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Autore: REAwhereverIgo    16/02/2013    3 recensioni
Quando fatti strani cominciano ad accadere ai ragazzi di una scuola superiore, toccherà alla giovane detective Rea infiltrarsi nel liceo e risolvere il caso!
Spero che vi piaccia! :)
Genere: Generale, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non ce la faccio

 

Rea non andò a scuola né il giorno dopo né quelli successivi. Sapeva benissimo che suo padre sarebbe potuto benissimo andare all’istituto per parlare e non voleva ancora vederlo.

Si era instaurata nella stanza degli ospiti a casa di Fabio e lì studiava il caso e come trovare un modo per smascherare Antonio. Ormai era quasi certa che fosse lui il colpevole.

C’erano troppi indizi che puntavano in quella direzione e anche andando a rigor di logica si poteva chiaramente capire che un bidello come lui, sottopagato e probabilmente anche trattato male dal proprio datore di lavoro, aveva tutti i moventi per cercare di arrotondare un po’ il salario con lo spaccio di droga e, nel frattempo, distruggere la credibilità della scuola. Chiaro e semplice.

Io vado, Laura è già al piano di sotto che freme per partire. Ci vediamo dopo, ok?” la salutò Fabio, dandole un lieve bacio sulle labbra. Lei sorrise.

D’accordo, quando rientrate avrete il pranzo pronto” promise Rea.

Li guardò uscire di casa battibeccanti, poi fu un attimo: Laura si voltò verso di lei con uno sguardo inquietante negli occhi e lei si bloccò, paralizzata. Un secondo dopo la bionda si era girata ed era salita in macchina.

Tornò in camera e aprì il computer, cercando di mettere per iscritto i motivi per cui dovevano darle l’autorizzazione a interrogare Antonio, poi le venne un dubbio. La sera in cui Jason era uscito, Laura le aveva chiesto se voleva andare ad una festa, però poi la festa non c’era stata ed Emma, come aveva purtroppo appreso, era stata con suo padre, per cui perché chiederle di uscire con una scusa così stupida?

Altra cosa: negli ultimi tempi aveva notato che Laura spesso la scrutava con sguardo indagatore, come se stesse cercando di capire cosa facesse. Non è che era invischiata anche lei in quell’affare?

Si morse un labbro: non era possibile che una diciannovenne spacciasse droga e rapisse ragazzini in un liceo, che senso avrebbe avuto? Era lei che si faceva tanti problemi per niente.

Tornò a fissare il monitor, ma quell’idea non la abbandonava. C’era un solo modo per togliersela di testa.

 

Emma aveva sperato per una settimana che Rea andasse a scuola, ma non era stata esaudita. Stava male, si sentiva una traditrice e una stronza per averla ferita, e quella lontananza da Jason non la aiutava.

Non ce la faceva proprio ad affrontare quella situazione da sola, era troppo difficile.

Una mattina, alla fine, decise di fare festa. Non aveva proprio la concentrazione per stare in classe.

Si nascose nel parco vicino alla centrale di polizia, dove sapeva che Jason passava spesso. Chissà se il lavoro che faceva era collegato con ciò.

Prese il libro di matematica per studiare, ma già dopo cinque minuti si era messa a fissare la strada sperando di vederlo. “Ma a chi voglio darla a bere? Non sono qui perché non riuscivo a stare in classe, sono qui perché mi manca” si disse sospirando.

Lo aveva pensato ogni giorno, ogni ora, ogni minuto da quando Rea aveva scoperto della loro relazione e non aveva fatto altro che sperare e pregare affinché lui andasse da lei a dirle che non voleva perderla. Ma non era successo e iniziava a pensare che forse era stata tutta una sua fantasia, quella di una storia d’amore tra di loro.

Alla fine, lo vide uscire dalla centrale di polizia, ridendo con un poliziotto. Lo guardò incuriosita e vide che lui tirava fuori una pistola dalla cintura (o, più probabilmente, da una fodera attaccata alla cintura) e la mostrava all’altro, che sorrideva e annuiva, per poi salutarlo.

