Teatro e Musical > Les Misérables
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Autore: Halina    12/03/2013    7 recensioni
[Les Miserables; AU – Parigi 2013 - College World]
[Enjolras/Grantaire; Marius/Cosette; Courfeyrac/Eponine; altri]
Parigi 2013, un nuovo anno accademico ha inizio e la society de "Les Amis" è pronta ad affrontare nuove crociate e sfidare la nuova riforma dell’istruzione che il governo vuole attuare. Il piccolo café Musain, a pochi isolati dall’università, diventa il quartier generale del club, il rifugio di cuori infranti e il tempio di nuove speranze. E’ tempo di tornare ad avere fiducia, tornare a credere, che se un cambiamento può avere luogo in noi anche il mondo può cambiare. E cambierà.
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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NdA:
Premetto che di norma odio le AU. Sono però approdata su fanfiction.net, dove ho trovato delle AU di Les Mis meravigliose, e non sono stata in grado di resistere alla tentazione di affrontare la storia e i personaggi con una leggerezza impossibile nell’opera originale, di ri-raccontare la storia a modo mio, di non far morire i nostri amati barricade boys. Ho abbandonato ogni dignità che l’amore per il musical e il libro mi imponevano e mi sono presa piene libertà di shippare, fare fangirling, esaltare i personaggi che amo e smontare quelli che odio. Il tutto sempre nel tentativo di non andare OOC, per quanto possibile. I capitoli sono ognuno dal punto di vista di un personaggio diverso, mentre la vicenda si sviluppa seguendo per sommi capi gli avvenimenti della trama originale. Se volete unirvi alla mia follia e sognare un po’ con me siete più che benvenuti a bordo.
 
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Capitolo 1 – POV Grantaire


Era la fine di Settembre, la prima settimana di lezione del nuovo anno accademico, e il campus brulicava di vita e di studenti. Matricole con aria persa che reggevano cartine per orientarsi, seniors che si aggiravano per i cortili come fossero i proprietari indiscussi del luogo, amici che si ritrovavano dopo la pausa estiva e coppie che si sbaciucchiavano negli angoli. Il solito mood di inizio anno, reso ancora più elettrizzante dalla splendida giornata di sole che sorrideva sul cortile centrale dove spiccavano gli stand colorati delle societies che cercavano nuovi adepti e che proponevano le più varie attività, dal taglio e cucito alla pesca passando da ogni sport possibile e immaginabile.

Grantaire esalò piano il respiro, aggiustando la pila di tele che portava sotto braccio. Tutti gli anni lo stesso casino, che proprio non faceva per lui. Doveva solo riuscire a guadare la fiumana di gente e raggiungere l’atelier, dove avrebbe potuto prendere possesso del suo armadietto e sistemare le sue cose. Era in qualche modo riuscito ad arrivare all’ultimo anno, barcamenandosi alla meno peggio tra gli esami, la pittura e i lavoretti che faceva qua e là per sbarcare il lunario da quando se n’era andato di casa cinque anni prima, finita la scuola superiore, per trasferirsi nella capitale. Non aveva idea di che cosa avrebbe fatto una volta finiti gli studi ma non ci pensava più di tanto, anzi, non ci pensava affatto. Viveva così, alla giornata, prendendo quello che veniva senza troppe aspirazioni né progetti che andassero al di fuori delle sue tele, le sua bottiglie di vino e la compagnia occasionale che incrociava il suo cammino.

Stava appunto camminando a passo svelto, totalmente sovrappensiero, quando qualcosa di parecchio pesante lo urtò, facendogli cadere tutte le tele e facendolo rovinare in modo molto poco elegante lungo e disteso sul selciato. Un mugolio dolorante gli fece intuire che non era un 'qualcosa' ad aver provocato la sua caduta, ma un 'qualcuno'.

“Oddio, scusa! Non ti avevo proprio visto!” mormorò una voce al suo fianco, subito interrotta da una seconda, più acuta e sensibilmente agitata.

