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Autore: Eruanne    08/03/2013    12 recensioni
E se non fossero soltanto i tredici Nani conosciuti ne "Lo Hobbit" a partire per riconquistare Erebor, strappata ai suoi abitanti dal drago Smaug? Se alla Compagnia di Thorin si aggiungesse un nuovo membro che non è propriamente accettato dagli altri e soprattutto dal loro re per un evento cruciale accaduto durante la battaglia? La loro missione sarebbe compromessa o i conflitti potrebbero risolversi col tempo e la fiducia?
Questa fan fiction ripercorre la trama del primo film e del libro, e a me non resta che augurarvi buona lettura!
Genere: Avventura, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bilbo, Gandalf, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia
Note: Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note autrice: oh oh oh, qui la tristezza dilaga!!! Chiedo perdono per i capitoli un po'... pallosetti (si può dire, vero O.o?); so che non accade nulla di che, ma portate pazienza, per favore u.u! Sono indispensabili per la trama e lo svolgimento della storia: anzi, spero iniziate a capire cos'è accaduto nel passato della nostra traditrice preferita XD, comunque sappiate che il passato spunterà fuori anche qui e nei prossimi capitoli (ancora uno sicuro, poi dovranno pur andarsene da 'sto postaccio, no ^^?)

Come sempre vi faccio una marea di ringraziamenti per il sostegno, mie stelline :* :*, spero vi piaccia anche questo! Ci leggiamo giù, va bene?

Ah, non so se cambiare il rating della storia, a questo punto, comunque anche qui il cap è GIALLO/ARANCIONE,per sicurezza :) :)




CAPITOLO UNDICI


Bilbo scivolò in una stanza appena in tempo: il mantello di un elfo gli sfiorò le gambe, ma il proprietario non se ne accorse, avanzando spedito lungo il corridoio semibuio; in mano teneva una lancia, come le guardie che aveva trovato davanti alle celle dei suoi compagni.

Espirando piano dato lo spavento, cercò di placare i battiti furiosi e incessanti del suo povero cuore, per poi avanzare adagio sulla sua scia: riuscì a seguirlo ascoltando solamente i passi affrettati lungo corridoi sempre più illuminati da torce appese al muro di pietra, lungo scale addossate alla parete che portavano ai vari livelli, sia superiori che inferiori.

Vagava libero da una settimana, ormai, eppure si stupiva sempre di come quel palazzo fosse un vero e proprio labirinto!

Era riuscito a trovare il resto dei nani, ed aveva avuto un gran daffare quasi ogni giorno a portare messaggi all'uno o all'altro; stavano bene, e le notizie che riferiva li confortavano: ma non del tutto.

Nei loro pensieri e nei loro cuori pensavano spesso al loro re e alla compagna, dispersi chissà dove.

Svoltò ancora una volta, sentendo i passi farsi sempre più vicini, per poi arrestarsi: sbirciò dall'angolo, riconoscendo l'elfo; chiacchierava tranquillamente con una guardia, probabilmente doveva dargli il cambio. Invece, con immenso stupore – e per poco non aveva urlato di sorpresa – quello che aveva seguito aveva estratto dal fianco sinistro una spada che ben conosceva, dalla guardia d'acciaio lavorata a formare quattro larghi petali, che scendevano a coprire il polso del possessore.

Iris

Ma allora Karin è qui!”

Fu questo l'unico pensiero che riuscì a formulare, mentre osservava i due elfi ammirare con interesse la lama, e le rune che vi erano incise; fecero gesti di apprezzamento, per poi entrare in una stanza ed uscirne poco dopo, senza spada.

Si allontanarono, e ciò permise allo hobbit di avvicinarsi meglio per spiare: fortuna avevano lasciato la porta aperta, così poté entrare tranquillamente.

Con un luccichio meravigliato negli occhi grigi, i piedi lo portarono subito davanti a Iris, poggiata in orizzontale sopra un sostegno di legno: con dita tremanti - come se toccasse un oggetto sacro a lui proibito - accarezzò la lama lucida e fredda, che sembrava assorbire la luce calda e il gioco delle lingue rossastre ed infuocate delle candele accese ai suoi lati. Non si azzardò a smuoverla o prenderla, non gli sembrava giusto: era come se stesse violando una parte di Karin; gli fece uno strano effetto vederla lì, piuttosto che dentro al fodero, allacciata alla cintura dell'amica.

Sbatté le palpebre molte volte, confuso, quando per un attimo vide i suoi occhi neri riflettersi e guardarlo: ma non era il solito sguardo felice o amichevole, era... angosciato e triste, immensamente addolorato. E perso.

Rimase imbambolato finché non sparì, poi si riscosse: lei aveva bisogno di lui, non poteva permettersi di perdere tempo prezioso.

Fece scorrere lo sguardo alla sua sinistra ed impallidì del tutto, anche se dentro di sé si sentì quasi euforico: sopra un tavolo di legno vi era anche Orcrist, riposta però dentro al fodero; eppure, anche lì dentro, la riconobbe dall'impugnatura di dente di drago. Quindi, anche Thorin era a palazzo! Non poteva crederci, ora erano tutti insieme, anche se separati! Ed il saperli – magari - a poche stanze di distanza, gli diede la forza necessaria per spicciarsi, muovendo un passo davanti l'altro.

Diede un'ultima occhiata alla spada per poi voltarle le spalle, e ripercorre lo stesso tratto di strada che l'aveva condotto lì: era inutile cercarli a vuoto, si sarebbe perso. Ora, ciò che gli premeva era far sapere anche agli altri che Karin e Thorin erano lì; si bloccò un attimo, sconcertato, quando un pensiero lo folgorò: e se gli elfi avessero preso le armi... e basta?

Insomma, se le avessero trovate e raccolte per non lasciare delle spade di ottima fattura nelle profondità della foresta?

E loro... dove potevano trovarsi, allora?

No, era certo fossero a palazzo: lo sentiva.

Doveva solo cercarli.

Con un impeto di coraggio e orgoglio ritrovati marciò a testa alta verso la prima cella, pronto a dare la notizia del ritrovamento ai compagni: fortunatamente non v'era nessun elfo di guardia, così poggiò le mani alle sbarre, chiamando piano.

<< Psst, Dwalin! >>.

Il nano, che se ne stava appoggiato con la schiena alla parete, gli occhi chiusi e le braccia conserte, si sciolse dalla posizione e si avvicinò.

<< Scassinatore >> lo salutò, il cipiglio minaccioso affievolito << notizie da mio fratello? >>.

<< Oh, no, ma porto due buone nuove! Insomma, spero! >> esclamò.

Dwalin marcò l'espressione severa del volto, incrociando le possenti braccia al petto: anche se non riusciva a vederlo vista l'invisibilità, sembrò guardarlo dritto negli occhi, mettendolo a disagio.

Bilbo sfilò l'anello, preferendo mostrarglisi.

<< Ebbene? >> disse, burbero << Non intendo aspettare tutto il giorno specie se, come dici, sono buone notizie >>.

<< Riguarda Thorin e Karin: poco fa, al livello superiore, ho visto le loro spade in una stanza; forse sono qui anche loro! >>.

L'altro rimase in silenzio, mentre gli occhi mandarono lampi di felicità. Per poi rabbuiarsi subito.

