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Autore: Damson    15/03/2013    2 recensioni
Questa storia è un adattamento moderno del romanzo di Jane Austen Orgoglio e Pregiudizio. Speriamo che l'autrice non si offenda troppo per le eclatanti modifiche alla trama da noi apportate: purtroppo le abbiamo ritenute necessarie.
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“Non sta evitando te, sta evitando Wickham.” cercò pazientemente di farla ragionare Giovanna.
“E, dato che ci esci in continuazione, non gli stai certo facilitando le cose.” rincarò la dose Carlotta.
Andrea guardò basito Elisabetta, dato che l'amica non faceva altro che offendere Darcy per lui era appurato che le facesse schifo: “Wow! Lisa ma cosa combini? È un super triangolo!” gongolò entusiasta, la cosa si stava facendo più interessante del suo programma preferito Cortesie per gli ospiti.
“Non c’è nessun triangolo chiaro!? Il triangolo è solo nel cervello di Giovanna e Carlotta!”
“Tua madre sarebbe al settimo cielo a sentire una storia così.”
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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DISCLAIMER
Questa è un'opera di fantasia.
Purtroppo.
Nomi, personaggi, luoghi ed eventi sono in parte frutto delle fantasie delle autrici, in parte attinti a piene mani dall'opera di Jane Austen Orgoglio e pregiudizio.
Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o defunte, eventi o luoghi esistenti è da ritenersi puramente casuale. Non sempre.
Tutti i cognomi utilizzati sono veri: a chiunque possedesse uno dei cognomi presenti (Benetti, Colli, Lucà...sì, e anche tu, Darcy) assicuriamo che non ti conosciamo e non abbiamo niente di personale contro di te.
Una scusa speciale va, invece, a Milan Kundera, il cui capolavoro L'insostenibile leggerezza dell'essere è stato motivo di ispirazione  e di barbaro saccheggio.
 
 
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Prologo
 
“Perché proprio in questo modo sono costruite le vite umane. Sono costruite come una composizione musicale. L’uomo, spinto dal senso della bellezza, trasforma un avvenimento causale (la musica di Beethoven, una morte alla stazione) in un motivo che va poi a iscriversi nella composizione della sua vita. Ad esso ritorna, lo ripete, lo varia, lo sviluppa, lo traspone, come fa il compositore con i temi della sua sonata.”
(Milan Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere.)
 
 
Elisabetta Benetti fece fare l'ultimo giro alla chiave e poi spinse la porta verso l'interno per assicurarsi che fosse ben chiusa.
In quel momento la voce di Carlotta invase l’androne delle scale.
“Se hai chiuso muoviti! Ho lasciato la macchina sul marciapiede!”
“Scendo! E spero che Maria sia già arrivata! Scendere di corsa le scale con le valigie e questo caldo…” Elisabetta non aveva messo neanche un piede fuori dal portone che venne interrotta dalle rimostranze di Maria: “Certo che sono qui! Quando si dice di partire alle nove, alle nove bisogna essere pronti… se avevi bisogno di tempo aggiuntivo, ce lo avresti dovuto comunicare ed avremmo posticipato la partenza! Gli orari vanno sempre rispettati!”
“Certo eminenza. Buona giornata anche a lei, sono felice che si sia svegliata di buon umore stamani”
“Non fai ridere Lisa! Come puoi non capire che se una persona ti sta parlando seriamente non puoi fare battutine?”
“Senti Maria, sono le nove di mattina e dobbiamo stare insieme in auto per almeno tre ore. Siamo partite decisamente col piede sbagliato.”
“Concordo. Escludendo la considerazione che siano le nove di mattina… sono già le nove e venti.”
Carlotta strappò la valigia dalle mani di Elisabetta “Preso tutto?”
“Credo di sì; ma anche se non fosse, pazienza. Tanto devo tornare qui tra due settimane.”
“E per quale motivo?”
