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Autore: Sophie Isabella Nikolaevna    04/03/2013    10 recensioni
"Voglio sapere una cosa, Valjean: perché mi hai salvato la vita?".
"Ti ho salvato la vita", risposi senza esitazione, "perché ti amo".

[Jean Valjean/Javert]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Quest' opera è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia. JEANXJAVERT

PREMESSA:
Questa storia è ispirata dal film "Les Miserables" uscito nel 2012, e non dal libro di Hugo che non ho (PER ORA) ancora letto. Quindi mi scuso per eventuali imprecisioni.
Fra queste imprecisioni: Valjean qui vive ancora due mesi dopo il matrimonio di Cosette e Marius, mentre nel libro e nel film muore il giorno stesso della cerimonia. Licenza poetica, non me ne vogliate. Poi ho "eliminato" l'incontro di Javert e Valjean quando questi e Marius escono dalle fogne, perché avrebbe complicato la storia - e poi oh, è una fanfiction, non un rifacimento del film.
MI SCUSO CON VICTOR HUGO PER LE COSE IGNOMINIOSE CHE FACCIO FARE AI SUOI PERSONAGGI!



GHIACCIO


Solitudine.
La giornata è luminosa, c'è aria di festa. Il matrimonio, nonostante tutto, è andato bene.
Nonostante tutto;
alla fine di tutto.
Penso ancora al matrimonio come se si trattasse di ieri, mentre invece ha avuto luogo due mesi fa. Sto invecchiando: lo sento in ogni movimento, in ogni legamento, in ogni cellula
, in ogni battito sempre più fioco del mio cuore. Il mio corpo non è più quello di una volta, le mie membra non sono più così forti.
Mi alzo stancamente dalla poltrona. L'appartamento di Rue Plumet è grigio e sbiadito senza il sorriso di Cosette, e i muri raccontano di quella paura mista a speranza che per anni ha accompagnato ogni mio giorno - e si è insidiata nei miei sogni ogni notte.
Sono passati due mesi dal matrimonio e un anno da quella notte.

Do you hear the people sing?
Singing a song of angry men?
It is the music of a people
Who will not be slaves again!
When the beating of your heart
Echoes the beating of the drums
There is a life about to start
When tomorrow comes!

Quella canzone echeggia ancora nelle mie orecchie stanche. Anche io ero là a cantarla, un anno fa. La paura, le barricate, i cannoni... la Rivoluzione. Nonostante i miei sensi stiano pian piano svanendo, la memoria ancora
non mi abbandona
.
Il Sole fuori dalla finestra mi abbaglia. Un anno fa era il 6 giugno 1832; un anno fa l'ispettore Javert, mio nemico di una vita, si gettava nella Senna.
Sorrido, pensando all'ironia della situazione: non ho mai saputo il suo nome completo, sebbene io sia stato, in un certo senso, il suo unico compagno di vita. Nemico, opposto, metà. Tutto e niente.
Per me tu non avevi un nome e un cognome: eri semplicemente Javert. Ma ora, ora è troppo tardi per chiamarti in qualsiasi modo.
Troppo tardi.

"Il mio nome è Jean Valjean!".
"E io sono Javert".
Così tutto iniziò. Faceva caldo, quel giorno, nel cantiere navale. Dopo vent'anni di lavori forzati nessuno di noi condannati sapeva più cosa fossero la fatica e il dolore. Non conoscevamo più la paura, non ricordavamo cosa fosse un sorriso. Volevamo solo la libertà da quella galera, l'agognavamo con ogni particella delle nostre anime.
Se io non ti avessi rivelato il mio nome, sarei rimasto semplicemente 24601; se tu non mi avessi rivelato il tuo, mi sarei ricordato di te solo come quell'assistente di guardia che mi diede la libertà di parola. Ma forse entrambi capimmo subito solo con uno sguardo che, nomi o non nomi, la traccia che l'uno avrebbe lasciato sull'altro sarebbe stata indelebile.
"E io sono Javert. Non dimenticarti il mio nome. Non dimenticarti di me, 24601".
Certo che no. Come avrei potuto? Una faccia simile, come ti avrei più volte ripetuto, non si dimentica. Non si dimenticano la fermezza e l'autorità, non si dimenticano gli occhi azzurri. Né quella figura in uniforme, che spiccava elegante e severa in mezzo a quel branco di poveri diavoli, tra cui me. Ma questo mai e poi mai, nemmeno sotto tortura, l'avrei ammesso.
Più tardi avrei saputo che nemmeno quell'assistente di guardia si sarebbe dimenticato di me. Avrei compreso che tutte volte in cui successivamente mi avresti chiamato 24601, in cuor tuo avresti pensato 'Jean Valjean'.