<< Devi trovare Thorin, per prima cosa: l'avranno imprigionato come noi, molto probabilmente >>.

Bilbo annuì, aggrottando poi la fronte << E Karin? >>.

Dwalin, per tutta risposta, si pronunciò in un verso sprezzante, che la diceva lunga su ciò che avrebbe voluto rispondergli << La traditrice? L'hai vista in un qualche angolo a complottare con un elfo? >> domandò secco.

<< No >> ribatté Bilbo, arrabbiandosi un poco: sapeva che non sarebbe servito a nulla, ma non riuscì a calmarsi << però potrebbe essere imprigionata: hai notato le sue espressioni nella foresta, mi pare. Parlavano chiaro >>.

<< Certo! Abile mentitrice, che riesce ad ingannare gli sciocchi >>.

<< Io non sono uno sciocco! >> ribatté, offeso.

<< Lo sei, scassinatore >> replicò il nano, per nulla turbato dal tono dell'altro << Bastano poche paroline, un sorriso e qualche abbraccio per cadere nella sua trappola; oh, per non parlare della “paura” ostentata! Dimmi, Bilbo, ti è passato per la mente di volerla proteggere ad ogni costo, non è così? >>.

Non aspettò la risposta dello hobbit: la sua espressione parlava benissimo per lui.

<< Lei è furba, una creatura che è riuscita a piegare tutti al suo volere, per poi tradirli >> disse, la voce dura e improvvisamente sofferta; lasciò vagare lo sguardo lontano, forse perso nei ricordi. Ciò permise al povero Bilbo di ritrovare la voce, e parlare in difesa di Karin.

<< Quindi consideri Thorin uno sciocco, mio pari >> con un fremito di paura, vide gli occhi di Dwalin diventare profondi e irati.

Sapeva d'aver utilizzato un mezzo poco rispettabile, ma lo faceva per difendere la sua amica da accuse che sapeva essere infondate!

<< So perfettamente quale sentimento li legava, lo comprenderebbero anche i più ostinati, e... >>.

<< Cosa vuoi saperne? Tu non c'eri quando si rivelò per quel che realmente era! >> scattò il nano: afferrò le sbarre di ferro con così tanta forza che, per un attimo, Bilbo ringraziò quell'ostacolo tra loro; ci sarebbe stato il suo collo tra quella presa, altrimenti.

<< Spiegami, allora! Cosa ha fatto per meritarsi tanto odio? >> chiese, sull'orlo della disperazione e della rabbia cieca.

Voleva sapere, assolutamente. E se, per raggiungere lo scopo, avesse dovuto tirare fuori il lato più oscuro di sé usando il disprezzo di Dwalin e il suo carattere burrascoso... l'avrebbe fatto.

L'altro sembrò accontentarlo, ormai preda della furia incontrollabile << Fu lei a permettere la distruzione di Erebor! Che possa essere dannata per questo finché avrà fiato in corpo! >>.

Bilbo spalancò la bocca, sbalordito: temette d'aver capito male.

<< Co-cosa? >> la sua sicurezza si sgretolò come le macerie di un muro, tornando ad essere il Baggins spaventato dei primi tempi.

Dwalin parve compiaciuto della sua sorpresa e, con somma gioia da parte di Bilbo, continuò il racconto << Non te l'aspettavi dalla tua amichetta, vero? Te l'ho detto, in lei si nasconde un mostro, un'ingannatrice perfida e subdola. Si è fatta docile e buona mentre, come un ragno, tesseva la sua tela fatta di trame e bugie; catturò Thorin, portandolo dalla sua parte, facendolo innamorare di sé. Persino io le ero amico >> si fermò, spostando brevemente lo sguardo in un punto impreciso, lontano dal volto stupito di Bilbo << Ma poi è fuggita col padre, dopo che a questo era stato affidato un compito importante: cercare l'alleanza con gli Elfi Silvani contro un drago avido. Non eravamo certi della sua venuta, ma sapevamo che sarebbe giunto, prima o poi, desideroso d'impadronirsi dell'oro di Erebor. Così accadde: e durante lo scontro, molti di noi videro la nostra unica salvezza – gli elfi – volgerci le spalle per tornarsene al bosco. Con loro, anche il padre della traditrice >> respirava affannosamente: l'odio traboccava da ogni parola, facendo tremare Bilbo. Mai aveva sentito parole così piene di disprezzo e sofferenza.

<< Poi che accadde? >> domandò, con un filo di voce: parte della sua mente non avrebbe voluto saperlo, ma ormai era fatta; se voleva conoscere ogni cosa sarebbe dovuto andare fino in fondo.

<< Finì la battaglia e noi, stremati e decimati, lasciammo la nostra casa e tutto ciò che ci apparteneva: ci rintanammo come topi nella vicina Dale, ridotta ad un cumulo di macerie. Ma dovevamo riposarci e piangere i morti. Un giorno si ripresentarono, volendo parlare con Thròr: iniziarono a blaterare sul fatto d'essere stati costretti a tradire. Non vennero creduti, e il re comandò che venissero esiliati: fu allora che Karin confessò. Lo fece guardando Thorin negli occhi - impertinente come sempre - chiedendogli di risparmiare il padre dalla punizione, poiché era stata tutta colpa sua; volle parlargli in privato: non so cosa si dissero, so solo che, alla fine, vennero banditi entrambi. Per sempre >>.

Bilbo aveva gli occhi lucidi, ed un peso allo stomaco e al cuore che lo lasciarono senza fiato per lunghi ed estenuanti secondi.

Non poteva crederci: non riusciva nemmeno a immaginarla complice degli elfi nella distruzione di Erebor, della propria casa.

No rifletté ci dev'essere un'altra spiegazione.

Doveva trovarla, e farsi raccontare la sua versione. Solo così sarebbe riuscito a comprenderla.

<< Karin continuava a sostenere di non essere una traditrice, fin dal principio. Dev'essere stata costretta a mentire, per forza! >>.

<< La tua ostinazione è pari alla mia, scassinatore >> Dwalin scosse il capo, in un muto rimprovero << Guarda in faccia la realtà: Karin è una traditrice, e meriterebbe d'essere trattata con freddezza; invece, da quando è qui, ha conquistato l'affetto di tutti. Soprattutto di mio fratello e Thorin >> sbuffò piano, sprezzante << Proprio lui, che era stato tradito e ci ha rimesso più degli altri. Tu non l'hai visto distruggersi con le proprie mani, anno dopo anno: da allora è cambiato, profondamente. Quel giorno non ha esiliato solo lei, ma anche la parte di sé che si era donata a Karin, amandola. La nostra amicizia fraterna è continuata, è vero: ma non è più stata la stessa >>.

Lasciò la presa sulle sbarre allontanandosi un poco, venendo risucchiato dall'ombra nera della cella << Noi tre eravamo inseparabili: ne abbiamo combinate tante, nell'infanzia; poi l'amicizia tra Thorin e Karin è mutata, divenendo diversa e profonda. Ero molto felice, s'intende, ed auguravo loro il meglio: si completavano, in un certo senso. Oh, insomma, non sono molto bravo con questi discorsi! >> proruppe, inalberandosi di fronte a quella imbarazzante confessione, che fece scappare un leggero sorriso a Bilbo << Poi tutto mutò con una velocità spaventosa, e ci trovammo divisi. Questo è quanto >> grugnì, andando a sedersi a terra.

