2.
- Ma che ore sono? - disse Lisa dopo aver controllato un migliaio di righe di codice, parte del programma
che si preoccupava di sincronizzare l'accensione dei razzi di manovra. Il suo stomaco reclamava.
- È quasi ora di cena... - disse la Weissenberger - Come passa il tempo quando ci si diverte, vero? - anche
lei aveva passato le ultime ore leggendo listati. Matsumita le aveva lasciate per andare a riposare: quella notte
era stato sveglio per sorvegliare i razzi di manovra.
- Le hanno già detto dove verrà alloggiata? Nel toroide non credo ci sia posto.
Rimase stupita: nel toroide c'erano alcune migliaia di metri cubi di spazio a disposizione dell'equipaggio.
Era stato costruito anche per quel motivo. Eva disse che si sarebbe informata e le fece strada verso il nucleo
del toroide, dove si passava dalla parte più vecchia della stazione a quella più nuova. Dal nucleo del toroide
sarebbero risalite lungo uno dei due bracci completati fin dentro il toroide vero e proprio, la parte dove veniva
simulata la gravità con la forza centrifuga. Grazie all'inventiva di suo padre passare nel nucleo del toroide era
semplice come salire su una scala mobile. Ancora una volta le sue scarpette col velcro tornarono utili, anche se
come ovunque su quella stazione le strisce di velcro erano vetuste e le suole non aderivano molto. Notò che la
Weissenberger non portava scarpette, preferendo comuni calzettoni di cotone bianco. In quello che era ora diventato
il pavimento si apriva un largo passaggio: premuto un tasto su una colonnina nei pressi, la Weissenberger aveva
azionato l'elevatore elettrico, capace di portare su e giù all'interno del braccio quattro persone alla volta.
Fungeva anche da montacarichi. Mentre scendeva nel toroide agganciata alla piattaforma dell'elevatore sentì la
forza centrifuga fare il suo effetto e gradualmente riguadagnò l'illusione della gravità. Cercò con gli occhi i
dettagli del progetto che aveva così a lungo studiato e trovò la scala di emergenza che correva parallela al
percorso dell'elevatore elettrico. L'aveva voluta lei quella scala, anche se l'elevatore era garantito al cento
per cento contro qualsiasi guasto.
Percorsi i cento metri di lunghezza del braccio che teneva attaccato il toroide al suo nucleo, Lisa si trovò
all'interno della parte più nuova della stazione. Le strisce di velcro non c'erano più, aveva riacquisto un po' del
suo peso, otto decimi per l'esattezza, c'era di nuovo l'alto e il basso e soprattutto l'ambiente non era più così
claustrofobico. C'era un'altra luce, un'altra atmosfera: l'aria non puzzava così tanto di polvere vecchia come nei
moduli che aveva appena abbandonato, segno che i filtri erano più recenti e che funzionavano a dovere. Sentì degli
schiamazzi da bambini e due piccoletti, un bimbo e una bimba, sfrecciarono accanto a lei correndo a
perdifiato.
- Stephan, non correre! Vai a tavola! - gridò Eva. Nessuno dei due bimbi si voltò e presto entrambi sparirono
dietro una paratia. Lisa notò che riusciva a percepire la curvatura del toroide guardando attraverso le paratie
aperte.
- Adesso mi sente. - disse Eva incamminandosi decisa.
- Sono bambini - li giustificò lei seguendola.
- Sì, lo so... ma se li vede il v... il signor Poledouris, non sarà così gentile. Li farà piangere.
Lisa ebbe la netta sensazione che la cena seguisse un rito particolare. Si era seduta di fianco a
Eva Weissenberger e questa le aveva fermato la mano mentre cercava di portarsi alla bocca la forchetta
col primo boccone. Si era guardata intorno e aveva notato che nessuno stava mangiando: a capotavola
Poledouris in quel momento assaggiò il primo boccone e solo allora tutti gli altri cominciarono a mangiare.
Si sentì colpevole senza sapere il perché. La tavolata però si scaldò ben presto di moderata giovialità e
fece la conoscenza, senza chiasso, dei commensali più vicini a lei. Le fu presentato Petar Weissenberger,
marito di Eva e operaio esperto in attività extraveicolare; conobbe Mina Fukuda, moglie di Matsumita e
specializzata in elettronica ed elettrotecnica: aveva condotto lei le riparazioni di molti dei guasti
avvenuti in passato. Scoprì che era stata Mina a suggerire di contattarla per avere consigli in merito
al sistema di guida, dopo aver verificato di non riuscire a capire il problema. Consigli inutili dal
momento che nemmeno lei, che pur si poteva vantare di conoscere approfonditamente la stazione per averla
progettata insieme al padre, aveva capito il problema. Tanto che si era fatta spedire sulla stazione
stessa nel tentativo di scoprire il guasto. Si mise d'accordo con la simpatica Mina per parlare più tardi
dell'elettronica del sistema in avaria. Nonostante i commensali fossero numerosi, il volume del brusio
nella mensa non era mai salito oltre un livello più che accettabile. Non appena ebbe terminato di mangiare
fu raggiunta da Grigor Bena: questi interruppe le presentazioni condotte da Eva e le disse che c'erano
per lei i saluti del comandante dell'astronave da carico che l'aveva portata lì. Lisa fece come lo stesso
Grigor le aveva detto: si recò al primo terminale video e impostata la password provvisoria che lo stesso
Bena le aveva comunicato un istante prima, ricevette il messaggio di saluto. Quando Lisa premette il
pulsante per rispondere, si rese conto che il messaggio era una registrazione: l'astronave era già partita.
