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Autore: Fauna96    06/03/2013    3 recensioni
La storia di Jimmy, Gloria e Christian: tre anime inquiete che cercano di sopravvivere nel mondo, legate da un solo destino.
Dal prologo: "Jimmy si morse il labbro. Non era giusto. A nessuno importava di lui, solo perché aveva dieci anni!
Salì di corsa le scale, con gli occhi colmi di lacrime di rabbia. Che aveva fatto di male per essere trattato come un poppante? Sì, non era ancora adulto, ma non era nemmeno uno stupido moccioso!
- Jimmy -.
Sua sorella Gloria lo guardava dalla porta della camera, infagottata in un pigiama rosa. – Che è successo? -
***
Christian si asciugò le lacrime e cercò di guardare fuori dal finestrino: il quartiere industriale dove era nato e cresciuto era sparito; si accorse con stupore che stavano attraversando la strada del centro di Detroit. Ma dove erano diretti? Davanti a lui sfilavano palazzi e case di ogni forma, macchine, persone affaccendate che camminavano sui marciapiedi.
Finalmente giunsero a destinazione. Christian scese dalla macchina e osservò l’edificio che aveva davanti: somigliava a una scuola.
- Perché ci hanno portati qui? – chiese. Nessuno dei suoi fratelli rispose."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Christian, Gloria, Jesus of Suburbia, St. Jimmy, Whatsername
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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 Jesus of Suburbia

I Jesus of Suburbia
 

3 Marzo 2004
La coscienza tornò, insieme a un mal di testa martellante, seguito da un dolore sordo alla schiena.
Aprì gli occhi tentando di alzarsi, ma un improvviso malessere lo costrinse a crollare di nuovo a terra. Nonostante tutto, era perfettamente lucido: si trovava al 7 – 11 dopo una nottata passata a bere e divertirsi. Aveva dormito per terra, per questo la schiena doleva.
Riprovò ad alzarsi e stavolta riuscì a mettersi seduto, sebbene il corpo lanciasse vibranti proteste; intorno a lui, tra bottiglie vuote e altra spazzatura, tutti gli altri come angioletti. Oh be’, in senso molto figurato.
Fece un profondo sospiro issandosi sulle gambe che, anche se un po’ malferme, lo sostennero. Si passò una mano sulla faccia, scoprendo con sorpresa che aveva una gran fame. Se voleva mangiare, però, era meglio andare a casa: lì non c’era più neanche l’ombra di qualcosa di commestibile.
Uscì, e la luce del sole lo colpì con violenza, costringendolo a chiudere un attimo gli occhi. Che ora poteva essere? Sicuramente era pomeriggio inoltrato.
La sua casa era sempre la stessa, un po’ trascurata e malmessa, e anche le persone all’interno non erano cambiate granché: una donna depressa e alcolizzata e una ragazzina che cercava di trovare il suo posto nel mondo. Come lui, d’altra parte. Lui... era cambiato forse nel modo di vestire, nel comportamento e nelle abitudini, ma la rabbia che lo accompagnava era la stessa da quando aveva dieci anni.
Quando entrò, Gloria era seduta al tavolo della cucina a fare i compiti. Al contrario del fratello, che andava a scuola a cazzeggiare un giorno sì e tre no, e solo perché ci era costretto, a Gloria piaceva imparare e studiare. Era curiosa riguardo al mondo che la circondava, e anche piuttosto polemica. In questo erano uguali, ma lui tendeva più ad andare contro a testa bassa, mentre lei era una stratega.
Jimmy rispose al suo sorriso e le fece una lieve carezza sui capelli. Anche il profondo affetto che li legava era rimasto lo stesso con gli anni: Gloria non lo giudicava mai, non diceva una parola su quel che lui combinava; le importava solo che rimanesse accanto a lei, in qualche modo. Al contrario, sua madre non risparmiava acidi rimbrotti, proprio lei, l’ultima persona la mondo che avrebbe dovuto parlare!
