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Autore: marig28_libra    16/03/2013    4 recensioni
Lutti, incertezze, paure, lotte. La vita dell'apprendista cavaliere si rivela assai burrascosa per Mu che ,sotto la guida del Maestro Sion, deve imparare a comprendere e ad affrontare il proprio destino. Un destino che lo condurrà alla sofferenza e alla maturazione. Un destino che lo porterà ad incontrare il passato degli altri cavalieri d’oro per condividere con essi un durissimo percorso in salita.
Tra la notte e il giorno, tra l’amore e l’odio, Mu camminerà sempre in bilico. La gioia è breve. La rinuncia lacera l’anima. Il pericolo è in agguato. L’occhio dell'Ariete continuerà però a fiammeggiare poiché è il custode della volontà di Atena ed è la chiave per giungere al cielo infinito.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aries Mu, Aries Shion, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'De servis astrorum' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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“ Vedere il mondo in un granello di sabbia,
il firmamento in un fiore di campo,
l’infinito nel cavo di una mano
e l’eternità in un’ora. “

( W. Blake )

 

 

 


Il suolo fumido  brancolava come cotica carbonizzata.
Nel cielo perdurava  la squamosa ecchimosi dell'Incubo.
Striature grigiastre,  di gregge  fattezze,  azzimavano l’aria strabuzzata.

- Allora, cavaliere ? E’ di tuo gradimento la sorpresa?

Icelo, con riso grifagno, cinse la vita di Leira.
Mu, genuflesso per terra,  serrò i denti…
Quel mostro non era solo abile nel creare dimensioni fittizie ed inconsce: riusciva persino a rapire persone reali e renderle giocattoli delle sue nefaste manie.
Le traiettorie della Fobia non conoscevano frontiere e dogane: scandagliavano mari e coste da  contrabbandieri. Avevano appoggi dappertutto in quanto non erano soggette  a decreti.
 
- Sai, mi congratulo con te –  fece il diavolo -  hai un palato davvero raffinato…

Eguale ad una salamandra, leccò  il viso della fanciulla.
Il guerriero scattò in piedi rabbiosamente.

- Non toccarla! Razza di bastardo!

La stanchezza fisica lo costrinse  a inginocchiarsi di nuovo.

- Oh! Il ponderato allievo di Sion si lascia inondare dall’ira! -   stuzzicò Icelo – quindi è vero che il segno dell'Ariete è costituito dal fuoco!

La fanciulla, con la bocca imbavagliata, strillava soffocata.
Si dimenava inutilmente tentando di proiettarsi verso Mu.

- Stai buona, dolcezza! – la intimò il dio- hai così  fretta di congiungerti al tuo amato? Non vuoi  farmi divertire?

Con ferina lascivia, l’ attrasse a sé .
Mu, ribollendo di angoscia ed odio, si rizzò sulle gambe e avanzò barcollando.

- Lasciala! – urlò – lasciala! Sudicio animale!

- Cosa c’è? La tua fidanzata non ti ha ancora dato il fiorellino tra le cosce?

L’adolescente volle disintegrare il demonio con lo stardust revolution ma non fu in grado di sprigionare una sufficiente quantità di energia…

Maledizione! Maledizione! “ pensava furente “ Perché proprio adesso?! Perché?!

- Ti offro una succulenta opportunità, ragazzino – espose  falsamente regale Icelo -  nasconderò la tua innamorata in un palazzo senza porte e senza scale. Ti concederò un’ora di tempo per trovarla e metterla al sicuro…Che ne dici?

Mu fu costretto a  lustrarsi il senno.
Non gli era mai successo di essere pervaso dalla violenza della collera…L’autocontrollo e la ragionevolezza  nutrivano sempre i giardini della sua essenza. Sebbene il panico e l’ansia lo maltrattassero continuamente, il Maestro Sion, con la meditazione e la disciplina, gli aveva fornito degli eccelsi strumenti di padronanza.
Sta volta, nel giro di pochissimi minuti, non aveva capito più nulla.
La disperazione e il rancore  gli avevano smontato  il cervello: il cuore aveva seguito esclusivamente l’amore e il terrore.

Leira si trovava nelle grinfie di Icelo.
In che modo egli avrebbe potuto dominarsi?

Nessuno doveva strappargliela via.
Nessun essere.
Nessun dio.
Lei era sua:  come l’azzurro apparteneva al Giorno , i coralli ai fondali marini e  le piume all’ali degli uccelli.

