Capitolo 5
Quando il passato bussa alla porta
“ Non raccontavo mai del mio passato, né davo
informazioni personali …
Quei ricordi erano soltanto miei e avevo imparato che
certe cose è meglio tenerle segrete ”.
Nicholas Sparks
Berlino ovest, ottobre 1950
Un tenue
raggio di sole entrò lentamente dalle persiane della finestra posandosi sui
capelli di Nadine che stava ancora dormendo. Werner stropicciò gli occhi,
sollevando ancora un po’ la testa dal cuscino: il vestito a pois, tolto in
tutta fretta, giaceva arrotolato sulla sedia davanti al letto; la porta della
camera era ancora socchiusa, a dimostrazione che anche sua moglie non si era
alzata quella notte. In un istante, mille e mille pensieri affollarono la mente
di Werner e lo condussero a domandarsi come sarebbero stati i suoi trentacinque
anni senza l’amore di Nadine, come avrebbe reagito di fronte allo sfascio del
dopoguerra senza il suo sostegno, come avrebbe affrontato quel passare ogni
giorno da Berlino ovest a Berlino est e gli umilianti controlli dei militari
sovietici per recarsi all’ospedale senza il sorriso che lo attendeva la sera.
Era cambiato
in quegli anni: il ragazzo Werner, all’apparenza insensibile e menefreghista,
schiavo del conformismo ideologico, medico senza cuore che non considerava i
suoi pazienti come persone, era scomparso per lasciar posto all’uomo gentile e
rispettoso, combattivo nell’affermare il valore e la dignità di ogni singola
vita umana.
Decise poi
di frenare i suoi pensieri, di mettere da parte il suo passato e ciò che era
stato e di godersi quella tiepida domenica autunnale con la sua famiglia: una
passeggiata al lago, come promesso a Nadine; poi di nuovo a casa per il pranzo
e infine Messa alla Cattedrale di
Sant’Edvige[i]
e quattro passi in città. Ma all’improvviso Werner sentì bussare alla porta e
vide sua moglie scuotersi dal sonno. “ Chi può essere a quest’ora? ” fece il
dottor Hofmann rivolgendosi più che altro a se stesso mentre quel bussare
diventava sempre più prepotente. “ Nadine! … Nadine! ” A quella voce familiare,
Nadine balzò dal letto, afferrò la vestaglia dalla poltrona e, in tutta fretta,
la indossò correndo lungo il corridoio. Quando Werner giunse all’ingresso,
Nadine aveva già aperto la porta a sua cugina Edith, l’unica della famiglia
sopravvissuta alla Shoah. La ventenne, dall’espressione stravolta e il respiro
affannoso, aveva in mano un quotidiano. “ Nadine, c’è una cosa che dovresti
vedere. ” disse con voce tremante e le porse il giornale. Di colpo, Nadine
divenne pallida come un fantasma e Werner si avvicinò poggiandole una mano
sulla spalla. “ Nadine. ” sussurrò atterrito. Il nome del giornale era,
infatti, “Der
Hochmann” e su tutta la prima pagina era stampata una foto: quella di Nadine
nel campo di concentramento scattata da Kurt nel 1939. Sotto la foto c’erano
scritte due date: 1 luglio 1920 e 16 giugno 1940. La prima era la data di
nascita di Nadine e la seconda la data di morte di Kurt. Entrambe le date erano
attribuite alla ragazza della foto. Sopra la foto, un titolo a caratteri
cubitali: “Un volto per non dimenticare”. “ Dove l’hai trovato? ” fece Nadine
sconvolta, rivolgendosi alla cugina. La donna credeva, infatti, che il “Der
Hochmann” non fosse stato più pubblicato dopo la caduta del nazismo e che le
sue foto fossero state distrutte dal padre di Kurt tempo addietro. “ Sono
passata vicino all’edicola sotto casa mia e l’ho trovato. ” rispose Edith con voce più
calma. Nadine iniziò a sfogliare freneticamente il giornale e i tre insieme
videro tutte le foto scattate dal giovane Kurt nell’inverno del ’39: l’entrata
del campo di concentramento di Ravensbrück,
la recinzione, le baracche, l’appello delle prigioniere, il lavoro sulle rive
del lago di Schwedt,
il forno crematorio e, infine, Nadine. Nadine ragazza, così minuta da sembrare una bambina, seduta sul
terreno fangoso del lager, intenta a coprirsi il volto con le mani e, ancora,
Nadine in ginocchio con il braccio sinistro scoperto per mostrare il tatuaggio
inciso sulla sua pelle. Allora Nadine cominciò a ricordarne i momenti, a
sentire nella sua testa il rumore degli scatti della macchina fotografica di
Kurt e il suono della sua voce …
“Mettiti
in ginocchio … Scopriti il braccio sinistro in modo che si veda bene il
tatuaggio”.