“Fermi, non muovetevi! Potrebbero esserci delle contusioni. Jean, riesci a sentirmi? Come stai? Giramenti di capo, nausea, ti ricordi chi sei, dove sei? Hai battuto la testa? Riesci a muoverti?”

Grantaire si tirò a sedere, trovandosi davanti un ragazzo esile, con corti capelli castani e un volto dai lineamenti delicati. Era già in piedi, e gli stava tendendo una mano. La accettò con un mezzo sorriso, ricomponendosi.

“Sto bene, Joly” disse il ragazzo, rivolto all’amico alle sue spalle, pallido e allampanato, che li guardava come temesse potessero morire da un momento all’altro “E’ del nostro sfortunato amico che dovremmo preoccuparci. Tutto ok?”

Grantaire annuì, spazzolandosi i jeans lisi che indossava “Certo, nessun problema ... cos’avete lì dentro?” chiese raccogliendo le sue tele, fortunatamente intatte, notando che i due portavano grandi scatoloni.

“Oh, sono cose per lo stand, per la nostra society” rispose il primo dei due, e il secondo annuì con aria sempre più agitata “E dobbiamo muoverci o il capo ci ammazza! Ti va di venire a dare un’occhiata?”

Grantaire sospirò, incerto, non era nei suoi piani. Ma quando mai aveva dei piani? “D’accordo, perché no.” rispose stringendosi nelle spalle.

Il ragazzo che l’aveva urtato sorrise entusiasta, raccogliendo lo scatolone e avviandosi a passo deciso “Io sono Jean e lui è Joly.”

“Grantaire. Ma preferisco R. Che tipo di society avete?”

“Oh, vedrai tra poco, è un po’ complesso da spiegare..” rispose Joly ansimando, visibilmente in difficoltà sotto il peso del suo scatolone.

“Hei, da qua!” propose Grantaire, animato da uno strano buon cuore, scambiando le tele con lo scatolone e guadagnandosi un sorriso a 32 denti dall’altro.

Oltrepassarono gli stand delle society artistiche, dove un paio di ragazze che frequentavano alcuni corsi, ed avevano frequentato in passato anche il suo letto, salutarono Grantaire con un sorriso o un cenno del capo, quindi Jean puntò verso un lato relativamente sgombro del cortile, dove una piccola folla si era radunata sotto un palco improvvisato. Grantaire si chiese per un momento se si trattasse di un gruppo di attori o qualcosa del genere prima di vedere la persona che stava sul palco.

Era un giovane uomo, alto e perfettamente proporzionato, la figura statuaria era impeccabile in un paio di pantaloni neri di ottima qualità e una giacca rossa, improbabile, ma che per qualche ragione gli calzava a pennello. La folla di studenti ai piedi del palco sembrava ipnotizzata, tutti gli occhi erano fissi su di lui, tutti lo ascoltavano parlare e Grantaire realizzò in un istante che non stava affatto recitando, stava tenendo un comizio.

Un ragazzo in un elegante cappotto grigio si staccò dal gruppo, correndo loro incontro e si fermò, le mani sui fianchi, squadrandoli “Eccovi! Iniziavo a pensare che vi foste persi per strada! Avete tutto?”

“Rilassati, Combeferre, abbiamo solo avuto un piccolo incidente di percorso” sorrise Jean, indicando Grantaire “fortunatamente abbiamo trovato qualcuno che ci ha dato una mano. Combeferre Grantaire, Grantaire lui è Combeferre, il nostro grillo parlante.”

“Piacere, grazie di aver aiutato i ragazzi” Combeferre aveva una voce pacata e dei modi misurati e tranquilli, era una figura rassicurante e sobria, prese senza sforzo lo scatolone da
Grantaire e si affrettò ad avviarsi allo stand, seguito da Jean. Joly si fermò un secondo per restituire le tele a Grantaire, posandogli una mano su una spalla. “Grazie, se ti va di fermarti un po’ il capo sta tenendo un comizio poi ci sarà caffè per tutti e apriamo le iscrizioni.”

