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Autore: The queen of darkness    18/02/2013    3 recensioni
Ok, lo so che non dovrei con altre storie in corso, ma non ho proprio resistito. Naturalmente non ho nessun diritto di manipolare le vite di questi stupendi musicisti e so che sarà uno strazio, quindi ci tengo a sottolineare che tali eventi non sono mai accaduti sul serio, ma sono solo frutto della mia mente perversa e malata. Detto questo, spero vi divertiate
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ci mise un po’ di tempo per svegliarsi, quella mattina.
Sentiva gli arti intorpiditi dalla stanchezza, e non aveva assolutamente intenzione di alzarsi dal letto, coperto dalle coltri profumate e calde.
Stancamente, tastò nello spazio vicino a sé per sentire se c’era il magnifico corpo nudo Jessy, tutta scompigliata dopo una notte di follie. Toccò solo l’impronta tiepida sul materasso, le lenzuola stropicciate dalle sue dita.
Solo in quel momento realizzò che poteva trovarsi sotto la doccia, in quanto si sentiva l’acqua scorrere nel bagno lì affianco.
Ebbe un brivido pensandola completamente senza vestiti e coperta da rivoli d’acqua calda. Era così sexy…
Si riscosse, guardando la sveglia. Ormai pensava di aver preso l’orario, talmente era abituato ad alzarsi sempre alla stessa ora, indipendentemente da che giorno fosse. Lasciava che l’odiato oggetto sul suo comodino trillasse senza pensarci troppo, accogliendo quel suono irritante con un grugnito. Spesso, infatti, aveva già aperto gli occhi da ore, facendo in modo che il soffitto non avesse segreti per lui.
6.15. L’orario in cui si svegliava di solito.
Era sempre stato un uomo che ci metteva tanto per preparasi. Una specie di zombie nella prima mattina per un effetto inconscio, e un morto vivente nel resto della giornata per contratto.
Ci metteva tanto tempo per rasarsi e vestirsi, assicurarsi di essere in ordine, e aveva bisogno di alcuni minuti per accorgersi di essere al mondo. Raramente faceva colazione, era solo un momento come un altro per godersi il proprio caffè, l’unico che si concedesse in un’intera giornata.
Inoltre, aveva dovuto cominciare a svegliarsi presto per un intero mese prima dell’inizio dei corsi: non si era mai dovuto destare prima delle nove, non aveva nessun datore di lavoro col fiato sul collo all’epoca e, da quando il suo periodo scolastico si era concluso, si concedeva tutto il sonno che desiderava. Di solito viveva di notte, ma non aveva orari quando si trattava di smaltire sbornie o postumi vari; anche se non era mai stato un dormiglione, l’aveva parecchio stressato la sua nuova routine.
Chiuse di nuovo gli occhi, le palpebre erano troppo pesanti. Si lasciò cullare dai ricordi frenetici della sera prima, dai vestiti gettati con disprezzo sul pavimento in ingresso e dai baci quasi violenti e passionali che ancora gli infuocavano il corpo.
Dal momento che c’era ancora abbastanza luce di fuori, -pallida e grigia- non accesero nessuna lampada. Anche perché, a conti fatti, non se ne erano lasciati il tempo.
Non avrebbe mai pensato che a ragazza potesse avere un animo tanto focoso, e ne era rimasto strabiliato; aveva davvero bisogno di un forte risveglio dei sensi, stanco com’era di dover subire sospiri e gemiti d’altri, e mai propri. Quella notte era stata liberatoria per molteplici motivi, per entrambi.
Jessy aveva quasi compiuto un’illegalità: lui era abituato a trasgredire, e non ci faceva nemmeno più caso. Però avere relazioni con i colleghi era contro il regolamento, e avrebbero dovuto fare attenzione per non essere colti con le mani nel sacco e trovarsi senza lavoro.
Bridget sarebbe stata l’ostacolo più ostico, forse. Come gli aveva confidato la ragazza, li stava tenendo d’occhio da un po’, probabilmente capendo ciò che l’uno provava per l’altra. Ora che il sesso, (il sublime sesso, fra l’altro) si era messo in mezzo, sarebbe stato ancor più difficile non insospettire quella prostituta mancata.
