Teatro e Musical > Les Misérables
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Autore: Halina    16/03/2013    8 recensioni
[Les Miserables; AU – Parigi 2013 - College World]
[Enjolras/Grantaire; Marius/Cosette; Courfeyrac/Eponine; altri]
Parigi 2013, un nuovo anno accademico ha inizio e la society de "Les Amis" è pronta ad affrontare nuove crociate e sfidare la nuova riforma dell’istruzione che il governo vuole attuare. Il piccolo café Musain, a pochi isolati dall’università, diventa il quartier generale del club, il rifugio di cuori infranti e il tempio di nuove speranze. E’ tempo di tornare ad avere fiducia, tornare a credere, che se un cambiamento può avere luogo in noi anche il mondo può cambiare. E cambierà.
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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NdA:
Il Musain ed Eponine fanno la loro comparsa.
Chiedo scusa in anticipo per la chiusura del capitolo, altra tentazione a cui non ho potuto resistere, ogni riferimento al musical è puramente casuale.
 
 
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Capitolo 2 – POV Eponine


Eponine stava canticchiando a mezza bocca la hit anni ’80 che la radio stava trasmettendo in sottofondo, passando lo straccio sul bancone, già perfettamente pulito. Il café era praticamente vuoto, cosa che le metteva sempre un po’ di tristezza vista la quantità esorbitante di energie e speranze che ci aveva riversato. L’aveva inaugurato il primo del mese, dopo aver passato tutta estate a ridipingere l’intero locale, decorare i muri della sala con ricami floreali, rimuovere la vecchia moquette e rimpiazzarla con un più pratico e igienico finto parquet. Aveva passato ore, se non giorni, tra aste online, ebay, mercatini dell’usato e rigattieri per mettere insieme il mobilio, aveva lavorato giorno e notte, praticamente sempre sola, traendo forza e positività da quel nuovo, esilarante progetto.

Si era trasferita a Parigi con la sua famiglia cinque anni prima, lei si era iscritta in prima superiore e suo fratello Gavroche in prima elementare. Prima di allora avevano abitato in un paesino della periferia, dove i suoi genitori gestivano l’unico ristorante del paese, che serviva anche da bar e affittacamere. Eponine aveva sempre amato quel genere di attività, gente che andava e veniva, mai un attimo di noia. Aveva sempre amato molto meno il modo in cui i suoi genitori trattavano la clientela, imbrogliando, rubando quando possibile e gestendo attività illecite nel retro. Non c’era voluto molto prima che la finanza e la polizia capissero che qualcosa non andava. Amici di suo padre, Eponine preferiva non pensare a quale tipo di amici, avevano coperto le loro tracce ed erano riusciti a farli arrivare alla capitale dove sua madre aveva trovato lavoro come domestica e suo padre era caduto sempre più a fondo nel tunnel della malavita.

Era stato allora che Eponine aveva deciso che non voleva avere più nulla a che fare con i suoi. Aveva immediatamente cercato lavoro, trovando un posto da cameriera al Musain, e aveva lavorato lì per cinque anni, mettendo da parte i soldi e aspettando di diventare maggiorenne. Quando aveva infine compiuto i diciotto anni e finito il liceo, la proprietaria del Musian le aveva annunciato che voleva andare in pensione e che, se era interessata, Eponine avrebbe potuto rilevare l’attività. La vecchia signora le aveva lasciato il café praticamente in regalo, ed era stato il giorno più bello della sua vita.

Neanche due settimane dopo suo padre era stato arrestato. Eponine non era più tornata a casa, occupava una stanza nel retro del bar e suo fratello Gavroche passava a trovarla ogni tanto. Le uniche altre compagnie della ragazza erano i membri di “Patron Minette”, la band punk-rock di cui era leader e cantante, e Marius, che aveva conosciuto anni prima, in un breve periodo in cui si erano ritrovati ad essere vicini di casa.

E proprio in quel tranquillo tardo pomeriggio, il viso sempre gioviale di Marius fece la sua comparsa nel café, accompagnato dal tintinnare della campanella attaccata alla porta. Eponine si affrettò a lasciare cadere lo straccio e slacciare il grembiule, andandogli incontro sistemandosi i lunghi capelli corvini dietro le orecchie.

