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Autore: elsie    01/10/2007    1 recensioni
Seguto di "Into the Fire". John e Meredith si sono ormai lasciati alle spalle i loro nomi e il loro passato e sono diventati Pyro e Medusa, soldati di Magneto nella Confraternita. Ma insieme alla guerra tra umani e mutanti, i due ragazzi dovranno combattere una battaglia molto, molto più importante, e che riguarda loro due soli. AVVISO: in questo racconto si parlerà di aborto. Se non vi sentite di affrontare questo argomento, allora per favore non leggete.
Genere: Romantico, Drammatico, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Confraternita, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Disclaimer: tutti i personaggi presenti in questo racconto ad eccezione di Meredith St.Clair/Medusa, che è una mia creazione, appartengono a Stan Lee e Jack Kirby, alla Marvel Comics e alla Twentieth Century Fox.

Ben ritrovati con il capitolo 4 di questo racconto. Come vi sarete sicuramente accorti, sto seguendo la trama di X Men 3. A differenza del film precedente (sul quale ho incoscientemente basato "Into the Fire") questa volta X Men 3 l'ho guardato. Anzi, ce l'ho in DVD, quindi le differenze di trama saranno davvero minime. Qualche dettaglio sarà diverso, ma è una scelta cosciente.

Comunque, godetevi il capitolo.

..............................................................................................

Medusa era inginocchiata nella tenda che lei e Pyro occupavano, e stava riempiendo una piccola borsa con un po’ di cibo, bottigliette d’acqua e altre cose che le sarebbero servite per il viaggio a St. Louis. Seduto davanti all’entrata, Pyro la guardava severamente.

“Non servirà a niente.” disse ad un tratto.

Medusa non alzò lo sguardo. “Sì, probabilmente è vero.” rispose.

“Hai sentito quella donna.” continuò Pyro, sempre più contrariato. “Sta male, non è neppure in grado di capire dove si trova. Non ti dirà niente di utile!”

“Questo lo so.” replicò Medusa infilando il suo pacchetto di sigarette nella tasca esterna della borsa.

“E allora perché ci vuoi andare?” esclamò Pyro, esasperato. “Non ha senso!”

Medusa alzò lentamente gli occhi dalla borsa e li fissò in quelli di lui. “Voglio andare.” disse piano.

Pyro alzò la mano destra in un gesto di stizza. “Sì, ma perché?” disse, questa volta quasi gridando.

Prima che Medusa avesse il tempo di rispondere, sentirono qualcuno che si schiariva rumorosamente la voce appena fuori dalla loro tenda. Entrambi guardarono l’ombra scura che il sole proiettava sul telo, poi Pyro tiro giù l’apertura lampo dell’uscita e scivolò fuori. Medusa lo seguì.

Kid Omega li guardò a disagio, passando rapidamente lo sguardo dall’uno all’altra. Probabilmente li aveva sentiti litigare e ora non sapeva come comportarsi.

“Che vuoi?” lo aggredì Pyro.

“Mi dispiace disturbare.” rispose Kid Omega. “Ma Magneto vi vuole a rapporto. Dice che è urgente.”

Pyro e Medusa si scambiarono un’occhiata. “Andiamo.” disse nervosamente lui, e i tre si incamminarono verso il bunker di Magneto, il silenzio tra i due fidanzati pesante come un macigno. Kid Omega li seguiva distanziato di qualche passo, cercando di evitare di fissare lo sguardo sui due che lo precedevano e che aveva evidentemente interrotto durante una discussione privata piuttosto accesa. Medusa fu quasi sicura di averlo sentito tirare un sospiro di sollievo quando cominciarono a scendere le scale del bunker.
Kid Omega si fermò in una delle stanze d’anticamera insieme a Callisto e al Fenomeno, mentre Medusa e Pyro proseguirono verso la sala principale.

Trovarono Magneto seduto al grande tavolo d’acciaio che dominava la stanza.

“Callisto ha percepito una forza imponente.” disse il capo della Confraternita quando Pyro e Medusa si avvicinarono. “Una mutante che io credevo perduta molto tempo fa.”

Medusa si limitò a restituirgli lo sguardo senza chiedere ulteriori spiegazioni. Ormai si era abituata alle frasi criptiche di Magneto.

“Portarla nella Confraternita sarebbe un grosso punto a favore della nostra causa.” continuò. “Dobbiamo andarla a prendere subito e portarla qui, prima che qualcun altro arrivi a lei.”

