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Autore: elsie    11/09/2007    1 recensioni
"Potevano salvarsi entrambi, oppure perdersi entrambi. L'unica cosa che rimaneva da fare ora, l'unica cosa che rimaneva da fare era entrare nel fuoco..." Pyro incontra una ragazza al Xavier Institute e insieme dovranno prendere la decisione più importante della loro vita. Basato su X-Men 2. PyroOC
Genere: Romantico, Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ItF11

Disclaimer: Pyro e gli X-men non appartengono a me ma a Stan Lee e a Jack Kirby, alla Marvel Comics e alla Twentieth Century Fox, che ha acquistato i diritti per il film. Possiedo invece, dato che l’ho creata io, il personaggio di Meredith St.Clair.

Come vedete, il mio computer ha deciso di fare il bravo e sono riuscita ad aggiornare puntualmente. Da questo capitolo cominceranno a presentarsi gli avvenimenti del film X Men 2. Devo però confessarvi un segreto: io ho visto solo il primo e il terzo film della trilogia, e ho letto la trama del secondo. Perciò, lo scheletro della storia seguirà grosso modo la trama di X Men 2, ma i dettagli sono stati aggiunti dalla mia fantasia. Spero non ve la prenderete troppo.

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Quella notte un’ombra scura, più scura della stessa notte, scivolò in silenzio tra gli alberi del parco e si avvicinò furtiva alla villa. Poco dopo un’altra ombra, e poi un’altra, e un’altra, e un’altra, raggiunsero la prima e si acquattarono a pochi passi dalle entrate, gli occhi spalancati nelle tenebre e le orecchie tese ad aspettare la parola che avrebbe dato inizio alla caccia.

Poi la parola fu pronunciata, e ci fu l’inferno.
.
****

Meredith si svegliò di soprassalto quando un urlo che sembrava volerle trapassare i timpani riecheggiò per la casa facendo tremare i vetri delle finestre. Si mise a sedere sul letto ed altre urla, non così forti come il primo ma altrettanto terrorizzate, si levarono oltre i muri della stanza e la porta chiusa.

“Oddio no! Oddio no!”

“Hanno attaccato la scuola!”

Poi ci fu una voce che Meredith riconobbe come quella di Piotr Rasputin:

“Correte!”

Per una frazione di secondo i suoi occhi incontrarono quelli di Jubilee, anche lei seduta sul suo letto, terrorizzata. Poi le due ragazze saltarono giù dai loro letti e cominciarono a vestirsi. Meredith afferrò una maglietta a maniche lunghe e un paio di jeans che giacevano sul pavimento, tra le cose da lavare, e se le infilò più velocemente che poteva. Allacciò frettolosamente le scarpe da ginnastica e, dopo essersi accertata che Jubilee fosse pronta a seguirla, spalancò la porta e si lanciò nel corridoio.

Era il panico. Ragazze con lo sguardo terrorizzato e i capelli in disordine, alcune ancora in pigiama, correvano verso le scale. Molte avevano il viso rigato di lacrime, e Meredith vide una ragazza alta e robusta spingere da parte le più mingherline per farsi spazio.

“Andiamo!” le disse Jubilee, iniziando a correre anche lei nella direzione delle scale.

“No!” Meredith la afferrò per un braccio e Jubilee la guardò confusa. Il suo viso era teso per la paura e aveva gli occhi pieni di lacrime. “Questa scala finisce nell’atrio principale, finiremo in trappola!” Indicò la direzione opposta. “Dobbiamo scendere per le scale della lavanderia. Vieni!”

Jubilee annuì e le due ragazze cercarono di farsi largo tra la folla che le spingeva nella direzione opposta. Dovettero procedere il più possibile vicino ai muri, tenendosi per mano per non essere separate dall’impeto delle loro compagne in fuga. Più di una volta Meredith fu urtata così violentemente che quasi perse l’equilibrio.

Poi la folla cominciò a scemare, e poterono finalmente mettersi a correre.

Mai, da quando era arrivata all’Istituto, il corridoio degli alloggi le era sembrato così lungo. Nel frattempo, il suo cervello saltava da un pensiero all’altro, sovraccaricato dall’adrenalina. Dobbiamo uscire di qui. Dobbiamo arrivare al parco. E poi? E se ci aspettano? E se la porta sul retro è chiusa? Cosa facciamo allora? Cosa facciamo?

Girò l’angolo, persa nei suoi pensieri, e si ritrovò a pochi centimetri da una ragazza che veniva dalla direzione opposta. Ormai era troppo tardi per evitare lo scontro, e Meredith chiuse gli occhi in attesa della collisione.

Non successe nulla. Sentì un’ondata di freddo, e la spiacevole sensazione di avere migliaia e migliaia di formiche che le zampettavano sotto la pelle.