E 'Jean Valjean' fu ciò che pensasti quando mi vedesti sollevare quel carro.
Ero fuggito dalla mia vita precedente, arrivando ad ingannare persino me stesso. Avevo cambiato nome e aspetto, avevo dissolto nel nulla le tracce di Jean Valjean. Ero un altro uomo, ormai, un uomo caritatevole e amato dai propri concittadini.
Il nostro secondo incontro avvenne nel giorno in cui fui eletto sindaco. Era una serena mattina di primavera, che pensavo avrebbe definitivamente segnato l'inizio della mia nuova vita. Mi sentivo un uomo completo mentre, davanti all'intero popolo che mi acclamava, ero chiamato a stringere la mano alle principali autorità economiche e militari dellà città. Mi vennero presentati aristocratici, imprenditori, capitani della guardia e capi di polizia. Ognuno mi sorrideva e salutava come "signor sindaco".
Quando arrivai a stringere la mano all'ultimo uomo - il viso era nascosto dall'ombra del cappello -, sentivo ormai di aver rimediato a tutti gli errori commessi in passato. Finalmente, avrei potuto passare il resto della mia vita in pace, compiendo atti di bene verso un popolo bisognoso. 
Ma di notte arrivano le tigri, con le loro voci morbide quanto tuoni, e infrangono le tue speranze; e tramutano i tuoi sogni in vergogna.
"Molto piacere Monsieur Madeleine, signor sindaco. Io sono l'ispettore Javert della polizia".
Tuttora non saprei descrivere il salto che fece il mio cuore. Fu come un fulmine, in un attimo vidi il mondo rovesciarsi sotto i miei piedi e il mio stomaco si strinse in una morsa. Osservai con gli occhi sbarrati la tua mano tesa davanti a me, mentre tutt'intorno il vociare della folla mi faceva girare la testa. In un breve attimo di lucidità capii qual era la cosa giusta da fare: fingere.
Te la strinsi sorridendo, guardandoti negli occhi - quegli occhi di ghiaccio non erano affatto cambiati dall'ultima volta. Intravidi un sorriso.
"Mi creda, signor ispettore: il piacere è tutto mio".
Ricordo il calore di quella stretta di mano, quel primo contatto fisico che rimase, eterno, scolpito da qualche parte in me.
Da allora, per anni, mi limitai ad osservarti da lontano, cercando di non covare rancore. Anche se tu eri stato una guardia nella prigione che mi aveva torturato per un ventennio - e per cosa?, per un pezzo di pane! -, io mi ero ripromesso che avrei cambiato vita. I rapporti fra noi due avrebbero dovuto limitarsi a cortesi formalità, senza pensare al passato.
Questo, almeno, finché tu non mi avessi riconosciuto.
Ma quando salvai Monsieur Fauchelevent dall'essere ucciso dal proprio carro, la verità venne a galla. Una buona azione pagata a caro prezzo.
"Ho conosciuto un solo uomo nella mia vita dotato di simile forza", mi dicesti, lo sguardo freddo fisso nel mio e la fronte increspata. Il mio corpo fu percorso da un brivido che nascosi, rispondendoti che non si trattava certamente di me: ancora una volta, una faccia come la tua non si dimentica. Un viso simile è impossibile da dimenticare.
Cominciai a sognarti. Ogni notte. Scoprivi la mia identità, mi inseguivi come uno spettro. Nei miei sogni, le fiaccole ai muri del carcere di Tolone illuminavano i tuoi occhi di ghiaccio nella penombra, in una scintilla di rabbia e disprezzo.
Stavi cominciando ad ossessionarmi, Javert.

