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Autore: Nadine_Rose    21/02/2013    0 recensioni
Nadine ballava, rideva ed era viva.
[Continuo di “Un amore diviso da un filo spinato”]
Nadine e Werner sedettero vicino alla riva del lago all’ombra di un’alta conifera e restarono lì, stretti l’uno all’altra, avvolti dall’aria fresca dell’estate berlinese mentre dentro di loro scoppiava la primavera. Una nuova stagione era cominciata per la loro vita ma i due contavano ancora i loro inverni.
[Capitolo 33: Il dono della vita]
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopoguerra
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Capitolo 5

 

Quando il passato bussa alla porta

 

“ Non raccontavo mai del mio passato, né davo informazioni personali …

Quei ricordi erano soltanto miei e avevo imparato che certe cose è meglio tenerle segrete ”.

Nicholas Sparks

 

Berlino ovest, ottobre 1950

 

Un tenue raggio di sole entrò lentamente dalle persiane della finestra posandosi sui capelli di Nadine che stava ancora dormendo. Werner stropicciò gli occhi, sollevando ancora un po’ la testa dal cuscino: il vestito a pois, tolto in tutta fretta, giaceva arrotolato sulla sedia davanti al letto; la porta della camera era ancora socchiusa, a dimostrazione che anche sua moglie non si era alzata quella notte. In un istante, mille e mille pensieri affollarono la mente di Werner e lo condussero a domandarsi come sarebbero stati i suoi trentacinque anni senza l’amore di Nadine, come avrebbe reagito di fronte allo sfascio del dopoguerra senza il suo sostegno, come avrebbe affrontato quel passare ogni giorno da Berlino ovest a Berlino est e gli umilianti controlli dei militari sovietici per recarsi all’ospedale senza il sorriso che lo attendeva la sera.

Era cambiato in quegli anni: il ragazzo Werner, all’apparenza insensibile e menefreghista, schiavo del conformismo ideologico, medico senza cuore che non considerava i suoi pazienti come persone, era scomparso per lasciar posto all’uomo gentile e rispettoso, combattivo nell’affermare il valore e la dignità di ogni singola vita umana.

Decise poi di frenare i suoi pensieri, di mettere da parte il suo passato e ciò che era stato e di godersi quella tiepida domenica autunnale con la sua famiglia: una passeggiata al lago, come promesso a Nadine; poi di nuovo a casa per il pranzo e infine Messa alla Cattedrale di Sant’Edvige[i] e quattro passi in città. Ma all’improvviso Werner sentì bussare alla porta e vide sua moglie scuotersi dal sonno. “ Chi può essere a quest’ora? ” fece il dottor Hofmann rivolgendosi più che altro a se stesso mentre quel bussare diventava sempre più prepotente. “ Nadine! … Nadine! ” A quella voce familiare, Nadine balzò dal letto, afferrò la vestaglia dalla poltrona e, in tutta fretta, la indossò correndo lungo il corridoio. Quando Werner giunse all’ingresso, Nadine aveva già aperto la porta a sua cugina Edith, l’unica della famiglia sopravvissuta alla Shoah. La ventenne, dall’espressione stravolta e il respiro affannoso, aveva in mano un quotidiano. “ Nadine, c’è una cosa che dovresti vedere. ” disse con voce tremante e le porse il giornale. Di colpo, Nadine divenne pallida come un fantasma e Werner si avvicinò poggiandole una mano sulla spalla. “ Nadine. ” sussurrò atterrito. Il nome del giornale era, infatti, “Der Hochmann” e su tutta la prima pagina era stampata una foto: quella di Nadine nel campo di concentramento scattata da Kurt nel 1939. Sotto la foto c’erano scritte due date: 1 luglio 1920 e 16 giugno 1940. La prima era la data di nascita di Nadine e la seconda la data di morte di Kurt. Entrambe le date erano attribuite alla ragazza della foto. Sopra la foto, un titolo a caratteri cubitali: “Un volto per non dimenticare”. “ Dove l’hai trovato? ” fece Nadine sconvolta, rivolgendosi alla cugina. La donna credeva, infatti, che il “Der Hochmann” non fosse stato più pubblicato dopo la caduta del nazismo e che le sue foto fossero state distrutte dal padre di Kurt tempo addietro. “ Sono passata vicino all’edicola sotto casa mia e l’ho trovato. ” rispose Edith con voce più calma. Nadine iniziò a sfogliare freneticamente il giornale e i tre insieme videro tutte le foto scattate dal giovane Kurt nell’inverno del ’39: l’entrata del campo di concentramento di Ravensbrück, la recinzione, le baracche, l’appello delle prigioniere, il lavoro sulle rive del lago di Schwedt, il forno crematorio e, infine, Nadine. Nadine ragazza, così minuta da sembrare una bambina, seduta sul terreno fangoso del lager, intenta a coprirsi il volto con le mani e, ancora, Nadine in ginocchio con il braccio sinistro scoperto per mostrare il tatuaggio inciso sulla sua pelle. Allora Nadine cominciò a ricordarne i momenti, a sentire nella sua testa il rumore degli scatti della macchina fotografica di Kurt e il suono della sua voce …