Riaprì gli occhi e, stupefatta, si girò per vedere una ragazza bassa e con i capelli castani correre lungo il corridoio, in direzione delle scale principali. Lo shock fu tale che per un momento dimenticò che doveva continuare a scappare.

“E’ solo Kitty!” le urlò Jubilee passandole accanto e tirandola per un braccio. “Passa attraverso le cose!”

Meredith si ridestò e ricominciò a correre più veloce che poteva. Girarono un ultimo angolo ed eccole lì.

Le scale.

Le aveva scese almeno una volta a settimana da quando era arrivata alla scuola. Erano le vecchie scale di servizio che portavano alla lavanderia degli studenti. Dovevano solo scendere due piani di scale, imboccare il corridoio sulla destra, girare a sinistra una volta arrivate alla stanza dove si trovavano le lavatrici, oltrepassare il locale delle caldaie e uscire dalla porta sul retro. A quel punto sarebbero state nel parco, e avrebbero potuto avere un’opportunità di fuggire.

Jubilee era davanti a lei di qualche metro ora, e cominciò a scendere i gradini a due a due. Meredith la seguì, non pensando più a come uscire di lì ma come rientrare una volta fuori. Devo trovare John. Come faccio a sapere se sta bene? Come faccio a sapere dov’è? Devo andare a cercarlo. E se fosse già fuori? E se l’hanno preso?

Superarono il pianerottolo del primo piano ed erano a oltre metà della rampa quando Jubilee si fermò improvvisamente. Solo per un miracolo Meredith riuscì a non finirle addosso. Le due ragazze rimasero in attesa, osando a malapena respirare. Alcune voci maschili giunsero a loro dal pianoterra.

“...narcotizzati, sì.”

“Evacuate i ragazzi, e...”

Meredith e Jubilee si guardarono terrorizzate. Poi Jubilee staccò gli occhi da quelli di Meredith e guardò verso il pianerottolo che avevano appena sorpassato. Sulla destra c’era una porta che riconduceva nel dormitorio; andando a sinistra si imboccava un corridoio che permetteva di raggiungere l’ala della villa che ospitava le aule.

Meredith annuì e lei e Jubilee cominciarono a risalire le scale in punta di piedi, un gradino alla volta. Sentivano le voci di quegli uomini provenire da sotto di loro e a Meredith sembrò di vedere oltre la balaustra delle uniformi grigie e nere, e delle piccole figure colorate stese per terra a faccia in giù. Non aveva mai avuto così paura in tutta la sua vita.

Raggiunsero il pianerottolo e cominciarono a dirigersi verso il corridoio sulla sinistra, di tanto in tanto lanciando occhiate terrorizzate dietro di sé, aspettando di veder comparire i militari da un momento all’altro. Jubilee mise la mano sulla maniglia della porta e la spinse verso il basso, più delicatamente che poteva. Meredith trattenne il respiro. Non ci fu nessun rumore.

Pianissimo, Jubilee aprì la porta quel tanto che bastava perché potessero infilarsi nel corridoio, e richiuse la porta dietro Meredith quando anche lei fu passata.

Per un attimo le due ragazze si guardarono in silenzio, indecise se potessero o no considerarsi fuori pericolo. “Vieni, allontaniamoci dalla porta.” sussurrò Jubilee.

Si inoltrarono nel corridoio buio, guidate solo dalla luce della luna. Quando furono ragionevolmente lontane, Jubilee si voltò e la guardò spaventata.

“Meredith, dobbiamo trovare gli altri.” sussurrò. “Marie, e Bobby, e...”

Meredith annuì. “Lo so.”

Jubilee prese fiato per un momento. “Se continuiamo in questo corridoio, arriviamo alle aule. E poi che si fa?”

Meredith cercò di pensare il più velocemente che poteva. Dove sarebbero andate una volta arrivate alle aule? Se scendevano nel salone d’ingresso, era quasi sicura che le avrebbero prese. Sarebbe stato pieno di militari lì. Tornare indietro era impossibile. Rimanere nascoste in una delle aule? Non se ne sarebbero andati prima di perquisire l’edificio. Senza contare che dovevano ancora trovare gli altri. Cominciò a sentirsi disperata.

“La biblioteca.” disse infine Jubilee, gli occhi illuminati da un lampo di speranza.

Meredith scosse la testa. “Dobbiamo scendere nell’ingresso per arrivare alla biblioteca. Ci butteremmo dritte nelle loro braccia.”

“No, se passiamo dalla porta secondaria. La scala dietro all’aula di scienze porta proprio lì.”

