Allerta
Jason sentì
squillare il telefono in lontananza, come se stesse ancora sognando, e allungò
una mano per prenderlo.
“Pronto?” biascicò assonnato.
“Signor Simon, meno male è
in casa!”
Lui si tirò
su, improvvisamente sveglio.
“Fabio?” chiese, sentendo sin da subito che quella
telefonata non aveva niente di rassicurante.
“Sì, sono io! La prego, mi
dica che Rea è con lei!” lo implorò il ragazzo.
“No, è da te, qui non torna da…”
“Non è da me!” lo interruppe Fabio.
“Sono tornato da scuola e
in casa non c’era nessuno! Sono preoccupato, Rea mi aveva promesso che non
sarebbe uscita senza dirmelo” gli spiegò.
“Ok, aspetta, spiegami cos’è successo” ordinò
Jason, alzandosi e cercando i suoi pantaloni. Emma continuava a dormire
beatamente sul divano.
“Stamani alle otto ho
salutato Rea, sono uscito di casa con la promessa di rivederci per pranzo ma
quando sono rientrato la casa era vuota e nella stanza dove stava lei non c’era
nessuno! Anzi, per essere precisi, non c’era niente, nemmeno il suo computer” raccontò il ragazzo, nel
panico.
“Vengo da te, sarò lì in dieci minuti. Dammi l’indirizzo e
arrivo”
La polizia
arrivò a casa Daniels nel primo pomeriggio quando,
dopo un’accurata ricerca in camera di Rea, avevano capito che le sue cose erano
rimaste tutte lì tranne il suo portatile e lei stessa.
“Mia figlia non sparirebbe così senza dire niente, ne sono
certo” si disse Jason, preoccupato. Forse aveva scoperto qualcosa ed era
stata trovata, oppure… non aveva nessuna idea, constatò con dispiacere.
“Ascoltatemi, dobbiamo perquisire tutta la casa, non
possiamo lasciare nulla al caso” ordinò alla squadra.
“Cercate ovunque, dalla cucina alla soffitta, non mi
importa quanto ci mettiate, capito?” gridò.
Bearne lo
affiancò e gli mise una mano sulla spalla.
“Jason, devo
parlarti” esordì, sospirando. Si vedeva dalla sua faccia che non sarebbe stato
un discorso facile.
“Che vuoi? Non ho tempo” lo freddò lui, sentendo
risuonare un allarme chiaro nella sua testa.
“Ascoltami,
so che sei sconvolto, ma penso che capirai che non sono in una posizione
simpatica, per niente” iniziò, cercando di usare più tatto possibile.
“Arriva al punto, Bearne”
Il capo si
passò una mano tra i capelli e lo guardò.
“Non puoi
continuare le indagini, lo sai anche tu qual è la procedura per queste cose.
Sei troppo coinvolto emotivamente, rischi di intaccare il caso e di mettere a
rischio anche e soprattutto te stesso. Devo sollevarti dall’incarico” gli disse
tutto d’un fiato.
“Che cosa? Si tratta di Rea, cazzo! Di mia figlia! Non
smetterò di cercare!” si arrabbiò lui.
“Lo so, ti
capisco, però…”
“Però nulla! Non puoi togliermi dal caso!”
“Jason,
cerca di capire! È la procedura standard, tu sei un familiare, non puoi
indagare su una faccenda che ti riguarda in prima persona! Questa è la mia
decisione” lo freddò Bearne. Riusciva a comprendere il suo dolore, ma non
poteva fare niente.
Jason annuì
contrariato, poi si tolse dalla cintura il distintivo e glielo consegnò,
insieme alla pistola.
“Come vuoi, vai al diavolo” lo salutò, uscendo
dalla stanza.
“Ehi,
aspetta, ascoltami!” provò a richiamarlo il capo, senza esito.
Una volta in
corridoio, l’uomo indicò Fabio, che lo guardò senza sapere cosa fare.
“Tu adesso vieni con me” gli disse, prendendolo per
un braccio.
Emma aprì un
occhio e si ritrovò sola, in casa Simon, nuda sul divano.
Si guardò
intorno, ma non c’era nessuno. “Un biglietto?”
si chiese, allungando una mano verso il tavolino.
