Sorpresa
Jason
camminava per casa disperato, con in mano una tazza di caffè. Emma era tornata
a casa già da un’ora e lui era rimasto solo con Fabio, che al momento stava
cercando di chiamare sua sorella.
“Non capisco, è irraggiungibile completamente. È strano, Laura
è sempre raggiungibile. Uff, da un po’ di tempo quella ragazza ha perso la
testa, è cambiata completamente. Va beh, torniamo a noi, dov’eravamo rimasti?”
L’uomo posò
la tazza sul tavolo e si appoggiò con la mano sui fogli.
“Al punto di partenza, temo. Non posso chiamare in ufficio
per sentire se riescono a trovare il numero di quel famoso bidello e a scuola
non mi sanno dire niente. Sembrano tutti spariti al momento, dannazione!”
esclamò.
Il ragazzo
sospirò.
“Se fosse stato Antonio dove potremmo cercarlo?”
domandò.
“Non ne ho idea, ma sono quasi certo che sia stato lui. Il
preside sicuramente saprà dirmi qualcosa, andiamo da lui. Ho il suo indirizzo
di casa, l’orario di rientro dalle lezioni è passato da un pezzo, se non ci
sono gli inservienti, a scuola, figuriamoci se c’è il preside” rispose.
“Come posso aiutarla, signor Simon? Non so fare quasi niente,
che posso fare?” chiese.
Jason lo
guardò sorridendo.
“Una pistola non saprai usarla, ma premere un grilletto è
più facile di quanto pensi” lo informò.
“Non ce l’ho nemmeno, una pistola!” esclamò Fabio.
“Ma io ce l’ho, però. Ne ho due di riserva e una ce l’ha
Rea. Siamo previdenti, in casa, sai com’è” gli disse l’uomo.
Tirò fuori
dal cassetto una rivoltella e gliela passò.
“Sembra piccola ma in realtà è molto potente. Spero
vivamente che non ne avrai bisogno”
Rea aveva
ascoltato il racconto dell’altro prigioniero con gli occhi sgranati, incredula
e stranita. Le sembrava davvero che tutta quella storia fosse assurdamente
inventata, ma parola dopo parola si rendeva conto che il tutto aveva un senso.
“Questo spiega come mai siamo qui” commentò infine.
“Già. Mi fa
piacere sapere che sei con me, mi sento più tranquilla” rispose l’altra.
“Beata te, io sono molto poco tranquilla, invece. Quanto
tempo è che sei qui?”
“Non lo so,
ho perso il conto. Non c’è un orologio, ma da quella finestra entra un po’ di
luce, ogni tanto, quindi qualche volta ho provato a tenere il conto dei giorni,
ma alla fine mi sono persa d’animo e ho smesso. Più di un mese, comunque, penso”
disse.
“Più di un mese. Da quella stupida festa in discoteca.
Sono una deficiente, ecco la verità!” esclamò Rea, stringendo i pugni
arrabbiata.
Sentì
qualcosa di duro sui polsi e cercò di guardarsi dietro le spalle, ma era legata
troppo stretta.
Piegò una
mano verso l’interno del braccio e allungò le dita più che poteva. Alla fine ci
arrivò.
“Ah-ha! Cosa sei tu?” chiese retoricamente.
Sentì con i
polpastrelli che era qualcosa di appuntito e decise di provare.
Piegò
qualsiasi cosa avesse in mano contro le corde e iniziò a muovere su e giù,
tentando di ledere i lacci.
“Ci metterò una
vita così” si lamentò.
In quel
momento una porta di aprì e lei sobbalzò, spaventata.
Si voltò per
guardare chi ci fosse, ma controluce non riusciva a distinguere bene le forme.
“Ancora
viva?” chiese una voce rauca e profonda. Rea la riconobbe e rabbrividì.
“Cosa vuoi tu? Vattene via, mio padre sta per arrivare!”
lo minacciò.
“Sì, sì,
certamente. Lo so da solo quanto tempo ci metterà tuo padre a trovarti, anche
volendo non riuscirebbe ad essere qui prima di alcune ore. E tu, nel frattempo,
sarai morta” rispose quello.
La ragazza
si sentiva tremare di paura e non sapeva come fare.
“Non la passerai comunque liscia” tentò.
“Questo è
poco ma sicuro. Ora stai ferma, altrimenti mi ci vorrà una vita” le consigliò
l’uomo, avvicinandosi con un coltello.
Rea si mise
a piangere silenziosamente.