Non poteva permettere quel sacrilegio.
L’unica oscura soluzione sembrava, tuttavia, valutare le condizioni imposte dal Re delle Fobie…

Mu, placandosi con impallidita tensione, rispose  grave:

- Suppongo che rinchiuderai Leira in un’altra dimensione…

- Precisamente - confermò il dio – ma stai tranquillo… Ti permetterò io  stesso di accedere.

Il ragazzo si sconcertò.
Era assurdo che l’Incubo  agisse magnanimamente. Covava  qualcos’altro…

Morfeo, intanto, assisteva cinicamente alla scena.
Conosceva il fratello e non si stupiva davanti le manifestazioni delle sue bassezze.
Conosceva le fragilità degli uomini e non si stupiva davanti i nubifragi di anime sbranate.
Tutto aderiva all’ordinario abaco del caos: ogni sfera,  che s’infilava in una stecchetta,  andava ad occupare il giusto posto nell’aritmetica del dolore.
Gli umani erano tapini  ed adorabilmente mescolabili.

- Stupito, Mu? – chiese Icelo giocherellando coi capelli di Leira – dovresti ringraziarmi per averti concesso, con clemenza,  almeno  un  punto di partenza.

Il cavaliere lanciò un’occhiata feroce al nemico.
Restò,però, fermo.
Doveva mostrarsi un cauto timoniere.

- D’ accordo, dannato demonio. Accetto la tua proposta…

La ragazza chiuse gli occhi deglutendo.
Morfeo si limitò a sollevare un sopracciglio  compassionevole e spregiativo.
Icelo  ridacchiò  gaudente:

- Molto bene, nobile paladino. Sappi che se fallirai  non uscirai più di qui e la tua bella mi farà gioire prima di finire a pezzi.

L’adolescente strinse i pugni.
Nonostante le gambe gli facessero male da morire, non osò piegarsi.
Per nulla al mondo Leira meritava quel ripugnante patimento.
Si sentì in colpa con aculeata  spietatezza .
Gli sovvennero gli  incavati ammonimenti che pronunciavano, talora,  le anziane sacerdotesse del Santuario: per una donna amare un guerriero di Atena poteva rivelarsi  il peggiore dei  cataclismi.

Mu si maledì con tutto sé stesso.
Voleva piangere ma non doveva farlo.

No. No. Doveva combattere. Doveva impedire qualunque distruzione.
 
Guardò negli occhi la fanciulla: le attraversò le lacrime e la disperazione per giungere a baciarle la  mente, abbracciarla forte, versarle addosso i battiti del cuore per ripararla e renderla immune dagli orrori.

“ Leira!  Credi in me! Credi in me! Perdonami per tutto questo…Ti porterò via di qui! “

La ragazza non riuscì a sorridergli ma un intenso amore si districò dal rossore del pianto. Se solo fosse riuscita gli si sarebbe gettata tra le braccia per non partire più.
Suoni  di crisalide e di sole le dettarono:

Mu…non farti assalire! Non perdere! Ti amo…ti amo…”

L’amuleto dell'Ariete prese ad infiammarsi.
Camminò  con dolce foga sull’istmo che congiungeva  quei due  pensieri.

Morfeo aggrottò la fronte diffidente.
Studiò con ombrosa attenzione l’energia del manufatto…Quelle reazioni si esibivano fin troppo misteriose persino per una divinità come lui…

- Diamo il via  all’ultima parte del gioco! – esclamò Icelo.

Fece scomparire Leira in  chiazze aeriformi.
Si dileguò, infine, assieme al fratello, disciogliendosi  come zucchero nell’acqua.

Ciascun rumore si ammutinò.

Per diversi secondi tutto si raggelò simile agli antri di un museo. 

Il cielo vermiglio venne scanalato da una raggiera biancastra…
Partiva fitta fitta  dal centro  per espandere i suoi arti e recare saluti.
Saluti di lancette funeste ed ossidate…

Mu vide che,  a quei segmenti,  se ne sovrapposero altri…
Si srotolarono spigolosi ma circolari…

Una ragnatela.
Una gigantesca ragnatela ricamò la cupola come il lugubre centrino di un tavolo che mai più sarebbe stata imbandito per pranzi o cene…

Un sibilo…Impercettibile…di flanella…

Il cavaliere scorse un barlume.