“Non ho voluto
svegliarti per non allarmarti, non pensavo che fosse il caso. Sono da Fabio,
Rea è scomparsa e io devo ritrovarla! Fai come se fossi a casa tua, tornerò
prima che posso”
Trattenne il
fiato: scomparsa?
Del tipo che
era fuggita via? Oddio, era colpa sua e della sua relazione col padre? Il cuore
accelerò i battiti al sol pensiero.
Cercò i suoi
vestiti e se li infilò, poi chiamò a casa.
“Sì, lo so che dovrei studiare, però lo farò da Rea. Lo
so, ma ti prometto che mi impegno. Va bene, a stasera, ciao”
Non poteva
rientrare prima di aver visto Jason per chiedergli qualcosa in più, avesse
anche dovuto aspettare tutta la notte.
Si sedette
al tavolo bevendo un bicchiere d’acqua e sentì la porta aprirsi.
“Ora mi dirai tutto ciò che sai, poi chiameremo anche tua
sorella” sentì dire. Si precipitò nell’ingresso col fiatone.
“Che è successo? Dov’è Rea? L’avete trovata?”
domandò Emma, con le lacrime agli occhi.
“Ci stiamo lavorando” le rispose l’uomo.
Si avviò
verso le scale che portavano in palestra e guardò i due ragazzi.
“Forza, di sotto possiamo parlare più tranquillamente, che
aspettate? Muovetevi!” li spronò. Loro lo seguirono, ritrovandosi in una
specie di sala d’addestramento per poliziotti.
“Che roba è?” chiese Fabio.
“Palestra, poligono, angolo studio” elencò Jason.
Prese tre
sedie e le mise in modo da vedere entrambi, poi si strofinò le mani.
“Ok, dopo essere stato sollevato dal caso…”
“Sei stato sollevato?!” esclamò Emma,
interrompendolo.
“Sì, per conflitto d’interesse. Dicevo, a questo punto
lavoriamo da soli. O almeno, io lavoro da solo, se voi volete aiutarmi siete i
benvenuti” li invitò.
“Non mi sono mai fidato dei poliziotti normali, non hanno una
buona fama qua nei dintorni, per cui io sono con lei” asserì Fabio.
“Anche io non ti lascio solo” confermò la mora.
L’uomo sorrise.
“Bene, allora dobbiamo studiare come sono andate le cose
fino ad oggi per capire dov’è mia figlia” annunciò.
Rea,
intanto, stava lentamente tornando nel mondo reale. Le faceva male la testa in
maniera indescrivibile ed era sicura di avere una specie di trapano piantato
nella nuca che la traforava.
“Che male!” si lamentò. Provò a muovere una mano per toccarsi, ma era bloccata.
“Ma che diavolo…?”
Era legata,
da capo a piedi. Si agitò per vedere se le corde cedevano, ma era inutile.
“Porca vacca, liberatemi!” gridò. Non ebbe
risposta.
Il ricordo
di ciò che era successo le arrivò tutto insieme e si rese conto di chi l’aveva
colpita: Laura, la piccola e dolce Laura. Allora non aveva avuto la sensazione
sbagliata, tutto sommato.
“Chi c’è?”
chiese una voce flebile. Lei si guardò intorno allarmata.
“C’è
qualcuno, vero? Puoi aiutarmi?” implorò quella voce.
“Ci sono io, ma non ti vedo. Dove sei?” rispose
Rea.
“Nella
stanza accanto, credo. Com’è bello sentire una voce così gentile, per una
volta” esclamò quella.
“Scusa, ma sei prigioniera anche tu?” s’informò la
ragazza.
“Sì, ormai
da un po’. Ho perso il conto dei giorno” ammise.
Eppure lei
era convinta di riconoscere quel timbro vocale, ne era certa.
“Scusami, come ti chiami?” domandò.
“Io?” chiese
la voce.
“No, parlavo alla mia amica immaginaria” Rea scosse
la testa sconsolata: stava discutendo con un’idiota.
“Mi
dispiace, sono un po’ fuori fase, è colpa di tutto questo tempo passato qui” si
scusò l’altra persona.
“Comunque sì, lo stavo chiedendo a te. Chi sei tu?”