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Autore: elsie    28/09/2007    1 recensioni
Seguto di "Into the Fire". John e Meredith si sono ormai lasciati alle spalle i loro nomi e il loro passato e sono diventati Pyro e Medusa, soldati di Magneto nella Confraternita. Ma insieme alla guerra tra umani e mutanti, i due ragazzi dovranno combattere una battaglia molto, molto più importante, e che riguarda loro due soli. AVVISO: in questo racconto si parlerà di aborto. Se non vi sentite di affrontare questo argomento, allora per favore non leggete.
Genere: Romantico, Drammatico, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Confraternita, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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WaBLtW3 Disclaimer: Tutti i personaggi presenti in questo racconto, ad eccezione di Meredith St.Clair/Medusa, che è una mia creazione, appartengono a Stan Lee e Jack Kirby, alla Marvel Comics e alla Twentieth Century Fox.

Ecco a voi il terzo capitolo. Godetevelo!

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Arrivarono davanti alla mensa per i poveri di Joliet Street, a Chicago, quando le campane della chiesa lì accanto suonavano le due del pomeriggio.

“E’ questa?” chiese dubbioso Pyro, guardando l’edificio grigio e malmesso che sorgeva davanti a loro.

Tutta Joliet Street, a dir la verità, aveva l’aria di essere poco raccomandabile. Molti dei palazzi che vi si affacciavano avevano alcune delle loro finestre sbarrate con assi di legno, e graffiti dipinti con le bombolette spray decoravano i muri, che erano scrostati in più punti. C’erano alcuni bambini che giocavano a guardie e ladri in un vicolo buio, e li avevano guardati con diffidenza quando Pyro e Medusa li avevano avvicinati per chiedere informazioni.
Non si faceva fatica ad immaginare che Joliet Street non fosse certo nella parte “rispettabile” della città.

Medusa lesse l’insegna situata sopra la porta a vetri. “Sì, è questa.” disse.

Esitò per qualche istante, poi si avvicinò e cercò di guardare all’interno della mensa attraverso la vetrata, ma erano troppo opaca per la polvere per riuscire a distinguere qualcosa. Si girò a guardare Pyro, e lui le si mise a fianco. Medusa mise la mano sulla maniglia della porta e spinse.

Una piccola parte di lei fu delusa quando la porta si aprì. Non sapeva se era più ansiosa o più spaventata di scoprire qualcosa su sua madre. Aveva cercato di non farsi troppe illusioni, ripetendosi che erano passati troppi anni da quando l’uomo che aveva incontrato all’accampamento era stato qui, e che probabilmente la ragazza del rosario non era nemmeno sua madre. Una parte di lei sperava ardentemente che non lo fosse.

Durante il viaggio aveva continuato a chiedersi cosa avrebbe fatto e detto se per uno strano caso del destino quella donna fosse stata davvero sua madre, e si fossero incontrate. Sapeva bene che esisteva una probabilità su un milione che questi due avvenimenti si realizzassero contemporaneamente, eppure non riusciva a smettere di pensarci, atterrita ed elettrizzata allo stesso tempo.
Cosa avrebbe fatto? Si sarebbe voltata e sarebbe andata via, oppure sarebbe andata da lei per parlarle? E in questo caso, cosa avrebbe potuto dire? “Ciao, io sono la figlia che hai abbandonato, ti va di parlarne?”

Pyro e Medusa attraversarono la porta a vetri e si ritrovarono in una grande sala con le pareti chiare e il pavimento a piastrelle bianche e nere. Tre lunghi tavoli, ognuno da circa cinquanta posti, erano disposti perpendicolarmente nella stanza, e un lungo bancone costeggiava la parete di fondo, piatti e bicchieri ordinatamente impilati sopra. Non c’era anima viva.

Medusa si stava chiedendo cosa fare quando una porticina di legno accanto al bancone si aprì e apparve una donna di mezza età con una lunga gonna a fiori e una camicia rosa, i capelli grigi raccolti in una crocchia sulla testa.

“Mi dispiace, adesso la mensa è chiusa.” disse rivolta a Medusa e Pyro. “Tornate alle sette.”

Ad un tratto si fermò e impallidì. “Santo cielo, Danielle!” esclamò fissando Medusa. “Come è possibile?”

Medusa sentì il suo respiro bloccarsi nei polmoni. “Cosa? Come mi ha chiamato?” chiese alla donna avanzando rapidamente verso di lei.