Dal nucleo della tela calò un filo…
Si sdrucciolò rapidamente.
Qualcosa di pesante era appeso all’estremità…
Qualcosa con un addome e otto zampe.

Un enorme ragno penzolò davanti al viso del ragazzo.
Era una sacca stomachevole, rigonfia e sudaticcia. Poteva misurare un metro. Il suo molle esoscheletro aveva un colore violaceo ed era disseminato da tubicini di vene varicose.

Mu indietreggiò vivamente disgustato.
Non sapeva se paragonare quell’abominio ad una vescica virulenta o ad un rene deteriorato…Pulsava mucoso e affannoso come i bronchi di un vecchio malandato…Effondeva i bubbolii di una pignatta che cuoceva una mistura di fango e verdure guaste.

Gli arti, infilzati al turgido corpo dell'aracnide, rivelavano una macilenza goffa e orripilante. Bluastri e rugosi si muovevano con lentezza implorante e minacciosa. Volevano aggrapparsi a pareti che non c’erano e  non potevano materializzarsi.

Mu sentì la circolazione cagliarsi.
 La vista non digeriva  la testa del ragno foggiata da occhietti di bubboni neri. Gli archibugi  più rivoltanti erano, tuttavia,  le chele della bocca che sbavavano una sostanza verdognola di muffa liquefatta. 
 
Il grande insetto si lasciò cadere a terra.
Restò inclinato.
Floscio.
Sembrava un grasso crapulone che, ingozzatosi all’estremo,   non riusciva  ad abbandonare la tavola.

Il tibetano attese nauseato.

Sinistri scalpiccii risuonarono nel ventre della creatura.
Erano simili a pietruzze che rotolavano dissennatamente sulla superficie d’un setaccio.
Divennero più intensi. Stiparono i timpani.
La loro acutezza diventò analoga a quella di trapani perforanti.

Improvvisamente ogni trambusto s’interruppe.

Il silenzio tonfò.

Nessun moto.

Il ragno permase  nella sua pingue paralisi.

Mu si accorse di lievi fremiti…

L’ animale prese a gorgogliare in modo strano…Le distese del dorso e della pancia emisero contrazioni.
Miriadi di bollicine emersero sussultando fecciose: presto vi fu una popolazione di foruncoli gloglottanti.
Quelle escrescenze formarono due vischiosi  rilievi  che aumentarono di volume.

Il ragno scoppiò eguale ad  una cisti zeppa di sangue.
Milioni di scarafaggi , rossastri e fognanti,  si riversarono dalle interiora sbrendolate.

L’allievo di Sion gridò stralunato dalla  repulsione.
Per poco non gli venne da rimettere.

L’ondata delle blatte invase qualunque metro cubo di spazio.
S’impastò come molle creta, ondeggiò farinosa, frusciò  squittii di zampette.
Finì poi col seccarsi e immobilizzarsi.

Il cavaliere dell'Ariete vide i gusci dei parassiti sbriciolarsi…
Mutarono in polvere…
Polvere di sabbia…

Taciti tumulti di dune presero forma.
Un deserto rosso tessé la dimensione.

 Un giallastro itterizia ammalò il cielo. 
Al posto del sole comparve un grandissimo orologio bianco con lancette nere.

Il braccio dei secondi  iniziò a ticchettare.

Piantata all’orizzonte, quasi fosse un  arbusto d’  orto defunto, stava la sagoma di un palazzo.
 
Era molto lontana ma Mu capì subito che si trattava della prigione che celava la sua ragazza.

Espirò profondamente per tentare di sbrecciare i condotti dell'ossigeno…
Era doloroso auscultare gli auleti  dell'angustia, le pronunce delle viscere insicure e spaventate.

In quell’immane e rifulgente pelago non c’erano garanzie o  acquedotti dove colare pianto.

Deserto, deserto, deserto…

Solo quella fortezza solitaria.
Solo quella favilla.

Leira era lì dentro.
Bisognava  muoversi.
 
L’adolescente corrugò la fronte e s’addentò un labbro…
Altri due uncini gli spellarono lo spirito già parecchio fustigato: Sion e Saga  imprigionati nella Morfia.

In che modo liberarli?

Il cavaliere gemette sfiancato.

