meglio di qualsiasi lode.
    Cercai Lynn, l’ultima volta che avevo controllato si stava avvicinando alla bandiera rossa, se l’avesse presa la partita sarebbe stata conclusa e ce ne saremmo potuti andare.
    Il panico mi strinse lo stomaco: poco distante da lei, che quatta, quatta superava il proprio territorio, c’era un’altra ragazza vestita da Vegliante. Allontanai il fucile per vedere meglio: aveva una maschera bianca che le copriva la faccia, la faceva sembrare un fantasma, ed era immobile dietro di lei. Poteva essere Jean, ma… no, non poteva essere Jean. Nessuno di noi aveva la divisa di ordinanza, era stata proprio lei ad impedircelo per non rovinarle con la vernice.
    «Nate, c’è qualcuno.»
    Lui sollevò il viso di botto, mentre io li contavo Jared, Courtney, Lynn, Zach… cinque e sei. Ce n’era uno anche dietro di Zach.
    Con gli occhi fermi sulla maschera, allungò una mano e recuperò un cellulare, compose un numero e se lo portò all’orecchio.
    «Matt, li vedi?»
    «Si.» gracchiò la sua voce dal microfono a volume troppo alto. «Di schiena… quello dietro a Zach ha i capelli rossi.»
    «Controlla Lynn, io e Becky andiamo a vedere che combina Romeo.» sussurrò, prima di interrompere la comunicazione.
    Piano, per non fare rumore, scollegò tutti i cavi del proprio computer uno ad uno e mi fece segno con la mano di incamminarmi lentamente lungo la passerella verso Zach. Obbedii, attenta a non allontanare troppo a lungo gli occhi dal Veggente dietro di lui: a Romeo sarebbero bastati pochi secondi per far precipitare la situazione, ormai stavo arrivando a patti con la triste realtà che il suo cervello era troppo avanti rispetto ai nostri.
    Mi bloccai quando vidi Zach indietreggiare fino a lui. Romeo si sollevò la maschera lasciandosela sulla testa, si abbassò leggermente per frugare in una delle tasche dei suoi pantaloni e recuperare… non riuscii a vederlo, ma qualsiasi cosa fosse Zach la inghiottì. L’estrema versione del “non accettare caramelle dagli sconosciuti”.
    Fu più forte di me, arrivò prima del buonsenso – lo stesso che avrebbe dovuto suggerire a Zach di non accettare niente da Romeo proprio perché era Romeo – e del ricordo di Nate che mi suggeriva di non fare rumore.
    Mi sporsi dalla passerella. «Courtney.» urlai.
    Sollevò gli occhi su di me, sorpresa che mi stessi rivolgendo proprio a lei.
    «C’è Romeo, ha avvelenato Zach.»
    «Cosa?!» sbottò incredulo Nate alle mie spalle, scostandomi per vedere.
    Lei mi fissò per alcuni secondi, ma ero sicura che non mi stesse vedendo, stava calcolando, ragionando. Chiuse gli occhi e li riaprì con un segno di intesa verso di me.
    «Romeo ha avvelenato Zach?» mi domandò ancora Nate, mentre prendevo a correre per raggiungerli, senza più pensare al rumore.
    «Gli ha dato qualcosa e lui l’ha mandata giù.» ed io avevo imparato come ti facevano stare le cose che ti infilava in bocca Romeo.
    «Ma è impazzito?!»
    Probabilmente, ma non lo dissi.
    Intanto intorno a noi i Veggenti, vestiti da Veglianti con le maschere bianche, iniziarono a muoversi per ostacolare gli altri. Erano educati, non colpivano, si limitavano ad azioni di contenimento: non volevano fare del male, volevano soltanto che non disturbassero il loro capo.
    Non mi sfuggì – e sono sicura nemmeno a Nate – che nessuno cercò di ostacolare noi. Qualsiasi cosa avesse in mente Romeo, voleva che io e Nate assistessimo.
    Ci fermammo proprio sopra di loro, in linea d’aria ero al massimo a quattro metri da Romeo e da Zach, che recuperò una sigaretta storta da una tasca interna della giacca e l’accese.
    «Jean non sarà contenta.» commentò, quasi premuroso.