La donna prese un paio di occhiali da vista dal taschino della camicia e li inforcò, esaminando attentamente Medusa attraverso le lenti. “No, tu non sei Danielle.” mormorò, parlando più a sé stessa che alla ragazza in piedi davanti a lei. “Eppure...”

“Sto cercando una persona.” disse Medusa. Il sangue le rombava talmente forte nei timpani che faticava a sentire il suono della sua stessa voce. “Un uomo mi ha detto che, circa quindici anni fa, incontrò qui una ragazza che diceva di aver abbandonato la sua bambina davanti alla chiesa di Saint Mary of Grace a Detroit.”

La donna guardò Medusa, e sembrò capire qualcosa che a lei evidentemente sfuggiva. Chiuse gli occhi e scosse debolmente la testa. “Allora è vero...” disse. “E io che pensavo fosse solo uno dei suoi vaneggiamenti...”

Per un momento, Medusa fu certa che il suo cuore stesse per esplodere, talmente batteva forte. “Allora esiste davvero questa ragazza? Lei la conosce?” chiese con un filo di voce.

La donna annuì gravemente. “Prego, sedetevi.” disse indicando a Medusa e Pyro uno dei tavoli della mensa. Mormorando qualche parola di ringraziamento, i due ragazzi si sistemarono uno a fianco all’altra, e la donna si sedette di fronte a loro.

“Sai, le somigli davvero moltissimo.” disse improvvisamente. “E’ per questo che ti ho chiamato Danielle quando ti ho vista. Sei il suo ritratto.”

“E’ così che si chiama? Danielle?” chiese Medusa. Ha detto che le assomiglio, sussurrò una voce nel suo cervello. Ho una madre a cui assomigliare, adesso...

La donna le rivolse un mezzo sorriso. “Sì, Danielle. Danielle Alvarez.”

Alvarez, ripeté Medusa dentro di sé. Si era sempre chiesta, fin da bambina, da dove venissero la sua carnagione scura e le sue labbra piene. Ora lo sapeva. Sua madre aveva origini latine.

“C’è ancora una sua fotografia, di là.” disse la donna. “Posso andare a prenderla.”

Il cuore di Medusa le fece una capriola nel petto. “Sì, la prego.” rispose con un sussurro.

La donna si alzò. “Torno subito.” disse, ed uscì dalla stessa porta da cui era entrata, la sua lunga gonna a fiori che ondeggiava dietro di lei.

Medusa si voltò verso Pyro, elettrizzata. Aveva così tante cose da dirgli, così tante emozioni da descrivergli, eppure la sua bocca si rifiutò di emettere un qualunque suono. Non sapeva proprio da che parte cominciare.

Lui se ne accorse e le sorrise, prendendole una mano tra le sue. Senza staccare mai i suoi occhi da quelli di lei, si portò lentamente la mano alle labbra e ne baciò il dorso. Meredith gli sorrise a sua volta e gli accarezzò una guancia con la mano libera, grata per tutto il sostegno che le stava dando in quella situazione. Era venuto con lei fino a Chicago senza protestare per un viaggio che, a ben guardare, avrebbe avuto buone probabilità di risolversi in niente, sopportando senza mai fiatare il suo silenzio e i suoi mugugni distratti durante tutto il tragitto in treno. E ancora le teneva la mano fra le sue, sapendo bene, senza bisogno che lei aprisse bocca, in quale stato si trovasse ora che stava per vedere sua madre, seppure in fotografia, per la prima volta in tutta la sua vita.

La porta si riaprì e la donna riapparve con un bricco di limonata ghiacciata e due bicchieri.

“A proposito, il mio nome è Rachel Edmond.” disse versando la limonata nei bicchieri. “Faccio volontariato qui da ormai trent’anni, ed è così che ho conosciuto Danielle. Ecco, prendete.” disse porgendo a Pyro e Medusa i loro bicchieri colmi. “Avete tutta l’aria di aver fatto un lungo viaggio.”

Medusa la ringraziò e si portò alle labbra il bicchiere, rendendosi conto di quanto fosse assetata solo quando il primo sorso di limonata le scese giù per la gola.

Rachel la guardò e le rivolse un sorriso. “Ecco.” disse porgendole una fotografia. “Questa è Danielle.”