“Così
va bene?”
“Sì,
va bene … Inclina il capo a destra e guarda fisso a terra … Non muoverti, mi
raccomando … Fatto! … Adesso siediti … Togliti il fazzoletto … Ecco, abbiamo quasi
finito! … Avvicinati che voglio fotografare solo il tatuaggio”.
Werner si girò nel letto e allungò il braccio, sicuro
di trovare ancora sua moglie ma lei non c’era. La trovò in cucina vestita in tailleur
blu, intenta a sistemare il giornale nella valigia che aveva poggiato sul
tavolo. “ Che stai facendo? ” le domandò preoccupato. Nadine si voltò solo dopo
alcuni secondi: gli occhi erano gonfi a causa della notte insonne e i capelli
raccolti nello chignon, questa volta con poca accuratezza. “ Ho deciso di
partire, Werner. ” rispose con tono fermo e continuò: “ Devo scoprire chi è
l’autore di quell’articolo, come ha fatto a conoscermi e … se è il padre di
Kurt, devo dirgli che io sono viva e che suo figlio è morto. ” “ Non andare
via, Nadine! ” esclamò Werner, prendendole il polso con delicatezza. “ Perché?!
Io ho bisogno di conoscere la verità! ” ribatté la donna, troppo convinta per
cambiare idea. Allora, il dottor
Hofmann tirò in ballo il loro figlioletto e disse: “ Come farò con Andrej? ” “ Ho parlato già con Edith, verrà lei ad
aiutarvi. ” rispose Nadine e, intanto, dalla strada si udì un clacson. “ è arrivato il taxi. ” fece la donna,
svincolandosi dalla presa di suo marito per poi correre alla finestra. “ Ti
avrei accompagnato io. ” affermò Werner deluso. Ma Nadine prese la valigia dal
tavolo e gli disse: “ Abbi cura di Andrej … Io tornerò presto. ” I due si guardarono profondamente
negli occhi: in entrambi traspariva un velo di malinconia. Si
abbracciarono. “ Nadine … ” Per un attimo, Werner pensò davvero di farcela. “
Dimmi, Werner. ” lo incoraggiò Nadine. Ma l’uomo scelse di dire ciò che era più
facile: “ … Ti amo. ” “ Anch’io ti amo, amore mio. ” rispose sua moglie. Werner
la abbracciò più forte come se in quella stretta volesse chiederle un qualche
perdono. “ Torna presto. ” le disse trattenendo a stento le lacrime. “ Te l’ho
già detto, Werner: tornerò presto. ” ribatté Nadine con dolcezza e per la prima
volta i due si divisero. Dai vetri della finestra inumiditi dalla pioggerellina
notturna, Werner vide la sua sposa salire sul taxi bianco e un senso di vuoto
lo invase. Poi dentro di lui si fece spazio la paura di non rivedere più Nadine
o di rivederla cambiata. Avrebbe voluto uscire di casa, correre in pigiama e
pantofole verso di lei, trattenerla ma ormai il taxi era partito e Nadine già
lontana.
Motore
danza, sento già che il dolore avanza.
Respirerò lacrime e aria che mi sbronza.
Danza, non potrei vivere abbastanza senza di
lei.
Non potrei senza una speranza.
Umberto
Tozzi, Notte rosa
[i] Cattedrale cattolica dell’arcidiocesi
di Berlino. In tedesco “Sankt-Hedwigs-Kathedrale”.
Si trova in Bebelplatz a
Berlino, nel quartiere Mitte.