    «Metti che è l’ultima.» biascicò.
    Romeo rise. «Non è l’ultima.»
    Si voltò e guardò me, non l’avevo mai visto con il viso completamente scoperto, era… un ragazzo. Aveva il naso a punta, occhi chiarissimi ed inquietanti, ma era perfino piacevole da guardare. Era normale. Non riuscivo a collocarlo esattamente in una fascia d’età, anche se sembrava essere più o meno un coetaneo di Jean.
    «Tranquilli, starà bene.»
    «Che gli hai dato?» domandò Nate. «E tu razza di idiota perché l’hai preso?!» continuò stravolto.
    Zach sembrava essersi spento, fissava confuso un punto sul pavimento ed i suoi occhi si muovevano veloci, da sinistra a destra, come se leggessero qualcosa che noi non vedevamo. Scosse la testa e mi guardò, togliendosi la sigaretta dalla bocca per scrollare la cenere. «Per vedere se riesci a colpire lui.»
    Appoggiai la punta del fucile sul corrimano di metallo e Romeo fece una smorfia. «Accidenti, Zachy, non le hai insegnato come si tiene? Ma che razza di soldato sei?» gli domandò schifato.
    Sollevò il viso come se si fosse dimenticato dov’era. «Come?» domandò.
    Romeo gli lanciò un’occhiata con le sopracciglia sollevate e scoppiò a ridere. «Attento, Zachy, si finisce per diventare ciechi.» lo ammonì, mentre si abbassava la zip della giacca e la sfilava, lasciandola da una parte. Sotto indossava una maglietta nera con un bersaglio giallo disegnato sulla schiena. Simpatico…
    Ma di che diavolo stavano parlando?
    Non ebbi modo di chiederlo, perché Zach realizzò che non doveva per forza sopportare le sue prese in giro, sollevò lo sguardo, ora fermo ed immobile su Romeo, sputò il mozzicone di sigaretta e gli balzò addosso.
    Lui si voltò repentinamente e riuscì a fare un passo indietro e bloccare il suo pugno con l’avambraccio, ma era arrivato così vicino al suo viso. Provò a colpirlo a sua volta, un gancio che avrebbe messo al tappeto chiunque, ma Zach lo schivò. Pochi secondi prima. Come se nella sua mente avesse già visto quella scena.
    Sia io che Nate rimanemmo ad osservarli sconcertati: Romeo era veloce, lo sapevamo tutti, lo sapevo anche io che ero lì da poco, ma quel giorno lo era anche Zach, e questo era meno prevedibile.
    Intorno a noi, sentivamo ancora la nostra squadra combattere contro i Veggenti presenti per cercare di raggiungerci; immaginavo fosse frustrante per loro vederci lassù, vicini ed immobili, ma loro non sapevano. Perché se in quel momento avessero avuto sotto gli occhi quello che avevamo noi, non sarebbero riusciti a staccare lo sguardo. Come noi.
    Non videro Zach superare le difese di Romeo, arrivare prima delle difese di Romeo, e raggiungerlo con un pugno secco e preciso. Non lo videro poggiare le mani a terra, prima di cadere, quando non riuscì ad evitare il calcio sul fianco. Non lo videro rialzarsi, non lo videro schivare colpi, non lo videro combattere da Veggente, proprio come lui.
    Interrompere qualcosa di tanto armonico e perfetto sarebbe stato come pugnalare uno splendido dipinto.
    Zach, in quel momento era il soldato perfetto.
    Nate aveva posato a terra il pc, o forse l’aveva lasciato cadere, non me ne ero accorta, ed ora li fissava con le mani strette al corrimano, registrando nel suo cervello ogni movimento. Nel suo sguardo c’era una meraviglia associabile soltanto alla soluzione dei più grandi misteri dell’universo.
    Dei passi ci raggiunsero correndo. «Becky, svegliati!» mi gridò Jean.
    Scossi la testa e la guardai. Mi strappò dalle mani il fucile per cercare di aiutarlo, ma era in ritardo anche lei; sospettavo che essere una Responsabile non l’avesse salvata dallo stupore e me la immaginai, per pochi ma cruciali secondi, nella stessa contemplazione di Nate.