Bilbo non seppe che aggiungere, ed ebbe una mezza idea di salutarlo e andarsene, ma i piedi non si mossero: sapeva che doveva dire qualcosa che potesse confortarlo o farlo ragionare, piuttosto che vederlo annegare nel dolore dei ricordi. Aprì la bocca, timidamente.

<< Io credo che Karin abbia avuto i suoi motivi per aver fatto quello di cui è accusata: che siano buoni o sbagliati, bé... è difficile da dire, se non si conosce il perché. Ma, Dwalin, l'hai mai sentita piangere? I suoi singhiozzi sono quelli di una bambina sperduta che si odia a morte e vuole solo il perdono dei suoi amici. La colpa non l'ha mai abbandonata, il rimorso lo porterà con sé per sempre: è questo che auguri ad una tua amica? Che soffra così tanto? >> si fermò, un groppo alla gola gli impediva di respirare, o continuare a parlare.

Dwalin lo trafisse con lo sguardo, assottigliando le labbra << Vattene, scassinatore. Le nostre chiacchiere finiscono qui >> sibilò, per poi voltare il capo dalla parte opposta.

Bilbo abbassò la testa, sconfitto; infilò l'anello e sparì, i passi leggeri che, via via, si allontanavano dal nano.




Assiste alla sua tortura, impotente.

Vorrebbe scagliarsi contro quel bastardo, ma non può.

Non riesce a muoversi.

Non riesce nemmeno a urlare, a chiamare.

Sente dolore in ogni dove. Il suo.

Di Karin.

Guarda il sangue che cola, rosso vermiglio, dalle braccia bianche.

Dalla schiena, martoriata brutalmente.

Con orrore, capisce che i tagli formano un paio d'ali, grottesche imitazioni di quelle di un volatile.

Di un uccellino.

Il fiato gli manca, la rabbia dilaga.

Come osa farle questo? Uno scempio del genere non può rimanere impunito!

Chiude gli occhi alle numerosa grida straziate.

Stringe le mani a pugno fino a farle sbiancare.

Conficca le unghie nella carne, facendosi male: sanguina, ma non gli importa.

Nulla è importante in confronto a ciò che lei sta patendo.

Apre la bocca, un ruggito furioso e animalesco preme sulla gola, vuole uscire.

Ma non urla come vorrebbe, rendendolo più arrabbiato che mai.

Ci riprova, con ostinazione.

Vuol fare un passo avanti, raggiungerlo e spezzargli l'osso del collo con un sol colpo.

Poi avrebbe riso lui, sguaiatamente: come sta ridendo l'elfo di fronte al sangue di Karin.

Di fronte alle sue suppliche.

Di fronte alle sue lacrime.

Lo vede rialzarsi da terra: la lama del coltello, impregnata di rosso, gocciola.

Lei è immobile, i respiri sono bassi e rochi. E' stremata, le forze l'hanno abbandonata.

Rialzati vuole dirle ti prego.

Ma non lo fa, rimane stesa.

L'elfo pulisce noncurante la lama con un panno, poi le si avvicina maligno, schivando la pozza rossa che si allarga sempre più ai suoi piedi.

<< Sei debole, uccellino >>.

La furia rimonta in lui, potente come un fiume in piena.

Come osa dirle questo?

Con quale diritto pronuncia quella frase?

Che genere di mostro ha davanti?

Vuole spaccargli la faccia.

Vuole affondare la sua ascia nel suo petto, bearsi delle grida del nemico ed infierire finché non avesse esalato l'ultimo respiro.

Si sarebbe abbassato al suo subdolo livello, vendicandosi ferocemente.

Per lei.

Solo per Karin.


Poi tutto si dissolve, lentamente, ritorna il buio.

Aggrotta la fronte quando sente il terreno mancargli sotto i piedi.

Sta andando verso l'alto, lo sente.

L'oscurità diminuisce mentre sotto di lui riconosce le chiome degli alberi di Bosco Atro.

Poi si muove veloce, lasciandoselo presto alle spalle: davanti a lui, ora, si erge la Montagna Solitaria.

Ha un tuffo al cuore nel rivederla così vicina e vivida, dopo molto tempo.

Ma teme anche ciò che può riservargli quell'incubo.

Rapido come il vento sembra quasi scontrarsi contro il fianco roccioso, ma ci passa attraverso, muovendosi tra le sale illuminate dai giganteschi bracieri.

Lungo i vari corridoi.

Si inoltra nel centro della montagna.

E poi, finalmente, si ferma.

Riconosce la sala del trono.

La grande stanza è circondata da possenti colonne scavate nella roccia, alte molti piedi; il pavimento è solo un corridoio di marmo liscio e nero che porta al trono sopraelevato, circondato da uno spiazzo rotondo di pietra.

Non ci sono pareti; sotto e attorno, il vuoto: scorge le numerose e lunghe scale, ripide e scoscese, che portano ai vari livelli.

Le grandi finestre rischiarano due figure: una è sui gradini che portano al trono possente, l'altra è poco più in basso.

Il cuore sembra spezzarsi quando si riconosce nella prima sagoma: l'altra è Karin.

Da molto tempo non sogna il loro ultimo scontro, prima dell'esilio.

Non vuole ascoltare, ma deve.

Deve ricordare quelle parole, rivedere ogni gesto rabbioso: è la sua tortura, dopotutto.

E' così certo della sua colpevolezza che mai si pone la domanda cruciale: ha davvero tradito di sua spontanea volontà?

Lei glielo dice, ogni volta: non è colpa sua, ma degli elfi che l'hanno torturata e costretta.

Ma le orecchie di lui, Thorin Scudodiquercia non sentono. Mai.

Sposta lo sguardo azzurro verso Karin, volendo chiederle perdono.

La voce non esce.

Nonostante lo sguardo colmo di lacrime versate, è fiera e orgogliosa. Gli occhi neri brillano di sofferenza e determinazione.

Il capo è alto, la schiena è dritta.

L'elfo si sbaglia pensa Karin non è debole. Non lo è mai stata.

Prova una certa soddisfazione nel vederla lì a fronteggiarlo, anche se ha il volto stravolto e paonazzo dal pianto furioso.

E' ancora più bella.

Distoglie a fatica lo sguardo, sapendo che non la rivedrà più.

Fa male, ma si volta verso se stesso, le dà le spalle: lui è il ritratto dell'indignazione più pura, dell'ira più profonda.

Il tradimento è un torto che non rimane impunito.

Il suo stesso essere e il suo orgoglio reclamano vendetta.

Desidera quella punizione che li porta nella disperazione, nella sofferenza immane.

Nell'oblio del dolore.

Lontani per sempre.

Detestandosi a morte.

Eppure non si dimenticano, l'odio non prevale.

Si maledice tante volte, però sa che non serve: è a Karin che deve chiedere perdono.

Ma lei è morta.

Si dispera perché non riesce a parlarle: è muto, come prima nella cella.

Di nuovo, tutto inizia a dissolversi, l'oscurità ritorna.

L'accoglie con gioia, perché non merita di vedere la luce. Di vedere lei.



Portò un dito alla guancia destra, sentendola umida: asciugò le tracce di pianto con un gesto al limite della stizza, infuriato.