Elisabetta non poteva non essere anticipata dal tono petulante di Maria “Per gli esami Carlotta, per gli esami… volte sbrigarvi a mettere nel baule quella valigia?”
“Ma come funziona? Devi tornare per forza o lo fai per dare una mano?”
“Funziona? Decide il professore. È così per tutto no? Ci sono delle regole, ma tanto loro fanno come vogliono…. Posso guidare io?”
“No. E comunque Lisa, pensa positivo: quando sarai un professore potrai fare come meglio credi.”
“Quando io sarò professore l’unica cosa che meglio crederò di fare sarà comprarmi una dentiera nuova!”
Carlotta si prese una pausa per ridacchiare e Maria, che era fin troppo tempo che non parlava, ne approfittò: “Elisabetta dovresti smetterla con queste lamentele vane, sono fini a loro stesse. Non avresti dovuto fare, fin dal principio, la scelta del dottorato: sapevi che sarebbe finita così. Persino il babbo, che notoriamente e per motivi poco comprensibili ha sempre fiducia nel tuo giudizio, in questo caso ha fatto di tutto per convincerti a cambiare idea ed a lavorare con lui in libreria!”
“Ecco, perfetto! ora le mie lamentele sono vane… prego Maria, dopo questa puoi pure sederti dietro da sola.”
Maria, con aria altamente stizzita, aprì la portiera dell’auto.
“Sei solo una ragazzetta, non ti si può dire niente di serio!”
“Oh certo scusami… era molto meglio lavorare in una libreria ipotecata che possiamo perdere da un momento all’altro.”
“Anche se la proprietà passasse al cugino Colli, tu potresti continuare a lavorarci.”
“Si, che bello! Fin da piccola l’ ho sempre sognato! Tutti gli altri bambini volevano fare l’astronauta, ma io no! Io volevo essere una dipendente del cugino Colli.”
Carlotta sghignazzò ed accese il motore. Elisabetta e Maria erano sempre uno spasso, ma soprattutto una consolazione: ogni tanto, nei lunghi periodi trascorsi a Pisa, si ritrovava a pensare che le mancava suo fratello; ma poi vedeva i vari nervosismi di Lisa, che la sorella ce l’aveva sempre in mezzo ai piedi, e cambiava idea.
Maria era sbarcata nel mondo universitario da un paio d’anni: neanche tutta la testardaggine di cui la natura l’aveva dotata era riuscita a farle mantenere il posto al conservatorio. Per sua sfortuna non le erano stati dati né orecchio né buon gusto e la tecnica sola non riusciva a sopperire.
Questo non aveva contribuito a migliorare la sua modestia, lasciandola piena di una pedanteria poco sopportabile. Elisabetta era una delle poche persone che tollerava Maria abbastanza a lungo da riuscire a sostenere con lei una conversazione completa, molto probabilmente perché non la prendeva mai sul serio.
“Ah! Lisa” disse Carlotta “dimenticavo di dirti che stasera andiamo a ballare, sono già d’accordo con Giovanna.”
“Cosa?! Io non vengo, ve lo scordate. Sono stanca morta. Il mio programma per la serata è andare a letto alle nove e dormire fino a mezzogiorno di domani!”
Anche Maria aveva qualcosa da dire in proposito: “ Per fortuna Lisa stai prendendo la decisione giusta. Andare a ballare? Che figura ci faresti! Ormai hai i tuoi anni, senza contare che sarebbe imbarazzante trovare in un posto del genere qualche alunno della facoltà…”
“Grazie Maria, le tue parole sagge sono sempre illuminanti. Carlotta, stasera vengo a ballare.”
E così, tra palesi segni d’affetto fraterno, iniziava il viaggio per lasciare Pisa.
E non può che peggiorare” pensò Elisabetta.
Come darle torto? La prima tappa del loro viaggio prevedeva infatti una fermata all’aeroporto. Il cugino Colli – sì, esatto, quello di cui stavano parlando prima - tornava proprio quel giorno dal Trentino e sia la signora Benetti che la madre di Carlotta le avevano pregate (in realtà le avevano obbligate) a dargli un passaggio.