“Marius! Che bello vederti, come è andato l’inizio dell’anno?”

“’Ponine” la apostrofò il ragazzo sorridendole e posandole un veloce bacio su una guancia a ‘mo di saluto. Il cuore di Eponine saltò un battito, come accadeva tutte le volte che Marius la toccava, o la guardava, o le parlava, o era semplicemente nella sua visuale. “C’è qualche novità – stava dicendo lui nel frattempo -  mi sono iscritto ad una society e ho proposto di tenere la prima riunione qui da te. Spero non ti dispiaccia!”

“Certo che no” ripose lei, entusiasta “Quando? E quanti?”

“Oh, una ventina di persone, credo. Saranno qui tra un quarto d'ora.”

“Perfetto, dammi una mano, facciamo spazio!”

Con l’aiuto di Marius, Eponine si mise a spostare il mobilio spaiato, posizionando un grande tavolino rettangolare sulla destra del bancone rispetto all’entrata, dove la sala si stringeva, creando una specie di separé. Attorno al tavolino vennero sistemati due divanetti, un paio di sgabelli e qualche sedia.

Avevano appena finito quando la porta di ingresso tintinnò di nuovo e tre ragazzi fecero la loro comparsa. Eponine, le mani sui fianchi, guardò Marius salutare i  primi due con un cenno della mano, invitandoli ad avvicinarsi. Il primo era una figura imponente, i capelli scuri e due folte sopracciglia che spiccavano su un viso deciso e attento, l’altro era completamente calvo, dall’aria amichevole e vagamente impacciata.

“Ci avete messo poco a trovarci, ragazzi!” li salutò Marius, indicandoli “Bahorel e Legle, sono due miei compagni di corso a Legge.”

Ci furono una serie di strette di mano e Bahorel rise: “Compagni di corso è un eufemismo, Pontmercy… diciamo che siamo iscritti alla stessa facoltà, siamo dei frequentatori molto poco assidui.”

“Lui è il nostro coinquilino: Joly” presentò quindi Legle il terzo arrivato.

I quattro ordinarono e presero posto, Eponine si mise all’opera sul tea (rigorosamente deteinato, Joly era ossessionato dall’idea di diventare dipendente dalla teina), due cappuccini e un latte macchiato ascoltando la conversazione.

“Nessuna novità per la stanza, ragazzi?” stava chiedendo Marius “Il mio affitto scade con il primo ottobre e se non trovo un posto dove stare sono nei casini!”

Legle si batté una mano sulla fronte: “Che cretini! Ci siamo dimenticati di dirtelo, Joly ha la soluzione!”

L’aspirante medico annuì con un sorriso: “A casa di un mio amico, Jean, si libera una stanza a fine mese. E’ l’appartamento sotto il nostro, in una delle residenze del campus. Tre stanze, Feully è stato assunto in una ditta e ha deciso di studiare part time quest’anno, si è trovato un appartamento vicino al posto di lavoro per cui se la vuoi la stanza è tua!”

“Ah eccoli qui! Parli del diavolo…” sorrise Bahorel indicando la porta, da cui stava entrando un'altra coppia di studenti che si presentarono come Jean e Courfeyrac. Mentre il primo si sedeva con gli altri, iniziando a parlare a Marius a proposito della stanza, il secondo si avviò al bancone, appoggiandoci i gomiti e sorridendo a Eponine.

“Ciao, ci fai due cioccolate per favore?”

Aveva un viso tondo, vagamente asimmetrico, notò la ragazza, con l’aria serena e modi amichevoli.

“Certo,” annuì, regalandogli un mezzo sorriso a sua volta “la vuoi la panna? Offre la casa…”

“Non si dice mai no alla panna, soprattutto se offre la casa.” Rispose Courfeyrac strizzandole un occhio, e invece di unirsi agli altri rimase lì, appoggiato al bancone, osservando interessato la figura minuta di Eponine che quel giorno indossava una maglia a maniche lunghe che scendeva fino alle cosce, pantacollant neri e un paio di vecchi anfibi slacciati.