Poi, arrivò quella notte.
Il gelo dell'inverno ci avvolgeva quando, in un ultimo sacrificio verso il prossimo, rivelai la mia identità in quell'aula di tribunale.
Lo urlai al mondo:
"Chi sono io? 24601!".
I giudici non mi credettero, ma tu sì. Tu ormai sapevi, il tuo fiuto di poliziotto non ti aveva ingannato.
Mi trovasti al capezzale di Fantine, la sfuggente giovane donna dai mille sogni infranti. Era morta, e una parte della colpa incombeva su di me come una spada di Damocle. Ma avrei salvato sua figlia dal mondo di lupi in cui era stata abbandonata, e avrei - forse - completato la mia catarsi.
Se solo non fossi arrivato tu. Se solo tu non fossi mai arrivato. Se solo tu non fossi stato così stupido da essere ossessionato da me, e se solo io non fossi stato altrettanto stupido. Se solo non ci fossimo mai incontrati. Se solo, se solo, se solo.
Se solo tu, ora, non mi mancassi così terribilmente.

Quando ti vidi entrare nella stanza d'ospedale, nella mia testa infuriava un temporale. Non avevo certo la minima idea di quello che sarebbe successo dopo.
"Valjean, finalmente ci incontriamo". Eri tu, da solo, l'uniforme coperta da un lungo cappotto blu scuro. I tuoi occhi risplendevano come nei miei sogni, e il sorriso sghembo sul tuo volto mi faceva paura. "Signor sindaco... come no".
"Ascoltami, Javert", risposi alzandomi. Non te l'avrei mai rivelato, ma il mio corpo, anche se molto più forte del tuo, stava tremando come un fuscello. "Prima che tu dica un'altra parola; prima di incatenarmi di nuovo come uno schiavo, sappi che ho un dovere da compiere. Questa donna ha una bambina che vive di stenti, e solo io posso salvarla. Per pietà, lasciami tre giorni per...".
"Per chi mi hai preso, Valjean?", mi interrompesti. La crudeltà del tuo tono di voce mi feriva come una spada affilata. "Ti ho inseguito per anni e anni. Anni e anni. Gli uomini come te, gli uomini della tua specie, non cambiano mai".
Quando ti vidi sguaniare la spada, che risplendette di luce assassina, smisi di ragionare. Senza nemmeno accorgermene, mi ritrovai a fare lo stesso, e le lame incontrarono con un grido affilato di metallo.
"Devi credermi, Javert!".
"Gli uomini come te non cambiano...". Le spade si incontrarono di nuovo. "... e nemmeno quelli come me!".
I colpi e i clangori si alternarono in un girotondo sul filo di un rasoio. Sai, nella confusione non ero certo se ad emanare quella luce fredda e tagliente fosse la tua lama o il tuo sguardo. Ancora una volta le nostre spade cozzarono l'una contro l'altra, e ci ritrovammo faccia a faccia.
"Tu non sai niente di Javert", mi dicesti in un sibilo. "Io sono nato in una prigione. Sono nato in mezzo a quelli come te". Una tua abile mossa mi colse impreparato, e in un attimo mi ritrovai letteralmente con le spalle al muro. Il tuo respiro era affannoso quanto il mio, riuscivo a sentirlo. Ci fissammo negli occhi per qualche secondo, con un'intensità che mi bruciò il cuore, le guance e il cervello, e persi il controllo di me stesso.
Lasciai cadere la spada e ti baciai con forza, prendendoti per le spalle. Sentii il clangore della tua arma che cadeva a terra andando ad incontrare la mia, e le tue braccia intorno a me. La tua stretta, il tuo calore.
"Valjean...", sussurrasti, ma io ti presi il viso fra le mani e ti impedii di parlare oltre. I tuoi baci bruciavano, il tuo corpo non si staccava dal mio. Posso assicurarti che dentro il tuo sguardo di ghiaccio, Ispettore Javert, ardeva un fuoco inestinguibile. Con un gesto istintivo ti tolsi il cappotto blu.
"Valjean", ripetesti con più decisione. La mia bruciante speranza fu in bilico sull'orlo di un burrone. Mi avresti intimato di smetterla, mi avresti arrestato, ne ero sicuro. La testa mi girò e smisi di respirare, e ti guardai con gli occhi spalancati. Ti prego, non scacciarmi. Ti prego. Ti prego. "Valjean, cerchiamo un altro posto. Qui, chiunque potrebbe vederci".
Il sangue ricominciò a scorrermi nelle vene e il sollievo fu impareggiabile. Trovammo una piccola stanza che sembrava ormai in disuso - gli unici mobili erano un tavolo e uno scaffale vuoto e polveroso -, e diventò immediatamente nostra.
Nemmeno durante le fatiche dei lavori forzati il mio cuore aveva battuto così forte, mai aveva bruciato così tanto. Sotto la giacca blu dell'uniforme la tua schiena era quanto di più liscio avessi mai toccato, e le tue mani sulla mia pelle erano di fuoco. Posso affermare con certezza che in quel momento eri meraviglioso.
"Io ti ho dato la caccia per anni, ma alla fine sei tu che hai preso me, Jean Valjean", dicesti con un tono di voce invitante, il sorriso sghembo e lievemente sarcastico sul viso. Sorrisi anche io e ti accarezzai la schiena tremando, e avvicinai piano ma con forza il tuo corpo al mio.
"Mi raccomando, non urlare", sussurrai.