Una ragazza di non più di vent’anni, con la carnagione ambrata e lunghi capelli neri era seduta ad uno dei tavoli della mensa, forse proprio il tavolo in cui Medusa era seduta ora. I suoi vestiti erano logori e male assortiti, con un lungo cappotto di panno grigio che copriva una maglietta azzurra di cotone e una paio di jeans stracciati. Le sue labbra carnose erano leggermente dischiuse e i suoi occhi sembravano fissare un punto lontano, situato da qualche parte alla sua sinistra. Dal suo collo pendeva un rosario di pietre scure con al centro una croce d’argento. Medusa scrutò attentamente ogni dettaglio. Se non fosse stato per i capelli neri e gli occhi nocciola avrebbe anche potuto essere lei la ragazza della foto.

“Come vedi, ti somiglia molto.” disse Rachel. “Non avrei mai creduto che ci fosse veramente una bambina. Come ho detto prima, pensavo si trattasse solo di una delle sue farneticazioni.”

Medusa alzò gli occhi dalla fotografia. “Farneticazioni?” chiese. “Farneticazioni in che senso?”

Rachel esitò, a disagio.

“La prego.” la incalzò Medusa. “Ho bisogno di sapere. Mi dica la verità.”

Rachel esalò un lungo sospiro. “Danielle è malata di mente. Una qualche forma di schizofrenia, o almeno credo.” Medusa sentì Pyro stringerle forte la mano fra le sue. “Non saprei darti il suo esatto quadro clinico, ma posso dirti che aveva dei gravi problemi quando arrivò qui.”

Medusa si lasciò andare contro lo schienale della sedia. La parte di lei che già immaginava lunghe chiacchierate con Danielle, o almeno sognava la possibilità di chiederle perché l’avesse abbandonata, giaceva al suolo colpita a morte.

“Apparve qui da un giorno all’altro.” continuò Rachel. “Nessuno fu in grado di cavarle una parola sensata riguardo a dove venisse. Ogni giorno, per circa un anno e mezzo, venne alla mensa a mangiare, cascasse il mondo, a pranzo e a cena.”

“Lei...” iniziò Medusa, in realtà senza avere la minima idea di quello che voleva domandare.

“Una brava ragazza, proprio una brava ragazza.” disse Rachel con affetto. “La maggior parte del tempo se ne stava per conto suo a mormorare versetti della Bibbia e preghiere, senza dare fastidio a nessuno. Era tanto buona. Qui le volevamo tutti molto bene. Ogni tanto, quando si sentiva un po’ meglio, dava una mano a pulire e aiutava gli altri ospiti. Ma capitava di rado, purtroppo.”

Medusa guardò di nuovo la fotografia davanti a lei. Non guarda da un'altra parte perché il fotografo l’ho sorpresa mentre era distratta. Chissà cosa sta credendo di vedere mentre scruta in quel punto lontano. Si vergognò immediatamente per quel pensiero.

“Era molto religiosa?” chiese, cercando di ignorare il dolore che sentiva nel petto.

“Oh sì, molto.” rispose Rachel. “Portava al collo il suo rosario come se fosse una reliquia. Poi un giorno si presentò qui senza, e non fummo capaci di farci dire che fine avesse fatto. Molto probabilmente l’aveva perso da qualche parte.”

Medusa scosse la testa sorridendo tristemente. “Non poteva più portare Dio su di sé perché aveva abbandonato la sua bambina.” mormorò. Rachel Edmond la guardò sconcertata.

“Ho incontrato l’uomo a cui Danielle diede il suo rosario, circa quindici anni fa.” spiegò Medusa, indicandolo nella foto. “Lo pregò di prenderlo dicendo che lei aveva abbandonato sua figlia davanti alla chiesa di Saint Mary of Grace a Detroit. E’ così che sono risalita a questo posto.”

“Sì.” disse Rachel. “Lo ripeteva sottovoce migliaia di volte al giorno. Ma dato il suo stato mentale, nessuno ha mai immaginato che fosse vero.”

Medusa fissò a lungo la fòrmica verde pisello del tavolo, incapace di sentire nulla che non fosse quel dolore nel petto, come la ferita di un pugnale. Alzò lentamente lo sguardo su Rachel. “Signora Edmond.” iniziò, cercando di tenere la voce ferma. “Sa dirmi dove si trova Danielle ora?”

Lei annuì tristemente. “E’ ricoverata all’ospedale psichiatrico di St. Louis.” disse con un sospiro. La ferita nel petto di Medusa si fece più dolorosa.