Alla spicciolata tutti gli altri membri de Les Amis fecero il loro arrivo, lasciando le ordinazioni e affollandosi attorno al tavolo con un allegro chiacchiericcio. Erano un insieme piuttosto eterogeneo ma accumunati da un’aria vagamente intellettuale: cappotti, tracolle in pelle e polacchine facevano bella mostra dove la media dei loro coetanei avrebbe sfoggiato giacche a vento, zaini e Converse.

Alle 17 in punto gli ultimi due fecero il loro ingresso. Eponine si fermò un istante per fissarli, non capitava tutti i giorni che due personaggi del genere passassero dal suo café, ed erano indubbiamente un bel vedere. Entrambi molto alti e ben proporzionati, uno indossava un cappotto a doppio petto grigio che metteva in evidenza le spalle larghe, portava un paio di occhiali rettangolari sul naso e aveva lunghi ciuffi castani che incorniciavano un viso ovale. Avanzava a passo tranquillo con una cartelletta sotto braccio. Al suo fianco, con lunghe falcate delle gambe nervose, camminava la personificazione di una statua greca con un’improbabile giacca rossa, una sciarpa in seta nera, una massa di ricci dorati e occhi che sembravano in grado di perforare i muri.

Courfeyrac si affrettò a staccarsi dal bancone con un’ultima occhiata sorniona ad Eponine, andando loro incontro: “Ferre, Enjolras! Ben arrivati.” Il trio si sedette compatto sul divanetto lasciato libero a capotavola e Combeferre aprì la cartelletta, facendo l’appello.

Era a metà della lista quando la campanella tintinnò di nuovo e Grantaire sgattaiolò dentro, il cappotto sbottonato, una sciarpa di lana verde buttata attorno al collo e i capelli in uno stato pietoso.

Enjolras ruotò il capo sul collo, fulminandolo con lo sguardo. “Sei in ritardo.”

Il sorrisone sul viso di Grantaire non si incrinò: “Pardon… se avessi capito che questo posto era nella via dietro il mio ostello avrei evitato di girare in tondo per il quartiere tre volte!”

Si appoggiò pesantemente al bancone, adocchiando Eponine: “Heilà, è possibile avere un whiskey?”

Un sopracciglio si inarcò sul volto di Enjolras. Tutti gli altri osservavano in silenzio alternando lo sguardo tra i due, quasi stessero seguendo una partita di tennis.

“Sono le 5 del pomeriggio. Non hai seriamente intenzione di bere un whiskey.”

Non era una domanda. Quella arrivò subito dopo, da Courfeyrac.

“Hei aspetta un attimo, il tuo ostello? Nel senso che sei proprietario di un ostello o che ci vivi?”

Grantaire rise di gusto, grattandosi la nuca con fare vago, gli occhi di Enjolras e la sua evidente disapprovazione ancora piantati addosso:  “La seconda, decisamente la seconda..” rispose per poi schiarirsi la voce, esitò un attimo poi si rivolse ad Eponine “Fammi un caffè doppio allora, corretto.”

Enjolras rivolse un cenno del capo a Combeferre invitandolo a proseguire, senza più degnare Grantaire di uno sguardo. Eponine sospirò piano, seguendo la scena, guancia posata sul palmo della mano e gomito posato sul bancone.

“E’ figo, per carità, ma lo trovo vagamente inquietante. Se le occhiate potessero uccidere attorno a lui ci sarebbe un secondo Sahara … E’ sempre così?”

Grantaire camuffò una risata con un colpo di tosse e rispose distrattamente: “Non ne ho idea, l’ho conosciuto solo ieri, ma non vedo l’ora di scoprirlo.”

Eponine alzò entrambe le mani, palmi all’infuori, divertita: “D’accordo, messaggio ricevuto: è riserva di caccia esclusiva. Buona fortuna!”

“Mmm… grazie…” mormorò Grantaire prima di realizzare cosa era stato detto e sobbalzare, affrettandosi a scuotere il capo con forza, imbarazzato “No, no, no, no hai capito male!”