    Provò a sparare a Romeo, prendeva la mira e premeva il grilletto, ma io vedevo anche lui evitare ogni colpo. Lo vedevo prima del rumore del proiettile.
    Jean non poteva colpirlo, né lui né nessun altro Veggente. Io però si.
    Quando strinsi la canna nella mano, lei mi lasciò recuperare la mia arma – che arma non era, poteva essere al massimo un fastidio. Mi aiutò ad incastrare nel modo giusto il calcio nella spalla, a schiacciare la guancia contro il fucile e ad aiutarmi, con la mano non impegnata nel grilletto, a prendere la mira.
    Iniziai a seguire ogni movimento di Romeo ad essere il suo specchio.
    «Ad occhi chiusi.» mi suggerì lui.
    Gli obbedii, seguendo comunque la sua immagine nella mia testa, il centro del bersaglio sulla sua schiena. Potevo sparargli, potevo colpirlo, io potevo sparare ad un Veggente.
    Zach si pulì bocca e naso dal sangue, stava per attaccare di nuovo, ma si piegò in due con un gemito, invece, cadendo in ginocchio.
    Romeo si fermò, sorpreso, preoccupato. «Di già?» si chinò accanto a lui, che si sporgeva in avanti e vomitava. Gli tenne indietro i capelli e cercò sul suo polso l’orologio, poi sollevò il viso verso Jean. «Sta rallentando.»
    Lei lo fissò e basta.
    Io ce l’avevo ancora nel mirino e potevo ancora colpirlo, ma Zach aveva bisogno di altro. Cambiai obbiettivo ed andai a cercare Courtney, perché non era ancora lì?
    Trovai lei e Jared alle prese con la Veggente che avevo visto all’inizio, mentre Lynn si arrampicava dietro ad una terza maschera bianca, ignota fino a quel momento, che le aveva rubato il borsone. Matt stava cercando di pilotare il cecchino automatico per ostacolargli la fuga con scarsi risultati.
    Jean intanto corse alla scaletta più vicina per raggiungere Zach, ma un quarto Veggente si mise tra lei e la discesa, obbligandola ad indietreggiare per difendere Nate.
    Zach aveva bisogno di Courtney.
    La maschera bianca con il borsone salì sullo stesso serbatoio dove era stata nascosta la bandiera blu, sapevo che da lì sarebbe saltata per arrampicarsi sulla passerella. Aspettai il momento giusto, non avevo un’arma, ma la vernice poteva essere comunque un problema nella circostanza giusta. Sparai due colpi in rapida successione proprio mentre il Veggente saltava, le sue dite si aggrapparono e mantennero la presa sulla passerella per poco: i proiettili rossi rendevano l’acciaio scivoloso.
    Lynn approfittò della sua esitazione per afferrarlo e tiralo giù, prima di strappargli il borsone di dosso e lanciarlo verso Courtney che lo prese al volo. Non ci furono bisogno di parole: non appena Courtney strinse la sacca tra le mani, io e Matt usammo tutte le munizioni che ci rimanevano contro l’ultimo Veggente che li ostacolava; con noi due a disturbarlo per Jared non fu un grande problema costringerlo al tappeto.
    Tornai a Zach rannicchiato a terra, il viso contratto ed il corpo scosso da uno spasmo dopo l’altro.
    Romeo estrasse da una delle tasche dei suoi pantaloni una siringa incartata. «Mi serve il tuo sangue.»
    Lui aprì gli occhi e fendette l’aria con un pugno per allontanarlo.
    All’inizio non capii perché sul pavimento comparve una schizzata rossa, poi realizzai che stretto nel pugno di Zach c’era stato il suo coltello.
    Il Veggente che impediva a Jean di scendere si voltò verso di lui come se l’avesse chiamato, pronto ad abbandonare la sua missione per aiutare il proprio capo.
    «A Nate serve il tuo.» grugnì.
    Romeo lo fissò terreo ad occhi sgranati. «Che hai fatto?» sussurrò quasi senza voce, prima di balzare in piedi e correre via, seguito a ruota dai suoi.
    «No!» esclamò Nate subito. «No, no, no, no.» corse nella sua stessa direzione. «Aspetta!» gli gridò dietro.