Non rammentava l'ultima volta in cui avesse dato sfogo ai suoi sentimenti più deboli: nemmeno quando Erebor era stata presa da Smaug, nemmeno quando suo nonno era morto e suo padre fuggito.

Nemmeno quando aveva compreso che Karin era morta.

Avrebbe voluto piangere, quello sì, ma nessuno lacrima era fuoriuscita dagli occhi; era meschino e freddo, lo sapeva, eppure era così.

Non sapeva piangere.

O non voleva, ma non esisteva alcuna differenza.

Perciò si stupì non poco quando sentì le dita bagnate da lacrime salate: solo negli incubi tornava a provare dei sentimenti.

Sospirò affranto, volgendo lo sguardo alla sua sinistra, nel punto dove campeggiavano le rune scavate nel legno dalle unghie di Karin, nel periodo della prigionia: le sfiorò, con la stessa delicatezza con cui le aveva accarezzato la guancia dopo il bacio. Gli parve di sentire il calore e la morbidezza della sua pelle a contatto con i polpastrelli: ma si riscosse presto, amareggiato; quello era solo legno, duro e ruvido.

Appoggiò la testa alla porta, guardando il soffitto, umido quanto le pareti: in alcuni momenti, piccole gocce risuonavano sulla pietra, in una melodia continua che gli permetteva di contare il tempo.

Una settimana. Così tanti giorni, in cui si era lasciato andare in ricordi e colpe, piuttosto che cercare una soluzione per fuggire da lì: si chiedeva spesso dove potessero essere i suoi compagni, se stessero bene e se erano riusciti ad uscire dalla foresta, ma i cupi pensieri accumulatisi gli fecero perdere ogni speranza.

Anche se non si fossero imbattuti nei ragni – o negli elfi – rimanevano comunque troppo lontani dal sentiero, senza viveri: non sarebbero durati a lungo.

Passò le mani sul volto, sconsolato: la loro era stata un'impresa suicida, destinata a fallire fin dal principio; e lui, come re e guida, avrebbe dovuto saperlo, accorgersene in tempo. Ma la sua voglia di rivalsa e vendetta avevano prevalso sul buonsenso, rendendolo cieco.

Come era accaduto con Karin, d'altronde.

Qualsiasi gesto, qualsiasi azione che voleva compiere – o che aveva compiuto - erano sempre totalmente sbagliati: era lui la causa dei suoi mali. La colpa era solo sua.

Si risvegliò dal baratro della commiserazione quando sentì dei passi affrettati farsi sempre più vicini: fuori, si stava avvicinando qualcuno. Ed aveva capito da subito che, là in fondo, la sua era l'unica cella presente.

Si alzò di scatto: i muscoli protestarono debolmente, risentendo dell'inedia di quei lunghi giorni in cui non aveva fatto altro che stare seduto ed immobile.

Rimase al centro della stanza, aspettando il visitatore: finalmente, dopo attimi eterni, la chiave girò nella toppa e la porta si aprì, facendogli sbattere le palpebre per la luce della torcia, vivida e rossastra.

Quando si abituò, riconobbe l'elfo biondo che gli aveva intimato di abbassare Orcrist: non appena entrò si squadrarono con astio, senza celare nulla.

Si erano aggiunti nuovi motivi per i quali odiava apertamente la razza elfica, da quando era stato rinchiuso, e aveva intenzione di farglieli capire chiaramente.

<< Ti conosco >> disse, glaciale << ci siamo incontrati nella foresta >>.

L'elfo annuì, gli occhi chiari si strinsero leggermente << Sono Legolas, figlio di Thranduil e principe di Bosco Atro >>.

A Thorin scappò una risata a dir poco sprezzante e sarcastica: il re mandava il figlioletto a parlamentare?

<< A cosa debbo questa visita? >> domandò duramente, incrociando le braccia muscolose al petto ed inarcando un sopracciglio.

Anche se era più basso di Legolas sembrò sorpassarlo, data l'alterigia e l'orgoglio fiero dei nani con cui aveva parlato. Tornò il Re sotto la Montagna che era sempre stato: era l'unica cosa che gli rimaneva.

Aspettò impaziente la risposta, non capendo se il silenzio dell'elfo fosse studiato per lasciarlo sulle spine o se, effettivamente, stesse cercando le parole adatte con cui esprimersi; finalmente, parlò.

<< Karin è viva >>.

Lo disse senza giri di parole, diretto e conciso: Thorin stentò a credere a ciò che aveva udito, e dovette munirsi di tutto l'autocontrollo che possedeva per non iniziare a ridergli in faccia. O prenderlo a pugni.

Fece saettare lo sguardo indagatore sul suo volto, alla ricerca di menzogna nei tratti delicati e perfetti: ma non ne trovò.

<< E' inutile che mi guardi in quel modo: è la verità, lo giuro sulla mia vita >>.

<< I tuoi giuramenti puoi benissimo tenerteli! >> sbottò irato Thorin << Lei è morta, l'ho vista con i miei occhi! >> ribatté con ostinazione.

Legolas, invece, scosse il capo << Lo credevo anche io, quando me l'hai detto: ma era solo l'effetto del veleno. Ha lottato duramente per svegliarsi e ce l'ha fatta, il corpo ha reagito bene >>.

Parole troppo belle che parevano impossibili.

Però il sospetto di un qualche tranello era in agguato: si trattava pur sempre del figlio di Thranduil, di colui che, per primo, aveva architettato la menzogna più grande che li aveva allontanati.

Come avrebbe voluto credergli, e bearsi della gioia e felicità nel saperla viva! Ma non doveva abbassare la guardia, era ancora troppo diffidente nei suoi confronti.

<< Dov'è? >> si costrinse a chiedere: aveva la gola secca, e la domanda gli uscì male articolata.

<< E' ancora debole: si è nascosta dietro un velo di freddezza e paura. Non parla con nessuno, e non vuole guarire >>.

Sembrò che una lama gli si fosse conficcata in quel poco che gli rimaneva del cuore: Karin non voleva combattere per la sua vita e si stava lasciando andare, preda dei tormenti del luogo.

Una rabbia inaudita minacciò di esplodergli in petto, ma riuscì a dominarla, anche se poco: iniziò a tremare, i pugni contratti; ogni sua fibra era impregnata d'odio verso quel popolo che l'aveva condotta a quello stato, che le aveva fatto del male.

<< Se vuoi salvarla – come suppongo desideri – devi ritrattare, dopodiché chiamerò mio padre e lo convincerò affinché possiate incontrarvi >>.

<< Lei dove si trova? >> chiese, sempre più irato: ignorò la richiesta dell'altro, maledicendo i ricatti e chi glieli proponeva.

Il silenzio ostinato dell'elfo lo mandò su tutte le furie.

<< DOV'E' KARIN? >> gridò, con quanto fiato aveva in gola: non gli importò di risultare impulsivo o privo di controllo. Semplicemente, non ce la faceva più a frenarsi.

<< Non posso dirtelo, ma devi fidarti quando dico che è viva, e potrai rivederla >> disse l'altro, sembrando dispiaciuto.

<< Lei non è viva, vuol lasciarsi morire! Ed è colpa della vostra razza! >> sputò con astio, gli occhi scintillanti.

Legolas si rabbuiò << Abbiamo sbagliato a rinchiuderla, è vero: ma non eravamo al corrente degli orrori che ha dovuto sopportare >>.