“Qualcun altro chi?” domandò Pyro. “Xavier e la sua banda di senza spina dorsale?”

Magneto annuì. “E’ vitale che Xavier rimanga lontano da lei.” disse. “Sarebbe un grosso problema per noi, se la Fenice cadesse sotto la sua influenza.”

“Fenice?” chiese Pyro. “E’ così che si chiama?”

“Sì.” rispose Magneto. “Vi spiegherò tutto mentre siamo in viaggio. Adesso andate a prepararvi.”

Pyro annuì e si voltò per uscire, ma Medusa rimase immobile. Quando era sulla porta John si accorse che la sua ragazza non lo seguiva, allora si voltò e la guardò sorpreso. “Meredith.” la chiamò.

Magneto la fissò con uno sguardo interrogativo. Ora o mai più, si disse lei.

“Mi dispiace, Magneto, ma non posso venire.” disse con calma, restituendogli lo sguardo.

Lui scosse la testa. “Mia cara, sono costretto ad insistere. Oggi mi servi al mio fianco.”

“Te lo ripeto, oggi non posso venire con te.” rispose lei. “Puoi portare uno dei ragazzi nuovi. Mi sembrano in gamba, e sono sicura che saranno all’altezza della situazione.”

Magneto si alzò in piedi; la sua pazienza sembrava essere sul punto di esaurirsi. “Non voglio portare qualcuno che non ho mai visto combattere, Medusa, voglio te. Non credo che tu ti renda conto di quanto è importante questa missione.”

Lei si sforzò di reggere lo sguardo di ghiaccio che sembrava voler bucare la sua anima. “No, capisco benissimo, credimi. Ma non posso aiutarti comunque.” disse, tenendo la voce più ferma che le riusciva. “Porta i ragazzi nuovi. Normalmente ti avrei consigliato di portare Mistica, ma considerata l’attuale situazione....”

Il gelo cadde nella stanza. Magneto e Medusa continuarono a guardarsi negli occhi in silenzio, nessuno dei due disposto ad abbassare lo sguardo per primo.

“Mi dispiace, Magneto, non voglio mancarti di rispetto.” disse lentamente Medusa. “Ma oggi ho un impegno altrove. Tornerò in un giorno, un giorno e mezzo al massimo.”

Aspettò che lui replicasse, ma non lo fece. Si limitò a guardarla accigliato.

“Comunque,” continuò Medusa. “se vorrai espellermi dalla Confraternita, è tuo pieno diritto farlo.”

Si voltò e si incamminò verso l'uscita della stanza. Quando passò di fianco a Pyro lui la afferrò per un braccio e la costrinse a seguirlo oltre la soglia, chiudendo poi la porta dietro di sé.

“Meredith, ti ha abbandonata.” disse piano, guardandola negli occhi.

“E’ vero.” rispose lei. “Ma rimane comunque mia madre.”

Fece per incamminarsi verso l’uscita, ma Pyro non la lasciò andare. Improvvisamente furiosa, lei gli diede una spinta e liberò il braccio dalla sua stretta. “Non ho chiesto il tuo permesso, John, e nemmeno la tua compagnia.” gli sibilò, la voce carica di rabbia. “Se vuoi andare con Magneto, allora va’ con Magneto. Io comunque vado a St. Louis.”

Si voltò e uscì dal bunker senza un guardarsi indietro.

****

Medusa camminava per le strade di St. Louis cercando di non pensare a niente. Non al suo futuro nella Confraternita, né al bambino, né a John, nemmeno a cosa avrebbe fatto e detto una volta che si sarebbe trovata di fronte a Danielle.
Adesso il suo obiettivo era trovare l’ospedale psichiatrico, poi avrebbe affrontato ogni cosa a piccole tappe. Una volta trovato l’istituto, sarebbe dovuta arrivare fino a Danielle, e solo quando sarebbero state faccia a faccia Medusa avrebbe deciso cosa fare. E una volta finito con sua madre, avrebbe affrontato tutto il resto. Ma per il momento, proprio non ci voleva pensare, anche se sapeva che doveva pensarci.

A domani ci pensiamo domani, si era detta. Aveva letto quella frase in “Trainspotting” e le era piaciuta tantissimo.