Il cugino Colli era odioso: l’intera progenie del signor Benetti sarebbe stata certamente concorde nell’affermarlo. E, dato che le sorelle Benetti non concordavano mai tutte e cinque su qualcosa (erano troppo diverse tra loro per età, indole ed istruzione perché così non fosse) capirete che forse  tale giudizio potrebbe anche essere una sacrosanta verità.
Elisabetta si girò verso il sedile posteriore:  “Maria, ma la mamma ha chiamato pure te stamattina?”  chiese scuotendola per un ginocchio.
“Sfortunatamente.”
“Già, mi ha svegliata…. alle sette meno un quarto.”
Carlotta si intromise subito, incuriosita.
“E’ successo qualcosa di particolarmente importante tra i gossip di Castiglione che dovremmo per forza sapere prima di arrivare a casa?”
“Secondo l’elenco delle priorità di mia madre senza dubbio. Il motivo per cui mi ha svegliata col gallo stamani è per dirmi che hanno affittato quella famosa villa in campagna, hai presente? Quella col viale di pini…”
“Sai che novità, viene affittata tutte le estati.”
“…e che gli inquilini dovrebbero arrivare già da oggi.”
“Accidenti, buon per loro che vengono già in vacanza.”
 
 
In breve tempo giunsero all’aeroporto e si diressero verso la zona degli arrivi, dove si misero in paziente attesa. Tra i vari gruppi di persone che uscivano dall’area di ritiro bagagli, uno particolarmente attirò l’attenzione di Carlotta.
“Carino quello, scommetto una mano che lui e quella ragazza lì accanto sono inglesi.” Carlotta indicò con la testa a Elisabetta un punto poco lontano da loro “Il rosso intendo.”
“I rossi di capelli mica per forza devono essere inglesi.” rise l'altra osservandoli “potrebbero essere Scozzesi, Irlandesi, Alto-Francesi... Sì, carino. Ma secondo me è meglio l’altro.”
“Quale?”
“Quello dietro, non lo vedi? Che trascina quella valigia che a occhio e croce costa come tre delle tue automobili.”
Carlotta ridacchiò e si girò di spalle: i due stranieri si stavano avvicinando e non era carino fissarli. Elisabetta non dovette essere dello stesso parere, visto che continuò imperterrita ad osservarli.
“Se ho capito chi intendi non è certo un ragazzino, gli darei più di trent’anni” le disse Carlotta.
“È bello. Che importa quanti anni ha? Però perde un sacco di punti per l’espressione, pare gli sia morto il gatto”.
“Magari è così.”
“Macché, se tu ti girassi vedresti che il suo amico è tutto felice e sorridente. Secondo me l’altro o è un musone o soffre il mal d’aereo.”
Questo era un dialogo destinato a non durare a lungo: Maria intervenne con un edificante discorso sulla sconvenienza di commentare le persone sconosciute, a maggior ragione se sono uomini: è una cosa molto poco fine per una ragazza. Elisabetta non si lasciò sfuggire l’occasione e passò a commentare le donne, soffermandosi con dovizia di particolari sulla ragazza che stava insieme ai due stranieri: super firmata, dagli occhiali da sole alle Jimmy Choo, con tanto di foulard alla I love shopping .
“E dulcis in fundo” concluse Elisabetta “ecco arrivare il nostro caro cugino Colli. E’ sceso per ultimo dall’ aereo e non potrà essere perdonato per questo: non ha il solare fascino british del rosso e neanche la seducente aria triste del suo amichetto, ma in compenso ha un bellissimo paio di calzoni tirolesi… dubito di poter sopportare tutto questo, credo che mi ucciderò.”
Elisabetta fece finta di ascoltare l'ennesima rimostranza di Maria, suscitata dal suo ultimo felice commento sul cugino, mentre osservava quest'ultimo venire verso di loro.
