Capitolo
VII
Emma s’inginocchiò, in lacrime.
«Deve
sapere, Sophie» mi disse lei alzandosi «che non
c’è stato giorno
in cui non mi sentissi colpevole della sua morte. Mamma e
papà da quel giorno
mi guardano con occhi diversi: torno a casa, loro mi ignorano, si
limitano a
fissarmi, senza dire nulla. Il peggio è stato stamattina,
quando mi sono
ritirata nella mia stanza con Nico.»
«A volte capita..» sussurrai io.
Emma mi guardò stranita.
«Intendo che a volte capita di sentirsi colpevoli per un avvenimento, quando invece in realtà non potevamo fare niente per evitarlo..»
«Lei capisce, Sophie?»
«Si. Anche quando mio marito è morto in un incendio io, per un mese o forse di più, ho continuato a rimproverarmi. Ogni mattina, quando mi alzavo dicevo “hai fatto morire tuo marito, sei una creatura ignobile”..»
«Mi dispiace..» Emma mi mise le mani sulle spalle, i suoi occhi incrociarono i miei.
«Ormai è passata.. fidati, tu non hai colpa, smetti di tormentarti».
Emma
mise la rosa bianca sulla tomba, le foglie di quercia si
rimescolarono in un piccolo vortice d’aria creato dal vento.
Girai attorno all’albero: una grossa quercia di quasi
cinquecento
anni, con un tronco robusto e molto ramificata sulla cima.
Probabilmente il
proiettile non aveva oltrepassato il corpicino della piccola Gwen,
altrimenti
ci sarebbe tuttora un forellino nel tronco.
Fu allora che lo vidi: una parte cava nel tronco, dentro la quale si
poteva scorgere una lettera. D’istinto la presi e la infilai
in tasca,
probabilmente l’avrei letta dopo.
Continuai a ispezionare il terreno, ma non trovai nulla che potesse
essermi d’aiuto.
«Sophie, se lei ha finito, io me ne andrei» Emma comparve alle mie spalle.
«Si, direi che qui non c’è più nulla da fare».
Ormai
era diventato buio e non si vedeva a un palmo dal naso: il
maggiordomo accese una torcia e proseguimmo anche aiutate dalla luce
dei
lampioni.
A casa, tutti attendevano il nostro ritorno con ansia.
«Era ora! Sapete che ore sono?!» sbottò il signor Morgan.
«Papà stai calmo, come vedi siamo ancora vive e vegete» Emma lo guardò seccata, per poi sbuffare.
«Cari signori miei, oggi è stata una giornata davvero intensa. Torneremo domani per ascoltare i rimanenti, intanto grazie a tutti e buonanotte» mi congedai con eleganza.
Tutti
i parenti si mossero verso le loro stanze, però ad un certo
punto Louis si bloccò sulle scale, fissandomi: feci finta di
non accorgermene,
anche se quel ragazzo diventava un enigma sempre più
complicato col passare dei
giorni.
Presi la macchina, guidando abbastanza spedita poiché erano
già le
otto e venti. Ad un incrocio passai con il verde, ma mentre mi trovavo
nel
punto d’intersezione delle quattro direzioni una macchina
sfrecciò a tutta
velocità davanti a me, quasi tamponandomi. Stavo per
imprecare contro quell’idiota,
ma guardandolo meglio mi accorsi che alla guida c’era la
signora Morgan.
«Ma
che diavolo..?!» proruppi in un’esclamazione di
sorpresa, mentre
dietro di me gli automobilisti suonavano i clacson perché mi
togliessi dalla
strada.
No, non c’era dubbio, quella era la signora Morgan. E a
questo punto, o
i morti camminano da soli, o c’è qualcuno che si
sta facendo beffe di tutti.
Arrivai dalla nonna ancora scioccata, con una bella rigata frontale
sulla Opel Corsa nera.
«Mamma, sei in ritardo» mio figlio era offeso perché ero arrivata mezzora dopo.
«Lo so amore scusami, mamma ha avuto tanto da fare al lavoro.. che ne dici di una bella crêpe?»
«Con la nutella però!» Daniel corse verso l’auto e si cacciò dentro.
Salutai
la povera Agnese, che aveva perso il figlio e il marito quasi
contemporaneamente, dandole un bacio e porgendole una scatola di
cioccolatini.
Avevo sentito sempre parlare di mogli che erano in un eterno conflitto
con le suocere, tutto un tirarsi le mine e giudicarsi a vicenda. La mia
cara
suocera, invece, era un angelo.
Ci fermammo da Mc Donald’s sulla strada accanto, dove Daniel
prese due
crêpes enormi: Dio solo sa come avremmo fatto a mangiarle.
«Come va al lavoro, mami?» si voltò verso di me, la bocca tutta sporca di cioccolato.
«Bene tesoro, oggi ho parlato con molte persone»
«Cosa è successo?»
«Oh niente.. pensavamo che una signora fosse morta, invece me la sono ritrovata poco fa che guidava come una pazza»
«Ma mamma, i fantasmi non esistono!»
«Hai ragione.. magari è solo colpa mia, sono un po’ stanca e potrei avere avuto un’allucinazione.»
Daniel
scese dalla macchina in tutta fretta, e andò a giocare in
camera con l’aereoplanino che Aldo gli aveva regalato. Mi parlava sempre di lui,
era il vicino di
casa della nonna.
Preparai la cena, anche se nessuno di noi due osò toccare
cibo dopo la
scorpacciata di prima.
Così arrivò il momento fatidico: presi la
lettera, un po’ spiegazzata
per colpa del disordine che avevo in borsa. Quel pezzo di carta mi
fissava, era
come se mi dicesse «Dai, aprimi.»