<< Dovevate vigilare meglio, allora >> sibilò Thorin, malevolo << Sei mai stato imprigionato in questa cella, principe? Hai mai rivisto quegli orrori – come li chiami - attraverso la sua mente? >> il tremore sembrò abbandonarlo, lasciandolo solo immensamente stanco e fiacco.

<< No, e ciò mi addolora >> Legolas diede un rapido sguardo alla cella, tornando a rivolgersi al nano << Fui io ad accorgermi di ciò che stava patendo, e la liberai dal giogo di colui che era il nostro consigliere più fedele >>.

<< Gesto nobile da parte tua >> sbottò sarcastico << Scommetto che le vostre scuse saranno state talmente sincere che vi ha perdonati! >>.

Lo vide arrabbiarsi, provando un piacere inaudito: che provasse sulla sua pelle la furia che stava covando in lui!

<< Lei non ci perdonerà mai, ma non perdonerà nemmeno te, Re sotto la Montagna >> disse, tagliente. Thorin sentì il sangue gelarsi nelle vene, ed un impulso improvviso di scagliarsi contro l'algida figura per farla tacere. Ma quella, sprezzante, continuò ad infierire.

<< Una volta che uscì di qui, impaurita e violata nell'orgoglio, tornò dall'unica persona che amava con tutta se stessa, a cui si era donata >> i tratti del pallido volto si contrassero, mentre la rabbia cieca deformava Legolas << Quando lo ritrovò, lui le parlò duramente, cacciandola e facendola precipitare nella disperazione: la colpevolizzò per il suo tesoro perduto, le sue preziose pietre erano in mano del nemico per causa sua. Le spezzò il cuore, non avendo alcun rimpianto! >>.

Un macigno pesante quanto Erebor sembrò schiacciare il re, portandolo verso terra: fu con sforzo immane che riuscì a rimanere in piedi - saldo sulle gambe tremanti - e non cadere in ginocchio, sopraffatto dalla verità e dalla colpa.

Sopraffatto dalla vergogna per le sue azioni.

Perché l'elfo non lo capiva e non taceva?

<< Sei responsabile del suo dolore tanto quanto me, Thorin Scudodiquercia. Avevi la possibilità di farle dimenticare Bosco Atro, confortandola e tenendola al sicuro dai ricordi. Invece l'hai accusata di un crimine che era stata costretta a compiere. Sei tu che l'hai annientata, il giorno in cui l'hai esiliata! Karin ormai ti odia più di quanto odi gli elfi >>.

Thorin abbassò il capo, sconfitto: le parole di Legolas sembrarono ucciderlo nell'anima; ma, d'altra parte, era incollerito più che mai con se stesso che non con lui. Perché sapeva quanto fossero vere, quanto avesse maledettamente ragione.

<< Credi che il rimorso non mi assalga? Che la colpa non permei il mio cuore? Che non mi detesti, ogni dannato giorno? >> scattò il re, guardandolo negli occhi. Fece un passo avanti, i pugni contratti spasmodicamente << Se potessi tornare indietro, cambierei senza indugi il nostro destino! E per quanto voglia scusarmi, non si potrà cancellare ciò che è stato >> abbassò il tono di voce, rendendolo poco più di un sussurro.

Non riuscì ad aggiungere altro: indietreggiò, sedendosi sul pagliericcio e incrociando le braccia al petto, distogliendo lo sguardo dall'elfo; un chiaro invito ad andarsene, che Legolas comprese. Nemmeno lui disse una parola e, poco dopo, Thorin sentì la porta chiudersi e la chiave girare.

Ancora in trappola, sommerso dai pensieri: quel giorno rimuginò a lungo, non riuscendo nemmeno a dormire.

Durante le ore interminabili non riuscì a figurarsi il suo volto imbarazzato dopo il bacio, ma rivide quello pieno di astio e rabbia del giorno dell'esilio.



Bilbo pensò per l'ennesima volta di essere la persona più fortunata della Terra di Mezzo: non solo era riuscito ad informare gli altri – senza essere notato dagli elfi - che, forse, Thorin e Karin erano a palazzo, ma aveva scoperto dove era rinchiuso il re dei nani!

Per puro caso si era nuovamente perso tra i vari cunicoli poco illuminati, scendendo nell'oscura profondità: aveva notato da subito che il posto non era familiare, quindi si era messo di bona lena ad esplorarlo. E quale era stata la sua sorpresa nel vedere il principe Legolas uscire stizzito ed infuriato da una spessa porta di legno, per poi chiuderla a chiave con mosse rabbiose e tremanti.

Perché mai compiere un gesto del genere, se non per nascondere qualcosa... o qualcuno?

Lo hobbit si era insospettito e, impaziente, aveva aspettato che l'elfo percorresse il corridoio per avvicinarsi cauto.

Aveva sbirciato attraverso il buco della serratura, reprimendo un grido di giubilo: avrebbe riconosciuto quella figura ovunque!

<< Thorin! >> bisbigliò euforico. Vide che l'altro aveva alzato la testa, guardando sorpreso la porta. Lo chiamò di nuovo, stavolta a voce più alta e, in men che non si dica, quello si era avvicinato a grandi passi, quasi correndo.

Intravide l'occhio azzurro che lo scrutava al di là dello spioncino, per poi rabbuiarsi

<< Scassinatore? >> domandò, incredulo: la voce era tremendamente stanca e spenta, constatò Bilbo.

<< Sì, sono io >>.

Lo sentì sospirare di sollievo, ma durò solo un attimo << Ma dove sei, dannazione? >>.

<< Proprio di fronte a te. Perdonami, c'è un fatto di cui devi essere messo al corrente >>.

Gli raccontò di come avesse trovato l'anello magico, nelle profondità della montagna degli orchi, e di come l'avesse vinto a quella orrenda creatura, Gollum, sorvolando sul fatto che aveva barato spudoratamente. Se ne vergognava ancora, nonostante ciò gli avesse salvato la vita!

Dopo che ebbe concluso, Thorin rimase pensieroso e in silenzio per alcuni secondi << Ora capisco come hai fatto a sfuggire agli sguardi degli orchi; ed è un vero peccato che ce ne sia solo uno. Ci farebbe comodo per uscire di qui >> disse, cupo << Ma dimmi degli altri: come stanno? Dove sono? >>.

<< Stanno benone, per quanto siano anche loro in una cella: si trovano in livelli diversi, ma tu sei l'unico più lontano di tutti >>.

<< Vengono trattati bene? >> volle sapere, improvvisamente angosciato.

<< Certo! Hanno cibo e acqua a sufficienza: solo Bombur si lamenta a causa dei pasti troppo parchi; ma gli elfi sono molto gentili nei loro riguardi, anche se sono prigionieri >>.

Thorin emise un verso sprezzante << Non l'avrei mai detto! >> sibilò.

Bilbo non riuscì a capire il motivo della sua risposta: forse lui non veniva considerato come i compagni? O era solo l'orgoglio ferito del sovrano a parlare per lui?

Scosse la testa, facendo la domanda che gli premeva più di ogni altra questione << Thorin >> esordì, la voce incerta << E... Karin? Dove si trova? >>.