Quando fu a pochi passi lo sguardo di Colli si illuminò, come se avesse visto una persona amata di cui aveva sentito la mancanza. Elisabetta ebbe per un attimo il terrore che quello sguardo fosse per lei; ma questa orrida ipotesi non fece in tempo ad attraversarle il cervello che notò che il cugino in realtà non stava fissando nessuna di loro tre, ma il suo sguardo si era perso ben oltre le sue spalle.
Senza dire nulla lasciò lì la valigia e le superò saltellando.
“Ma cos'ha?” chiese Maria, estremamente interdetta da quel comportamento.
“Cosa non ha vorrai dire..” la corresse Elisabetta “..il cervello.”
“Ma... forse ha visto qualcuno.” ipotizzò Carlotta allungando il collo oltre la folla per vedere dove fosse sparito.
Elisabetta alzò le spalle.
“Non credi che dovremmo cercarlo?” Insistette Carlotta.
“No tranquilla, la sua insegnante di sostegno ha detto che non è pericoloso.” commentò Elisabetta guadagnandosi un'occhiataccia da Maria che partì in quinta con una paternale sul parlar male delle persone facendo paragoni con soggetti più sfortunati. Purtroppo per lei dovette essere interrotta da una causa di forza maggiore: l'espressione di Carlotta che, davanti ai loro occhi, virò in modo repentino da un sano colorito roseo ad un pallore cadaverico.
“Cristo Santo.. non ci voglio credere..” Mormorò quest'ultima a mezza voce.
Elisabetta e Maria si girarono verso Colli e lo videro saltellare tutto giulivo e baldanzoso proprio verso i tre ragazzi che anche loro avevano notato.
Siccome le avevano superate ed ormai, dando loro le spalle, se ne andavano (ignari di essere braccati) per la loro strada, Guglielmo era stato costretto ad allungare il passo ed a chiamare a gran voce la persona che, a quanto pareva, conosceva.
“Mr. Darcy!” disse, in uno strano tentativo di alzare il più possibile il tono della voce, evitando però che diventasse un grido.
Tentativo che fallì miseramente dato che nessuno dei tre dette il minimo segno di aver sentito. Il povero Guglielmo quindi si fermò, si aggiustò il colletto della camicia con fare dignitoso, si schiarì la voce per darsi un tono e, raggiunto l'uomo che aveva chiamato (per l'esattezza quello a cui era morto il gatto) attirò la sua attenzione toccandogli delicatamente la camicia all'altezza del gomito.
Elisabetta, Carlotta e Maria erano troppo distanti per poter sentire cosa Colli gli stesse dicendo con quel suo assurdo fare ossequioso, ma ne erano comunque estremamente felici: a giudicare dallo sguardo di malcelata intolleranza con cui il tizio scrutava Guglielmo e dal mutismo ostinato in cui gli si era sigillata la bocca malgrado l'altro non facesse che parlare, ma, soprattutto, a giudicare dalle risatine che si stava facendo la tizia di I love shopping mentre mormorava qualcosa all'orecchio del rosso, non ci avrebbero fatto una bella figura ad essere presentate come amiche (o parenti) di Colli.
Elisabetta capì che Guglielmo aveva deciso di congedarsi perché notò con orrore che si stava esibendo in una serie di ridicoli inchini, come se fosse al cospetto dell'Imperatore della Cina. Anche il tizio del gatto morto dovette pensarla allo stesso modo dato che, nascosto sotto l'espressione granitica di gelida alterigia, chiunque lo stesse osservando avrebbe potuto notare un leggero imbarazzo. E le occhiate che si lanciò intorno, come ad assicurarsi che nessuno stesse guardando verso di loro, non fecero altro che sottolinearlo.
Espletati che furono gli inchini, Guglielmo si recò finalmente dalle ragazze, salutò con formalità tutte quante e, dopo che ebbe elargito un paio di baci ciascuna, furono pronti a rimettersi in viaggio.