Preferì non pensare a lei, al suo profumo sgradevole e alle tette finte: riassaporò la sensazione di avere la pelle liscia di Jessy fra le mani, e si sentì subito meglio. Non era sicuro che avesse notato i tatuaggi, ma in quel caso era addirittura meglio; quand’era una rockstar avevano un senso, che adesso avevano perso, in parte. Inoltre, il marchio distintivo del suo ultimo disco prima di ritirarsi parlava chiaro, brillante in pieno petto.
All’improvviso, nel posto vicino al suo si avvertì la presenza di un peso, che fece inclinare un po’ il materasso. Un dolce profumo di bagnoschiuma lo avvolse, accarezzandolo, subito seguito da una mano delicata che, insinuatasi sotto le lenzuola, si era posata sulla pelle calda.
-Buongiorno – sussurrò contro il suo orecchio.
Lui non disse nulla, limitandosi ad abbracciarla stretta. I capelli umidi gli si posarono sulle guance e quelle gambe bellissime di agganciarono alle proprie.
Era da tantissimo tempo che non si svegliava con una donna accanto: i primi tempi di fidanzamento ufficiale, lui e quella che era la sua fidanzata passavano la maggior parte del tempo sbaciucchiandosi come dementi, ma poi finivano sempre per essere trascinati nell’onda delle reciproche stranezze e impegni, rovinando e compromettendo irrimediabilmente il loro rapporto.
Sperava seriamente che la ragazza che aveva fra le braccia lo avrebbe accompagnato per sempre.
-Ma…cos’è questa roba? – borbottò contrariato, sentendo la tela spugnosa invece della sua pelle morbida.
La sentì ridacchiare, mentre lui trafficava con la cintura di stoffa annodata. –Si tratta del tuo accappatoio – spiegò divertita. –Non sembri così gigantesco guardandoti in giacca e cravatta, sai?
-Sei tu che sei troppo magra – rispose, affogato dai suoi capelli, già in fase di arricciamento.
La sua risata arricchì l’aria dieci volte meglio di quanto avrebbe fatto una qualsiasi melodia. –Mi dispiace interrompere la tua opera di denudamento, ma si da il caso che io e te abbiamo un lavoro.
-Al diavolo anche il lavoro, allora – disse, cominciando a baciarla lungo il collo. La sentì fremere immediatamente, e se ne compiacque; evidentemente, era ancora un amante valido.
-Dico sul serio – con la mano intercettò quella di Brian, già partita per la tangente. Nello sguardo si leggeva un certo dispiacere, ma era stata educata troppo ineccepibilmente per starsene sotto le lenzuola invece di andare a lavorare.
-Guastafeste – la rimproverò lui, facendola ridere di nuovo. Le solleticò leggermente una coscia facendo finta di niente poi, completamente nudo, si alzò per andare in bagno.
Jessy fischiò compiaciuta, come fanno i motociclisti quando vedono una donna nuda. –Ma quanto magro sei? – chiese, stendendosi sul letto come una gatta.
Lui si fermò per farle una linguaccia, prima di sparire anche lui sotto la doccia. Posò i piedi sulle piastrelle bagnate, si insaponò velocemente e aprì il getto caldo, lasciando che l’acqua lavasse via la terribile pesantezza delle sue membra stanche.
Era stata, però, una fatica assolutamente piacevole.
La ragazza aveva ragione, se non si muoveva sarebbero arrivati sicuramente in ritardo, ma si rese conto che non gliene importava nulla. Che senso aveva fare la persona perfetta e sempre in orario, quando si aveva l’amore tanto atteso sdraiato sul letto?
Gli pareva molto più importante starsene con la donna che amava, piuttosto che circondarsi di ragazzetti senza arte né parte. Abbandonare la carriera di punto in bianco e diventare un’altra persona: all’improvviso il suo gesto assumeva un senso.
Se fosse rimasto Marilyn Manson non l’avrebbe mai conosciuta: sarebbe stata solo un altro viso nella folla, un pallido, urlante ed esageratamente truccato essere umano, protetto da una ringhiera da quella che era la potenza distruttrice di un idolo triste e sbagliato. Il corpo sbarrato dal vincolo potente del buonsenso; si sarebbe distrutta per lui?