Gloria si girò a guardarlo. – Hai tutta la matita sbavata – gli fece notare. Jimmy alzò le spalle e si diresse al frigorifero. Lo aprì, alla ricerca di qualcosa di edibile. Ah, figurarsi! Sarebbe diventato presidente degli Stati Uniti prima che ci fosse un cazzo di cibo lì dentro!
- Mamma è andata a fare la spesa – lo informò Gloria, a mo’ di scusa. Jimmy rispose con un grugnito, accontentandosi di un pezzo di pane nella credenza. Almeno, non ce l’aveva tra i piedi a rinfacciargli che figlio snaturato era. Sua madre era così: quando era sobria, pretendeva do controllargli la vita (come tutte le madri), si chiedeva perché non fosse il figlio modello come quelli delle sue (ex)amiche; poi però beveva, e manco si ricordava più di avere un figlio. Che andasse a fare in culo.
Gloria, a dodici anni, era di gran lunga la più matura della “famiglia”. Lui invece non era altro che un bastardo senza né arte né parte, e lo sapeva benissimo. E non gliene fregava nulla. Sua madre faceva quello che le saltava in testa? Perfetto, pure lui. Gli piaceva divertirsi, sbronzarsi con gli amici anche tutti i giorni, farsi le canne. Era fatto così e non ci trovava niente di sbagliato.
 
Accese lo stereo, alzando il volume al massimo, tanto Gloria era uscita, per cui non l’avrebbe disturbata.
La sua camera era spaziosa, con le pareti tappezzate di scritte, bandiere, poster. Appeso al muro c’era un lungo specchio e fu lì davanti che si fermò un momento.
Il ragazzo che lo fissava era magro, di media altezza, un viso pallido e piuttosto carino. O almeno, le ragazze lo trovavano carino. I capelli scuri erano arruffati, gli occhi azzurri resi ancora più chiari dalla spessa matita nera. Era quello il riflesso che vedeva da quattro anni ormai, da quando Dan Hodger l’aveva iniziato al punk, da quando l’aveva tirato dall’abisso nel quale stava scivolando.
Dan era morto un paio d’anni prima, in un incidente stradale; Jimmy aveva sofferto molto per la sua perdita: era diventato una sorta di fratello maggiore per lui, gli aveva dato la possibilità di scappare dal grigiore della sua vita... Ma d’altra parte, la morte di Dan l’aveva fatto maturare ancora, e ora il “capo” non dichiarato del 7 – 11 era lui. Ma non più Jimmy. Jimmy era il ragazzino spaventato e arrabbiato, il fratello di Gloria... il capo del 7 – 11 era Jesus of Suburbia, come lo chiamavano i suoi discepoli. Carismatico, amante del rischio, intelligente... e, perché no, bello; Jesus of Suburbia, che seguiva solo i proprio comandamenti, non aveva altro Dio all’infuori di se stesso. Era il figlio della rabbia e dell’amore: la rabbia di suo padre e l’amore di sua madre. L’amore che un tempo sua madre aveva provato. E lui era lì, bloccato tra quei due sentimenti contrastanti, incastrato fra Paradiso e Inferno. Ok, al momento tendeva decisamente al secondo.
Qualcuno bussò alla porta e Jimmy sorrise lievemente; comparve la figura snella di Mary Jane, che senza esitare gli si avvinghiò addosso e lo trascinò sul letto. La notte prima lei non c’era per chissà quale ragione, e ora aveva tutto il diritto di spassarsela.
 

 
II City of damned
Mary Jane se n’era andata, lasciandolo mezzo nudo sul letto a fissare il soffitto. Stavano insieme da qualche tempo, non ricordava esattamente quanto. Era una bella ragazza, forse un po’ frivola, ma per scopare andava benissimo. Non che Jimmy fosse così superficiale: non si sarebbe mai potuto mettere con una stronza o scema solo perché era belle e brava a letto. Mary Jane era simpatica, non troppo assillante e tutto sommato gli piaceva. Andava bene: non stava mica cercando il vero amore e stronzate simili.
Sentì sbattere la porta di casa. Oh merda: Gloria non sbatteva mai le porte, quindi sua madre era tornata. Sbuffò, affondando la faccia nel cuscino. Lo aspettava un’allegra predica che gli sarebbe servita quanto erba guasta.