Mu…” si diceva “ cerca di riflettere…non è il momento di impazzire…devi trovare delle soluzioni…delle soluzioni…delle soluzioni! Fosse così semplice! Diamine! “

Deserto, deserto, deserto…
L’orologio fischiettava rasposo e mordace…

“  Coraggio! Il tempo scorre! Devo andare da Leira! “

Il ragazzo cominciò a correre.
I femori, le tibie, i peroni gli dolevano mostruosamente.
Pareva dovessero spaccarsi da un momento all’altro.
I muscoli risuonavano d’acido lattico traboccante di piombo.

Deserto, deserto, deserto…
L’orologio fischiettava rasposo e mordace…

“ Leira! Ti libererò! Ti libererò! Quest’incubo finirà! “

Correva, correva, correva.
Le membra gridavano come stessero compiendo manovre  anaerobiche.

Lui, lacrimando sofferenza e  agitazione, si muoveva  follemente.

Deserto, deserto, deserto…
L’orologio fischiettava rasposo e mordace…

Non…non capisco…come mai  sembra che io stia…fermo?! “

Mu s’affrettava con terribile slancio ma l’orizzonte restava irrigidito.
I piedi non colmavano alcuna distanza.
Saltavano sullo stesso posto.

“ Sto correndo! Correndo! Perché non mi muovo?! “

Deserto, deserto, deserto…
L’orologio fischiettava rasposo e mordace…

Tutto restò invariato.

“ Non posso fermarmi! No! No! “

Il giovane  sprofondò nella sabbia.
Restò intrappolato fino alle ginocchia. 
Sgranò gli occhi affannato.
Dimenò le gambe cercando di sbloccarsi.

Inutile.

Deserto, deserto, deserto…
L’orologio fischiettava rasposo e mordace…

Improvvisamente un ruggito detonò dal suolo.

Le colline spoglie oscillarono violentemente.

Uno spaventoso khamsin si sollevò.

Mu si schermò il viso e gli occhi con le braccia.

Il vento gli si lanciò contro  claustrofobico e similare ad un getto di cemento liquido.

Durò un minuto interminabile.

Quando s’appiattì   il ragazzo tossì abbassando gli avambracci.
Le  narici furono invase da un odore orribile: un intruglio limoso di saliva, escrementi e  putredine…

Mu aprì lentamente lo sguardo…

Ad una ventina di metri di distanza si innalzava  una testa mastodontica…

La sua bruttezza era incomparabile  a qualunque spettacolo di carneficina.
L’apoteosi di ogni incubo.

Quel volto era marrone rossastro come  dorsi di piattole infettate. Sembrava bagnato di acqua stagnante o urina acida. Gli zigomi spigolosi rilucevano lerci e vittoriosi in una saldezza ossuta.
Nelle orbite non vi erano bulbi oculari ma due  ripugnanti teste che avevano incastrate, a loro volta , negli sguardi, altrettante facce  infauste.
Persino la bocca di quell’essere era spalancata e ostentava una maschera cadaverica che possedeva come occhi un duo di teschi.
Ad incorniciare il manufatto marcescente, alcuni capelli di vermi-serpenti che ondeggiavano sulle tempie come superstiti  del cranio calvo e unto di dissenteria.  

Il cavaliere era talmente annientato da non aver la forza di urlare.
Si trovava al cospetto della moltiplicazione del terrore.

L’immonda faccia prese a propalare grida assordanti, colluttanti…grida di umani, di animali….un sabba irrazionale e massacratore.

Mu  sentì i timpani, gli organi, le ossa comprimersi  al dissanguamento…

Stava per interrarsi.

Stava per morire.

Nella  mente però una miriade di colori deflagrarono.
Rapidi fotogrammi.
Rapide catene di vita.

L’aurato degli alveari morbidi, il lilla dei fiori neonati, il rosso del gladio solare, il verde cupo delle selve…
Il bruno dei sonni sereni, il blu palpitante e gelido dell'Artico, l’azzurro lampeggiante dei pensieri estivi,  la tonalità smeraldino cerulea delle acque nelle grotte…

Erano  colori d’ occhi.
D’amore rilucente.

Leira, Kiki, Sion, Saga…
Aldebaran, Camus, Milo , Aiolia…

Noo!

Mu urlò con ogni decimetro di trachea . Con ogni bronchiolo polmonare.

Il medaglione dell'Ariete si incendiò a dismisura.