Lo vide aggrottare la fronte, negli occhi passò un lampo di tristezza che mai gli aveva visto << Speravo potessi dirmelo tu. Non la vedo da settimane, da quando i ragni ci hanno attaccati ed è stata ferita >>.

<< Ferita? >> esclamò Bilbo, abbassando subito il tono e dando una rapida occhiata alle spalle, alla ricerca di elfi o suono di passi << Ma come, quando... ma ferita gravemente? >> domandò, concitato.

<< La credevo morta >> ammise il nano, sfiorando con le dita le rune sullo stipite; sentì lo hobbit trattenere il fiato alla notizia, mentre un pensiero nuovo e improvviso squarciò la cortina buia della mente.

<< Bilbo, ci sono due cose che devi fare per me >>.

L'altro si riscosse dalla disperazione e dall'angoscia al sentire il tono più sicuro con cui Thorin aveva parlato.

<< Tutto quello che vuoi, Thorin >>.

Il nano sorrise brevemente, ammirando il coraggio del membro che aveva sempre considerato come il più debole, il peso del gruppo.

<< Porta un messaggio agli altri, se puoi: che non dicano nulla agli elfi, e che pazientino un altro po'; presto usciremo di qui >>.

Bilbo aggrottò la fronte, perplesso << Come faremo a scappare? Non potete certo oltrepassare le sbarre o, nel tuo caso, la porta di legno! Senza chiavi... >>.

<< Lo so, ma ci penseremo. Anzi, tu ci penserai: sei l'unico di noi che è libero e può girare indisturbato. Trova il modo, ma non è questa la seconda cosa che ti chiedo >>.

Lo hobbit gli concesse attenzione, relegando nella mente le proteste che si erano formate nel sentire l'assurda richiesta del re.

<< Trova Karin, amico mio: assicurati che stia bene e poi vieni a riferirmelo. Salvala dalla sua prigione e da se stessa. Ti prego >>.

Bilbo strabuzzò gli occhi grigi, incredulo: Thorin Scudodiquercia, Re sotto la Montagna, lo stava supplicando?

Gli si strinse il cuore in una morsa, sentendo il tono disperato con cui glielo aveva chiesto. Sapeva quanto dovesse sentirsi impotente nello stare rinchiuso lì dentro, senza poter far nulla, lontano da tutti: ma non si sarebbe mai aspettato tanto dolore nelle sue parole, nei tratti del volto che stava guardando.

Gli sorrise leggermente per rincuorarlo, dandosi dello stupido perché non poteva vederlo, in quanto invisibile: quindi si affrettò a rispondergli, vedendo la pazienza del nano scemare, in attesa di risposta.

<< Certo, farò del mio meglio per trovarla >>.

<< Fa' in fretta: potrebbe essere troppo tardi >>.

Il sangue gli si gelò nelle vene, non capendo a cosa potesse riferirsi, ma rimase molto turbato dal tono che il nano usò.

<< Devo andare, ma tornerò quando avrò notizie >> gli promise.

<< Sì. Fai attenzione >>.

Bilbo se ne andò col cuore gonfio di tristezza: il sapere delle gravi condizioni dell'amica, rinchiusa in un posto isolato e nascosto, lo rese irrequieto; ma si sentì anche spaventato da ciò che gli aveva detto Thorin. Doveva trovarla, ne era sempre più convinto! Prima però avrebbe dovuto far tappa dagli altri, e rassicurarli che il loro re era vivo e stava bene.

Una piccola bugia non avrebbe fatto loro alcun male, si disse: sarebbero caduti nello sconforto, apprendendo la sua angoscia per la ragazza; e, di sicuro, Thorin non avrebbe voluto che venissero a conoscenza della sua momentanea debolezza.

Ciascuno dei nani diede sfoggio della propria contentezza: chi iniziò a piangere, chi batté le mani, chi saltellò euforico, chi lanciò il cappello in aria ed ululò di gioia.

Balin gli strinse le piccole mani con gratitudine, gli occhi che scintillavano di lacrime.

E poi giunsero le domande spinose, riguardo Karin; il povero Bilbo non si sentì mai così vile come in quel momento. Rassicurò tutti dicendo loro che era solo stata ferita leggermente da un ragno, e che doveva cercarla per conto di Thorin; il sollievo di quasi tutti nani aumentò a dismisura nel sentire che stava benone e, anzi, lo esortarono a non perdere tempo con loro e andare a cercarla in fretta. Persino Gloin e Oin lo cacciarono di corsa, lasciandolo stupito ma felice: anche loro, d'altra parte, erano preoccupati per la compagna!

Bilbo percorse ogni corridoio conosciuto, sbirciando dal buco della serratura quando le porte erano chiuse, o entrando brevemente nelle stanze se erano aperte: ma non la trovò.

Amareggiato e angosciato, la cercò finché non si sentì esausto e i piedi non martellarono dolorosi: allora si scelse un angolino per dormire. Ma nemmeno quando riprese la ricerca la trovò.

Sembrava essere sparita nel nulla.

Dove sei, Karin?




Lo sguardo penetrante e azzurro le mette soggezione, ma non lo da' a vedere.

Il re degli elfi è seduto sul trono intagliato e elaborato: non la guarda.

Guarda suo padre, a pochi passi da lei.

Al pensiero del genitore le monta una furia inaudita, accompagnata da un senso di tradimento.

Le ha mentito per portarla lì, dagli elfi.

L'ha raggirata, allontanandola da casa.

Allontanandola da lui.

Lo guarda di sottecchi: gli occhi scuri non vacillano, il portamento è fiero, come il suo.

Non si è nemmeno inginocchiato al cospetto del re.

L'ha ammirato per questo, ma poi ha ricordato.

Ora, vuol sapere perché sono lì, e non a Erebor.

Glielo deve.

<< Così, sareste un ambasciatore del re dei nani. Mi chiedo di quale >>.

Suo padre si indigna, anche lei freme.

<< Re Thròr, sovrano della stirpe di Durin! >>.

<< Ho sentito voci che parlano di una sua malattia, che l'ha reso avido di tesori >>.

Lei dilata le narici, si morde la lingua per dominarsi: se non è interpellata non può rispondere.

Osserva il re con odio, fa saettare lo sguardo anche verso le figure ai lati del trono.

Alla destra, un giovane elfo dai capelli biondi e gli occhi azzurri, i lineamenti molto simili a quelli di Thranduil.

A sinistra, un elfo alto e slanciato, dai capelli biondi e gli occhi viola.

Una caratteristica insolita, che la stupisce.

E inquieta.

Perché, a differenza dei due, non guarda suo padre.

Ma lei.

Ha un brivido, ma cerca di seppellirlo.

Lui se ne accorge, sghignazza.

<< Tutte menzogne! >> esclama Kario << Il nostro re è sano e in forze >>.

<< Così sano che non è stato lui a mandarvi qui, ma il figlio, il principe Thrain. Così sano che non presta attenzione alle voci di un drago che si sta avvicinando a Erebor >>.

Socchiude le labbra, sorpresa: un drago?

Guarda suo padre, ma non riesce a vederlo.

Ha dimenticato il suo volto.

È impaurita, adesso: teme per la sua casa.

Per il suo principe.

Per la sua gente.

Si sforza di guardare Thranduil, dentro di sé infuria la tempesta.

<< Siamo qui per chiedere il vostro aiuto >> la voce del padre è riottosa, ma velata di supplica.