Aveva chiesto indicazioni appena era arrivata in stazione, e per fortuna le avevano detto che l’ospedale non era lontano. Avrebbe potuto prendere un taxi, ma la verità era che in questo momento si sentiva troppo nervosa e inquieta per intessere relazioni sociali con un altro essere umano. Solitamente le piaceva parlare con i taxisti, rispondere alle mille domande che le facevano; spesso lei e Pyro inventavano storie pazzesche quando salivano sui taxi e si mettevano a chiacchierare con gli autisti. Più che altro, era lei a coinvolgerlo in questo gioco.
Non lo considerava proprio mentire: non si può mentire a una persona che incontri una volta nella vita e solo per dieci minuti. Più che altro, lo considerava un esempio di “realtà creativa”. Ma stavolta non aveva voglia di pensare a niente, nemmeno ad una storia inventata da raccontare ad un estraneo.

Improvvisamente le venne una voglia pazzesca di fumare. Frugò nella tasca esterna della borsa e tirò fuori le sue sigarette. Poteva sentire il peso del suo accendino dentro il pacchetto, e sorrise mentre lo faceva scivolare fuori. Era un piccolo accendino usa e getta di plastica verde, con disegnato sopra un alce stilizzata con un maglione di lana e gli occhiali da sole. Pyro la sfotteva sempre per quel coso, pavoneggiandosi con il suo preziosissimo Zippo, ma a lei piaceva e si era rifiutata di cambiarlo. Tirò fuori una sigaretta.

A onor del vero, anche lo Zippo era passato in secondo piano da quando Magneto aveva regalato a Pyro il lanciafiamme che teneva al polso. Lui lo adorava e non se ne staccava mai. Ad un certo punto, Medusa aveva dovuto impuntarsi e pretendere che se lo togliesse almeno quando andavano a letto, sostenendo che la loro storia stava diventando una cosa a tre: lei, lui e il suo amatissimo lanciafiamme.

“Un giorno ti sorprenderò mentre ci fai sesso.” gli aveva detto Medusa ridendo.

John l’aveva afferrata e l’aveva buttata sul letto, facendole il solletico, e cinque minuti dopo si stavano già sfilando i vestiti, il lanciafiamme abbandonato sul pavimento della camera.

Stava per portarsi la sigaretta alle labbra, ma qualcosa la bloccò. Non puoi e lo sai, la rimproverò una vocina nella sua mente. Glielo devi.

Abbassò la sigaretta e la rinfilò nel pacchetto insieme all’accendino, poi gettò il tutto in un cestino dell’immondizia senza nemmeno fermarsi. Finché può, si disse, questo bambino ha il diritto di essere sano e felice. E’ tutto quello che posso offrirgli.

Scorse in lontananza un grosso cancello di ferro battuto, e lo riconobbe per quello che le avevano indicato come l'entrata dell’ospedale. Appoggiato ad uno dei piloni di mattoni rossi che sostenevano il cancello c’era un ragazzo biondo che fumava con aria impensierita. Medusa non si chiese neppure se era lui. Era un copione già visto, qualcosa che era già successo tempo fa. Lei che passa in macchina e lui che la saluta appoggiato ad un albero.

Pyro la guardò in volto mentre lei si faceva sempre più vicina. Medusa si fermò a qualche passo da lui, guardandolo a sua volta senza dire una parola.

“Credevo che fossi con Magneto.” disse lei infine.

Pyro alzò le spalle e gettò a terra la sigaretta. “Credevi male.” rispose.

Medusa guardò il mozzicone ruzzolare vicino ai suoi piedi e non disse nulla.

“Ti si spezzerà il cuore.” le disse improvvisamente Pyro. “Qualcuno deve pur raccogliere i pezzi.”

Lei alzò gli occhi da terra e lo fissò.

“Ti si spezzerà il cuore, Meredith.” ripeté Pyro, la sua voce triste ma rassegnata.

Medusa annuì. “Lo so.” disse con un sussurro. Pyro la guardò in silenzio.

“Quando ero bambino, e sentivo mio padre tornare a casa ubriaco e con una gran voglia di menare le mani, io mi nascondevo.” disse dopo un po’. Medusa lo fissò stupita: era la prima volta che le parlava della sua infanzia e di suo padre. “E rimanevo nascosto mentre lui mi chiamava e mi cercava ovunque. Sapevo che nascondersi era una cosa stupida, perchè prima o poi sarei dovuto uscire fuori e allora mio padre mi avrebbe beccato e me ne avrebbe dato il triplo, ma non potevo farci niente. Non riuscivo mai a stare fermo ad aspettare che lui arrivasse e mi riempisse di botte.” Fece una pausa e fissò i suoi occhi in quelli di lei. “Le persone fuggono sempre dal dolore, Meredith. E' l' istinto di sopravvivenza. Invece tu stai per buttartici in mezzo. Perché?”