Si rivestì svogliatamente: maglietta sgualcita dei Sex Pistols, jeans strappati con catena e anfibi. Si ritoccò un poco la matita e scese giù con gran fracasso. Se sua madre era ben decisa a rovinargli la vita, lui avrebbe ricambiato con calore.
Lei era in cucina. Jimmy le passò davanti senza degnarla di uno sguardo; aprì il frigo, afferrò una birra e se la scolò. Era birra di pessima qualità, ma era il gesto che contava.
Fece per uscire per i fatti suoi, ma sua madre lo bloccò. – Jimmy, vieni qua -.
- Che cazzo vuoi? – replicò lui seccato.
- Devo parlarti. Siediti -.
Jimmy rimase in piedi, posando la bottiglia sul tavolo. – Sbrigati, mi aspettano -.
- Comportandoti così, fai del male a tua sorella -. La cosa lo lasciò spiazzato. Che c’entrava Gloria adesso? Si aspettava la solita ramanzina sulla totale inutilità della sua vita... Perché aveva tirato in ballo Gloria? Un nuovo piano per farlo sentire in colpa?
- Come credi che sia, per lei, avere un fratello sbandato che si droga? Io voglio che lei vada al college, non come te -.
Jimmy sentì la rabbia montargli dentro. Ah, era tutta colpa sua, giusto? Colpa sua se la loro vita faceva schifo? Colpa sua se suo padre se n’era andato e lei depressa?
Strinse i pugni. – Vaffanculo. Sono io che mi sbronzo a casa mia tutte le  sere da sette anni, io che lascio i miei figli a loro stessi, eh? La verità è che sei tu che non riesci a darle quello di cui ha bisogno. Ha più bisogno di una madre che di un fratello perfetto, non credi? All’ultimo ricevimento dei genitori sono andato io al tuo posto, perché eri lì in coma, praticamente. Se questo era solo un modo per... cazzo ne so, convincermi a fare qualcosa, a cambiare, non funziona. So benissimo che non te ne fotte niente di lei, come di me -.
Se ne andò sbattendo la porta con furia. Fanculo. Fanculo al mondo.
Il sole si era abbassato, l’aria era più fresca. Jimmy si guardò intorno. La rabbia si stava riaddormentando, ma si tratta va solo di un sonnellino: alla prima occasione sarebbe saltata fuori più forte che mai. Guardò le strade sporche, le vecchie case con i graffiti, i cassonetti straripanti di spazzatura. Ecco, era di nuovo Jesus of Suburbia; era nella sua Gerusalemme.
Passò correndo un gruppo di monelli con le facce sporche, sogghignando. La sua Gerusalemme aveva una buona percentuale di ragazzini che giravano in branco da una parte all’altra di Jingletown combinando marachelle. Molto tempo prima, anche lui era così; poi l’infanzia era finita bruscamente e si era perso in quel difficile luogo tra l’essere bambino e il diventare adulto. Ed era tuttora sperduto lì, sebbene non gli piacesse pensarlo. Ma era la verità per quanto spiacevole potesse essere. E prima o poi, anche quei ragazzini si sarebbero persi.
Poi c’erano i bravi ragazzi, che tra vent’anni sarebbero diventati le copie dei loro genitori: per i maschi un noioso lavoro in un qualche ufficio, le ragazze sarebbero diventate madri di famiglia bigotte.
C’erano gli emarginati, come sua madre, i rifiuti della società; e poi i suoi discepoli. Anche loro erano rifiutati dai benpensanti, ma c’era una gran differenza tra loro e gli altri: Jesus e i suoi non anelavano a entrare nelle parte “giusta” della società. Erano diversi, e tali volevano rimanere.
Si dice che i fantasmi appaiano sempre alla stessa ora facendo sempre le stesse cose; ebbene, quella era una città fantasma, dove tutti facevano le stesse cose ogni giorno, una città di dannati, da cui pareva che nessuno riuscisse a scappare.
