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Autore: Antony_    25/02/2013    2 recensioni
La mia storia inizia da una sfida.
Sfida che, stupidamente, ho accettato una noiosa mattinata di scuola.
Con la mia compagna di banco.
Ora che ci penso, quasi tornerei indietro. Quasi.
Avevo promesso qualcosa di pericoloso, estremamente pericoloso e avevo giurato che avrei combattuto per ciò in cui credevo, quello che propriamente, la maggior parte delle persone chiama il proprio ideale, comunque, avrei combattuto e, se fosse stato necessario, sarei morta.
Promessa da coglioni, vero? Me ne accorgo ora, ma ora è troppo tardi.
Genere: Azione, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 16

Ci scortarono fino alla piazza del Duomo, non volevo più vedere quel posto, ma almeno non c'era traccia del Papa.

Diego mi afferrò il braccio e lo strinse con forza, mi stava facendo male. Sbirciai verso di lui: il poliziotto lo teneva per le spalle, le nocche gli si erano sbiancate segno che stringeva con forza, forse per tenerlo fermo, ma perché avrebbe dovuto andarsene?

Una mosca girava placida intorno al mio viso sudato e accalorato, i capelli mi ci si erano at­taccati, il suo ronzio aumentò di troppo, tanto più che sembrava quasi quello di una libellu­la, aumentò ulteriormente: era un elicottero!

Buttai istantaneamente la testa all'insù, era un elicottero giallino chiaro, con delle parti bianche, c'era una scritta, ma da lontano non riuscivo a leggerla, era di colore rosso, il veli­volo si abbassò, sposto l'aria in modo così forte che fui sul punto di volare via, mi schermai gli occhi con il braccio libero.

Un portello si aprì sul fondo, ne uscirono delle specie di panni marroni e beige, mano a mano che cadevano vedevo vestiti abbastanza corti e camicette bianche.

Avvertii un gemito provenire da Diego.

Cos'hai?–

Le... costole–

Eh..?– gettai un'occhiata, la mano del poliziotto pigiava le costole di Diego in modo sadi­co –Ma è pazzo?! Si fermi!– con le unghie cercai di graffiargli la mano, ma lui fu più velo­ce e mi afferrò per un braccio, Debby intervenne e gli morse il braccio con cui mi teneva.

Puttana!–

In un momento di follia presi la mano di Diego senza pensare e cominciai a correre, lui mi aiutò trainandomi, io mi sforzai con tutta me stessa di correre alla velocità della luce, appe­na vidi i poliziotti dietro di me non fu difficile raggiungerla.

Tu sai dove stiamo andando?– urlò Diego.

Non urlare.. non lo so, volevo fuggire– lanciai un urlo, Diego si era fermato e io ero cadu­ta, mi rialzò e mi strinse a sé.

Perché?–

Perché? Ci stanno inseguendo e non sai cos'ha in mente il Papa...– dissi.

Tu lo sai?– sembrava che mi stesse prendendo per matta e forse lo ero. Il Papa, cosa vuoi che possa architettare un vecchietto che sa solo predicare?

No,– ammisi –ma so che...– cosa so? So che non è buono? So che mi vuole uccidere? So an­che che se non mi trovasse sarebbe capace di far uccidere anche tutti gli altri. Egoista, falsa egoista, sono pronta a scappare dalle persone che mi hanno accolta come una famiglia per salvarmi.

Oh, Diego... tu... io... hai ragione e...– mi scaraventò contro un portone, le vertebre schioc­carono.

Diego aveva un dito premuto sulle labbra in segno di silenzio. E che labbra... 'concentrati Ronny' mi dissi. Le forze dell'ordine passarono ignorandoci come in un film e i due inna­morati si baciarono sotto la pioggia... sì, magari, ci trovarono eccome, fu colpa mia ovvia­mente, sbattei la testa contro un campanello appeso al portone e il suono si propagò. Un uomo c'indicò e io lo vidi per un attimo con un'ascia in mano che pian piano calava sul mio collo fino a trafiggerlo con la punta acuminata da parte a parte.

Storsi la bocca. Muggì. Ora era un vichingo, chiunque fosse non è che mi piacesse un granché.

Gridai come una femminuccia mentre schivavo una manganellata, deglutii rumorosamente.

Portava gli anfibi, non sarei mai riuscita a farlo ruzzolare, ma i miei denti erano molto più forti delle mie braccia e dove c'era il pantalone di tela potevano penetrare dolorosamente.

Mi chinai e lo morsi. Muggì nuovamente. Prima che mi prendesse mi gettai sotto le sue gambe, nello scivolare sulla pietra mi sbucciai un ginocchio. Non lo sentii quasi, mi ero sbucciata le ginocchia milioni di volte da piccola, in qualsiasi circostanza. Sanguinava e la gamba mi tremava, controllai che non ci fosse qualche vetro o pietruzza nella ferita e igno­rando il male partii a razzo.

Diego!– ci dirigemmo verso la piazza, speravo che tutti gli altri si fossero messi in salvo, ma nell'istante in cui li vidi capii che non avevano idea di come comportarsi, erano confusi e impauriti ed io li compresi facilmente.