Improvvisamente gli occhi di lei si riempirono di lacrime. Aprì la bocca per rispondere, ma si rese conto di non avere niente da dire. Si limitò a guardarlo in silenzio, pregando che lui la capisse comunque.

Pyro distolse lo sguardo. “Andiamo.” disse indicando con un movimento della testa il palazzo che sorgeva al di là del cancello.

Attraversarono il giardino, punteggiato qui e là di aiuole ordinatamente potate e di grossi alberi di pioppo, alla cui ombra erano seduti uomini e donne che si guardavano in giro straniti oppure parlavano a bassa voce tra sé e sé. A pochi passi da loro, infermieri con le uniformi candide sorvegliavano i pazienti sulle panchine.

Il palazzo che ospitava l’ospedale era un vecchio caseggiato in stile liberty, probabilmente risalente all’inizio del secolo o giù di lì, e Medusa sentì il cambiamento di temperatura non appena lei e Pyro varcarono la porta d’ingresso e si ritrovarono nella portineria.

Se non fosse stato per gli infermieri e i medici che si affaccendavano qui e là, consegnando cartelle al banco dell’accettazione o spingendo pazienti in carrozzina, sarebbe stato difficile indovinare che si trattava di un ospedale. La sala era rimasta probabilmente com’era in origine: le luci provenienti da un grosso lampadario di cristallo si riflettevano sul pavimento di marmo scuro, tirato perfettamente a lucido. Gli arzigogolati telai di ferro delle finestre proiettavano artistiche ombre sui color grigio chiaro, e in fondo alla sala, dietro il banco dell’accettazione, Medusa poteva vedere una scalinata di marmo che si arrampicava verso il piano superiore, il corrimano di ferro battuto e mogano elaborato quanto i telai delle finestre. Accanto alle scale c’era un vecchio ascensore, le cui porte di acciaio di tanto in tanto si aprivano facendo uscire dottori in camice bianco e persino qualche paziente in vestaglia.

Forse fu a causa degli spifferi che ci sono sempre in un vecchio palazzo, ma mentre si guardava attorno Medusa rabbrividì. Quel posto le ricordava un film dell’orrore che aveva visto anni prima e l’aveva terrorizzata, in cui un gruppo di persone passava la notte in un ex manicomio, situato in un antico palazzo più o meno come quello in cui si trovava ora. L’ospedale era stato chiuso dopo che i pazienti erano insorti e avevano massacrato il personale medico, morendo poi nell’immane incendio che loro stessi avevano appiccato. La cosa che l’aveva spaventata di più era la figura inquietante e maligna del primario del manicomio, un sadico pazzo che si divertiva a torturare i suoi pazienti e che era misteriosamente scomparso nel nulla dopo la notte dell’incendio.
Pensò che non l’avrebbe troppo stupita se le porte dell’ascensore si fossero aperte e ne fosse uscito il dottore di quel film, con il suo sguardo malvagio e il suo sorriso diabolico.

Si impose di smetterla e si diresse verso il banco dell’accettazione, Pyro che le camminava a fianco. Un infermiere sui trent’anni, con il pizzetto e i capelli castani dritti sulla testa stava trafficando con delle cartelle.

“Ehi, George, sistemami la cartella della Ross quando hai tempo.” gli disse un dottore mentre si dirigeva verso le scale.

L’infermiere alzò lo sguardo dalla cartella che stava compilando e annuì. “Certo, dottor Petersen.” rispose, e in quel momento si accorse dei due ragazzi davanti a lui.

“Posso esservi utile?” chiese.

Medusa sentì il proprio cuore aumentare i battiti. “Cerco Danielle Alvarez.” disse.

Lui la guardò sospettoso. “Siete parenti?” domandò.

“Una specie.” replicò lei.

L’infermiere riprese a compilare la cartella che aveva sottomano. “Allora mi dispiace, ma non potete vederla.”

Medusa gli afferrò il polso, e lui la guardò. “Va tutto bene.” gli disse lei con calma fissando i suoi occhi grigi in quelli dell’infermiere. “Dimmi solo dov’è Danielle Alvarez.”