“Certo, credo mi fermerò da queste parti ancora un poco, a dopo.” Rispose Grantaire, che con la coda dell’occhio non aveva perso di vista neanche per un istante la figura marmorea che occupava il palco e che aveva conquistato la sua totale e incondizionata attenzione.

Incrociò le braccia sul petto e si concesse un attimo per osservarlo con più attenzione, tutti lo stavano guardando, quindi non aveva ragione di sentirsi fuori luogo. Doveva essere  un poco più alto di lui, magro e asciutto, ma con un fisico da atleta e la grazia dei movimenti di un ballerino. Aveva un viso angelico, perfettamente rasato e incorniciato da corti ricci biondicci, con il naso dritto e la linea pronunciata della mascella. Ma erano i suoi occhi ad avere qualcosa di ipnotico, erano chiari e limpidi, e al tempo stesso animati da un fuoco inestinguibile che prendeva vita nelle parole concitate che gli uscivano da quelle labbra maledettamente perfette.

Grantaire si ritrovò a pensare che sarebbe stato disposto a pagare quel poco che aveva per potergli fare un ritratto, ma qualcosa lo portava a dubitare che Apollo sarebbe stato disposto a posare per lui, a qualsiasi prezzo.

Sbatté gli occhi, perplesso dal suo stesso pensiero. Apollo? Da dove gli era uscito? Eppure più ci pensava più l’intuizione sembrava azzeccata. C’era qualcosa di sovrumano in quel ragazzo, una sorta di luminosità radiosa che sembrava emanare dalla sua figura e discendere ad illuminare tutti i presenti.

Grantaire si avvicinò di qualche passo, mantenendosi alle spalle del gruppo, mettendosi ad ascoltare. Anche la sua voce era melodiosa e al tempo stesso energica, realizzò che sarebbe rimasto piacevolmente lì ad ascoltarlo anche se fosse stato intento a leggere l’elenco del telefono o la lista della spesa, ma il fatto che stesse tenendo un’arringa sul cambiare il mondo rendeva il tutto decisamente più interessante.

“Non abbiamo il diritto di lamentarci se non abbiamo il coraggio e la determinazione di far valere i nostri diritti” stava dicendo, serio e convinto, agitando un pugno chiuso davanti a sé “lo stato non è altro che un contratto stipulato tra i cittadini e l’autorità. Lasceremo che i nostri diritti naturali vengano calpestati da un’agenzia che dovrebbe esistere al solo scopo di permetterci di sviluppare appieno le nostre potenzialità in uno stato di libertà, uguaglianza e fraternità?”

Un vociare concitato dalla folla rispose in un coro negativo e il ragazzo accennò un mezzo sorriso, continuando “No. Non lo faremo. Continueremo a manifestare per ciò che crediamo giusto, per uno stato che ci conceda la possibilità di diventare uomini e cittadini. La nuova riforma dell’educazione propone un piano di ridistribuzione dei fondi che prevede un taglio delle cattedre e dei corsi e noi non staremo inermi ad accettare che il nostro trampolino verso il futuro venga fatto a pezzi, che l’università, la culla delle potenzialità umane, venga sminuita e limitata!”

La folla ancora una volta rispose con un gran vociare all’ultima affermazione, Grantaire produsse un suono buffo, a metà tra una risata e un colpo di tosse.

“E credi davvero che qualche studente universitario che si incammina per strada con dei cartelli serva a qualcosa?” chiese sardonico.

Gli occhi perforanti di Apollo lo individuarono in mezzo secondo e gli si piantarono addosso. Grantaire si sentì improvvisamente nudo, come se quello sguardo potesse vedergli l’anima. Era calato il silenzio, tutti i presenti lo fissavano allibiti, come se li avesse risvegliati di colpo dal bellissimo sogno in cui la voce del ragazzo li aveva immersi.