Era un’ottima idea. Cominciarono a camminare lungo il corridoio, gli occhi spalancati e le orecchie tese, ma sembrava che quell’ala della villa fosse stata risparmiata dall’incursione. Probabilmente, dato che era notte fonda, i soldati non pensavano che vi si potesse trovare qualcuno. Meredith e Jubilee si tennero quanto più possibile lontano dalle finestre, ma potevano vedere, attraverso la stoffa delle tende, la luce di numerosi fari puntati verso la casa e le ombre di uomini e veicoli che di tanto in tanto oscuravano momentaneamente le luci artificiali.

Cominciarono a rilassarsi un pochino, e nel cervello di Meredith domande meno urgenti cominciarono a farsi strada tra i suoi pensieri. Chi erano quelle persone? Cosa volevano da loro, e perché avevano assaltato l’Istituto? E soprattutto perché i professori non stavano difendendo i loro alunni? Un’idea raccapricciante l’assalì senza preavviso: e se si fossero liberati prima degli adulti, per potersi poi dedicare con calma a dare la caccia ai ragazzi? Un’immagine estremamente vivida le si formò davanti agli occhi prima che Meredith la potesse scacciare: una porta sfondata, e un corpo esanime avvolto in lenzuola insanguinate...

“Ci siamo quasi.” sussurrò Jubilee. Girarono l’angolo, e videro una scena che fece loro ghiacciare il sangue nelle vene.

Un ragazzino di non più di dieci-undici anni si acquattava contro il muro, terrorizzato, il volto solcato dalle lacrime e le braccia sopra la testa. Su di lui troneggiava un soldato in pieno assetto da battaglia, la canna del fucile puntata contro la faccia del bambino.

“No!” urlò Meredith. Sentì una potentissima ondata di paura, rabbia e sdegno esploderle nello stomaco.

Il soldato, sorpreso dalla sua voce, si girò a guardarla. Fu un errore fatale.

Appena i suoi occhi incontrarono quelli di Meredith, la mano che stringeva il fucile si aprì mollemente e l’arma cadde a terra con clangore. Il soldato fece una piroetta di novanta gradi, si diresse contro il muro opposto a lui con passo di marcia e ci sbattè contro con violenza.

Meredith lo fece tornare indietro di qualche passo, e poi lo rimandò a sbattere contro la parete, stavolta con ancora maggior violenza della precedente. Vediamo se questo ti piace. Lo trovi divertente? Divertente come puntare un fucile in faccia ad un bambino?

Dalla bocca e dal naso del soldato cominciò a colare del sangue, e Meredith gli ordinò di nuovo di correre contro la parete. Non si sarebbe forse nemmeno accorta dei soldati che, richiamati dal suo grido, stavano accorrendo dal corridoio che era alle loro spalle, se Jubilee non l’avesse tirata per un braccio.

“Meredith, scappiamo!”

Il soldato cadde a terra come una bambola di stracci, la faccia coperta di sangue. Meredith si riscosse, e cominciò a correre.

“Scappa!” disse al bambino che se ne stava ancora seduto per terra e la guardava sbalordito. Lui annuì e semplicemente scomparve.

Tutto quello che Meredith riusciva a sentire in quel momento erano le voci dei soldati e i loro passi dietro di loro, sempre più vicini, sempre più vicini. Corse a perdifiato per il corridoio, quel corridoio che non avrebbe saputo dire quante volte aveva attraversato sbadigliando con i libri sottobraccio, e si lanciò giù per le scale.

In men che non si dica il suo piede toccò l’ultimo gradino e Meredith vide, alla fine del corridoio, la porta della biblioteca, la sua unica possibilità di salvezza. Era arrivata a circa cinque metri dalla porta quando una morsa d’acciaio le si avvolse intorno alla vita e la sollevò, trascinandola nell’ombra. Provò a urlare, ma una mano le chiuse la bocca.

E’ finita, pensò mentre lottava per divincolarsi. Sono morta. Non rivedrò mai più né John né Jubilee, né nessun altro...

“Shhh.” la voce di Logan le sussurrò nell’orecchio. “Non urlare, sono io.” Meredith smise immediatamente di lottare e Logan la mise a terra.

“Meredith.” John emerse dal buio e la prese tra le braccia, stringendola forte a sé. Lei lo strinse a sua volta, appoggiando il viso contro la sua spalla e lasciando che due lacrime di sollievo le solcassero le guance.

Quando sollevò la testa dalla spalla di John, vide che c’erano anche Marie e Bobby lì con loro.

“Jubilee.” disse Meredith, mentre l’angoscia e la paura le si riversavano di nuovo nell’animo. “Era proprio dietro di me, dobbiamo...”

“L’hanno presa.” disse Bobby, il suo volto triste e teso.

“Allora dobbiamo...”