“Come ti ho detto, è rimasta con noi per circa un anno. Poi un giorno è sparita misteriosamente come era apparsa.” continuò Rachel Edmond.

“Se è scomparsa come fa a dire che è in manicomio a St. Louis?” domandò Pyro.

“Per dieci anni non abbiamo saputo più niente di lei.” rispose Rachel. “Quando sparì abbiamo provato a cercarla per un po’, ma non ne trovammo traccia da nessuna parte. Passammo in rassegna gli ospedali, le case di cura, i ricoveri per senzatetto, persino gli obitori, Dio non volesse. Niente. Poi, cinque anni fa, uno dei volontari della mensa è andato a trovare suo cugino che era stato ricoverato nell’ospedale psichiatrico di St. Louis, e ha riconosciuto Danielle in una delle pazienti.”

La signora Edmond fece una nuova pausa e guardò Medusa, indecisa se continuare o meno. “Sai, sono andata anch’io a trovarla, ogni tanto.” disse infine. “E’... L’ho trovata molto peggiorata, da quando stava qua. Povera bambina. Anni fa era ancora lucida, anche se solo a tratti. Con un po’ di pazienza si riusciva a farla ragionare. Ma adesso...” Scosse la testa con gli occhi lucidi. “E’ completamente persa nel suo mondo. Non credo neanche che si renda conto di dove si trova, o di quello che le accade attorno, povero angioletto. E’ come se il suo corpo fosse ancora su questa terra, ma la sua mente è altrove. Mi dispiace moltissimo.”

Medusa abbassò di nuovo lo sguardo, il dolore al petto più forte che mai. Tutto questo tempo, e non ho niente, pensò.

Fin da piccola aveva cercato di immaginare chi fosse la donna che l’aveva messa al mondo. Una parte di lei la odiava per averla abbandonata, condannandola ad una vita di solitudine negli orfanotrofi, mentre gli altri bambini avevano una mamma e una famiglia che si prendesse cura di loro.
Ma voleva anche disperatamente sapere perché l’avesse rifiutata, lasciandola appena nata sulla scalinata di una chiesa. Quando aveva visto la foto di Danielle la parte di lei terrorizzata dall’idea che sua madre non l’avesse voluta perché era una mutante aveva esultato. Sembrava così giovane. Forse era per quello che l’aveva abbandonata, perché era ancora una ragazzina e non sapeva come provvedere a sua figlia. Ma ora non avrebbe mai potuto parlare con sua madre, sapere da dove veniva, chiederle se da qualche parte aveva dei nonni, degli zii, o cose simili. Danielle era malata, e se Rachel aveva ragione non sarebbe stata in grado di dirle nemmeno una parola.

La mano di John strinse più forte la sua, e Medusa si voltò a guardarlo brevemente, poi si alzò. La signora Edmond le rivolse uno sguardo indulgente. “Ti ho dato solo brutte notizie, mia cara. Non sai quanto mi dispiace.”

Medusa scosse la testa, il suo pensiero lontano anni luce da lì. “Non è colpa sua. La ringrazio per tutto il tempo che mi ha dedicato.” disse lentamente.

“Non c’è di che, cara.” le rispose Rachel. “A proposito, ancora non ti ho chiesto come ti chiami.”

Medusa esitò. La signora Edmond le piaceva, e non le andava di mentirle. Oh, andiamo, si disse infine. Chi mai potrebbe collegare te a questo posto?

“Meredith.” rispose, ignorando lo sguardo di rimprovero di Pyro.

Rachel sorrise. “Meredith.” ripeté. Indicò la fotografia che giaceva sul tavolo davanti a loro. “Prendila pure, se vuoi.”

Medusa scrutò attentamente la ragazza che vi era rappresentata, e che aveva i suoi stessi identici tratti, la sua stessa identica carnagione, le sue stesse labbra, perfino la sua stessa corporatura. Sorrise.

“No, grazie.” rispose. “Non ne ho bisogno.”

****

Appena tornarono al campo Medusa andò al bunker ad incontrare Magneto. Era stata via tutto il giorno, e anche se ai membri della Confraternita era solitamente concessa una certa libertà di andare e venire lei aveva pur sempre delle responsabilità. Quella mattina, quando era andata dal capo a dirgli che lei e Pyro si sarebbero assentati per motivi personali, si era aspettata che lui le negasse il permesso o almeno che le chiedesse dove stavano andando. Una parte di lei desiderava che lo facesse, così avrebbe avuto un buon motivo per discutere con lui. Invece Magneto si era limitato a sorriderle e a dirle: “D’accordo, mia cara.”