- Ehi, Jesus! – uno dei suoi discepoli, un certo Aaron, gli sembrava, lo salutò. Lui rispose con un cenno pigro, continuando a camminare. Gli piaceva passeggiare per la città da solo, lasciando la mente libera di vagare. Gli dava la piacevole sensazione di... possedere tutto e tutti. Ma era una sensazione illusoria: ci poteva essere un padrone in una città di morti?
 

III I don’t care
Jimmy tolse il tappo al pennarello nero indelebile. Si mise in piedi sulla tazza del cesso per scrivere meglio sul muro.
Si trovava in un gabinetto pubblico, quello dietro al supermercato, e si stava dedicando a una delle sue attività preferite: scarabocchiare sui muri.
Disegnava, scriveva stralci di suoi pensieri, tutto quello che gli veniva in mente; come se a volte si sentisse così pieno da dover tirare fuori qualcosa, per non scoppiare.
Disegnò due figure nere; ad una aggiunse lunghi capelli e due grandi occhi. una ragazza. Una ragazza sconosciuta, dal volto ancora ignoto. L’altra figura rimase torvamente in ombra, minacciosa e inquietante, con il cappuccio tirato su e le mani in tasca.
Jimmy scese e si accovacciò per terra; si accese una sigaretta con dita nervose, la rabbia che gli mordeva il cuore. Perché? Perché, cazzo, non poteva... essere normale? perché c’era sempre qualcosa che gli impediva anche solo di provare ad essere, se non felice, quantomeno sereno? Dan avrebbe detto che lui era diverso dagli altri, e di ciò doveva esserne fiero. Ma ora era solo stanco.
Era come avere una belva annidata nel petto, da quel maledetto giorno di settembre.
Ma alla fine, era davvero importante? Gli importava “essere in pace con se stesso”?
Si alzò di scatto e scrisse sul muro a caratteri cubitali I DON’T CARE. I don’t care.
Uscì come una furia dal bagno ed entrò nel piccolo supermercato, l’unico della zona.
Era deserto a quell’ora, fatta eccezione per un giovane commesso che gli gettò un’occhiata inquisitoria. Doveva avere qualche anno in più di lui, un universitario. Jimmy lo ignorò, afferrò una bottiglia di vodka e la aprì con un gesto secco. Dirigendosi alla cassa, ne bevve una gran sorsata e la sbatté di fronte al commesso.
- Quanto viene? -.
Il ragazzo lo scrutò e gli disse il prezzo. Jimmy buttò ma terra la bottiglia che si ruppe in mille pezzi spargendo vodka dappertutto. – E’ troppo, cazzo! Fottiti -.
Si girò per andarsene , ma il commesso gli si parò davanti. – Quella me la paghi -.
- No. Non l’ho mica presa. Spostati, coglione -.
- Tu la paghi! Solo perché ti metti la matita come un frocio pensi di poter fare come vuoi? -.
Jimmy aspettava solo quel momento. Caricò indietro il braccio e gli mollò un poderoso pugno in faccia. Il ragazzo barcollò all’indietro, la bocca sanguinante, e Jimmy lo guardò dall’altro con disprezzo. – Adesso vai a piagnucolare dalla mamma? Non lo capisci che a me non importa? -.
Uscì a grandi passi; fuori lo aspettavano gli altri ragazzi, seduti sul marciapiede. Sembravano nervosi: Mary Jane, quando lo vide, si alzò e gli fece un cenno col capo.
Lui si voltò e vide parcheggiata lì una macchina della polizia. Cazzò, che due palle... probabilmente stavano solo facendo un giro ed erano stati attirati dal trambusto; oppure li aveva chiamati qualche vecchia rimbambita che aveva intravisto qualcosa dalla vetrina.
Un paio di poliziotti si avvicinarono. – Giovanotto, vieni con noi -.
- Perché dovrei? – Jimmy alzò le spalle. – No, non ci vengo -.
- Ragazzo... – iniziò a dire uno dei due afferrandogli il braccio. Jimmy gli diede uno spintone. Alle sue spalle, tre o quattro ragazzi si alzarono.
- Cerchiamo di mantenere la calma – disse l’altro il poliziotto con fare conciliante. – Abbiamo ricevuto delle lamentele sul tuo conto: vandalismo e minacce. Ma è tutto da confermare, vogliamo solo farti qualche domanda. Jimmy, giusto? – lui trasalì. – Niente manette, è solo un fermo -.