Lui la guardava senza vederla, la testa lievemente ciondolante sul collo. “Terzo piano, reparto di media sicurezza.” disse con un tono piatto e monotono.

Medusa gli rilasciò il polso. “Molto bene.” gli rispose sempre guardandolo negli occhi. “Ora noi saliamo. Va tutto bene. Torna a fare il tuo lavoro.”

L’infermiere annuì e abbassò la testa, segnando di tanto in tanto qualcosa sulla cartella con un movimento stanco della mano. A uno spettatore distratto poteva sembrare immerso nel suo lavoro.

Questa volta Medusa aveva usato parecchia energia per essere sicura che l’infermiere non si liberasse dal suo controllo almeno per un’ora, e sperò che nel frattempo nessuno si accorgesse dello strano comportamento dell’uomo, o almeno non lo attribuisse ai due ragazzi che ora attraversavano l’atrio, diretti verso l’ascensore.

Pyro e Medusa evitarono di guardarsi mentre aspettavano che le porte si aprissero e l’ascensore li caricasse, portandoli al terzo piano. Ora che l’incontro con Danielle si avvicinava, Medusa cominciava a sentire l’agitazione crescere in lei, ma si rifiutò ostinatamente di cominciare a pensare a cosa avrebbe fatto una volta arrivata davanti a quella donna che era sua madre.

La verità è che non lo sai, disse una voce dentro di lei. Non sai perché sei venuta fino a qui. John ha ragione. Non ricaverai nulla da questo viaggio, se non dolore e rimpianti. E sai bene che in questo momento dolore e rimpianti sono la cosa di cui hai meno bisogno. Ne hai già in abbondanza.

Alzò lo sguardo verso Pyro, che stava appoggiato alla parete di fondo dell’ascensore con le mani nelle tasche dei jeans e lo sguardo rivolto verso il soffitto, e aprì la bocca per dirgli che voleva tornare indietro, ma proprio in quel momento le porte dell’ascensore si aprirono e Pyro la guardò negli occhi, e Medusa non se la sentì più di parlare.

Uscirono dall’ascensore e si trovarono di fronte a un lungo corridoio con le pareti candide e il pavimento di linoleum color panna, sul quale si affacciavano, a intervalli regolari, porte di acciaio con delle finestrelle di vetro rinforzato situate più o meno all’altezza del volto di una persona di media statura. Incerti su dove cercare Danielle, Medusa e Pyro cominciarono a inoltrarsi nel corridoio, ma dopo qualche metro furono fermati da un’infermiera con una cascata di capelli ricci e rossi che era spuntata da una delle porte.

“E voi dove state andando?” chiese squadrandoli accigliata.

Medusa la guardò, indecisa se usare o meno i suoi poteri su di lei. Alla fine decise di optare per la strada della menzogna. Se andava male, c’era sempre tempo di fare retromarcia. “Siamo qui per vedere Danielle Alvarez.” disse. “L’infermiere giù all’accettazione... George, mi pare... ha detto che potevamo salire.”

Fissò l’infermiera negli occhi, pronta ad usare i suoi poteri in caso non avesse abboccato, ma lei si limitò a scuotere la testa. “E figurati se ne combina una giusta... Quel deficiente...” mormorò. Alzò lo sguardo su Pyro e Medusa. “Qui non potete girare da soli.” disse. “Venite, vi accompagno io.”

Medusa ringraziò e si incamminò dietro di lei, Pyro che la seguiva distanziato di un passo. Mentre percorrevano il corridoio, Medusa riuscì a intravedere dai vetri delle porte alcune persone all’interno delle stanze, sedute sui letti o per terra. Distolse in fretta lo sguardo.

“Pensavo che Danielle non avesse parenti.” disse ad un certo punto l’infermiera con i capelli rossi.

“Siamo cugini alla lontana.” rispose Medusa. L’infermiera non replicò.

“Mi hanno detto...” iniziò Medusa, incerta. Non era sicura di aver voglia di sapere. “Mi hanno detto che sta molto male.”

La rossa alzò le spalle. “E’ completamente dissociata dalla realtà, questo sì.” rispose. “Ma ho visto di peggio. Lei almeno è calma, per la maggior parte del tempo.”

“E quando non è calma?” domandò Medusa.

“A volte ha delle crisi, e diventa pericolosa.” disse l’infermiera “Non per gli altri, per sé. Abbiamo notato che è più tranquilla nella saletta della televisione, chissà per quale motivo, visto che non la guarda mai. Si agita meno che in camera.”