Non saprei tuttora dire se ciò che ci dicemmo quella notte fu un sogno o la realtà.
So solo che il mattino dopo, al mio risveglio, tu non c'eri più, e io capii con amarezza che avresti ricominciato a darmi la caccia come se nulla fosse stato.

Così fu.
Gli anni passarono, Cosette cresceva e diventava ogni giorno più bella. Parigi era in tumulto, i giovani parlavano di rivoluzione. L'atmosfera era tesa, e ogni tanto sentivo parlare di te. Ma non ti rividi più, in quegli anni.
Poi, arrivò quel giorno, alla barricata. Mi ero recato là per combattere insieme al giovane amato da mia figlia, per salvarlo da morte certa. Paura e polvere da sparo invadevano l'aria, e quei giovani pronti a combattere cercavano di mascherare con i propri ideali il terrore che li pervadeva. Quello che non mi sarei mai aspettato fu di vederti insieme a loro dietro alla barricata, legato ad una sedia. Eri l'allegoria dell'orgoglio ferito. Il ghiaccio nei tuoi occhi era più gelido che mai, e anche da prigioniero mantenevi alta la tua dignità, la stessa tua dignità di sempre.
La tua vista fu come un macigno nel petto; tuttavia ero lì per combattere. Cercai di distogliere lo sguardo da te e di rispondere alle domande che i giovani rivoluzionari mi stavano ponendo.
"Chi siete?".
"Sono un volontario".
"Avete l'uniforme dell'armata".
"Per questo mi hanno lasciato passare".
Non avrei mandato in fumo gli anni che avevo passato cercando di dimenticarti, non per l'averti rivisto per un momento.
"Lo vedete quel prigioniero?", mi chiese improvvisamente uno dei giovani.
"Sì", risposi con finta indifferenza, mentre il tuo sguardo si posava su di me.
"Tu, un volontario?". E di nuovo quel tuo sorriso sghembo. Questa volta, però, era un sorriso privo di qualsiasi emozione.
"E' l'Ispettore Javert, una spia del nemico", mi spiegò il giovane che ti aveva indicato.
Decisi di cogliere l'occasione al volo:
"Lasciate che mi occupi io di questo Javert". Non sapevo bene che cosa io stesso avessi in mente.
"Il prigioniero è vostro, signore".
Mentre i giovani si chinavano su una mappa per discutere i piani strategici del nemico, io mi avvicinai a te. Eravamo lontani dal gruppo di rivoluzionari, e nessuno badava a noi.
Mi osservavi con rabbia, quasi con disprezzo, come nei miei sogni di tanti anni prima. Il macigno che avevo nel petto diventava sempre più pesante, e il tuo sguardo collerico sempre più doloroso da sostenere. Avevi più rughe intorno agli occhi dell'ultima volta, e i segni della stanchezza erano più evidenti sul tuo viso. Tuttavia, eri tu. Eri sempre tu.