“Certo” rispose Eponine sogghignante, alle prese con il caffè “Staremo a vedere. Eri serio prima? Lo vuoi corretto?”

“Sì, grazie” annuì Grantaire, grato del cambio di argomento “se hai del Baileys è perfetto.”

Eponine aggrottò le sopracciglia, squadrandolo con attenzione: “Sei alcolizzato?”

“No! Non ancora almeno..”

“Ok. Ecco qui, a proposito, io sono Eponine.”

“’’Taire. Piacere.”

Presa la sua tazza, Grantaire si unì agli altri, afferrando una sedia e sedendosi a cavalcioni, i gomiti appoggiati allo schienale. Dopo un attimo di esitazione Eponine li raggiunse, appollaiandosi su uno sgabello un poco in disparte. Combeferre stava ancora parlando, illustrando i principali eventi e appuntamenti dell’anno e facendo il resoconto delle casse della society. Infine posò gli occhiali e sospirò, sfregandosi gli occhi con una mano.

“Per prima cosa abbiamo da risolvere una questione non da poco. Come sapete il governo ha proposto una riforma dell’istruzione che minaccia di tagliare i fondi. Ancora non c’è nulla di preciso ma l’università ha iniziato a chiudere i cordoni della borsa e ha decretato che quest’anno non ci saranno più aule aperte dopo la fine dell’orario di lezione, incluse biblioteche, aule studio e le sale del comitato studentesco – un brusio di disappunto si diffuse tra i presenti ma Combeferre continuò – Negli anni scorsi la society si incontrava tutti i martedì e i giovedì sera e questo ci lascia due possibilità, cercare un posto alternativo dove incontrarci o spostare l’orario al pomeriggio.”

Una serie di voci, proposte e pareri si susseguirono per qualche istante finché Enjolras non alzò una mano e improvvisamente tornò il silenzio.

“Spostare l’orario al pomeriggio è fuori discussione. Incastrare gli orari di tutti sarebbe un incubo, senza contare il fatto che molti di noi sono all’ultimo anno e hanno bisogno i pomeriggi per studiare.”

“Scusate” intervenne Courfeyrac sereno “non possiamo incontrarci qui? Se non disturbiamo troppo è carino e a me piace.”

Eponine lo ringraziò con un sorriso ma scosse il capo, sinceramente dispiaciuta “Il café chiude alle 19. La sera ho le prove con il mio gruppo e se ci va bene qualche serata, non posso tenerlo aperto, mi dispiace.”

Le rispose un mormorio di disappunto che in qualche modo le scaldò il cuore. Era contenta che il suo locale piacesse a quei ragazzi, avevano l’aria di essere un po’ esaltati ma sembravano persone a posto, e in più erano amici di Marius, il che avrebbe voluto dire averlo da quelle parti molto più spesso di quanto avesse sperato fino a quel momento.

Qualcuno si schiarì la voce ed Eponine si guardò attorno fino a inquadrare Grantaire. “Forse ho un idea. Se il café andrebbe bene per tutti e l’unico problema è che Eponine non lo può tenere aperto perché non ha tempo potrei farlo io… ho bisogno di un lavoro in ogni caso e ho già lavorato sia da cameriere che da barista.”

Eponine sgranò gli occhi, spiazzata. Non aveva proprio pensato che una cosa simile fosse possibile, e per quanto l’idea le interessasse c’era un problema. “Non posso pagarti un granché, il café non lavora moltissimo come puoi vedere..” rispose amaramente, indicando la sala deserta a parte i ragazzi e una coppia dalla parte opposta della stanza.

“Non importa” rispose Grantaire stringendosi nelle spalle “mi dai quello che riesci e vediamo come va. Gente tira gente, magari tenendolo aperto anche di sera e con noi che andiamo e veniamo si riempirà un po’.”

Eponine esitò, considerò un attimo di chiedere di poterci pensare su, e infine annuì. C’era qualcosa nei modi di Grantaire che le ispirava fiducia. “Va bene. Io ci sto.”