Gli è stato ordinato d'andare a chiedere un'alleanza, lui ha obbedito.

<< Nemmeno il più potente esercito farebbe molto contro un animale del genere. Non manderò i miei valorosi soldati a morire per un popolo avido e amante delle ricchezze. È questo che conduce il drago da voi: la passione smisurata per l'oro >>.

Kario non parla, e lei non capisce perché.

Perché non si difende?

Perché non difende tutti loro?

La lingua si muove, le corde vocali vibrano.

<< Maestà, vi prego! >>.

L'elfo la guarda come se la vedesse per la prima volta: gli occhi mandano lampi, ma li ignora.

<< Ci sono degli innocenti laggiù: nane, bambini e anziani, che non danno importanza all'oro. Senza il vostro aiuto non riusciremo a difenderli e salvarli: verranno uccisi senza alcuna pietà, perché non riusciranno a fuggire in tempo! Per favore, intervenite! >>.

Thranduil l'osserva, poi sorride sarcastico.

<< Molto onorevole da parte tua, un discorso degno di una regina >>.

Avvampa, non tanto per il titolo con cui la chiama, ma di rabbia. Le sue parole non hanno avuto effetto.

<< Vostra figlia è abile a parole, ambasciatore. Ma dovrebbe tenere a freno la lingua, se non interpellata >>.

Abbassa il capo, piena di vergogna.

Non lo vede, ma sa che suo padre le lancia un'occhiata di rimprovero.

La parte razionale della mente le ricorda che questo è un sogno, nulla di più.

Allora come mai gli stessi sentimenti di quel giorno riaffiorano prepotenti, lasciandola senza fiato?

<< Vi chiedo perdono. Anche a nome suo >> dice Kario, imbarazzato << Spero che il suo intervento non vi abbia offeso >>.

Suo padre è irriconoscibile. Così servile da nausearla.

Vuole scuoterlo per le spalle e farlo tonare in sé, ma non può.

<< Oh no, ambasciatore. Ma la mia risposta rimane negativa: gli elfi non aiuteranno i nani; a meno che... >>.

Lascia la frase in sospeso, così da farli fremere; Kario è impaziente.

<< A meno che? Vi prego, continuate! >>.

Thranduil lo studia con malcelato divertimento: sa di averlo in pugno.

Lo odia, con tutta la sua anima. Perché sta giocando con i sentimenti del padre, e i suoi.

<< A meno che il vostro sovrano non mi renda l'Archepietra. Più una parte del tesoro, anche un decimo del valore va bene >> esclama trionfante, la voce carica di desiderio.

Lei ha un tuffo al cuore.

<< Dovremmo pagarvi per avere il vostro aiuto? >> chiede adirato suo padre; ha i pugni contratti, la voce è incrinata di rabbia e disgusto << Non accetteremo mai! >>.

Kario fatica a parlare; lei può quasi sentire i denti scricchiolare tra loro da quanto sta serrando la mascella, indignato << Andiamo, Karin! Ne ho sentite abbastanza: che tutti sappiano la mancanza di pietà del popolo degli Elfi, e la loro brama di ricchezze, superiore perfino a quella dei Nani! >> tuona, sprezzante: si gira, sente il mantello frusciare.

Lo segue ma, dopo pochi secondi, una voce diversa si leva nell'aria fino a loro.

<< Fermatevi, vi prego! Il mio re non ha ancora finito di parlare con voi >>.

La voce è strascicata e untuosa; mille brividi di ribrezzo le percorrono la colonna vertebrale.

Si arrestano, suo padre si gira: a malincuore lo fa anche lei, riconoscendo l'alto elfo.

Thranduil alza una mano per ringraziarlo, negli occhi un nuovo bagliore.

<< Forse, ambasciatore, cambierà idea molto presto >> continua il consigliere << dopo che avrà sentito la proposta del sovrano >>.

Si avvicina di molti passi a loro, raggiungendola; d'istinto, lei indietreggia, ma lui le afferra saldamente una spalla in una morsa ferrea.

Gli lancia un'occhiata carica di disprezzo, ma non la nota.

Dentro sé, è terrorizzata e sospettosa: non sa per quale motivo, ma teme quella proposta. Sa che non porterà a niente di buono.

I palmi le sudano, mentre le ossa si congelano, lente.

<< Posso concedervi un po' di tempo per pensarci, Kario della stirpe di Gorin. Nel frattempo, però, vostra figlia rimarrà... nostra ospite >> è Thranduil che parla, ora.

La terra le manca da sotto i piedi; il cuore le si blocca per alcuni battiti, per poi riprendere veloce. Troppo veloce.

Le orecchie le ronzano, forse per questo crede d'aver sentito male.

<< Cos... mia figlia? >>.

Il re annuisce << La terremo al sicuro in una delle nostre confortevoli stanze, e non le faremo mancare nulla. Nel mentre, voi avrete tutto il tempo per pensare: l'Archepietra per vostra figlia. La salvezza o la distruzione di Erebor è nelle vostre mani. Ma vi conviene sbrigarvi, poiché il tempo incalza e il drago non attende >>.

Suo padre è dubbioso e dilaniato, lo sa. Indugia troppo.

<< Padre >> ha la voce incrinata, ma cerca di non renderla tremante << non accettate, vi scongiuro! L'Archepietra no, non quella! Anche se gliela donassimo non ci aiuterebbe comunque, lo sapete >>.

Sa quanto è importante per il re dei nani e per la sua gente: è il loro tesoro più prezioso.

<< Se acconsentirete vi concederemo tutto l'aiuto possibile. Avete la mia parola >> prosegue l'elfo, sovrastando la sua voce.

Kario è oltremodo indignato e incollerito << Questo è un ricatto, Thranduil! Non ci piegheremo mai a queste richieste! >>.

<< Voi vi piegherete, invece? >>.

Kario assottiglia lo sguardo, le grosse mani da fabbro si stringono fino a sbiancare. Non parla, non dice nulla.

Thranduil fa solo un cenno con la testa.

L'elfo le stringe la spalla con forza ma riesce a sfuggirgli, correndo dal genitore.

<< Non accogliete la sua richiesta >> gli sussurra all'orecchio << non mi faranno nulla, ma voi dovete tornare a Erebor e avvertire il re! Devono sapere! >>.

Viene spinta lontano da lui, verso una porta alle spalle del trono.

<< Fatelo, padre! >>.

<< Karin! >>.

<< KARIN!!! >>.



Il volto le si piegò in una smorfia di dolore all'ennesima fitta alla tempia: spinse la fronte calda contro il palmo della mano, nella speranza di alleviare il dolore martellante, non riuscendoci.

Era stravolta ed esausta, non dormiva da settimane: ogni volta che chiudeva gli occhi il passato la tormentava senza sosta: poco fa aveva sognato il suo arrivo a Bosco Atro; prima ancora la tortura e poi, sorprendentemente, Erebor.

Non la rivedeva da anni, e la scosse molto più che non rivedere se stessa alle prese con i supplizi interminabili.

Una fitta più forte le fece aggrottare la fronte e scrutare lungo l'oscurità della stanza: sapeva che, da qualche parte sopra un tavolino, c'era del cibo che gli elfi avevano portato per lei. Non toccava quasi nulla, al massimo beveva un po' d'acqua: non voleva alzarsi.