"Così, ci incontriamo di nuovo". La tua voce era del tutto priva di emozioni. Apatica. "Avanti, ora puoi vendicarti per tutti gli anni in cui ti ho dato la caccia. Puoi vendicarti anche perché quella notte me ne sono andato".
Mi lasciasti senza parole. Aprii la bocca, ma qualcosa - un peso - mi impedì di parlare. Presi fuori dalla cintura un coltello e lo strinsi con forza.
"Parli troppo, Javert". Mi avvicinai a te cercando di dominare i battiti del mio cuore che mi scuotevano da capo a piedi, e cercando di allontanare i ricordi dell'ultima volta in cui eravamo stati così vicini. Tu guardavi fisso davanti a te, incurante di quello che stavo facendo: eri certo che ti avrei ucciso da un momento all'altro.
Con un taglio veloce ti liberai dalle corde.
"Hai salva la vita, ora vattene", ti comandai a bassa voce.
"Cosa... Perché?", ecslamasti. Ti alzasti in piedi e facesti subito qualche passo indietro, allontanandoti da me.
"Vattene!", ripetei ad alta voce, ma lo stesso facendo attenzione che il gruppo di giovani non mi sentisse.
"Sei un ladro, e come tutti i ladri rubi sempre tutto quello che vuoi". Lessi l'odio nei tuoi occhi mentre pronunciavi queste parole. Quel fuoco che avevo visto ardere una volta nel ghiaccio si era spento, si era spento per sempre.
"No, hai torto", risposi con la voce che mi tremava, "e hai sempre avuto torto, Javert. Io sono un uomo, e non sono peggiore di nessun altro uomo. E ora, vattene! Sei libero, senza condizioni. Non c'è nulla di cui io ti incolpi, Javert". Mi avvicinai a te guardandoti negli occhi, in cui mi parve di scorgere un barlume di pentimento. "Nessun rancore, tu hai sempre e solo fatto il tuo dovere. Va', e se ne uscirò vivo, potrai arrestarmi".
Eravamo di nuovo vicini come quella notte, e potevo chiaramente leggere in te lo smarrimento.
"Non hai nessun rancore", mormorasti, incredulo.
"Nessun rancore, Javert. Nessun rancore". Senza che nessuno mi vedesse ti accarezzai una guancia e ti diedi un breve bacio. "E ora, scappa".
Ti guardasti intorno, smarrito, e poi corresti via, lasciando dietro di te la malinconia.
Sparai in alto, per ingannare i giovani ancora intenti a discutere di avere sparato a te, e una lacrima mi bagnò la guancia.