Forse no, in quanto non sembrava un’ammiratrice del personaggio, ormai morto e sepolto, che aveva smesso di tormentarlo. Stava quasi per cominciare a canticchiare una propria canzone, ma se lo impedì. Doveva cancellarle dalla sua mente, dimenticarle tutte quante, fino all’ultima nota.
Sentì uno strillo nell’altra stanza, che lo riscosse immediatamente. Un lampo lo fulminò: Jessy. Non poteva essere che lei.
Senza preoccuparsi minimante di essere nudo, uscì lasciando l’acqua ancora scrosciante, rischiando di scivolare. Corse fuori dal bagno e la trovò in entrata, che gli dava le spalle, accucciata per terra ancora mezzo-svestita.
Teneva qualcosa fra le mani, ma non riusciva a capire di cosa si trattasse, in quanto la preoccupazione per la possibilità che si fosse fatta male superava ogni cosa. –Stai bene? – chiese, impaurito persino della risposta.
Lei sussultò, girando lentamente la testa verso di lui, sembrando sconvolta. –B..Brian…è roba tua?
Solo allora scorse fra le dita impallidite una rivista, oggetto che non aveva mai comprato in vita sua. Cosa ci faceva nel suo ingesso un giornale? La copertina era stata resa lucida da un qualche riflesso, e non riusciva a scorgere nessun dettaglio.
-Che roba è? -. Il sollievo per il fatto che stesse bene superò ogni cosa, rendendo il resto la solita macchia poco importante di sempre.
Lei si scostò un po’, lasciandogli vedere per bene l’oggetto incriminato che tanto l’aveva sconvolta, come la sua espressione testimoniava a gran voce. Per essere sicuro di vedere bene, anche lui si piegò in ginocchio, sedendosi sui propri talloni. Gli faceva male il pube a stare così, ma pur di tranquillizzarla avrebbe fatto qualsiasi cosa.
Ben presto, anche la sua bocca si spalancò per la sorpresa.
Pornografia. Pornografia allo stato puro, con tanto di catene, corde, punizioni corporali e corpi sofferenti, in migliaia di posizioni contorte col puro scopo di dare dolore.
Alcuni oggetti sporchi di sangue venivano rappresentati fra le pagine, e più sfogliava più gli veniva da vomitare. –Cristo…- sussurrò sconvolto. Cosa ci faceva una cosa del genere in casa sua?
Anche in passato un gruppetto composto da ragazzi e ragazze gli aveva chiesto se voleva partecipare ad una cosa del genere, mostrando gli addirittura qualche mossa, che lo avevano letteralmente allibito.
-Jessy, te lo giuro, non so cosa diavolo sia questa merda – disse, buttando in un angolo il ripugnante giornale. –Dove diavolo l’hai trovata?
La ragazza, evidentemente turbata, indicò con l’indice un punto sotto l’appendiabiti. –Sono quasi inciampata su quella scatola, l’ho fatta cadere, si è aperta e…e… - si interruppe, fissando per terra.
La rabbia cominciò a bollire sotto la pelle di Brian. –Figlio di puttana… - cominciò a ringhiare. Si affrettò a tranquillizzarla, mentre la pozza umida sotto al suo corpo si allargava per effetti dell’acqua che lo bagnava. –Qualche mattina fa quel porco del mio vicino di casa mi ha dato una scatole chiedendomi se potevo tenergliela, ma siccome andavo di fretta non gli ho chiesto cosa ci fosse lì. Ma, per Dio, non avrei mai immaginato che fosse un depravato fino a questo punto…
La ragazza gli posò una mano sulla spalla, sollevando preoccupata un sopracciglio. –Quindi non è roba tua?
Lui scosse energicamente la testa. –Per carità.
Jessy era speciale, sotto molti punti di vista. Sapevano intendersi anche senza parole, un’affinità maturata in pochi mesi di conoscenza, ma che era forte ed indissolubile; per questo sapeva che era sincero, lo capì dal suo tono.
Sospirò, facendo uscire tutta la preoccupazione e lasciando spazio al sollievo. Gli posò la testa sulla spalla per un lungo momento, poi, con voce normalissima, come se stesse dicendo una cosa come un’altra, gli chiese: -Mi aiuteresti a trovare le mie mutandine? 
  
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