Fuga
Fabio andò
con la macchina a prenderla al parco dove avevano parlato quando avevano
litigato. Lei era con le gambe strette al petto, il viso completamente bagnato
di lacrime e una scatola di pasticche in mano.
“Che succede?” le chiese preoccupato.
Vide anche
che si era portata dietro una borsa piuttosto grossa, di quelle che si portano
in spiaggia.
“Ti prego portami via di qui, da qualsiasi parte ma non
farmi tornare a casa” lo implorò tremando.
“Ma che succede?” chiese nuovamente.
Capì subito
che lei non ce la faceva a parlare, così la prese per mano e la fece salire in
macchina.
“Andiamo da me, poi mi racconti”
Jason arrivò
a casa e la trovò vuota. Il sorriso stupido che aveva sul volto da quando aveva
salutato Emma sparì poco dopo, quando si rese conto che sua figlia non era da
nessuna parte.
“Rea?” chiamò, controllando la sua stanza, il piano
terra e la palestra. Nulla.
Lo assalì il
panico: dov’era?
Il telefono
squillò e lui lo afferrò.
“Rea?” rispose preoccupato. Silenzio dall’altra
parte.
“Sono Fabio, signor Simon” disse alla fine il
ragazzo.
“Oh, Fabio, scusami. Rea non c’è se stavi cercando lei,
non so…”
“Sì, lo so, è qui con me.
Cos’è successo, posso saperlo?” indagò.
Jason si passò una mano tra i capelli, a metà tra il sollevato e l’incredulo.
“Non ne ho idea, sono rimasto fuori per cinque minuti e
quando sono tornato lei non c’era!”
“Signor Simon, posso
essere franco con lei?”
“Certo, dimmi pure”
“Rea è qui da me che
piange da un quarto d’ora e non riesce a dirmi cosa sia successo. Lei dice di
essere uscito di casa cinque minuti solo e di essere tornato, non trovandola.
Nel tempo in cui l’ha vista e poi è rientrato cos’ha fatto?”
L’uomo
trattenne il fiato e si odiò con il cuore, l’anima e il corpo. L’aveva visto.
L’aveva visto mentre baciava una sua amica. Perfetto.
“Cazzo” sussurrò in risposta.
“So che probabilmente non
approverà, ma penso che al momento Rea non sia in grado di tornare a casa,
quindi la farò rimanere da me. Abbiamo la stanza degli ospiti e i miei non ci
sono, per cui non darà noia. Quando riuscirà a parlare di nuovo la chiamerò, va
bene?”
gli disse Fabio, apprensivo. Jason batté un pugno al muro, tremando, poi parlò.
“Dille che mi dispiace che l’abbia saputo così e che
aspetto sue notizie” si raccomandò.
“Riferirò”
“Ah, e grazie”
Attaccò il
telefono e si mise una mano in faccia, disperato. Questa non gliela perdonava,
lo sapeva.
Rea rimase
in stato di shock per qualche ora prima che le lacrime smettessero di cadere e
lei riuscisse a ragionare obbiettivamente.
Suo padre,
il suo amato papà, che se la faceva con Emma. Come avevano potuto? Che cosa gli
diceva il cervello? Santo cielo, c’erano diciassette anni tra di loro!
Fabio entrò
nella stanza degli ospiti con in mano una tazza fumante.
“Camomilla?” le chiese sorridendo. Lei annuì e gli fece
spazio sul letto, prendendo la tazza con le mani tremanti.
“Ti va di parlarne?” le domandò lui, guardandola
apprensivo. La ragazza scosse la testa.
“Scusami, non ci riesco. Sono abbastanza sottosopra”
rispose. Lui rise sommessamente.
“Che c’è?” chiese lei, incuriosita.
“L’ultima volta che hai detto quelle parole ti stavi
penzolando da un quadro svizzero e io, pensando che parlassi di ciò che provavi
per me, ti ho risposto anche io! Che
figura!” ricordò divertito.
Rea si
strinse nella felpa gigante che aveva addosso e arrossì.
“No, io ho pensato che fosse una cosa carina da dire.
Certo, quando ho capito a cosa ti riferivi” gli assicurò, ridendo.
“Giusto, pensavi che anche io stessi facendo la scimmia a
testa in giù!” esclamò Fabio, prendendola in giro.
“Non stavo facendo la scimmia a testa in giù, mi allenavo!
Voglio fare domanda per diventare poliziotto, lo sai, quindi devo essere in
forma!” s’impermalì Rea, spintonandolo leggermente.
“Ma sei già in forma!” ribatté il ragazzo.
“Sì, in effetti. Cerchio è una forma, in fin dei conti”
considerò lei, facendogli la linguaccia.
Lui la
guardò dolcemente.
“Mi fa piacere vederti sorridere. Sono triste quando stai male”
ammise. La ragazza arrossì un po’.
“Sei l’unico che sia mai riuscito a farmi ridere in un
momento in cui avrei voglia di urlare, sai? Questa cosa di te mi piace”
confessò.
“Solo questa? Inizio a pensare che tu stia con me solo per
divertirti!” esclamò Fabio, fingendosi triste.
“Non è assolutamente vero, io sto con te perché mi piaci!”
lo corresse Rea. Abbassò lo sguardo imbarazzata.
“Cioè, non è che sto con te nel senso lato del termine…
insomma…” balbettò un paio di parole senza senso.
“E vorresti stare con me nel senso lato del termine?”
le chiese lui, prendendole il viso e guardandola fisso. La ragazza avrebbe
voluto scomparire, si sentiva andare a fuoco. Annuì debolmente.
“Sì” sussurrò.
“Meglio così, perché per quanto mi riguarda noi stavamo già
insieme” le annunciò, baciandola.
La tazza che
aveva in mano cadde sulle sue gambe per lo stupore, facendola schizzare in
piedi.
“Brucia!” si lamentò, cercando di asciugarsi i
pantaloni. Fabio rise e si avvicinò, mettendole le mani sui fianchi.
“Basta toglierli” le suggerì, sganciandole il bottone.
Rea sentì il
cuore battere forte mentre lui la toccava e i pensieri sparire per un po’.
Emma rispose
al cellulare felice come non mai.
“Ciao Jason!” lo salutò, sedendosi sul letto. Sentì
un sospiro dall’altro capo del telefono.
“Abbiamo un problema” le disse l’uomo.
“Che succede? Non ci vediamo domani? Devi lavorare?”
chiese lei, tristemente.
“N-no, niente di tutto
ciò, solo che… prima… Dio, ho fatto un casino” esclamò lui.
“Mi stai spaventando”
“È Rea, Emma! Ci ha
visti mentre eravamo in macchina” le annunciò.
“Oh, cazzo” esclamò la ragazza, mettendosi una mano
sulla bocca.
“Al momento è da
Fabio, non vuole parlarmi. Se n’è andata senza dire nulla”
“M-mi dispiace, dovevo essere più cauta e…”
“No, non è colpa tua,
però per adesso facciamo in modo di non vederci ok?”
Emma
sospirò: lo sapeva che non poteva durare.
“Va bene, non ti preoccupare. Proverò a parlarle a scuola,
domani” gli promise.
“Grazie, ti sono
grato. Ciao”
“Ciao” sussurrò lei, chiudendo la telefonata.
Si accasciò
sul cuscino e strinse gli occhi: avevano fatto un casino colossale.