Fanfic su artisti musicali > Michael Jackson
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Autore: effieth    17/03/2013    6 recensioni
I suoi lunghi capelli tinti neri ricadevano a onde sul prorompente decolté poco nascosto dallo scollato vestito nero. Le sue mani accarezzarono provocanti la pelle beje del divanetto che faceva risaltare le sue unghie rosse ben curate. Sembrava una pantera; una bellissima pantera che, sensuale, attirava a se la sua preda per poi poterla addentare. La sua preda ero io.
Genere: Drammatico, Erotico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Voltai lentamente pagina, inumidendomi l'indice e sospirando a causa della noia.
Odiavo leggere libri scadenti ma, da quando ero arrivata, mia madre aveva messo una buona parola su questo e mi sembrava scortese non dargli nemmeno un'occhiata.
Appoggiai il libro sulle mie gambe e ripresi a leggere silenziosamente. Improvvisamente, nel cupo silenzio della casa, avvertii dei passi incerti sulle scale; doveva essere mia madre.
Presi il segnalibro e richiusi la copertina, guardando verso la porta e attendendo. Come previsto, qualche secondo dopo ella si aprì, lasciando spazio alla figura robusta e agghindata di mia madre.
-Tesoro, vedo che stai leggendo- disse, avvicinandosi a me e appoggiando la sua mano esile sulla mia spalla.
-Come vanno le gambe?- aggiunse.
Alzai le spalle, sospirando e sussurrando: -Non riesco ancora a camminare-.
Pronunciare queste parole per me fu come essere accoltellata più e più volte. L'unica cosa che mi avrebbe aiutata in quel momento sarebbe stato Michael.
Avevo un bisogno enorme di rivederlo ancora una volta, in tutta la sua bellezza, in tutta la sua bontà.
-Va beh piccola, ora io e tuo padre andiamo ad una cena. Torneremo tardi- concluse lei, dirigendosi verso la porta e accennando un sorriso. Persino lei ora mi disprezzava per colpa di questa sedia a rotelle.
Uscì dalla stanza, facendo attenzione a non sbattere la porta. Abbassai le testa e con un lamento, appoggiai il libro sulla scrivania.
Tutto era così cupo, così sinistro.
Pure la flebile luce della luna che entrava dalla mia grande finestra appariva così tetra ai miei occhi.
Tutto quello che ci voleva per portare un po' di felicità nel mio mondo era lui. Ma lui ora non c'era.
La porta d'entrata si chiuse sbattendo e il rumore dei tacchi di mia madre entrarono dalla finestra aperta.
Con fatica mi allontanai dalla scrivania e spinsi la carrozzella fino al davanzale in marmo. Mia madre era già in macchina mentre, mio padre, stava parlando con una persona.
Discutevano animatamente, tra sorrisi e schiamazzi, poi una stretta di mano e mio padre sparì nell'auto.
La terza persona alzò la mano al cielo, salutando allegramente la costosa macchina che si allontanava nella notte.
Un brivido percorse la mia schiena. L'individuo che prima stava parlando con mio padre, si voltò verso la casa e sollevò lo sguardo fino alla mia finestra.
Con sgomento, mi rannicchiai sperando di non essere stata vista e con la massima velocità che potevo raggiungere con quella carrozzella, andai a spegnere la luce.
Probabilmente se credeva che stessi dormendo, non mi avrebbe disturbata.
La porta di casa si aprì con un cigolio. Il rumore sempre più forte dei passi indicava che ormai era sulle scale, a qualche metro dalla mia stanza.
Trattenni il respiro, nascondendomi in un angolo vuoto e portando le mani al viso. La luce si accese e Robert si fermò sulla soglia della mia camera.
Mi guardava sorridendo in modo maligno e muovendo la mano nella sua tasca. Sembrava che lì dentro avesse un oggetto cilindrico e ci stava giocando.
Strinsi i denti e cercai di non piangere. Quando piangevo mi faceva ancora più male.