“Non le faranno del male.” disse Logan. “Vogliono solo portarvi via, non vogliono uccidervi. Non possiamo fare più niente per Jubilee adesso.”

Meredith rimase in silenzio, troppo frastornata e sotto shock per poter fare o dire alcunché. Jubilee era stata catturata, l’avevano portata via chissà dove...

“La biblioteca è piena di soldati. Dobbiamo arrivare alla camera speciale.” continuò Logan indicando il corridoio dietro di loro, perpendicolare a quello che portava alla porta secondaria della biblioteca. “Dentro la camera c’è un passaggio che ci porterà lontano dalla villa. E’ tutto chiaro?”

I ragazzi annuirono. Meredith si sforzò di prestare attenzione a quello che Logan stava dicendo. Chiuse gli occhi, prese un bel respiro e poi annuì. Le braccia di John ancora la tenevano per la vita, ed era una sensazione rassicurante. Dovevano arrivare alla camera speciale, andare lontano da quegli uomini.

“Dobbiamo fare piano, almeno finché non saremo lontani dalla biblioteca. Bobby, in testa. Io chiudo il gruppo.” concluse Logan.

Si incamminarono, Bobby che avanzava cautamente, Marie poco dietro di lui, John e Meredith e infine Logan. Quando il corridoio ebbe fatto un paio di angoli, Logan disse: “D’accordo. Ora potete mettervi a correre.”

“O magari potete non farlo.” disse una voce gelida dietro di loro.

Si voltarono di scatto, Wolverine sfoderando gli artigli, John facendo scattare il suo accendino.

Un uomo corpulento, con la barba e un’uniforme grigia, stava in piedi nel centro del corridoio. Meredith sperò che la guardasse, ma l’uomo sembrava interessato solo a Logan.

“Sarebbe solo uno spreco di energie e di tempo, per tutti quanti noi. Sono sicuro che possiamo giungere ad un accordo onorevole. Non credi anche tu, James?” disse rivolgendo a Logan un sorriso gelido. Meredith pensò che era così che doveva sorridere una iena.

“Come... come sai...” iniziò Logan, scioccato.

“Oh, io so molte cose, James.” continuò la iena vestita di grigio. “Cose che anche tu vorresti sapere.” Fece una pausa e sorrise di nuovo. “Vuoi sentirle?”

Logan esitò, ma prima che potesse dire una parola, Bobby scattò in avanti e puntò i palmi dalle mani verso il soldato, e in pochi secondi uno spesso muro di ghiaccio tagliava in due il corridoio, loro da una parte e la iena dall’altra. Logan guardò prima il muro, poi Bobby, e per una frazione di secondo Meredith si aspettò che lo colpisse. Veloce come era apparsa, la strana espressione sul volto di Logan sparì.

“Ottimo lavoro, Bobby.” disse. Guardò Meredith e gli altri ragazzi. “Usciamo di qui, presto.”

****

Anche dopo essere usciti dal passaggio continuarono a correre attraverso i boschi, desiderosi di mettere un buon numero di chilometri tra loro e i militari.

Le prime luci dell’alba li colsero mentre attraversavano una foresta di abeti secolari, a pochi metri dalle rive di un lago. Logan si guardò attorno, si appoggiò ad un tronco e tirò fuori un pacchetto di sigarette dalla tasca dei pantaloni.

“Possiamo riposarci un po’adesso.” disse.

Marie crollò a terra e si mise a piangere, e Bobby le si sedette accanto e le accarezzò le spalle ed i capelli, mormorandole parole di conforto. Meredith si sedette su una roccia che affiorava dal terreno e si prese la testa fra le mani, disperata.

John l’abbracciò e le fece appoggiare la testa sulla sua spalla. Meredith cominciò a piangere.

“Ehi.” le sussurrò John mentre la cullava dolcemente. “Ehi.”

Meredith alzò il volto e lo guardò. “Evie.” mormorò. “Le avevo detto che sarebbe stata al sicuro.”

John le accarezzò il viso e asciugò le sue lacrime. “Lo è.” disse con convinzione. “Non la troveranno mai.”

Rimasero così tutti e cinque, Bobby e Marie per terra, Meredith e John seduti sulla roccia e Logan che fumava in silenzio appoggiato all’albero. Indifferente alla loro paura e al loro dolore, la superficie del lago risplendeva al sole nascente, proiettando migliaia e migliaia di luci allegre e multicolori.

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E' la prima volta che scrivo un capitolo "d'azione" e sono un po' in ansia. Spero che non mi sia riuscito troppo confuso o monotono, e di essere riuscita a trasmettere il senso di pericolo e la paura che i personaggi provano. Fatemi sapere, ok?

Di nuovo grazie a lia per aver recensito! Un bacio a tutti e a presto con il capitolo 11.


  
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