Lo trovò nella sala principale del bunker, seduto al tavolo di acciaio che occupava gran parte della stanza. La pistola che il giorno precedente Magneto aveva tolto alla guardia sul container, prima che Pyro la uccidesse, giaceva sulla superficie lucida della tavola. Medusa distolse rapidamente lo sguardo e lo posò su Magneto.

“Ci sono stati dei nuovi arrivi oggi.” disse lui.

Medusa annuì. “Sì, li ho visti montare le tende mentre venivo qui.”

Magneto le mostrò dei fogli che teneva in mano. “Archlight ha trascritto i loro nomi e le loro abilità.”

Medusa guardò il suo capo, cercando del rimprovero nella sua voce. Di solito, la registrazione delle nuove leve era un compito che spettava a lei; tutto ciò che riguardava la gestione della truppa era sotto la sua responsabilità. Ma Magneto non sembrava né irritato, né deluso; semplicemente, la stava informando.

“Posso?” chiese Medusa.

Magneto alzò le spalle. “Certo.”

I fogli che aveva in mano volarono verso Medusa, che li afferrò mentre erano a mezz’aria e cominciò a scorrerli velocemente, grata di avere una scusa per non guardare Magneto negli occhi. Aveva scoperto di non avere affatto voglia di guardarlo, dopo quello che era successo il giorno precedente.

“Stiamo diventando numerosi.” disse Medusa senza alzare gli occhi dai fogli. “Ci serviranno più provvigioni.”

“Non c’è problema.” rispose Magneto.

Medusa sorrise continuando a scorrere distrattamente i fogli. “Sì, immaginavo.” disse. Cominciò a fare rapporto, ma rifiutò di alzare gli occhi su Magneto. “Il morale della truppa è ancora piuttosto alto. Un paio di persone si sono lamentate per la sistemazione nel bosco, ma si sono dati una calmata quando ho fatto loro presente che questo non è il camping delle Giovani Marmotte. La situazione sanitaria è piuttosto buona. Un paio di raffreddori, ma per il momento niente di preoccupante. Finché il tempo tiene non credo che avremmo preoccupazioni su quel fronte. Ah, dimenticavo. La ragazza bionda che sa mimetizzarsi, Kharmaleon, si è lamentata per un mal di denti. Le ho dato un paio di analgesici, ma credo che presto dovremmo mandarla in città a vedere un dentista. Servono le solite cose, tessera sanitaria falsa e tutto il resto. Comunque non penso ci saranno problemi, è una dormiente.” Nel gergo della Confraternita, il termine “dormiente” indicava chi non aveva ancora partecipato ad una missione.

“Quando gliene parlerai?” chiese improvvisamente Magneto.

“Parlare con chi a proposito di cosa, Magneto?” rispose Medusa senza alzare lo sguardo dalle carte.

“Dovrebbe poter prendere parte a questa decisione. E' anche figlio suo.”

Le carte che Medusa teneva in mano caddero a terra, e lei fissò Magneto con un misto di terrore e di ansia. Il capo della Confraternita la guardò con tenerezza, e Medusa si lasciò cadere su una sedia.

“Non...” iniziò debolmente, senza nemmeno sapere cosa voleva dire.

Lui le sorrise. “Mia cara, quando ieri quella guardia ci ha puntato addosso la sua pistola, tu ti sei messa una mano sul ventre. Lo so, probabilmente non ti sei nemmeno accorta di averlo fatto.” le disse con un tono comprensivo. “Credo sia quello che viene comunemente definito “istinto materno”. E' una legge di natura, non lo si può controllare. Ogni madre difende il proprio piccolo.”

Le ultime parole di Magneto furono come una pugnalata al cuore. Pensò all’esserino annidato dentro di lei che dormiva cullato dai battiti del suo cuore, sicuro che la sua mamma l’avrebbe protetto sempre.

“Certo, Pyro non poteva accorgersene, visto che ti dava le spalle.” continuò Magneto. “E se ancora non gli hai detto niente significa che questo bambino tu non lo vuoi tenere. Ma è pur sempre il padre, e ha il diritto di dire la sua.”