Grantaire non se ne curò, osservava il ragazzo nella giacca rossa sul palco, le mani sui fianchi e l’espressione tranquilla e sicura. “Certo che serve a qualcosa. Uno studente con un cartello porta con sé un altro studente con un altro cartello, e poi un professore che si rende conto che è il suo lavoro a essere a rischio, e poi un padre, che capisce che è in gioco la futura educazione dei suoi figli, e poi i ragazzi dei licei che non vogliono vedersi tarpare le ali. La nostra fede deve essere nella gente, nella gente di questa città, di questa nazione. Bisogna scuotersi dal torpore, tornare a combattere, tornare a credere nelle possibilità del popolo” era tornato a parlare alla folla e non più a Grantaire ora, il viso disteso e luminoso ancora una volta “se il cambiamento è in noi allora anche il mondo può cambiare. Grazie.”

Un applauso e un boato immediatamente accompagnarono la fine del discorso e il ragazzo con la giacca rossa si affrettò a scendere dal palco, lasciando il posto a Combeferre e il suo cappotto grigio.

“Grazie a tutti per essere rimasti con noi, siamo Les Amis d’ABC. Se volete qualche informazione sul club, del materiale o una tazza di caffè visitate il nostro stand qui accanto. Se pensate sia giunto anche per voi il momento di capire come funziona questo paese, di trovare un impegno sociale e di provare a cambiare il mondo con noi le iscrizione saranno aperte tutto il pomeriggio, la quota di ammissione è di 3 euro a persona, lasciate il vostro nome e numero di cellulare allo stand. Grazie a tutti.”

Grantaire si passò una mano sulla guancia, dove la corta barba nera iniziava a fare capolino. Joly comparve improvvisamente al suo fianco.

“Felice di vedere che sei restato. Allora? Cosa ne pensi?”

“Mmm” rispose Grantaire, sovrappensiero “carismatico. Credo che se proponesse un colpo di stato domani mattina troverebbe abbastanza gente da dargli retta in meno di un quarto d’ora.”

“Come scusa?” chiese Joly, perplesso “Di che cosa stai parlando?”

“Di quel vostro Apollo che parlava poco fa..”

“Apollo, chi? Intendi Enjolras?” Joly appariva sempre più perplesso “E’ il nostro presidente. Io intendevo cosa ne pensi della Society, ‘Taire, pensi di unirti a noi?”

Grantaire sogghignò: “Oh, sì. Credo proprio che abbiate catturato la mia attenzione.”

“Fantastico! Vieni, oh.. dovrai fare un po’ di coda temo, pare ci sia gente interessata, bene!”

Qualcuno si era allontanato quando Enjolras… Enjolras, Grantaire assaporò mentalmente il nome prima di continuare a guardarsi attorno, aveva finito di parlare, ma la maggior parte della gente gironzolava attorno allo stand, chiedendo informazioni o iscrivendosi.

Grantaire si mise in coda davanti a Combeferre che sedeva ad un tavolo con davanti un quaderno e una scatola di latta, accanto nella fila aveva un ragazzo con una faccia da bambino, un sorriso esaltato e il naso cosparso di lentiggini. Arrivato il loro turno Combeferre li osservò paziente, in attesa.

“Ciao, benvenuti. Sono tre euro per l’iscrizione e ho bisogno i vostri nomi e numeri di telefono.”

“Marius!” esclamò il ragazzo al suo fianco, dando il proprio numero e posando sul tavolo una banconota da cinque. Grantaire sprofondò le mani nelle tasche alla ricerca di spiccioli, cercando di pensare ad un modo carino di spiegare che non aveva affatto un cellulare da quando il contratto era scaduto tre mesi prima e non aveva più avuto i soldi per riattivarlo.