- Io non vengo con voi, ho dettò – ringhiò Jimmy. – Fuori dai coglioni -.
- Ora basta! – esclamò il poliziotto che aveva spintonato. – Fece un passo avanti, ma prima che anche il ragazzo potesse reagire, Joey e Kim erano intervenuti per il loro Jesus, e il poliziotto finì a terra.
Jimmy afferrò l’altro e lo buttò sull’asfalto vicino al collega. I suoi discepoli gli facevano cerchio attorno.
- Non sono Jimmy. Sono Jesus of Suburbia. Hai capito? O forse devo spaccarti la testa perché ti entri dentro? Prova a chiamarmi così o a toccarmi di nuovo e giuro che ammazzo tutti e due  qui, per strada. Non me fotte niente. Io faccio quello che voglio qui, e non sarà certo uno sbirro figlio di puttana a dirmi di smetterla. Non me ne importa niente. Niente -.
Se lo ripeteva anche dentro di sé. Non mi importa. Non mi importa. Non mi importa! Non mi importa di questa città, di questa gente... non mi importa neanche di me stesso.

 
IV Dearly beloved
- Adesso sei veramente nella merda, Jimmy, ma veramente! Picchiare dei poliziotti! – Mary Jane parlava, parlava da mezzora come minimo, ma lui aveva spento il cervello e si limitava a fissarla con uno sguardo vuoto.
Non lo capiva, quella ragazza, che lui era sempre nella merda? Qualunque cosa facesse, era lui quello sbagliato, il ritardato, l’imputato. sarebbe sempre stato così, in quella città così come dappertutto.
O forse no. Se... se avesse trovato un posto dove stare, il posto giusto per uno come lui... Ma via, non esisteva un posto giusto per Jesus of Suburbia... a meno che non se lo creasse.
- Mi ascolti? – strillò Mary Jane.
- No. Cazzo, piantala. non ho bisogno di un’altra rompicoglioni, ok? – aveva parlato in tono aggressivo, per ferirla. E ci era riuscito: lei rimase a bocca aperta, un’espressione offesa e dispiaciuta dipinta in volto. Era la prima volta che Jimmy la trattava con rabbia e disprezzo.
- Io... voglio solo aiutarti, Jimmy – balbettò.
- Ti ho chiesto aiuto, io? No! Non lo voglio e non ne ho bisogno – si alzò da terra e fece per andarsene ma lei lo afferrò per un braccio. – Non capisco... mi stai lasciando? -.
- Lasciarti? Non siamo mai stati insieme... non come stanno gli altri. Io non ti amo. Non sono in grado di amare nessuno, e non lo voglio nemmeno; pensavo lo sapessi -.
Liberò il braccio dalla sua debole stretta e se ne andò, senza voltarsi indietro a guardare la ragazza piangente.
Quando vide all’orizzonte il 7 – 11, si bloccò Non voleva andare lì ma... non sapeva dove altro andare. A casa? No, per carità. Tutte le opzioni si riducevano a quello sporco parcheggio con i muri coperti di graffiti.
Basta... basta... non ce la faccio più... Non riesco più a... vivere.Si accasciò a terra, nascondendo la testa tra le braccia.

 
V Tales from another broken home
Non riusciva più a respirare... Si sentiva soffocare dalla sua stessa vita. Allora... perché cazzo non moriva? Non respirava ma si trascinava avanti stancamente, come un morto vivente. Nonostante tutti i suoi sforzi, era diventato come qualunque altro abitante di quella città.
- Jesus! Jesus! Stai male? – Alzò il capo, incrociando lo sguardo con quello di... come cazzo si chiamava? Al momento, non riusciva a ricordarselo.
Scostò il ragazzo con un gesto secco e si tirò in piedi. – Mai stato meglio -.
Ora capiva. Si mise a correre mentre l’altro gli gridava. – Dove vai? -.
- Via! – rispose Jimmy. Sì, andava via, via da quella città maledetta con il suo carico di bugie e paura.