Non voleva far nulla, a dir la verità: voleva solo rimanere da sola, al di là del velo grigio.

Nuovi pensieri l'avevano trovata, affollando la mente già stipata: si era ricordata dei suoi compagni, e di Bilbo; si era chiesta dove potessero essere, se stessero bene. Si era risposta che, dovunque fossero, forse stavano pur sempre meglio di lei.

Chiunque avrebbe potuto stare meglio di lei.

Lei era debole.

Una frase che le rimbombava come un martello su un'incudine di ferro: lui aveva avuto sempre ragione, fin dall'inizio. Non era capace di risollevarsi, di combattere e guardare avanti procedendo a testa alta. Se incontrava un ostacolo non lo aggirava, ma si rintanava da qualche parte a piangersi addosso: odiava quel comportamento.

Lo detestava con tutta l'anima, come detestava a morte quel luogo; avrebbe dato ogni cosa in suo possesso per poter ritornare sotto le fronde afose degli alberi della foresta.

Involontariamente, il suo pensiero volò verso Thorin: si chiese dove fosse e, per un attimo, un sussulto sembrò scuotere il velo spesso dietro al quale si era nascosta. Per un attimo, aveva intravisto uno spiraglio di luce.

Ma era durato un battito di ciglia, ripiombando poi nel buio più profondo e pericoloso. Rimuginare sul suo passato aveva portato in superficie nuove considerazioni, nuove questioni: durante i suoi interminabili monologhi, aveva ripensato spesso alla rabbia che Thorin provava nei suoi confronti, e alle ragioni che l'avevano portato ad esiliarla.

Era sempre stato geloso e possessivo, specie riguardo ciò che riteneva gli appartenesse di diritto: come il tesoro di Erebor, o la Montagna in generale.

Si immaginò uno scambio di ruoli, nel quale era lei quella che bandiva, infuriata perché tradita. Ed aveva compreso molte cose, che l'avevano lasciata senza fiato e con un desiderio assurdo di ridere a voce alta. Di piangere finché non avesse avuto più lacrime da versare.

Ma rimase immobile, fredda e rigida come marmo: a cosa sarebbe servito sfogarsi lì, quando avrebbe voluto farlo davanti a lui?

Il suo spirito si lasciò scappare una risata sarcastica, constatando che c'erano voluti tanti anni e un nuovo periodo di prigionia per farglielo capire: la sua cocciutaggine non aveva limiti. Come la sua cecità, la sua stupidità.

Era debole, allora. Lo era veramente.

Lo spirito sospirò, affranto: il corpo, invece, rimase immobile, gli occhi aperti nell'oscurità e la testa che, di lì a poco, sarebbe esplosa.

Passò altro tempo, ma non avrebbe saputo quantificarlo: ogni cosa si confondeva; non sapeva distinguere il giorno dalla notte, i giorni dalle settimane. Ma, in fondo, che importava?

Sentì la porta aprirsi, vedendo avanzare un cono di luce rossastra: girò lentamente il capo dalla parte opposta, poiché abituata all'oscurità. I passi del visitatore erano leggeri, quasi impercettibili, ma li riconobbe all'istante, anche se non voleva: era Legolas.

Dopo la visita di Thranduil era tornato a trovarla ancora, da solo: rimaneva in piedi e le parlava, ma Karin si scordava subito dell'argomento; non le interessava. Voleva solo essere lasciata in pace, in quello stato di annullamento che le era di così grande conforto.

Le si avvicinò, stavolta sedendosi sul letto: prima, però, aveva appurato che il vassoio col cibo era ancora intatto, ed aveva sospirato.

Appoggiò la candela accesa al comodino di legno, studiandola in volto, serio e preoccupato come non lo vedeva da anni; da quando aveva scoperto lo scempio del consigliere, salvandola.

Gli occhi chiari brillavano, assorbendo le fiamme della candela, e mandavano lievi bagliori; la bocca sottile era così stretta che formava quasi un'unica linea, in un muto rimprovero.

Sostenne tranquillamente il suo sguardo, il volto inespressivo in netto contrasto con quello dell'elfo.

<< Non hai un bell'aspetto, Karin; queste occhiaie... >> lasciò la frase in sospeso, accarezzandole il punto con il pollice: lei, al contatto, aveva chiuso gli occhi, rimanendo in silenzio.

Ma, di nuovo, rivide il volto di Thorin e si scansò di poco, per fargli capire che doveva smetterla.

<< Devi riprenderti, o non ce la farai. Lo capisci questo, vero? >> le parlò come fa un genitore col proprio figlio disobbediente; ma, anche di fronte a quella domanda, non si diede pena di rispondere. Legolas abbassò un attimo il capo, sospirando di fronte alla testardaggine di Karin; ma continuò, imperterrito: non poteva lasciarla al suo destino, doveva aiutarla!

<< Cosa posso fare per farti star meglio? Nei miei limiti e capacità, s'intende >>.

La domanda trapassò il velo, imprimendosi in lei con la stessa forza con cui le rune erano state marchiate sull'acciaio di Iris, anni addietro: il grigio si dissolse, il mondo tornò per poco ai suoi colori originali.

Non ci pensò troppo, sapeva la risposta.

Sapeva di cosa aveva bisogno.

Di chi.

La voce le uscì in un rantolo roco, ma sufficientemente chiara << Thorin. Ho bisogno di vedere Thorin >>.


CANTUCCINO DELL'AUTRICE

Buonaseeeeeeera XD!!! Ebbene sì, ho aggiornato in super velocità ^^: mi stupisco di questo, e mi sto picchiando con il solito scudo di quercia: perché, care mie, DOVREI studiare – visto l'esame imminente - piuttosto che mettermi a scrivere! Invece, non appena inizio... puff, le idee sgorgano, e mica posso lasciarle nella testa, che poi mi dimentico u.u; va bé, sono un caso disperato!

Dunque, dunque... sono soddisfatta del capitolo? Mah, insomma, se devo essere sincera -.- avrei voluto scrivere mooolto di più, ma poi veniva una vera mazzata O.o! Quindi, tanto per aggiungere tristezza e rottura di maroni a voi e a me, ho spezzato il capitolo ;): ora non resta che scoprire se Karin riuscirà a vedere il suo Thorin!!! Pregate ragazze, perché non è detto! Scherzo, scherzo XD XD, sapete che sono burlona ^^.

Maaaaaa, che ne pensate dello sfogo di Dwalin O.o? Vi ha convinte o vi ha lasciate l'amaro in bocca? E il motivo per cui Karin è stata“trattenuta” a Bosco Atro? Non preoccupatevi però, l'Archepietra E' ancora a Erebor, non è stata data a nessuno :D .D Oh, e il dialogo tra Thorin e Legolas???

Bene, come sempre vi esorto a farmi sapere che ne pensate con le recensioni!

Ringrazio le carissime e specialissime J_ackie, vanessa 90, LadyGuns56, pamagra, Lady of the sea, Yavannah, Krystal91, MrsBlack e Carmaux. VI VOGLIO BENE CARE :* :*!!!!!!!!

GRAZIE anche a chi l'ha messa nelle preferite – seguite -ricordate e a chi legge soltanto! Siete meravigliosi!

Bene, è tutto ragazzi, alla prossima!!!

Vostra

Anna

  
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