“Grantaire..” sbiascicò, sparpagliando accanto alla banconota di Marius una serie di monetine che gli davano l’aria di uno che aveva appena svaligiato la cassetta delle offerte in chiesa.

“Numero di telefono?”

“Ecco.. al momento non ne ho uno, ma posso lasciarti l’indirizzo e-mail…” propose, ringraziando mentalmente l’esistenza della sala computer gratuita dell’università.

Sbrigate le formalità i due si fecero di lato e Enjolras andò loro incontro, tendendo la destra e presentandosi. Aveva una presa sicura, la mano calda e asciutta. “Benvenuti tra Les Amis” li accolse accennando un sorriso e appuntando sulle loro giacche una coccarda tricolore.

Grantaire lo lasciò fare, cercando di contenere il ghigno sarcastico che gli stava spuntando sul viso.

“E’ fantastico aver finalmente trovato una society di gente così impegnata, è da tempo che desidero potermi confrontare con qualcuno, poter fare qualcosa di utile!” stava dicendo Marius, e Enjolras annuì.

“In tal caso sei nel posto giusto.”     

Spostò quindi lo sguardo su Grantaire che si limitò a stringersi nelle spalle con aria sorniona, dopo aver deciso che, forse, uscirsene con un “A me non ne frega niente, mi sono iscritto solo perché hai attirato la mia curiosità.” Poteva non essere una mossa troppo saggia.

Enjolras e Marius si immersero immediatamente in una fitta conversazione e Grantaire voltò loro le spalle, unendosi a Jean e Joly che gli allungarono una tazza di caffè fumante.

Stava ancora chiacchierando con loro, scoprendo che Joly era all’ultimo anno di Medicina e Jean all’ultimo di lettere, quando Combeferre si alzò, battendo le mani un paio di volte per attirare l’attenzione.

“Bene, ragazzi, cosa ne dite di una riunione preliminare domani pomeriggio? Giusto per conoscere i nuovi ingressi e decidere come organizzarci?”

Un mormorio di assenso gli rispose e Enjolras si fece avanti, affiancandosi all’altro “Ottimo. Abbiamo solo un problema, la segreteria ancora non ha deciso la disposizione delle aule del comitato studentesco per le society quindi non abbiamo una sala al campus al momento. Idee?”

Marius si fece avanti: “Una mia amica, Eponine, ha appena aperto un café a meno di un isolato da qui, si chiama Musain, in Rue Sant Michel. E’ un posto tranquillo e molto carino e lei sarebbe felice di avere qualche faccia nuova, ha bisogno di un po’ di pubblicità.”

“Perfetto” dichiarò Enjolras con tono definitivo “Al Musain domani alle 17. Buona continuazione a tutti.”

Grantaire si trattenne ancora una decina di minuti, ma ora che Enjolras se n’era andato gli era tornata voglia di levarsi dalla confusione e raggiungere l’atelier. Salutò i nuovi amici, si infilò le tele sotto braccio e si incamminò, raggiungendo in fine la quiete e la solitudine dello studio di pittura della facoltà di arte.

Sistemò le sue cose nell’armadietto e si sedette al cavalletto, allestendo la tavolozza di colori canticchiando sommessamente, a labbra chiuse. Poco dopo i colori si stavano rincorrendo sulla tela in linee apparentemente confuse. Una figura dai capelli d’oro, in rosso, un braccio alto nel cielo bianco, svettava sopra una folla di indistinti volti blu. Una piccola R nera era la firma nell’angolo in basso a destra.

Grantaire sorrise, stiracchiandosi e posando il pennello, fuori dalle grandi vetrate dell’atelier il sole stava tramontando, presto sarebbe iniziato il momento del giorno che più gli si addiceva: la notte.


Scese dallo sgabello e prese un’etichetta, apponendola sul retro della tela prima di metterla ad asciugare.

“20 Settembre. R. Studio di Apollo 001.”

Sorrise. Per qualche motivo sapeva che ne sarebbe seguiti altri. Molti altri.  
 

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