Arrivarono ad una grande finestra di vetro da cui era possibile vedere l’interno di una stanza. Le pareti erano candide e asettiche come il resto del corridoio, ma il pavimento era coperto da un grosso tappeto colorato e qui e là erano appesi disegni e fotografie. C’erano alcune poltrone, tutte di colore diverso, e su una di esse c’era seduta una infermiera di colore sulla cinquantina che guardava distrattamente la televisione. Su un’altra poltrona, nel lato opposto della stanza, stava una donna di circa trentacinque anni, i lunghi capelli neri raccolti in una coda di cavallo. Indossava un cardigan di lana marrone sopra a quello che sembrava essere un pigiama azzurro. Aveva le braccia avvolte attorno al corpo, come se cercasse riparo dal freddo, e si dondolava lentamente avanti e indietro, mentre le sue labbra si muovevano senza sosta.

L’infermiera con i capelli rossi guardò la donna sulla poltrona, poi si girò e fissò insistentemente Medusa, evidentemente insospettita dalla straordinaria somiglianza tra le due. Pyro si voltò a guardarla, scoccandole uno dei suoi sguardi più minacciosi, e la rossa impallidì e si allontanò dal corridoio da cui erano venuti.

Medusa guardò la donna che si muoveva avanti e indietro sulla poltrona. Era questo il momento di pensare a cosa fare e a cosa dire, ma non le venne in mente nulla, come se la sua mente si rifiutasse di fare il proprio lavoro. Pyro la guardava con un’espressione indecifrabile, e lei gli restituì lo sguardo per alcuni secondi. Poi avanzò verso la porta che era alla sinistra della vetrata, abbassò la maniglia ed entrò.

Appena la sentì, l’infermiera spense la televisione e le sorrise amichevolmente.

“Ciao.” disse.

“Salve.” rispose Medusa. Si accorse di stare tremando. “Sono...”

L’infermiera annuì. “Lo so.” disse. Si voltò verso la donna seduta sull’altra poltrona. “Guarda chi è arrivato, Danielle.”

Lei non si mosse. Continuò a mormorare senza sosta, il viso rivolto verso la parete.

Senza nemmeno rendersene conto, Medusa si avvicinò a Danielle. Alcune striature di grigio si distinguevano tra i suoi capelli corvini, e gli angoli della bocca e degli occhi erano segnati da qualche piccola ruga, ma a parte questi dettagli era identica a com’era nella fotografia che Rachel Edmond le aveva mostrato a Chicago.

Identica a me, si disse Medusa.

Danielle si dondolò avanti e indietro lentamente. Le sue parole erano poco più di un sussurro, e Medusa riusciva ad afferrarne solo alcune. Le giunse all’orecchio quello che sembrava essere una preghiera: “Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito... salva gli spiriti affranti.” mormorò Danielle, stringendosi nelle spalle. A Medusa sembrò che stesse rabbrividendo, e inconsciamente si inginocchiò di fronte a lei, a non più di una ventina di centimetri di distanza.

“Danielle...” chiamò, ma lei continuò a guardare altrove. Aveva un’espressione talmente triste e addolorata negli occhi che per qualche secondo Medusa si sentì sul punto di scoppiare a piangere. C’era talmente tanta sofferenza in quello sguardo che le sembrava di non riuscire a sopportarlo. Mormorando ancora qualche parola, Danielle si portò la mano destra alla bocca e si mise tra i denti l’unghia del pollice. Medusa sorrise.

“Mi mangiavo anch’io le unghie da piccola, sai?” le disse, cercando di tenere la voce ferma.

Danielle si tolse improvvisamente la mano di bocca e strinse i pugni. “Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia.” mormorò, questa volta ad un tono più alto. Alzò lo sguardo verso il soffitto e si mise a dondolarsi con più forza. “Cancella il mio peccato...”

Una lacrima scese sulla guancia di Medusa, e lei si affrettò ad asciugarla con il dorso della mano. Danielle sembrò calmarsi, e tornò a stringersi le braccia attorno al corpo, i suoi occhi pieni di sofferenza di nuovo rivolti verso la parete. “Riconosco la mia colpa.” sussurrò Danielle cullandosi avanti e indietro.

“Danielle.” chiamò Medusa.

Lei continuò a dondolarsi avanti e indietro, guardando la parete senza vederla davvero. “Il mio peccato mi sta sempre dinnanzi.” mormorò.