Jason era un poliziotto?

Il bisogno di sapere cosa stesse facendo fu molto più forte dell’impulso di rimanere lì a guardarlo mentre sospirava e le sue gambe si mossero da sole, portandola davanti a lui. L’uomo sobbalzò e impallidì quando la vide.

Tu lavori qui?” domandò Emma, capendo solo adesso la sua allusione al servizio pubblico.

Ehm, n-no, io… ecco… uff, sì, lavoro qui” rispose lui, sospirando tristemente.

Perché non me l’hai mai detto?

Jason si guardò intorno, poi la prese per un braccio.

Andiamo via, ti spiegherò tutto a casa

 

Dopo averle raccontato la storia come aveva fatto con Fabio qualche settimana prima, lui si versò un bicchiere di vodka e lo mandò giù tutto d’un fiato, sperando che gli passasse quel senso di colpa che stava provando. Aveva messo anche lei al corrente della loro copertura, il che significava esporre un’altra persona a dei seri pericoli. Bel colpo.

Mi basta sapere che tu stia attento, per il resto non ti sarò d’intralcio” promise Emma, sorridendogli. Quanto gli era mancato quel viso!

Bene, perché Rea ha avuto a che fare con loro e ne è uscita salva per miracolo” le disse.

La ragazza annuì, poi si mise a fissare le sue mani strette a pugno sulle ginocchia. Erano entrambi nervosi.

Non è venuta  a scuola, non ho potuto provare a spiegarle la situazione” esordì la mora, infine.

Sì, me l’aspettavo. Venire a scuola significa avere la paura che io possa arrivare a disturbarla, è troppo esposta lì” rispose Jason, sedendosi sul divano accanto a lei.

E poi vedrebbe me” aggiunse Emma.

Ci odia” sussurrò l’uomo, disperato. Si mise una mano sul viso, sentendo improvvisamente la mancanza della figlia, e la ragazza lo accarezzò dolcemente.

È solo un po’ confusa, ma sono certa che prima o poi capirà. Però penso che rimanere separati in un momento come questo sia stupido” ammise lei. Ecco, l’aveva detto, ora tutto stava a cosa le rispondeva.

Jason la guardò attraverso le dita e comprese che aveva ragione. Che da solo non riusciva ad affrontare tutto quello.

Io senza di te non ce la faccio” gli confessò Emma, avvicinandosi.

L’uomo le prese il viso tra le mani, baciandola con trasporto, sentendosi subito meglio.

Nemmeno io” ricambiò, stendendola sul divano. Si mise sopra di lei e si perse nel suo corpo, senza pensare a niente.

 

Rea entrò in camera di Laura solo un paio d’ore dopo, quando riuscì a trovare il coraggio per farlo. Si sentiva una stupida a fare una cosa simile, era sicuramente inutile: non c’era niente da cercare.

Guardò la confusione che regnava sovrana in quella stanza e si mise a ridere, divertita.

Ok, dove potrei cercare qualcosa anche se non so cosa?” si chiese.

Si avvicinò alla scrivania e spostò i libri che c’erano sopra, per poi aprire i cassetti e controllare cosa c’era dentro. Niente, se non pile di fogli.

Lo sapevo da sola che non c’era nulla” si disse imbarazzata.

Si voltò e fece per andarsene, ma i suoi occhi notarono una piccola scatola di cartone nascosta sotto a una montagna informe di vestiti. Ormai che c’era, si disse.

La tirò fuori da lì sotto, spolverandola un po’, e l’aprì.

Oh santo…

C’erano almeno cinquanta diverse fotografie di lei che entrava e usciva dalla centrale di polizia, che chiedeva a scuola dei fatti strani avvenuti in quei mesi, e poi…

Questo non è possibile” sussurrò.

“Divertente, vero?” domandò una voce dietro di lei. Non fece in tempo a voltarsi che fu tramortita da una botta alla nuca.

Sentì un dolore atroce attraversarle la spina dorsale e poi fu il buio.

 

  
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