Eruttò lingue di fiamme che investirono la dimensione desertica.

S’aprì una voragine.

Il ragazzo precipitò al suo interno.
 

Oscurità totale.
 

Oscurità senza labbra, senza denti.

Oscurità di oceani pianeggianti di nuvole e tepore.

Mu si ritrovò disteso su una superficie liscia, delicata come filamenti di una penna di pavone.

Era caduto eppure non aveva provato alcun dolore.

Si alzò…

Tenebre...

Tenebre di olio…

Nero. Nero. Nero.

Ad un tratto dei frizzi.

In quello spazio d’astrazione, contuso di vacuità e d’ anonimia, punteggiarono delle scintille. 
Prima sembrarono le scaglie minuscole d’una torcia nascente…Aumentarono, poi,  le loro dimensioni allungandosi  come volessero sgranchirsi  le membra intorpidite da un grave sonno…
S’ingrossarono piroettando con la prestanza di pattinatrici fluorescenti…Divennero sempre più imponenti, colossali, allargando i loro diametri…

Mu si vide circondato da una dozzina di colonne di fiamma…
I loro corpi rossi, gialli ed arancioni non contrastavano in modo infernale con l’oscurità che annacquava l’atmosfera…non elettrizzavano d’incubo, di terrore, di crollo.
Tutti quei fuochi possedevano la consistenza succosa d’una polpa di frutto di bosco, brillavano della  deliziosa mollezza di un acrilico da tela. 
Non emettevano profumi ma disperdevano , comunque, esalazioni di fantomatica pace…

Il cavaliere dell'Ariete li ammirava affascinato e inquietato. Non provava una paura borchiata di lacrime e disperazione…Dentro gli stava fluendo una strana ansia : un’ansia celestiale, di attesa…
Si sarebbe manifestato qualcosa…

Qualcuno…

Dal soffitto , d’incarnato moro, comparvero luccichii…
Erano dorati. Freddi. Avevano  forme geometriche…
Si mossero infantili e teneri come sonagliere, incostanti e fascinosi come orecchini che aspergono il viso di una donna sudanese.

 Vibrarono  sempre più veloci.

Mu vide che erano lamine  triangolari.
Formarono delle coppie simili a nobiluomini e dame  in procinto di danzare in un convivio.

La moltitudine lucente si trasformò in uno stormo di ali che scandì un soave sfarfallio di motivetti aerei …
Sciò giù, veloce,  per ingioiellare il vuoto centro lasciato dai pilastri incendiati.

Era come assistere ad un assalto di colibrì in cerca di nettare floreale…

Il tibetano contemplò,  stupefatto,  la danza di quelle alette che compose un vortice accecante…
Un fuso d’arcolaio  srotolò fili dorati.

Un’esplosione fumosa di zafferano, lasciò apparire una sagoma.

Vi fu una nebbiolina brinata…
Mu ridusse i propri occhi a fessure…
La foschia si disciolse dolcemente...

Distinse la figura slanciata di un uomo.

Un uomo?

Quell’essere era alquanto singolare.
Avanzò con l’ incedere diafano e affusolato del violino o del flauto. Si mosse con la robusta leggiadria di un’acqua termale…Pareva stesse camminando su un vento di porcellana, pareva stesse attraversando  una spiaggia di  saporito cacao .
Indossava una tunica dorata che respirava e viveva:  decorazioni  di linee bronzee e d’ebano ballavano ,come dragoni piumati,  disegnando cerchi, spirali, rettangoli…Che fossero una manifestazione di arte simbolista ed ermetica?
La  trasparenza onirica e stellata dei tessuti lasciava intravedere pudicamente le membra nude e snelle dell'uomo.  Nessuna carnalità saturava la loro  fragranza albina e setosa. Non vi era che venustà perfetta e angelica.
Impenetrabile , incalcolabile ed irreale Elisio.
Mu restò balenato dalla beltà anormale di quel viso. La pelle era accesa di latte nuvoloso, le gote si inumidivano del rosa polverizzabile dei fiori di ciliegio. Il naso, leggermente lungo, era di platino vellutato. Le labbra sembravano pennellate di succo di mela.
Gli occhi, grandi e a mandorla, cangiavano  riflessi come specchiere di caleidoscopio. Un  pacato vermiglio di tulipani s’irrorava dell'arancio granelloso del Sahara per poi impallidire di un dorato topazio e accecare con il giallo asprigno dei limoni.  Solo  due pupille foravano tali misture eguali a soli neri irremovibili dal loro sistema astrale.
Orli  sfrangiati di ciglia argentate ghiacciavano gli iridi come fronde di betulle finlandesi.
Nessun segmento di lanugine osava infettare gli archi frontali. Solo due macchie rosse: rubini annaffiati di sangue e  ciliegie maturate.