“Danielle.”

“Santa Maria, madre di Dio... La mia bambina è davanti a te. Saint Mary of Grace, aiutami.” sussurrò lei.

Medusa sentì una lama conficcarsi nel suo cuore e per un istante fu sul punto di correre fuori dalla stanza, tornare alla sua tenda nella foresta e dimenticare tutto quello che aveva scoperto su sua madre. Invece rimase ferma, le sue gambe incapaci di obbedirle
.
“Danielle.” chiamò di nuovo, cercando di controllare la voce. “Ti prego, guardami.”

Lei non lo fece. Medusa si concentrò più che poteva. Era parecchio tempo che non tentava più di utilizzare la telepatia, ma arrivati a questo punto era la sola cosa che potesse funzionare.

Danielle.

Questa volta, la donna seduta sulla poltrona sobbalzò e gridò spaventata. Per una frazione di secondo, gli occhi di Danielle incrociarono quelli di Medusa, e la ragazza ebbe l’impressione che sua madre si rendesse conto della sua presenza. Ma durò solo un istante, poi Danielle riprese a fissare il nulla davanti a sé sedendo dritta e rigida sulla poltrona, i pugni serrati accanto alle cosce. “Pietà, pietà, pietà di me, mio Dio.” disse ad alta voce ansimando terrorizzata.

L’infermiera si era avvicinata non appena aveva sentito Danielle gridare, e ora le accarezzava dolcemente le schiena e i capelli. “Su, su, Danielle, non è niente.” le bisbigliò con un tono calmo e rassicurante. “Calmati, mia cara, non è niente.”

Medusa era balzata in piedi senza accorgersene, e ora fissava Danielle che continuava a tremare e boccheggiare, pazza di terrore. Cercò di ignorare la figura di Pyro, che osservava la scena attraverso il vetro. Il dolore nel suo petto si fece più acuto.

“Mi dispiace.” disse, la sua gola di nuovo serrata dal pianto.

L’infermiera scosse la testa. “Non è colpa tua.” disse. “Capita, di tanto in tanto. Vero Danielle, cara? Ma non è niente. Adesso passa tutto. Non è vero che passa tutto?” chiese rivolta alla donna che ancora sedeva rigida sulla poltrona. “Certo che passa. Su, fai un bel respiro. Non serve la medicina, vero tesoro? Puoi calmarti da sola. Un bel respiro, Danielle, avanti. Ecco, brava, così.” Lentamente, Danielle smise di ansimare e il suo corpo divenne meno rigido. Cominciò a mormorare una preghiera. “Padre nostro, che sei nei cieli...”

“Brava la mia Danielle, proprio brava.” le disse con affetto l’infermiera. “Sei proprio una brava ragazza. Non devi spaventarti, sai?” continuò, questa volta rivolgendosi a Medusa. “Ogni tanto perde la testa, ma la maggior parte delle volte basta trattarla con un po’ di dolcezza per farla stare meglio, anche se i dottori preferiscono passare direttamente ai tranquillanti.” Accarezzò con tenerezza i capelli di Danielle. “Ti ha aspettato tanto. Parla di te in continuazione.”

“Credevo che non si accorgesse di niente.” replicò Medusa, la ferita nel suo petto ormai ridotta ad una piaga.

L’infermiera sorrise. “Il suo mondo è diverso dal nostro. Per lei certe cose non sono mai accadute, e altre accadono in continuazione. Io credo che Danielle si accorga delle cose di cui vuole accorgersene, solo che lo fa in maniera differente da come lo facciamo noi. Solo perché non ti guarda, non significa che non ti vede.”

Medusa fissò la donna davanti a lei. Era di nuovo calma, e aveva ricominciato a dondolarsi avanti e indietro bisbigliando sommessamente, così indifesa, così vulnerabile. Improvvisamente, ebbe un’illuminazione riguardo al suo concepimento. Le lacrime cominciarono a scenderle lungo le guance.

“Lei crede,” chiese rivolta all’infermiera. “che è colpa mia se è così? Voglio dire, lei mi sembra...” si interruppe, cercando di domare le lacrime. No, no, no, non chiedere! urlava la sua mente. Scappa!

“Insomma, sarebbe stato facile farle del male, no?” continuò Medusa. Sapeva che avrebbe sofferto, eppure non riusciva a smettere. “Forse qualcuno si è... approfittato di lei, e allora...”