    Romeo aspettò.
    «Che gli hai dato?» chiese.
    «Niente di impossibile.» furono le sue ultime parole prima di sparire.
    Zach mugugnò cercando di sollevarsi quel tanto che bastava per non vomitarsi addosso. Io e Nate scendemmo dalle stesse scale di Jean per raggiungerlo. Courtney lo aiutò a tenersi su ed a sdraiarsi di nuovo a terra, mentre con una mano si infilava uno stetoscopio. Gli aprì la giacca e gli sollevò la maglietta per cercare il suo cuore.
    Io rimasi lontana quando vidi le loro mani strette una nell’altra, così forte che pensai le stesse facendo un male del diavolo. Lei non diede segno di fastidio, recuperò una piccola torcia dal suo borsone e gliela puntò negli occhi. Era preoccupata, ma c’era anche un leggero sollievo nel suo sguardo, quindi non stava morendo. «Che ti è saltato in mente?» chiese estraendo dalla borsa un mazzo di garze che odoravano di disinfettante e gliele premette sul viso per fermare il sangue.
    Incredibilmente lui rise. «Lo rifarei mille volte.» le allungò il coltello sporco del sangue di Romeo. «Per Nate.»
    Nate.
    Lo cercai e lo vidi sollevare la giacca da Vegliante che aveva indossato Romeo, pensieroso. Mi avvicinai a lui lentamente, mentre controllava l’etichetta interna. «Che c’è scritto?» domandai.
    «Shane.» disse incolore.
    Lynn mi saltò addosso sulla schiena, impedendomi altre domande. «Dio, sei stata perfetta!» si complimentò eccitata.
    La guardai sbattendo le palpebre, resa perplessa dalla sua totale mancanza di preoccupazione per Zach. Intuendo il mio fastidio fece un gesto vago con la mano. «Pff…» sbuffò. «Come se volesse davvero fargli del male! Romeo è un tenerone e Zach uno stupido. Come sempre. Ma tu, carissima Becky, sei straordinaria.»
    «Non ho fatto niente.» borbottai poco convinta, in fondo, non avevo preso Romeo.
    «Hai fatto ciò di cui c’era bisogno, è così che si lavora in squadra.»
    Jared e Matt, che intanto ci aveva raggiunti, aiutarono Zach a tirarsi in piedi, sembrava sfinito. Jean ci cercò tutti con gli occhi, facendo un appello mentale. «A casa. Tutti. Subito.»

Il viaggio di ritorno fu lunghissimo. L’automobile faceva sentire peggio Zach e fummo costretti a fermarci cinque o sei volte. Quando raggiungemmo la caserma era così stravolto che Jared dovette caricarselo sulle spalle.
    Perfino Courtney aveva perso un po’ della sua lucidità professionale. «Ho provato a dargli della morfina, non gli ha fatto niente.»
    «Non hai qualcosa di più forte?» le chiese Jean.
    «Più forte della morfina?» domandò incredula. «No, se non voglio ammazzarlo.»
    Si chiusero in camera di lui, mentre la Responsabile spediva me, Nate, Lynn e Matt a mangiare. Niente ronda quella sera, era stata una giornata fin troppo eccitante.
    Jared ci raggiunse dopo poco e recuperò il vassoio con il suo nome.
    «Come sta?» gli chiese Nate.
    «Vomita.» fu la sua unica risposta.
    Mi chiesi come facesse. Quando li avevo visti insieme, quando avevo visto le loro mani strette per aggrapparsi l’uno all’altro, lei così impegnata a prendersi cura di lui, mi era sentita di troppo solo a pensare di potermi infilare nel loro complicatissimo rapporto. Lui, che era a tutti gli effetti in quel rapporto, come faceva a non impazzire di gelosia e sospetti?
    «Credete che Romeo sia morto?» domandò Matt dopo un po’. «Il coltello di Zach è temprato nel Mitronio.»
    «Non lo so.» commentò Lynn.
    Nate sembrava preoccupato.

Una ragazza con una maschera bianca tirata sui capelli ed una giacca verde suonò alla porta di Dawn Dandley, guardandosi intorno tesa. La donna aprì immediatamente, quasi l’aspettasse.