Chiuse la porta alle sue spalle e si avvicinò con passo svelto a me. Urlai. Con forza tirò la carrozzella verso il centro della stanza. Cominciai a respirare affannosamente, coprendomi il viso più volte mentre, in silenzio, Robert aveva preso tra le mani il libro di mia madre. Era un volume sostanzioso, composto da seicento pagine e la copertina era parecchio rigida. Il mio cuore saltò due battiti tanto era la paura. Robert rise, facendo girare tra la sua mano destra il libro.
-Libro orrendo, ma in fondo, sono sempre stato consapevole dei tuoi gusti altrettanto orrendi- disse, ridendo e avvicinandosi a me. Cominciai a tremare.
-Così, tu ti vedi con il mitico Michael Jackson- aggiunse, cominciando a camminare attorno a me. -Non è signorile tradire il proprio futuro marito- disse ancora, fermandosi di fronte a me.
-Io non ti sposerò- singhiozzai, voltando il viso verso destra. Con una ferocia mai vista, Robert scagliò il libro contro di me, prendendomi in pieno viso. Da appena sotto il mio occhio, cominciò a sgorgare sangue a causa del taglio provocato dall'angolo della copertina. Cominciai a piangere e le lacrime si mescolarono con il sangue. La mia guancia sinistra non fece altro che formicolare per tutto il tempo e sotto il mio naso avvertii un leggero solletico, segno che il sangue stava uscendo anche da lì. Sul viso di Robert nacque un sorriso pazzo, spaventoso, orrendo. Era forse quello quello che mi terrorizzava più di tutto.
La sua grande mano afferrò il mio braccio e con uno strattone, mi scaraventò in terra. Cominciai a dimenare le braccia, nel tentativo di allontanarlo, ma nulla potei fare contro la sua forza bruta.
Gli scagliai contro ogni oggetto che avevo a portata di mano, mentre il parquet si macchiava di rosso, ma lui non si fermò di fronte a nulla.
Mi raggiunse e prese nuovamente il mio braccio, sollevandomi leggermente. Si sedette sui suoi talloni e avvicinò il mio viso al suo.
-Nessuno tradisce Robert, anche se a Robert non glie ne frega niente delle puttane. Tu per me rappresenti solo soldi. Soldi, soldi, e tanti altri soldi. Sei solo una bagascia, proprio come tutte le altre- disse con cattiveria, prima di estrarre dalla tasca quello che io pensavo fosse un semplice cilindro. Lo avvicinò alla bocca, lasciando il mio braccio e afferrando con i denti il cappuccio che teneva coperto l'ago. Improvvisamente nella mia mente balenò un ricordo. Quando all'hotel vidi quella bolla sul mio braccio. Non erano zanzare, ma era..
Robert fece uscire un po' di liquido verde dalla siringa, assicurandosi che questa funzioni, successivamente avvicinò l'ago al mio braccio e, con il ghigno precedente, lo affondò, iniettandomi nelle vene quel liquido che cominciò a bruciare. Cercai di dimenarmi, ma fu tutto inutile. Robert estrasse la siringa e la lanciò fuori dalla finestra, guardandomi dall'alto in basso. Ora il suo ghigno era diventato una smorfia di disgusto.
Ecco cosa provava per me, disgusto, pena. Altro che amore.
Chiusi gli occhi e pensai a Michael. Lui mi avrebbe salvata, se solo avesse potuto, se solo lui fosse stato qui con me.
Con cattiveria Robert mi riportò alla realtà, assestandomi nel mezzo della pancia un violento calcio di punta. Spalancai gli occhi e sputai sangue, probabilmente quello che era uscito da qualche molare rotto.
Piansi, piansi come una bambina a cui le era stato rubato l'orsacchiotto.
Volevo Michael, e stavo male, tanto male. Ebbi il terrore di morire dissanguata, e la cosa più brutta era che non potevo scappare. Le mie gambe non funzionavano.
Cominciai a tossire mentre dentro di me sentivo la sostanza sciogliermi le pareti dei polmoni.
Tossii e tossii, finché non sputai nuovamente sangue. Poi vennero i puntini ormai familiari, e poi svenni lì, davanti agli occhi sprezzanti di Robert e a quel suo ghigno spaventoso che non mi sarei dimenticata facilmente.
  
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