“Enjolras?” chiese Combeferre, aspettando che il capo desse il suo parere.

“Ai voti” fu la risposta “se c’è qualcuno contrario alzi la mano.”

Nessuno. Un raro sorriso increspò per un secondo le labbra del biondo, che annuì compiaciuto: “Aggiudicato. Martedì e giovedì sera al Musain, dalle 21 in avanti.”

Finite le questioni ufficiali la riunione si trasformò in un informale chiacchiericcio in cui i nuovi si integravano, la vecchia guardia dava spiegazioni e consigli, e cioccolate, caffè, muffin e torte si susseguivano al tavolo. Eponine era tornata dietro al bancone, dove Grantaire e Courfeyrac erano appostati, facendole compagnia e chiacchierando.

La ragazza non stava prestando loro attenzione più di tanto, con la coda dell’occhio stava tenendo sotto controllo gli spostamenti di Marius, che sembrava immerso in una fitta conversazione con Bahorel e Leigle. Un pensiero si stava facendo strada nella sua testolina, doveva solo trovare il coraggio. Gli avrebbe chiesto di fermarsi per cena, come ringraziamento per averle portato tante facce nuove. Erano tre anni che gli moriva dietro in silenzio, troppo imbarazzata per la condizione della sua famiglia, per essere ancora liceale mentre lui già andava all’università. Ma non più, non aveva più nulla di cui vergognarsi ora, nessun motivo per non dirgli quello che provava per lui, doveva solo aspettare che se ne andassero tutti.

Il primo ad abbandonare la compagnia fu Enjolras, che si avviò alla porta abbottonandosi la giacca e rivolgendo un cenno del capo a Combeferre: “Ci vediamo a casa, faccio un salto in biblioteca prima di rientrare.”

“Santo cielo, Enjolras!” esclamò Jean “E’ il secondo giorno dell’anno! Che diavolo vai a fare in biblioteca?”

Il biondo liquidò la questione con una scrollata di spalle e sparì all’eterno. Joly sospirò, rivolgendo un’occhiata allarmata a Combeferre. “Rischia di finire con un esaurimento nervoso. Ci pensi tu ad assicurarti che mangi e dorma ogni tanto, vero? Non vorrei finire come l’anno scorso quando l’abbiamo trovato svenuto in biblioteca perché si era dimenticato di mangiare per quasi tre giorni…”

Il coinquilino annuì: “Ho preso l’abitudine di fare la spesa e cucinare per tutti e due, mi tocca ingurgitare quel diavolo di cibo vegano ma almeno non lo faccio morire di fame…” rispose con affetto.

Eponine sogghignò e posò una mano sulla spalla di Grantaire: “Messaggio recepito? Abbiamo bisogno di aggiungere un paio di piatti vegani al menù, e di comprare del latte di soia.”

Il ragazzo annuì, improvvisamente entusiasta: “Ci penso io! Compro tutto domani prima di venire qui e ci vediamo alle 19!”

Uno alla volta o a gruppetti anche tutti gli altri si avviarono fuori. Eponine era sicura per qualche motivo che Marius si sarebbe fermato a chiacchierare con lei e ingoiò a fatica la delusione quando lo vide incamminarsi con Jean e salutarla dalla porta con un cenno della mano.

“A presto, ‘Ponine. Vieni Courf?”

Courfeyras esitò, adocchiandola: “Hai bisogno una mano a mettere a posto?” chiese gentile.

“No. No grazie, sono a posto.”

Dieci minuti dopo Eponine chiuse a chiave la porta del cafè, stringendosi nel suo logoro cappotto marrone, un basco calato sui capelli scuri. Infilò nelle orecchie le cuffie del lettore mp3 e si avviò a passo blando per la sua quotidiana passeggiata del tramonto. Ancora una volta sola. Il cielo parigino si era fatto scuro; come spesso capitava all’inizio dell’autunno il tempo poteva cambiare molto rapidamente. Qualche attimo dopo grandi gocce di pioggia iniziarono a cadere, il grigio dell’asfalto e dei tatti di ardesia che rilucevano come argento nella notte che iniziava a calare.


  
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