In un attimo solo non sentii più niente, vidi la pietra sfocata che si avvicinava sempre di più e le ginocchia che mi si ammaccavano, il dolore che entrava in me, il sangue caldo che mi scorreva sulla schiena e la maglietta gialla che si tingeva lentamente di rosso. Bramavo di rialzarmi, di non rimanere inerme, ma niente rispondeva più ai miei comandi.

Fermatevi!– pianse una vocina acuta, un angelo a giudicare da ciò che pensavo, ma le mie orecchie come il resto del corpo erano fuori uso, il mio cervello, però, no, quello continua­va a pensare e così riuscii a individuare la voce del mio angioletto, la piccola di sette anni.

Un caldo piacere s'insinuò nella mia mano, la pietra sotto il sole cocente, il senso del tatto stava tornando. Mi accorsi che gli occhi erano chiusi e mi costrinsi ad aprirli, mi accecai inizialmente, poi vidi tutto sfocato e appannato, la vista si fece più nitida ed eccolo il mio angelo che mi sorrideva timida e che con una manina afferrava parte del braccio di un poli­ziotto dallo sguardo truce con in mano un manganello.

Provai a far leva con le braccia, avevo paura che mi cedettero, caddi con la schiena al suo­lo. Digrignai i denti e non respirai per circa dieci secondi. Le fitte alla schiena erano intol­lerabili.

Spalancai la bocca, ma non ne venne suono.

La bimba si chinò su di me e mi scrutò con occhioni dolci.

Ti hanno fatto molto male? Ti medicheranno, te lo prometto– sorrisi incapace di ricono­scere tanta purezza.

Ronny...– sussurrai, volevo sapere il suo nome, ma riuscivo a dire a malapena una parola.

Io sono Fiammetta– trovai la forza di sollevarmi sui gomiti.

Fiammetta? Mai ci fu nome meno azzeccato– commentai.

Perché?–

Beh, tu sei così...– mi fermai, cosa importava del nome? Per la prima volta vidi com'era ve­stita: una lunga gonna marrone a pieghe la infagottava e una camicia troppo grande ci era incastrata dentro, i capelli castano scuro erano intrecciati e fermati sopra la testa.

Come sei conciata?–

Ci hanno costretti a cambiarci–

Cosa?– chiesi sconcertata rivolta ai poliziotti –Perché?– com'era prevedibile non ottenni risposta.

Contando sulle gambe e sulla ginnastica artistica che avevo fatto per alcuni anni mi sollevai da terra.

Non sappiamo perché ci hanno fatto indossare questi vestiti, non ce lo vogliono dire, ci hanno solo detto di andare a casa e accendere la televisione– disse Guido.

Ora ero ancora più confusa. Con delicatezza, mi spogliarono, lavarono, medicarono e mi fe­cero indossare un abito abbastanza corto bianco con, cucita sopra, una cintura di pelle in vita.

Scoprimmo presto che le macchine ci erano state sottratte come i cellulari, io, Diego, Gui­do e Debby andammo a casa a piedi.

La schiena mi bruciava come se qualcuno ci avesse acceso un fuoco, mi avevano colpito con un frustino, l'avevo visto solo adoperato sui cavalli e non pensavo che potesse fare così male, mi ripromisi di non usare mai un frustino su un cavallo.

Entrai nella libreria esausta, Debby e i suoi genitori si rifugiarono da noi e Diego rimase, solo Guido se ne andò via.

Sia Mr. Cloud che Aliviero indossavano dei pantaloni di velluto con una camicia fermati da delle bretelle, ci fecero sedere sul divano, Aliviero mi diede del ghiaccio e accendemmo la televisione.

Su ogni canale c'era il Papa e il primo ministro impassibili e muti.

Quando il primo ministro iniziò a parlare era già passata una mezz'ora da che eravamo tor­nati e quel tempo era stato insostenibile.

Sono lieto di annunciarvi che io e Papa Ziegler abbiamo stilato un accordo– Ziegler sor­rideva maligno –Chiesa e Stato si stanno ricongiungendo, in questi tempi difficili l'Italia ha tanto bisogno di un appoggio e la Chiesa ce lo può donare–.

Siamo ben lieti di collaborare signor Premier– disse flebilmente il Papa.

Sigillai la mascella, avevo terrore, puro terrore di sentire le...

Ebbene l'accordo consiste nell'abbandonare i nostri beni di lusso e ricondurci alla sempli­cità, all'amore, in questo modo ogni famiglia riceverà cibo al mese e ognuno lavorerà.

I vostri lavori sono sospesi a tempo indeterminato, ve ne verranno assegnati di nuovi pre­sto, quanto ai giovani studiosi: potranno continuare nel loro progresso solo i migliori, chiunque venga bocciato anche solo una volta lavorerà e chiunque lo sia già stato farà lo stesso.

Verranno inserite regole nuove che sono ancora da completare. Per quanto riguarda i mez­zi di locomozione vi verrà concesso un cavallo a famiglia e potrete usare le biciclette che ancora possedete. É tutto. Buona giornata– ...cazzate avrebbe detto!

   
 
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