    «Ryan.» mormorò lei con apprensione.
    «Mi manda lui.» le disse.
    Dawn la fissò e basta.
    «Mi manda a dirle che è vivo.»
    Sorrise e tirò un sospiro di sollievo. «Grazie.» si frugò nella tasca della vestaglia e le porse una busta accartocciata. «Gli farà compagnia.»
    Ryan annuì. «Altro, signora?»
    Fece per scuotere la testa, ma ci ripensò. «Digli che lo vedo sempre.»
    «Lo sa già.» sorrise lei prima di correre a nascondersi.

Mi fermai con una mano sulla maniglia della mia porta, incerta. Zach era venuto a vedere come stavo, sempre. Magari la mia visita non poteva essergli utile e non gli avrebbe fatto piacere quanto quella di Courtney, però mi sembra carino fargli sapere che gli volevo bene ed ero preoccupata per lui. Non era quello di cui, in fondo, avevano bisogno tutti i malati?
    Courtney uscì dalla sua porta e mi guardò come se dall’interno della stanza mi avesse letto nel pensiero. «Non puoi entrare, lascialo stare.»
    La fissai ostile, se me lo avesse detto con maggiore garbo forse le avrei dato retta, ma ero stufa che fosse gelosa di me, visto che non ne aveva nessun diritto. «Ti ho vista.» dissi solo, non c’era bisogno di aggiungere un quando od un con chi.
    Lei rimase interdetta per qualche secondo ed io ne approfittai per avvicinarmi, aprire la porta ed entrare.
    «Ne riparleremo.» promise in un sussurro.
    Chiusi lei e tutto il resto dall’altra parte della soglia.
    Il letto era vuoto, ma la lampada sul comodino accesa. Mi guardai intorno e lo trovai rannicchiato in un fagotto di coperte in un angolo, accanto a lui c’era un porta flebo con appesa una sacca di liquido trasparente, un tubicino era fermato al dorso della sua mano. Tutta la stanza aveva l’odore fastidioso ed informale di disinfettante, dovevano aver pulito da poco.
    Zach era immobile, mi chiesi se dormisse.
    Camminai piano per non svegliarlo e mi sedetti a gambe incrociate davanti alle sue coperte, vicina al suo viso. Aveva il labbro ed il sopracciglio spaccati e medicati alla buona, ma con il cicatrizzante accelerato il giorno dopo sarebbero stati come nuovi.
    Pensai a cosa sarebbe successo se avesse ucciso davvero Romeo, niente di quello che mi venne in mente era piacevole.
    «Ehi.» mormorò piano, ancora ad occhi chiusi.
    Lo guardai stupita. «Pensavo dormissi.»
    «Non ci riesco.» disse solo.
    «Stai un po’ meglio?» il collo, parte del mento e la mascella erano macchiati di rosso per il mio colpo.
    Si mosse poco, in quella che doveva essere l’ombra di una stretta di spalle. «Non vomito da un quarto d’ora. Court dice che è buon segno.»
    «Allora, probabilmente lo è.»
    E se fosse morto Zach?
    «Ti ho vista.» disse dopo un po’.
    «Non l’ho colpito.» lo precedetti, immaginando che si riferisse all’azzuffata nella fabbrica. Mi sentivo un po’ in colpa, se davvero lui aveva mandato giù la robaccia di Romeo per vedere di cosa ero capace, forse non avrei dovuto vanificare i suoi sforzi.
    Scosse la testa. «No, ti ho vista nella mia testa, prima che cominciassimo.»
    Lo osservai, ripensando a quando si era perso dietro chissà quale fantasticheria. «Hai avuto una visione?»
    «Forse. O forse era solo un’allucinazione.»
    Deglutii spaventata dalla prossima domanda. «Com’è?»
    Aprì gli occhi, era bello sapere che nonostante tutto, erano ancora verde brillante, limpidi. «Strano. Un specie di formicolio dietro la nuca.»
    Come me.
    Mi nascosi per qualche secondo nei miei pensieri e ricordi. Io non ero una Veggente, mi proibii di pensare di esserlo. Avevo fatto il test, ero stata selezionata, responso: Vegliante. Quindi, non potevo proprio essere una Veggente, a meno che non lo fossero tutti gli altri Veglianti ed il sistema di selezione avesse un margine di errore grande come la Florida.
