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Autore: Cornfield    04/03/2013    2 recensioni
(Dall'ottavo capitolo):
Non riuscivo a crederci. Non riuscivo a guardarla in faccia, non meritavo di guardarla in faccia, non sapevo suonare, non sapevo allacciarmi le scarpe, sapevo solo di non sapere. Ero un completo disastro.
E mia madre aveva ragione.
Scesi di corsa dalle scale e uscii da casa, mentre mia madre piangeva lacrime amare, mentre il cielo piangeva e la mia faccia era completamente bagnata.
Dal sudore, dalla pioggia e da altrettante lacrime.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
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Mentre mi incamminavo verso la scuola, buttai lo zaino nel cassonetto, buttai qui libri pieni di parole incomprensibili, buttai soltanto illusioni e feci dietro front.
Mia madre mi aveva visto uscire tutti i giorni e inoltrarmi nelle vie che poi portavano alla mia schiavitù. Ma ciò che facevo, puntualmente, era svoltare a destra e fumarmi spinelli a Christie Road.
Quel giorno però, dato che non avevo chiuso occhio la notte scorsa, decisi di rilassarmi sul letto leggendo "Il giovane Holden", forse le uniche pagine sfogliate in vita mia.
Ruppi il silenzio in casa aprendo la porta. Tutti i miei fratelli erano a lavoro o a fare commissioni, inclusa mia madre. C'ero solo io e i ricordi di cui la casa viveva.
Mi sistemai placidamente sulle sul divano ed aprii il libro, lasciandomi cullare da quelle parole. 
Quando ormai mi ero completamente immerso in quel mondo chiamato fantasia, sentii la porta chiudersi. Deglutii. Scesi le scale molto piano per vedere chi era entrato, nascosto dalla parete. Scorsi una figura bassina, con i capelli rossici: mia madre. Merda, merda, merda. Perché era tornata a casa prima? Maledissi il mio fottuto destino, se almeno ne avevo uno. La mia unica scelta era quella di scappare dalla finestra, ma mi sarai inevitabilmente schiantato per terra, forse l'unica fine che mi aspettava, dopo tutto quello che avevo combinato.
Decisi che sarebbe stato molto meglio semplicemente chiudermi in camera. Mia madre non avrebbe avuto nessun motivo di entrare proprio li.
Mentre risalivo le scale inciampai su un fottuto gradino e non potei evitare un "Cazzo!". Avevo le scarpe slacciate. Questo destino deve essere proprio burlone. Scarpe slacciate già. Non sapevo cavarmela, non sapevo allacciarmi le scarpe e cosi scappavo dai miei problemi. E che cosa ottenevo? Solo un livido e una delusione da parte di mia madre. .
"Perché cazzo sei qui?" La sua voce era ruvida, fredda come un pezzo di ferro. Di certo non prometteva bene. Qualsiasi scusa mi fossi inventato, lei l'avrebbe smascherata. Cominciai a rimpiangere la fuga dalla finestra.
Non riuscii ad articolare niente. "Perché non sei a scuola? Lo so perché non sei a scuola.." Fece un attimo di pausa e si bagnò le labbra. Credevo che le sue parole si sarebbero addolcite e il tutto si sarebbe concluso con un abbraccio. Ma ciò che speravo, non accadeva mai. "Perché sei un fottuto coglione, ecco perché. Perché tu preferisci fumarti canne piuttosto che crearti un futuro. Perché tu sei solo un egoista e non pensi a noi, studiando potresti lavorare e lavorare porta soldi. Ma tu sei un fottuto idiota. Tu pensi di avere ancora 10 anni. Tu ne dimostri 10 Billie Joe, dimostri 10 anni, anche di meno. Ora ti voglio fuori da questa casa, fuori dalla mia vita. Non voglio altre delusioni da nessun'altro. Vai via."
Non riuscivo a crederci. Non riuscivo a guardarla in faccia, non meritavo di guardarla in faccia, non sapevo suonare, non sapevo allacciarmi le scarpe, sapevo solo di non sapere. Ero un completo disastro.
E mia madre aveva ragione.
Scesi di corsa dalle scale e uscii da casa, mentre mia madre piangeva lacrime amare, mentre il cielo piangeva e la mia faccia che era completamente bagnata.
Dal sudore, dalla pioggia e da altre lacrime.
 
La testa mi stava scoppiando.
In quel momento avrei voluto soltanto uccidermi, avrei fatto felici tutti, persino me stesso. Presi la boccetta di anfetamina. Una pillola mi chiamava.
Tutti i miei amici andavano a scuola, certi che avrebbero intrapreso una brillante carriera. Che cosa sciocca. Il destino non pianifica mia niente, succede tutto per caso. Nessuno sapeva niente, il destino non sapeva niente e forse non l'ha mai saputo.
Svitai il tappo della boccetta.
Perché mi chiamano irresponsabile? Perché mi chiamano abituale? Perché non possono vivere la loro inutile vita senza pensare al futuro? 
Noi uomini non sappiamo assolutamente niente.
Questi però erano solo pensieri di un bambino di dieci anni. Probabilmente con il passare del tempo avrei avuto sempre le stesse imperturbabili opinioni. Io non volevo crescere.
Presi una pillola.
Ma cosa significa "crescere" esattamente?
Me la misi in bocca.
Crescere significa diventare più alto?
Presi un'altra pillola.
Crescere significa maturare dal punto di vista delle idee?
Mi misi in bocca anche quella.
O crescere significa saper mantenere i propri valori, anche se dimostri di essere un bambino di 10 anni?
A quel punto non riuscii a prendere altre pillole, perché gli hot dog volanti mi offuscarono la mente.

Spazio autrice.
 Il capitolo è corto, io vi avevo avvisato. L'altro credo sarà molto più lungo, ma non vi do nessuna certezza (?) Come forse avrete notato ho usato il testo di No one Knows e ho un pò abbozzato le idee di Android. Eh si ci stiamo avvicinando a quell'album che fa il rumore della cacca: Kerplunk! <3 Recensite caVi, fatelo per il bene degli hot tog volanti, grazie a voi potranno avere un futuro migliore di questo. Ok no.
  
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