Non riusciva a terminare la frase a cui stava pensando nemmeno nel suo cervello. Era un ipotesi talmente orribile che non riusciva a gestirla.

L’infermiera alzò lo sguardo e la guardò con aria interrogativa. “Non posso darti delle certezze.” rispose. “Ma io non credo che tu sia nata da una violenza, e nemmeno che tu abbia fatto impazzire tua madre. Da quello che ho imparato di Danielle in tutti gli anni in cui è stata qui, ti posso dire che per qualunque ragione ti abbia lasciata davanti a quella chiesa, di certo non è stato perché non ti voleva bene.”

Medusa si avvicinò di nuovo a Danielle, che ora stava mormorando un Ave Maria con lo sguardo fisso sul pavimento. C’era un modo di sapere per certo tutta la verità, anzi, per sapere ogni cosa che si era chiesta in tutti gli anni che era vissuta fantasticando sulla donna che l’aveva messa al mondo. Sapeva di poterlo fare; quello che non sapeva era se lo voleva fare.

“...prega per noi peccatori...” mormorò Danielle cullandosi lentamente.

Medusa alzò una mano e la avvicinò al suo volto, in quella che poteva sembrare una carezza. Stava per sapere tutto, ogni cosa, ogni piccolo dettaglio su Danielle e su come era nata, e del perché era stata abbandonata. Quelle cose che desiderava sapere da tutta la vita.

Improvvisamente ritrasse la mano e indietreggiò chiudendo gli occhi. L’infermiera le rivolse un sorriso comprensivo. “Non ti preoccupare.” disse. “So che è difficile. Non sentirti in colpa se vuoi prenderti del tempo.”

Medusa rivolse un ultimo sguardo a Danielle, che continuò a dondolarsi e a mormorare sottovoce, e uscì dalla stanza. Solo quando la porta si chiuse dietro di lei si rese conto che avrebbe dovuto per lo meno salutare, ma non ebbe la forza di tornare indietro.

Pyro stava ancora guardando Danielle attraverso il vetro. Lentamente, staccò lo sguardo dalla donna nella stanza e lo posò su Medusa, che stava in piedi davanti a lui con lo sguardo basso.

“Andiamo a casa.” disse piano.

Troppo stanca e sofferente per pensare che erano in un ospedale psichiatrico in cui erano entrati illegalmente, che sarebbero stati visibili dalla saletta e dal corridoio, in caso fosse arrivato qualcuno, troppo addolorata persino per ricordare di avere un orgoglio che ora le stava strillando che John l’aveva avvertita fin dal principio, e che lei lo aveva trattato di merda quando lui aveva cercato di impedirle di farsi del male, nonostante tutto questo Medusa si gettò tra le braccia del suo ragazzo e scoppiò a piangere.

John la strinse a sé per qualche secondo, poi le mise un braccio attorno alla vita e si incamminarono insieme verso l’uscita. Medusa appoggiò la testa sulla sua spalla e chiuse gli occhi, esausta, lasciando che fosse lui a guidarla fuori da quel posto.

****

Arrivarono all’accampamento nella prima mattinata del giorno successivo. Mentre camminavano verso la loro tenda, incontrarono Callisto che li salutò sorridente.

“E’ stato da non credere ieri.” disse. “Peccato ve lo siate persi. Quella tizia,” Indicò verso la cima di una collinetta che dominava il campo. “è una cosa spaventosa.”

Medusa e Pyro alzarono lo sguardo verso il punto indicato da Callisto. Accanto a Magneto stava in piedi la dottoressa Jean Grey, i suoi lunghi capelli rossi che rilucevano sotto il debole sole che filtrava tra i rami degli alberi.

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Alcune precisazioni:

1. Il film a cui Medusa pensa nell'atrio dell'ospedale psichiatrico è "La casa sulla collina". L'ho visto qualche anno fa e ho ancora i capelli dritti in testa dalla paura.

2. Le preghiere che Danielle mormora all'inizio del suo incontro con Meredith sono versetti presi dai Salmi 19 e 50.

Tra l'altro, vorrei ringraziare e salutare Gertie che ha recensito la conclusione di "Into the Fire". Forse non leggi questo racconto, ma non so in che altro modo dirti quanto sono felice che la conclusione ti sia piaciuta. Un grossissimo bacio!!!

Bene, ho detto tutto e adesso vi saluto. Spero di poter aggiornare presto. Un bacio a tutti!
  
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