Mu, sublimemente disorientato, non capiva se aveva dinanzi un serafino o un antichissimo cavaliere dell'Ariete…
Incredibile. Quell’uomo sembrava un disegno talmente erano intense, sfumate e soprannaturali le sue fattezze.
I capelli lunghissimi e lisci ondeggiavano pari ad alghe sottomarine. Forse erano addirittura liquidi…Il carminio dei loro fecondi barbagli   era costituito da chicchi fluidificati di melagrana.

L’allievo di Sion credé di essere vittima di allucinazioni. In che modo poteva esistere una creatura dall’elevatezza così  impossibile?
Non si riusciva a dare un’età a quell’individuo dalla grazia di una dea vergine e dalla forza di un roccioso e anziano filosofo.
Era  molto alto. Possedeva la dolcezza inviolabile di una madre . Possedeva l’autorevolezza siderale di Apollo, del trionfante Horus,  dell' arcangelo Gabriele.
Il collo e il viso lunghi  lasciavano trasparire il volume terreno e  trasfigurato di una maschera africana.
Dallo sguardo sottile, placido ed imo  si disperdeva l’indorato mistero di Buddha.  

Le colonne infuocate raschiarono, riverentemente,  le mielate corde vocali.
Tutta la realtà  circostante si bendò di un silenzio albicocca.

Calma.
Calma.
La calma di una visione di gabbiani. Di un  primo pomeriggio estivo condito di canti di cicale.

Mu era soavemente atterrito da quella quiete.
Prima l’orrore, adesso una sorprendente oasi di verzura e pace.

Il misterioso uomo lasciò germogliare un sorriso profondo e accomodante.

Il ragazzo, in soggezione, indugiò…prese poi coraggio.

- Chi… siete?

L’interpellato chiuse lentamente le palpebre   per poi riaprirle.

- Io sono il custode di polveri remote e mai dissolte. Io sono uno spirito così forestiero della tua epoca da essere divenuto irreale mito. Io sono lo zero che ha dato principio all’inizio. 

La sua voce carezzò l’animo come vino d’eucarestia : bronzea ed uguale ad un organo di cattedrale, tersa ed uguale alle Muse del Parnaso.
Mu l’aveva afferrata in  modo concreto ma intangibile:  gli era parso profumasse di loto…

- Voi…voi sareste– balbettò - il  Patriarca delle Fiamme Astrali?!

- Sì o discepolo del Sommo Sion. Fui  l’artigiano che per primo, nelle divine e scomparse terre di Mu, forgiò le ottantotto armature dei cavalieri di Atena. Originai le stirpi dei riparatori delle loriche sacre…Divenni il capostipite dei guerrieri dell'Ariete… Il mio nome è Apeiron.

Il santo titolo della Leggenda.
La Leggenda che si smarriva oltre le colonne del Passato. Dei millenni della razionalità.
L’adolescente si prostrò ai piedi  di quell’anima possente. L’emozione gli faceva tremare le braccia, le gambe, le sinapsi folgorate delle meningi.
Stentava a credere  di trovarsi al cospetto di un defunto divenuto pari ad una divinità dell'Olimpo. Quel genio  codificò l’inizio. L’inizio delle ere di tutti i paladini della Parthenos.
Il ragazzo si sentì precipitare  nell’indeterminatezza del Tempo.

- Alzati, guardiano della Prima Casa – rise con sacerdotale compostezza Apeiron – non disperdiamo questa falda di surreali minuti che il Destino ci concede.

Mu si levò in piedi.

- N-non capisco…- disse spaesato – perché mi siete comparso? Perché proprio voi all’interno di una voragine del dio dell'Incubo?

- Sei stato tu ad evocarmi.

- Cosa?!

- Sei riuscito ad  ardere al di là della materia dei sensi.

- Ma…com’è possibile ? Non mi sembra di aver pronunciato intenzionalmente delle formule…o...di aver fatto qualcosa in modo consapevole…

Apeiron socchiuse lo sguardo sorridendo più del Mezzodì e della Notte elevata.