“Mettiti in ginocchio … Scopriti il braccio sinistro in modo che si veda bene il tatuaggio”.

“Così va bene?”

“Sì, va bene … Inclina il capo a destra e guarda fisso a terra … Non muoverti, mi raccomando … Fatto! … Adesso siediti … Togliti il fazzoletto … Ecco, abbiamo quasi finito! … Avvicinati che voglio fotografare solo il tatuaggio”.

Werner si girò nel letto e allungò il braccio, sicuro di trovare ancora sua moglie ma lei non c’era. La trovò in cucina vestita in tailleur blu, intenta a sistemare il giornale nella valigia che aveva poggiato sul tavolo. “ Che stai facendo? ” le domandò preoccupato. Nadine si voltò solo dopo alcuni secondi: gli occhi erano gonfi a causa della notte insonne e i capelli raccolti nello chignon, questa volta con poca accuratezza. “ Ho deciso di partire, Werner. ” rispose con tono fermo e continuò: “ Devo scoprire chi è l’autore di quell’articolo, come ha fatto a conoscermi e … se è il padre di Kurt, devo dirgli che io sono viva e che suo figlio è morto. ” “ Non andare via, Nadine! ” esclamò Werner, prendendole il polso con delicatezza. “ Perché?! Io ho bisogno di conoscere la verità! ” ribatté la donna, troppo convinta per cambiare idea. Allora, il dottor Hofmann tirò in ballo il loro figlioletto e disse: “ Come farò con Andrej? ” “ Ho parlato già con Edith, verrà lei ad aiutarvi. ” rispose Nadine e, intanto, dalla strada si udì un clacson. “ è arrivato il taxi. ” fece la donna, svincolandosi dalla presa di suo marito per poi correre alla finestra. “ Ti avrei accompagnato io. ” affermò Werner deluso. Ma Nadine prese la valigia dal tavolo e gli disse: “ Abbi cura di Andrej … Io tornerò presto. ” I due si guardarono profondamente negli occhi: in entrambi traspariva un velo di malinconia. Si abbracciarono. “ Nadine … ” Per un attimo, Werner pensò davvero di farcela. “ Dimmi, Werner. ” lo incoraggiò Nadine. Ma l’uomo scelse di dire ciò che era più facile: “ … Ti amo. ” “ Anch’io ti amo, amore mio. ” rispose sua moglie. Werner la abbracciò più forte come se in quella stretta volesse chiederle un qualche perdono. “ Torna presto. ” le disse trattenendo a stento le lacrime. “ Te l’ho già detto, Werner: tornerò presto. ” ribatté Nadine con dolcezza e per la prima volta i due si divisero. Dai vetri della finestra inumiditi dalla pioggerellina notturna, Werner vide la sua sposa salire sul taxi bianco e un senso di vuoto lo invase. Poi dentro di lui si fece spazio la paura di non rivedere più Nadine o di rivederla cambiata. Avrebbe voluto uscire di casa, correre in pigiama e pantofole verso di lei, trattenerla ma ormai il taxi era partito e Nadine già lontana.

 

Motore danza, sento già che il dolore avanza.
Respirerò lacrime e aria che mi sbronza.
Danza, non potrei vivere abbastanza senza di lei.
Non potrei senza una speranza.

 

Umberto Tozzi, Notte rosa

 



[i] Cattedrale cattolica dell’arcidiocesi di Berlino. In tedesco “Sankt-Hedwigs-Kathedrale”. Si trova in Bebelplatz a Berlino, nel quartiere Mitte.

 

   
 
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