Infine, l'ultimo ricordo. Era notte, e pioveva da nuvole di piombo. Correvo contro il tempo, lungo il ponte della Senna. Ti avevo visto da lontano, dopo aver messo in salvo Marius, mentre ti dirigevi là, e avevo avuto un brutto presentimento. Potevo vederti chiaramente nonostante la pioggia, e le tue intenzioni mi erano più che chiare.
"Javert!", urlai, ma la mia voce fu coperta da un tuono. "Javert!".
Ormai mi mancava poco. Ti avvicinavi sempre di più al parapetto, ecco che ti apprestavi a salirci sopra. No, no, no!
"Javert, no!". Mi slanciai in avanti e ti spinsi via, cadendo insieme a te sulla dura pietra del ponte.
"Non avresti dovuto venire qui, Valjean", mi ringhiasti. "Lasciami fare quello che ritengo opportuno".
"Ma perché, Javert, perché?!", domandai disperato.
"Il mondo non è più come pensavo, Valjean, e io non posso farci niente. Posso solo andarmene!".
"No!", gridai. "Tu sei un uomo forte, non puoi farlo!".
"Pensavo che tu fossi un criminale, Valjean", dicesti, con un tono di voce calmo. "Un criminale tremendamente affascinante, sì, un criminale capace di ossessionarmi. Ma pur sempre un criminale. Ho passato anni pensando a te giorno e notte, sognandoti ogni volta che chiudevo gli occhi".
"Anche io", cercai di rassicurarti prendendoti la mano, che tu ritirasti.
"Ma io non potevo continuare così, capisci? La legge, la mia anima, il mio dovere... non era destino, Valjean, non per noi due. Ho cercato in tutti i modi di dimenticare quella notte, ma dopo averti rivisto il mio mondo non regge più. Io credevo che tu fossi un criminale, eppure mi hai salvato la vita dopo che io ti ho inseguito per anni, e dopo che ti ho abbandonato. Il mio mondo sta crollando, capisci Valjean? Non posso più viverci".
Ti abbracciai stretto, senza preoccuparmi di nascondere le lacrime, e respirai un'ultima volta l'odore del tuo corpo. Questa volta non opponesti resistenza.
"Non è giusto. Non devi farlo. Se non lo farai, potremo una volta per tutte dimenticare quello che è successo e ricominciare da capo. Insieme".
"Mi piacerebbe, Valjean. Ma non si può, lo sai anche tu. Io non posso. Voglio sapere una cosa, perché mi hai salvato la vita?".
"Ti ho salvato la vita", risposi senza esitazione, "perché ti amo".
Improvvisamente sentii le tue braccia attorno a me e le tue labbra sulle mie, e cercai di vivere quell'attimo il più intensamente possibile. Poi, sciogliesti l'abbraccio e salisti sul parapetto.
"E tu, perché vuoi morire?", chiesi.
Ti voltasti verso di me e ci fissammo negli occhi un'ultima volta. I tuoi occhi di ghiaccio.
"Voglio morire perché non è possibile che io ti ami". Quel tuo sorriso... "Mentre invece ti amo".
E sparisti nella pioggia.

Fisso il cielo sereno fuori dalla finestra, uscendo dal tunnel dei ricordi.
Così è stato, Javert, così siamo stati. Un anno fa. Ma ora è tutto finito.
Mi siedo di nuovo sulla poltrona, le mie membra stanche e doloranti hanno bisogno di riposo. Sorrido: sono vecchio, Javert.
Forse, fra poco, saremo di nuovo insieme.


FINE


NdA:
Oddio, l'ho scritta davvero.
Ecco. Cominciamo dicendo che io AMO "Les Miserables", che ho pianto per tutto il tempo, che amo Valjean, che amo Javert, che amo tutto!
Ok. Forse questo si era capito.
Non so neanche io come mi sia venuta questa idea. Vi prego, non picchiatemi, non bastonatemi, non vogliatemi male.
E nel caso vogliate picchiarmi/bastonarmi/volermi male, sappiate che è stata la mia amica sushiprecotto_chan a fomentare la mia idea di scrivere questa storia: E' COLPA SUA!!!
Muahah. Vabbè.
Spero che abbiate apprezzato almeno un po' questa cosuccia... e anche se non l'avete apprezzata... RECENSITE!
Un bacione a tutti e alla prossima!
Sophie







   
 
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