- Mu  della Tribù  Ten Ghosu, hai destato il frammento d’infinità dell'occhio dell'Ariete.

Il cavaliere afferrò l’amuleto bronzeo che portava al collo.
Non riuscì a ritmare alcuna sillaba.

- Sì…- proseguì il Patriarca – dopo più di quaranta mila anni hai rasentato l’immensità che deposi nel sigillo che  plasmai e che tu ora rechi in mano.

- Intendete dire che…il mio talismano…è opera vostra?!

- Esattamente.

Assurdo. Quel medaglione, che da secoli si trasmettevano nella sua famiglia, discendeva da Apeiron! Mu era ancora più scombussolato di prima. Aveva  sempre creduto di possedere un ciondolo apotropaico di valore affettivo  ma non certo un manufatto di potenza arcana!
Neppure Sion e Hakurei avevano mai detenuto un simile oggetto nei loro clan…

- Comprendo il tuo stupore – annuì lo spirito – nessuno si aspetta grandezza dalla semplice piccolezza…eppure hai mai pensato alla complessità di un atomo, la parte più minuscola di un elemento? Protoni e neutroni nel nucleo…Elettroni che segnano orbite di incessante moto…Questa è la Vita  costellata da una vertiginosa pluralità di piccolissimi laterizi. Da  materiali assai minuti dipendono i pilastri di un titanico tempio…Il tempio dell'Infinità. Nel creare l’Occhio dell'Ariete,  ho racchiuso un infinito in un briciolo di materia. Una materia che lo nutre.

Mu si rigirava la collana tra le mani.

- Voi dite che la Vita è Infinità…- ragionò serio – ma noi umani come possiamo considerarci infiniti se siamo soggetti all’effimera sostanza degli inganni, alla volubilità dei nostri caratteri, alla felicità che viene e che si dilegua?

- L’esistenza non è soltanto quella che osservi qui sulla Terra ma anche quella che si perpetua nell’Invisibile.

- Intendete che… l’unica via di pace è la Morte? La Morte che fa mutare in spiriti? Io…io non so…è davvero possibile credere nell’infinito anche in un Aldilà? Perché esistono anime che non trovano tregua e continuano ad agognare la Terra e la finitezza di cose che non possono più ottenere?  Prima si cerca l’immenso e dopo…ci si ripiega di nuovo su sé stessi?!

- Le tue considerazioni sono tristemente perspicaci e non ho alcuna tesi per controbatterle…ciononostante…credi che sia impresa facile accettare di appartenere alla Totalità?

Apeiron estinse per un attimo la voce.
Contemplò il suo interlocutore.
Riprese con fine fermezza:

- Vedi,ognuno di noi è una particella dell'Assoluto e ognuno di noi custodisce in sé una piccola parte di Infinito…Purtroppo quest’essenza viene relegata nell’oblio e l’anima regredisce verso prospettive indigenti. Impiegai  anni per ghermire dentro di me quel corpuscolo d’infinito e collocarlo nel tuo amuleto per dare origine al tutto.

Il cavaliere dell'Ariete schizzò un sorriso.

- Secondo  Anassimandro di Mileto “ apeiron” era il primordio  illimitato e indeterminato che creò l’acqua, la terra, il fuoco e l’aria.

Il Patriarca rise con cullante dolcezza.

- E’ la verità. Uno dei primi filosofi dell'antica Grecia identificò il mio  nome con l’arché , il principio che generò i quattro elementi della natura. Non fui certo un ente divino ma dovetti  captare  l’Indeterminatezza per saggiare le leggi del mondo…sì…occorre saper vedere oltre gli occhi e la mente.

- In che modo afferrare l’Indeterminatezza se è priva di contorni?

- Non occorre prenderla tra le mani. Risiede già dentro di te.

- Essa però… sfugge e suscita timore…. Come avete detto prima non è facile accettare di essere parte della Totalità...

- La ragione di siffatta angustia è perché l’Indeterminatezza è neutra.

Mu tacque interrogativo.
Apeiron continuò:

- L’Indeterminatezza è neutra come gli angeli che non hanno sesso. Non puoi conferirle una tinta inequivocabile in quanto è  permeabile ai passi di danza, ai moti tellurici,  alla fame, alla sazietà, all’umiltà, alla superbia…L’Indeterminatezza è il quinto punto cardinale di ciascun uomo.