Jason suonò
a casa del preside e attese. Quando l’uomo andò ad aprirgli e lo vide, sbiancò.
“Oh,
si-signor Simon, che ci fa qui? C-ci sono problemi?” balbettò.
Lui sorrise
gentilmente.
“No, si figuri. Avrei solo bisogno di un’informazione”
lo tranquillizzò. L’uomo si guardò intorno, sudando e respirando
affannosamente.
“A-adesso?
Avrei da fare e non ho molto tempo” disse. Jason alzò un sopracciglio, poco
convinto.
“Non ci vorrà molto, faremo subito e ce ne andremo”
assicurò.
“Faremo?”
Fabio spuntò
da dietro le spalle di Jason e salutò il preside con una mano.
“Buonasera”
“Fa-Fabio,
buonasera” ricambiò.
Li fissò
impaurito e poi sospirò.
“Va bene, un
minuto posso anche concedervelo. Che vi serve?” chiese.
“Per caso ha un recapito di Antonio, il vostro bidello? Mi
servirebbe trovarlo” spiegò l’uomo.
“A-Antonio?
Se n’è andato qualche giorno fa da scuola e…”
“Sergio!
Dove sono le chiavi della stanza di sotto, ci sono quelle due che…”
Una donna
non molto alta, con i capelli raccolti in uno chignon e gli occhiali neri che
coprivano metà faccia apparve dietro al preside, che sbiancò anche di più.
“O-ora
arrivo, Samantha, tu aspetta di là” rispose.
Samantha squadrò
gli ospiti da capo a piedi e poi annuì.
“Va bene, tu
muoviti, temo che abbiamo un problema” lo spronò.
Jason capì
da solo che c’era qualcosa che non andava, non serviva un genio per
comprenderlo, e il suo cervello si mise in moto.
“Grazie per tutto, signor preside, noi andiamo”
salutò, prendendo Fabio per un braccio.
“Ma…” provò il ragazzo. Lui lo fulminò.
“Arrivederci” salutò anche lui.
Quando
furono in macchina, lontani da lì, lo guardò.
“Che è successo?” domandò confuso.
“Abbiamo il nostro colpevole” rispose Jason.
Rea temeva
che la sua fine sarebbe arrivata a soli vent’anni. Aveva paura, le mancava suo
padre e tutto ciò che voleva in quel momento era non essersi mai messa a
indagare senza aiuto. Era stata la cosa più stupida che potesse fare, e solo
ora si rendeva conto di quanto suo padre fosse un aiuto prezioso.
Chiuse gli
occhi quando l’uomo si avvicinò a lei, ma il coltello non la sfiorò
minimamente.
Le corde che
la stringevano si sciolsero tutte insieme, lasciandola libera di muoversi senza
problemi.
“Ma che…?”
“Non sono io
il cattivo, detective in gonnella. Hai sbagliato uomo” le disse Antonio.
“Cosa? Sì che sei tu, ti ho visto mentre…”
“Mentre
litigavo con quel cretino? Ovvio che mi sono infuriato, ha voluto utilizzare le
nuove droghe nonostante tutti i miei avvertimenti, e così si è messo nei guai.
I ragazzi non ascoltano mai i bidelli” le spiegò l’uomo, sospirando sconsolato.
Rea non ci
credeva, tutto ciò era sempre più assurdo.
“Come sapevi che ero qui, scusami?”
“Ti tengo
d’occhio da mesi, mia cara investigatrice”
“COSA? Sei uno stalker?”
“Uno stalker non ti avrebbe salvata, genio. Sono solo uno che si
interessa ai suoi ragazzi e che sa benissimo che nessuno studente sano di mente
cambia scuola a marzo della quinta superiore. Sapevo che non eri un’alunna
normale, facevi troppe domande. Poi, naturalmente, ti ho vista sparare alla
macchina di Samantha, quella sera in discoteca” le spiegò Antonio. Tirò fuori
dalla tasca una pistola e gliela passò.
“Tieni, ti
servirà sicuramente. Adesso andiamo a liberare la tua amica, non le è
sicuramente piaciuto star qui rinchiusa” le disse, uscendo in corridoio.
Rea lo seguì
senza fare domande: si sentiva abbastanza confusa così.
Aprirono la
porta dell’altra cella e videro la ragazza seduta da una parte, con i vestiti
sporchi e il viso polveroso.
Li fissò
sorridente e si mise a piangere.
“Pensavo che
nessuno mi avrebbe più fatta uscire di qui” disse, prima di svenire.