Dapprima si sentì una stupida ma più tardi, ripensandoci, si chiese se il comandante dell'astronave
sapeva di stare registrando un messaggio. Non dette troppo peso alla cosa anche perché vide Mina che
si stava allontanando. La seguì, ricordandole che avevano stabilito di parlare dei guasti al sistema
di guida ma questa, senza nemmeno fermarsi, disse che intendeva parlarne l'indomani. La donna si disse
spiaciuta per l'equivoco e in fretta si congedò.
- Vada a riposare anche lei - disse una voce atona alle sue spalle che la fece sobbalzare. Si voltò e
vide Poledouris che le passava accanto, lo sguardo che vagava dentro il toroide. Ebbe quasi il dubbio che non
stesse parlando con lei.
- È proibito circolare di notte se non si è di servizio - aggiunse voltandosi verso di lei - Bena
le mostrerà dove dormire. Bena!
- Arrivo! - Grigor Bena scattò verso di loro e li raggiunse con due balzi.
- Mostra alla dottoressa dove dormire. Spero non sia un problema per lei dormire a zero G, dottoressa.
Lisa ebbe la sensazione che quell'uomo fosse sotto l'effetto di un sedativo. Parlava lentamente e muoveva
gli occhi in continuazione lontano da lei, come se alle sue spalle ci fossero molte cose da controllare, da
sorvegliare. Invece c'era una banale parete a cassettiera che conteneva probabilmente stoviglie e altri
oggetti per la mensa.
- Niente affatto - rispose lei, mentendo col sorriso sulle labbra. In realtà sperava proprio di dormire
in condizioni di gravità. Avrebbe dovuto adeguarsi.
- Grigor, accompagnala e assicurati che non le manchi nulla.
- Prego, dottoressa. Venga con me.
Lisa seguì Grigor Bena fino a tornare nel nucleo del toroide. Da lì si diresse nella parte di stazione
che non aveva ancora visto: la parte più vecchia. L'uomo bussò a un portello aperto, mise dentro la testa e
poi si volse verso di lei.
- Ecco, ci siamo. Spero che non le dispiacerà dormire nel vecchio modulo di collegamento. L'abbiamo
modificato per ospitare un serbatoio di acqua potabile, quindi il portello non si può chiudere. Inoltre
è un passaggio obbligato per chiunque intenda recarsi al modulo di osservazione.
- Il vecchio VSO?
- Sì, proprio lui.
- Come mai non sfruttate il modulo VTV-5? È più nuovo ed è stato progettato per l'osservazione.
- Beh... ci siamo subito trovati bene col VSO e poi... i moduli nuovi si sono dimostrati più flessibili,
allora... al momento avevamo altre priorità e poi... insomma, non l'abbiamo più riconvertito, lei comprende...
Bena approfittando della possibilità di illustrare la disposizione del modulo di collegamento LM-2 cambiò
rapidamente argomento. Non ce n'era alcun bisogno però le mostrò la cuccetta per dormire in assenza di peso, le
modiche fatte per ospitare un serbatoio autoprodotto a prova di congelamento in grado di contenere circa
trecentocinquanta litri d'acqua potabile. I tubi che uscivano dal serbatoio erano stati collegati al sistema
di distribuzione idrica del nucleo del toroide, il più sicuro dal momento che era più nuovo. Questo aveva
comportato l'uso di tubi di plastica che passavano dal portello di comunicazione tra LM-2 e il nucleo del
toroide, impedendo la chiusura dei portelli ermetici dei due moduli. La presenza del serbatoio trasformava
il modulo di collegamento, già più piccolo degli altri, in una sorta di angusto batiscafo: lo spazio lasciato
per passare ai moduli successivi era tale da non consentire il transito a più di una persona alla volta.
L'uomo si congedò in fretta augurandole una buona notte. Una volta sola, accertatasi che nessuno transitasse
nel nucleo del toroide e che non ci fosse nessuno nel modulo adiacente, Lisa aprì il suo bagaglio, gentilmente
recapitato lì da qualcuno, si spogliò, mise via i suoi abiti e si assicurò con le cinghie dentro la cuccetta. Spense
la luce e a tentoni chiuse la cerniera della coperta: si sentiva stanca e non ebbe dubbi: avrebbe dormito
profondamente.