Non ci fu bisogno che nessuna di loro formulasse alcuna domanda per sapere perché diamine Guglielmo conoscesse quel tipo: non fecero in tempo a salire in auto che già lui aveva iniziato a parlare a macchinetta, sciorinando quella che, secondo i suoi standard, era una storia avvincente.
“... non avete idea della gioia che si può provare in un momento simile!” quasi gridò mentre tentava invano, causa tremore mani, di allacciarsi la cintura “...è incredibile che Lady De Bourgh abbia consigliato casa nostra! Capite? Capite?!! A quale onor..”
“Casa nostra?!” esclamò raggelata Elisabetta, che non era così sicura di voler sapere il resto della storia.
“Ma certo! Intendo Castiglione.”
“Ma consigliato per cosa? Consigliato a chi?.. ma soprattutto.. chi accidenti è Lady Bourgh?” non fece in tempo a finire la frase che sia Maria che Carlotta le lanciarono uno sguardo allucinato: cosa che le fece venire in mente chi era Lady De Bourgh e perché non era stata una buona idea dimenticarsene proprio parlando col cugino.
“Lady De Bourgh! C'è il De! Ed è la mia rispettosissima datrice di lavoro. La persona più magnanima, intelligente e nobile (sia di casato che di cuore) che possa esistere! Trovo incredibile.. scusa, non incredibile, increscioso, increscioso!, che tu non ricordi chi sia!”
“Sì, sì.. scusa Guglielm..” cercò di rimediare Elisabetta, ma era troppo tardi.
“Per stavolta chiudo un occhio, ma ricorda che ogni bene che è arrivato a te ed alla tua famiglia è stato possibile solo perché, tramite lei, è potuto arrivare a me ogni bene! Dovresti sempre ricordare il suo nome e ringr..”
“Insomma, anche quei ragazzi conoscono Lady De Bourgh?” Lo interruppe Carlotta, chiedendo con finta noncuranza proprio la cosa che Colli aveva a cuore di dire, distogliendolo così dalla mattanza contro Elisabetta (che si stava già pesantemente innervosendo e Carlotta non reputava la sua vecchia Golf un posto adatto per l'inizio della terza Guerra Mondiale).
“Conoscerla?!?!! Conoscerla! L'uomo che ho avuto l'immenso piacere e l'enorme fortuna di salutare è nient'altro che il suo diletto nipote! Nonché l'erede del suo impero economico.”
“Ecco perché è così triste, povera stella.” pensò Elisabetta, astenendosi stavolta dal commentare alcunché ad alta voce: l'impero c'era, ora bastava trovare qualche lontano parente cinese ed era fatta.
Oltretutto non c'era alcuno dubbio che tutto l'amore servile che Guglielmo mostrava verso la Lady ed il suo pupillo non fossero affatto ricambiati. Ma di questo proprio non riuscì a rimproverare l'algido signore: se avesse avuto anche lei la capacità di distorcere il suo viso in un'espressione del genere, che mischiava disprezzo per gli altri e compiacenza per se stessi, ci avrebbe guardato Colli tutto il giorno.
“Ascoltate, ora vi spiego.” principiò Colli tutto scodinzolante “Il signor Darcy, questo è il nome del nipote di Lady De Bourgh,  ha accettato di venire in vacanza con i suoi amici a patto che andassero in un posto tranquillo, quindi non Rimini o la Versilia come era stato proposto, e, siccome ha sentito sua zia elogiare Castiglione (e non posso far a meno di compiacermi pensando che sia stato grazie alle mie assicurazioni su quanto sia bellissima e tranquilla), ha preteso che andassero là.”
Che storia avvincente” pensò Elisabetta, tremando al pensiero che tutto il tragitto fino a casa sarebbe stato così: tutti muti ad ascoltare i soliloqui di Colli. Si chiese anche dove il cugino avesse potuto reperire quelle informazioni dato che a lei era proprio parso che sua altezza il Delfino non avesse spiccicato parola.