Il ragazzo rimase destabilizzato.
Chiese con peritanza:

- Il…il quinto punto cardinale?

- Certo. Il punto che ti può spingere oltre il Nord, il Sud, l’Est, l’Ovest…che ti mostra l’Infinità a cui congiungerti…E’ il punto che ti può far involvere, tuttavia, nell’Infinità del buio violento. Nel buio che ti restringe,  riducendoti ad una larva incapace di illuminarsi di intelletto. Innumerevoli sono gli individui che calpestano la dignità della sensatezza oppure restano vittime del gioco delle sconfitte e delle turpitudini.

- Allora…io…mi sono salvato da quella mostruosa visione di Icelo pensando…agli occhi di Leira…di mio fratello…del Maestro…di tutti i miei compagni…

Apeiron dischiuse  le labbra in un elegante sorriso.

- Hai scongiurato le lordure di distruzione ricordandoti  ciò che possiedi e ciò che soprattutto crei. Se ti affidi alle tue capacità di creazione non puoi che continuare ad erigere torri d’oro. E’ dolorosamente arduo tentare di allacciarsi ad un astro quando la tenebra imbratta e razzia  i tuoi sentieri. Il quinto punto cardinale deve essere centrifugo, Mu. Farti espandere, farti comprendere l’origine di qualunque tuo amore.

L’adolescente aveva lo sguardo smussato di commozione.
Il verde acqua nuotava frastornato attorno alle pupille.

- Venerabile Apeiron…s-sarò in grado di salvare Leira, il mio Maestro e Saga?

Lo spirito si allontanò dal giovane.
Con un movimento di mano , floreale e candido come un ventaglio, disegnò un otto.
L’otto…i due circoli dell'Infinità.

- Non inabissarti nella conca  dell’Orrore,  allievo di Sion. Fissa  l’occhio dell'Ariete, fissa il sangue che ti irrora i canali delle carni e del cosmo.

Apeiron s’ inchinò.
Congiunse il pugno destro con il palmo scoperto della mano sinistra.
L’emblema dell'equilibrio.
L’osmosi del Sole e della Luna.

- Ci rivedremo Grande Mu… l'Avvenire  non si disseta che alle sorgenti dell'Origine. L’Amore è  foglie, luci,mari…è  Infinito di mistero. E’ inarrestabile Creazione.

L’otto luminoso si ingigantì travolgendo il tibetano.

Non ci fu che bianco.
Nudità nemica di capitelli barocchi.
Nuvole battezzate d’eterna innocenza. 

 

 


Note personali: ciao a tutti!! ^^ rieccomi dopo due mesi -.- scusate questo ritardo ma sono stata alle prese con due esami e con “ Venere dai tuoni di sangue” …
Ci ho impiegato un po’ a scrivere questa prima parte del cap tredici: dalla lettura avrete chiaramente compreso che mi sono incentrata sul contrasto di immagini dell'inizio e della fine. Prima le due schifose creature che incarnano la paura e la violenza del dolore e dopo la surreale e paradisiaca figura di Apeiron… due istanti narrativi che devono scandire attimi e sensazioni differenti. Per l’aracnide grassoccio ho preso ispirazione da un disgustoso  episodio domestico raccontatomi da  una mia amica: suo padre vide, sulla parete della cantina di casa, un ragno esplodere in una miriade di formiche O.O sì…praticamente nel ventre dell'insettaccio ( non so come) si erano insediate delle formichine…puah!!! >.<  per  quanto riguarda la maschera sudicia ho attinto dal mio repertorio di libri d’arte:  questo spaventoso quadro di Dalì, “ Il volto della guerra”,  mi aveva così sconvolto che l’ho voluto inserire qui dentro XD XD era una perfetta immagine da incubo!!
Spero, come al solito, che voi abbiate gradito questo capitolo ( comprese le immagini sgradite XD )
L’ultima parte del tredici, assolutamente decisiva, dovrebbe essere postata prima della fine di questo mese ( se tutto fila bene, visto che mi sto preparando per un altro esame -.- )…

Grazie a tutti i lettori!! ^^

p.s. mi scuso con Sara992 per le idilliache immagini dell'inizio che è stata costretta a sorbirsi XD XD so quanto adora gli aracnidi!! XD

   
 
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