Corse fino a casa, si fermò, piegandosi sulle ginocchia con il respiro affannoso. Poi entrò, senza neanche richiudere la porta dentro di sé e salì i gradini a due a due.
Afferrò febbrilmente uno zaino e ci cacciò dentro due vestiti, qualche soldo...
- Jimmy – Al suono di quella voce, tutta la furia si acquietò. Si  voltò piano, temendo ciò che avrebbe letto in quegli occhi così simili ai suoi.
Gloria era in piedi sulla soglia, i capelli sciolti sulle spalle, a piedi nudi. – Te ne vai? – mormorò.
Jimmy deglutì. Nonostante tutto il bene che le voleva... non si sarebbe rimangiato la sua decisione.
Si inginocchiò di fronte a lei, come per scusarsi. – Sì. Io... non respirò più, Gloria. Voglio vivere, voglio... – la sua voce si spense, mentre aspettava che lo insultasse come meritava.
Inaspettatamente, Gloria lo abbracciò. – Portami con te! Ti prego... non lasciarmi qui, da sola... ti prego! Avevi detto che ti saresti occupato di me e della mamma! -.
- L’ho detto, è vero. Ma... io non so dove andrò, cosa farò, chi incontrerò... Come posso occuparmi di te in questo modo? Sarai più al sicuro qui... E la mamma non ha bisogno di me e non mi vuole. Non ho più niente da fare qui. –
Gloria si staccò, gli occhi lucidi. – Ma... io ti voglio bene -.
Jimmy sentì un gran calore nel petto. – Anch’io. E questo non cambierà mai, ovunque vada -.
Spinto da un impulso improvviso, afferrò la sua vecchia giacca di pelle e gliela mise sulle spalle.
– Adesso è un po’ grande, ma tienila comunque. Per ricordarti di me -.
Lei si strinse nella giacca tremando. Jimmy chiuse lo zaino, se lo mise in spalla e strinse a sé Gloria.
- Sii forte. Ricordati, non farti mai dire da nessuno cosa fare e cosa no. Tu sei forte -.
La sentì aggrapparsi a lui con le piccole mani. Non piangeva però. Non l’avrebbe fatto.
Jimmy si sciolse dall’abbraccio e la baciò in fronte. Poi voltò le spalle e se ne andò da quella casa. Non sarebbe tornato, no. Per li quelle quattro mura avevano significato solo dolore, costrizione...
Stava per infilarsi in macchina, quando comparve sua madre, correndo come una pazza verso di lui. Merda. Lo afferrò per le spalle scuotendolo. – Che stai facendo? – gridò. – Che fai? -.
Jimmy si tolse dalla sua presa febbrile e debole. – Me ne vado via. Non ce la faccio più. Lasciami, ora -.
Sua madre non lo lasciò, ma con gran sorpresa del ragazzo, lo abbracciò. Lui rimase un momento paralizzato, stupefatto... poi ricambiò esitante. Ma non voleva dire che sarebbe rimasto. Un abbraccio mentre stava salendo in macchina non bastava. Non più. Non avrebbe ricucito tutte le ferite degli anni precedenti.
Si scostò quasi con violenza, ignorando le sue grida e le sue lacrime sedette sul sedile chiudendo finalmente la portiera.
Accelerò per uscire dalla città. Più veloce, più veloce... lontano dalla morte, alla ricerca di qualcosa per cui vivere.
Si fermò solo dopo aver superato Jingletown. Scese dall’auto e guardò indietro. Intravedeva una fila di ragazzi vestiti di nero, schierati come un picchetto d’onore. I suoi discepoli. E davanti a tutti, una figurina sottile, infagottata in una giacca troppo grande per lei.
 

Salve:) Lo so, sono in ritardo ma considerata la lunghezza del capitolo sono scusata, vero?? Be’, mi sono ispirata parecchio al video di Jesus of Suburbia e spero di aver reso abbastanza giustizia a Jimmy... non sembra un bambinetto capriccioso, vero? Il prossimo capitolo invece sarà completamente dedicato a ChristianXD Grazie per le recensioni a Class Of 13 e Stray Heart! Alla prossima:)

  
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