    «E credo che sia più legato al sentire che al vedere.» continuò.
    Io non ero una Veggente.
    «Ti ho detto qualcosa?» mi allontanai da quel timore il più possibile, preoccupata quasi che avere una simile idea in mente avesse potuto insospettire anche lui.
    «Non quel tipo di sentire.» si leccò le labbra, erano screpolate. «Ti ho sentita sulla lingua.»
    Rimasi zitta contestualizzando una frase del genere, sbuffai una risata imbarazzata. «Ehm… Zach?!» domandai inquieta.
    Lui rise. «No, ti assicuro che l’ho pensata meno compromettente di così.» si girò sulla schiena e fissò il soffitto. «Tu avevi le manette ed eri con il tipo stronzo dell’Asta, te lo ricordi?»
    Annuii piano e mi strinsi le ginocchia al petto.
    «Le manette te le avevo messe io, per poterti baciare…» aggrottò le sopracciglia confuso, mentre io arrossivo. «Ero tipo preoccupato che ti facessero del male o che tu ne facessi a me, non so. La mia giacca era tutta strappata e rovinata e…» esitò. «Aveva un taglio, come una pugnalata sotto le costole.»
    Ci riflettei con attenzione. «Mi sembra una situazione un po’ troppo strana per essere reale, non credi?» commentai delicata, facendo appello a tutto l’autocontrollo che avevo in corpo.
    Annuì. «Già.» convenne, prima di mugugnare un lamento. «Pessima idea, aiutami a girarmi di nuovo sul fianco.»
    Mi voltai di botto e lo tirai per un braccio ed una spalla prima che ricominciasse a sentirsi male. Lo guardai respirare piano, ad occhi chiusi, con la mano ancora stretta alla mia.
    «Forse hai sbirciato un universo parallelo.» cercai di inventarmi, per distrarlo dal malessere. Lo sentivo vicino, ero nello spazio che si creava tra le sue gambe ed il resto del suo copro quando si rannicchiava. «Magari da qualche parte c’è un mondo in cui stiamo insieme e siamo felici. E Nate è il presidente, e lui e Lynn hanno tre bambini.»
    «E Courtney sta con Matt.» rise.
    Lo feci anche io. «Forse serve più di un universo parallelo per una cosa del genere.»
    «Niente Veggenti?» mi domandò speranzoso.
    «Né Veglianti. Romeo è un attore, è ricco e non da fastidio a nessuno.»
    Rimase in silenzio per qualche secondo, poi mi strinse il fianco, sussultai. «Un attore, eh? Dimmi un po’, cheerleader, ti sarai mica presa un cotta per lui?»
    «Ma smettila.» sbottai.
    «Si, si. Mi toccherà tenerti d’occhio, cambiassi bandiera all’improvviso.»
    Sbuffai e per alcuni secondi rimanemmo zitti, tutti e due.
    «Becky?»
    Gli lanciai un’occhiata, era la prima volta che mi chiamava per nome. «Nh?»
    «Se io fossi un Veggente non accetterei la cura.» confessò. «È uno spettacolo, sei forte, veloce. Non è innaturale o artificioso. È…»
    «Perfetto.» conclusi al suo posto, cercando il poster di Romeo sul suo muro, ma ovviamente non c’era. Però osservai il resto della sua stanza, le cose preziose che conteneva. C’era una mazza di metallo su un mensola sopra al letto, ero sicura che fosse quella regalata da suo padre; una foto appesa al muro accanto all’armadio, lui un po’ più giovane ed allegro con un ragazzo che gli somigliava molto, immaginavo fosse suo fratello. E c’era una giacca verde, era dentro una teca come una reliquia, su un manichino, non riuscivo a leggere l’etichetta, ma non c’era bisogno: era la giacca di Josh.

Lynn aprì gli occhi trovandosi immersa in una luce grigio-televisione in bianco e nero. Si tirò su e vide che tutti gli schermi al muro erano accesi. Mostravano le scene del combattimento tra Zach e Romeo, ognuna leggermente in ritardo rispetto alla precedente: solo pensare di guardarle le faceva venire il mal di testa.