In ogni caso i timori di Elisabetta si rivelarono infondati perché il viaggio fu piacevole: pochi chilometri dopo la partenza Maria annunciò solennemente che doveva ascoltare un qualche concerto per pianoforte, accese il lettore e si mise le cuffie; passarono pochi minuti e Guglielmo, molto stanco per il viaggio, si addormentò.
Elisabetta e Carlotta trovarono ottima compagnia l’una nell’altra, tanto che quando la superstrada fu alle loro spalle e la macchina si trovò a percorrere l’ Aurelia non si accorsero di sorpassare una vecchia Passat che avanzava adagio, stracolma di bagagli.
 
 
Nella Passat si trovavano proprio i tre turisti di cui Guglielmo Colli stava parlando con profondo orgoglio.
Dal finestrino abbassato sul lato passeggero pendeva languidamente un braccio femminile, scuotendo la cenere da una sigaretta.
“Caroline potresti evitare di fumare? Ti assicuro che non è piacevole stare qui seduto dietro di te.”
“Smetti di lamentarti Charles, non ne hai diritto. È colpa tua se siamo costretti a viaggiare in questo rudere!”
“Cosa c’entra questo col fatto che mi arriva tutto il tuo fumo addosso?”
“E’ vergognoso che mi faccia vedere in giro su questa macchina, per fortuna stiamo andando in un posto sconosciuto da Dio…”
“Sconosciuto da Dio? Ti informo che stiamo andando alla miglior…”
“Non interrompere Charles. Sarei stata d’accordo a fare il viaggio su un’auto a noleggio a patto che fosse un’auto decente, mi viene il ribrezzo solo a pensare che chissà chi altro può essere stato qui dentro. Ma per mia sfortuna ho un fratello idiota, che non è neanche capace di fare una prenotazione su internet ed adesso ci tocca stare qui! Senti come puzza! E non c’è neanche l’aria condizionata, una sigaretta è tutto ciò che mi rimane per affogare il mio dolore”.
Caroline girò la testa verso il guidatore, si sollevò leggermente per posargli una mano sul braccio e gli disse: “Non ho ragione Fitzwilliam?”
Lui non rispose e neanche la guardò. Si limitò ad allungare il braccio verso il Garmin con la scusa di cambiare la visuale dello schermo. Caroline fu costretta, suo malgrado, a togliere la mano.
“Lascia perdere sorellina!”  commentò Charles tra le risate “Credo che il caro Darcy in questo momento sia un po’ irritato.”
“Certo che lo è poverino, e io ne conosco per certo il motivo: questa macchina Charles! È colpa tua e della noncuranza che hai nel fare le cose!”
Era vero: Fitzwilliam Darcy riteneva un’onta vera e propria farsi vedere in giro su una carretta del paleolitico come quella che stava guidando; ma in verità ciò che maggiormente lo disturbava era il tono civettuolo con cui Caroline gli parlava, i modi acidi con cui trattava il fratello, la sua dannatissima sigaretta e la sua urtante mania di chiamarlo Fitzwilliam con quel tono confidenziale (più le ripeteva che voleva essere chiamato Darcy, più lei faceva finta di non sentire).
Si domandava per quale incosciente motivo avesse accettato di accompagnare in vacanza il suo amico Bingley, sapendo che era impossibile che la sorella di lui lo lasciasse in pace per tutta l’estate.
 
 

 
Grazie di aver letto fino in fondo questo capitolo. Come premio vi svelerò il mio sordido segreto: non è tutta farina del mio sacco. Questa storia è scritta a quattro mani e a due cervelli. Jessy87g ( http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=10911 ) ha l'onore e l'onere di aver condiviso con me questa esperienza.
Ho usato il passato perché la storia è già stata scritta, terminata e revisionata (il che rende ancora più imperdonabile le sue mancanze). Svolgendosi a cavallo tra la scorsa estate (2012) e l'estate ventura (2013) verranno spesso citati nei capitoli futuri eventi a tutti voi noti.
 
Damson.

  
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