Prendere sonno però non fu facile: una volta chiusi gli occhi e rilassate le membra strette dalle
cinghie, Lisa si accorse della stazione. Ares Labor 1 aveva una voce e quando tutti gli altri tacevano,
si faceva sentire. Lì nei vecchi moduli ronzava l'aria condizionata e in poco tempo imparò a distinguere
il rumore del compressore, che attaccava e staccava a intervalli con un tonfo caratteristico, dal ronzio
dei ventilatori perennemente in funzione. L'intera stazione poi scricchiolava e gemeva: essendo modulare
le flange di accoppiamento, pur essendo perfettamente compatibili, erano state prodotte in tempi diversi
con tecnologie differenti e si lamentavano rumorosamente. La spiegazione da ingegnere progettista che subito
si era data però non riusciva a tranquillizzarla completamente: sibili sinistri, ticchettii, rumori secchi,
colpi come se ci fosse qualcuno o qualcosa che sbattesse contro lo scafo esterno. Fortunatamente non c'era un
solo oblò in tutta la stazione: le guarnizioni degli oblò erano infatti le prime a cedere e richiedevano
manutenzione continua. Se ci fosse stato anche un solo oblò, Lisa pensò che almeno una volta sarebbe corsa
a vedere se stava succedendo qualcosa fuori. Dopo un lasso di tempo indeterminato Lisa scivolò in un torpore
simile al sonno, abbastanza profondo per cominciare a sognare ma non abbastanza da poter ignorare i rumori,
che le turbarono il riposo.
D'un tratto i gemiti si fecero più forti e più frequenti, di lì a pochi secondi il condizionamento cominciò
a funzionare al massimo e Lisa sentì due forti colpi, distinti e ravvicinati, che la fecero balzare dentro la
cuccetta e le fecero aprire gli occhi. Se non fosse stata legata dalle cinghie avrebbe probabilmente sbattuto
la testa da qualche parte. A parte i rumori, ora passati in secondo piano, non c'era segno di vita a bordo:
stavano tutti dormendo. Lisa guardò l'orologio e si diede dell'idiota: i rumori improvvisi erano dovuti al
fatto che la stazione era uscita dal cono d'ombra prodotto da Marte e veniva in quel momento illuminata e
scaldata dal sole, provocando la dilatazione di tutte le parti metalliche e di conseguenza rumori in quantità.
Cercò di rilassarsi e di tranquillizzarsi: doveva dormire altrimenti il giorno dopo non avrebbe combinato
niente di buono. Eppure il pensiero del nulla dello spazio che premeva sullo scafo per entrare non la faceva
stare tranquilla, anche se da esperta in stazioni spaziali sapeva benissimo che non era il vuoto dello
spazio a voler entrare ma l'aria della stazione a voler uscire. Quel pensiero irrazionale però riuscì
ugualmente a farsi strada nella sua mente e ad agitarle i pensieri, facendo perfino passare in secondo
piano il fatto che se entro quindici giorni non avesse trovato la soluzione al problema del sistema di
guida, tutti avrebbero dovuto lasciare la stazione piuttosto in fretta.
Cercò di abbandonarsi nuovamente al sonno: quando aveva guardato l'orologio quello segnava mezzanotte
e quarantanove. Aveva quindi tutto il tempo di riposare, se fosse riuscita a prendere sonno. Invece scivolò
nuovamente in quel torpore inquieto che la tormentò con sogni angoscianti. Da quel torpore balzò fuori
all'improvviso. Forse un altro dei rumori di assestamento dello scafo, forse un salto di tensione aveva
fatto lampeggiare le luci. Ora pareva tutto normale, tranne il suo respiro accelerato e il suo corpo
accaldato e umido di sudore. Sentiva aria fredda col naso e con le guance e pensò al condizionatore di
bordo che aveva ascoltato a lungo. Se chiudeva gli occhi poteva quasi rivivere gli ultimi istanti dell'incubo.
Quando li riaprì il suo cuore ebbe un tuffo e forse perse un colpo. Sbucata da dietro il serbatoio dell'acqua,
una bambinetta in pigiama rosa galleggiava nel modulo diretta lenta ma decisa verso il portello opposto che
metteva in comunicazione il modulo stesso col nucleo del toroide. Lisa la vide, illuminata dalla luce gialla
che proveniva dal modulo adiacente, e quella voltò il visino verso di lei. Aveva occhi a mandorla scurissimi
e il viso ovale rotondo con un naso piccolo all'insù. Senza dire nulla distolse lo sguardo da lei e sparì
attraverso il portello aperto. Lisa non aveva avuto né il modo né il tempo di dire o pensare alcunché: trovò
disdicevole che i bambini se ne andassero in giro liberamente per la stazione, soprattutto nei moduli a
gravità zero. Aprì un po' la cerniera della coperta per cercare di far passare quella sensazione di soffocamento
che la stava opprimendo ma la bassa temperatura del modulo le gelò ben presto il sudore addosso. Si richiuse
dentro la cuccetta, cercò di addormentarsi e non senza fatica ci riuscì.