    Nate era seduto in fondo al letto, con i gomiti appoggiati alle ginocchia e fissava ogni singolo schermo.
    Lei gattonò sulle coperte e lo abbracciò da dietro.
    «Le telecamere della fabbrica hanno ripreso tutto.» spiegò colpevole. «Non volevo svegliarti.»
    «L’avevo capito.» indossava una sua maglietta e sentiva di avere il sedere scoperto. Era sicura che se Courtney l’avesse vista avrebbe avuto da ridire, le ripeteva sempre che mettere i vestiti del proprio ragazzo la faceva diventare una sua proprietà. Ma lei non poteva capire, tra lei e Nate non c’erano mai stati isterismi, lotte di supremazia, orgoglio tossico.
    Nate le voleva bene, la rispettava, non le faceva pesare di essere mille volte più intelligente e, soprattutto, non aveva problemi a chiedere aiuto quando aveva bisogno di lei. La loro era la più perfetta delle relazioni, più di quelle che inventava nelle sue storie.
    «Sto impazzendo.» disse con le mani tra i capelli.
    Lynn scivolò giù dalla sua schiena per sedersi accanto a lui. «Raccontami.» propose.
    «Guardalo.» gli indicò uno degli schermi. «Ti pare possibile?»
    Non rispose.
    «Ci insegnano che i Veggenti sono più svegli di noi perché una parte del loro cervello funziona, mentre noi ce l’abbiamo spenta, giusto?»
    «Si.»
    «Allora, magari io di neurologia non me ne intendo gran ché, ma ho gli occhi per vedere. Noi siamo lenti, goffi ed inutili rispetto ad un Veggente, ma a livello scientifico siamo lo Stato più avanzato e sono sicuro che da qualche parte i cervelloni hanno provato a fare una cosa del genere, tipo super soldati.» sospirò. «Eppure, noi ci stiamo ancora arrovellando su come sparare ad un Veggente ed i soldati in guerra continuano a morire come mosche.»
    «Quindi?»
    «Quindi, o Romeo ha nascosto da qualche parte un istituto di ricerche neurologiche e superscienziati di cui non si sa niente, ma non credo. Oppure…» si zittì guardando di nuovo gli schermi.
    «Oppure?» lo incalzò Lynn.
    I suoi lineamenti si distesero, quasi si stesse arrendendo all’inevitabile. «Oppure, quella parte del cervello di Zach ha sempre funzionato e l’ADP lo tiene sotto controllo con degli inibitori.»
    «Come?» chiese sconvolta Lynn.
    «Quello che mangiamo ci arriva in vassoi sigillati con sopra scritto il nostro nome, va a capire che c’è dentro.»
    «Integratori per renderci più forti, no?»
    La guardò. «O Mitronio per tenerlo buono.» ribatté.
    Lynn rimase sospesa. «Lo credi davvero?»
    Nate scosse la testa. «Però ha senso e non è una soluzione impossibile.» si morse le labbra. «Chiederò a Jean il permesso per studiare neurologia.» concluse.
    «Il sangue sul coltello di Zach?»
    Sospirò. «Identico al mio, al tuo, a quello di Zach. Facciamo finta che è stato guastato dal Mitronio?»

Courtney abbassò la maniglia della porta di Jared, scoprendola bloccata. Aveva chiuso a chiave.
    Non bussò, non lo chiamò. Tornò soltanto nel proprio letto.

avete il vostro fedele blocco degli appunti lì vicino?
brave, sottolineate: la giacca di Shane - diminutivo di Shannon (do you remember?) - tutta la visione di Zach, e obviously le riflessioni di Nate.
tipo che me le appunto anche io queste cose.
oh, oh, oh! Dawn Dandley, per carità non dimenticatevi di lei!
poi, la tragedia si sta avvicinando...
non vi dico altro!
se vi va di farmi sapere il vostro gradimento - o disgusto - per il capitolo, sapete come fare!
baci

ps. Lamponella
pps. e se il Veggente è Zach.
ppps. un pensiero ad Andrea: se Becky ha imparato a tenere un fucile in mano è merito suo!
   
 
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