La vergogna e il senso di colpa tornarono a colpirla in tutta la loro potenza. Guarda che cosa ha fatto John per te, disse una voce maligna nella sua mente. Ti ha tenuto per mano, ti ha rassicurata quando più ne avevi bisogno, e tu ti libererai del vostro bambino senza che lui nemmeno sappia della sua esistenza. Senza che abbia, almeno una volta, la possibilità di metterti una mano sulla pancia.
Di colpo si odiò. Non riusciva a sopportare l’intensità di quella sensazione rivolta contro di sé, perciò diresse la sua collera e il suo disprezzo verso Magneto.

“E tu che ne sai?” gli disse rabbiosamente. “Com’è che adesso ti metti a farmi la predica?”

Lui non si scompose per quella mancanza di rispetto. “Hai ragione.” rispose. “Io non ne so nulla di figli. Ma nella mia vita ho imparato una cosa o due sul mentire. O sul nascondere la verità, che poi, credimi, mia cara, qualunque scusa tu ti voglia raccontare sono la stessa identica cosa. Se vuoi accettare un consiglio da un vecchio, posso dirti che se deciderai di non dire niente a Pyro prima o poi questa scelta tornerà a tormentarti. Qualunque cosa tu voglia fare a proposito del bambino, è meglio per tutti e due voi se prendete questa decisione insieme.”

Medusa rise sarcastica, ancora scossa dall’odio e dallo sdegno. “Decisione? E cosa c’è da decidere?” chiese all’uomo che la guardava dall’altro capo del tavolo. “Come dovremo sfamare questo bambino, secondo te? Perché, se ho capito bene da quello che è successo a Mistica ieri, per quelli che non sono più utili alla Confraternita la faccenda suona un po’ come: “grazie di tutto, adesso levatevi dai coglioni.” Non credo che ci permetteresti di restare se avessimo un neonato di cui occuparci, ho ragione?”

La frase su Mistica le era sfuggita di bocca prima che avesse il tempo di capire quello che stava dicendo, e appena ebbe terminato la sua sfuriata Medusa pensò che Magneto l’avrebbe colpita, o le avrebbe gridato contro, o l’avrebbe buttata fuori dalla Confraternita. Invece si limitò a rivolgerle uno sguardo impassibile.

“Sì, hai ragione.” rispose.

Medusa lo guardò a sua volta, cercando di riacquistare la calma. Poi abbasso lo sguardo. “Allora non c’è nessuna decisione da prendere.” disse piano. “Non c’è niente da discutere.”

Ci fu un lungo momento di silenzio, in cui Medusa continuò a fissare il tavolo lucente dinnanzi a lei. Non c’è nessuna possibilità di scelta, si disse amaramente. E’ una strada obbligata, perciò non c’è bisogno che John lo sappia. Lo farebbe solo soffrire. Puoi portare questo peso da sola, e sai che è l’unica cosa da fare. Non la migliore, solo l’unica.

Alzò lentamente gli occhi su Magneto. “Non dirgli niente.” sussurrò.

Lui scosse la testa. “Certo che non lo farò. Non spetta a me.” disse con calma. “Se tu hai deciso di non parlargliene, non è compito mio intromettermi.”

Medusa annuì leggermente, sempre guardando altrove. “Ok.” mormorò.

Sì alzò e uscì dalla stanza, lasciandosi alle spalle Magneto ancora seduto al tavolo, i cui occhi, ne era sicura, erano fissi sulla sua schiena mentre si allontanava.

Quando uscì dal bunker il sole stava già calando oltre le cime degli alberi. Guardò attorno a sé l’accampamento che si preparava per la notte, e si incamminò verso la sua tenda.

Ripensò al viaggio a Chicago, alla fotografia di Danielle, e si rese improvvisamente conto di non aver pensato, neppure per un momento, all’uomo che era suo padre. Si era concentrata solo su Danielle, senza considerare che doveva pur esserci una controparte maschile coinvolta nel suo concepimento. Forse l’ha lasciata quando Danielle gli ha detto di essere incinta, pensò. Non sarebbe la prima volta che si sente una storia del genere.

Alla sua destra, Callisto e Archlight stavano sistemando un telo di plastica sopra le casse che contenevano gli approvvigionamenti per il campo. Quando la videro passare interruppero per qualche istante il loro lavoro e la salutarono. Oppure, chissà, continuò Medusa tra sé e sé. Quell’uomo non ha mai saputo di aver avuto una figlia. Una rondine si gettò dall’alto di un abete e planò a volo radente sull’accampamento, sfrecciando come un missile a pochi passi da lei. Sarebbe bello chiederlo a Danielle, pensò.
  
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