Libri > Il Signore degli Anelli e altri
Segui la storia  |       
Autore: corsara_andalusa    23/03/2013    2 recensioni
E se Fili, mentre cerca di raggiungere la contea dove risiede il signor Beggins avesse un incidente?
se smarrisse la strada e distogliesse l'attenzione da quella che è la sua missione, per... Sorpresa!
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Fili
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Quella notte non riuscì a chiudere occhio nel tentativo di far tornare i conti degli innumerevoli debiti che la assillavano.
Attese che i figli si addormentassero e  quando rimase completamente sola decise di dedicarsi a quella spinosa faccenda che non aveva più avuto modo di sistemare.
Si accomodò sul tavolo e alla luce di una candela vi sparpaglio i fogli di pergamena sui quali, negli ultimi mesi, aveva annotato le spese effettuate, entrate ed uscite, e fatture che dovevano essere pagate al più presto.
C’era quel lavoro che il maniscalco aveva fatto il mese scorso, quando aveva risistemato il tetto e che non aveva ancora pagato…
Il signor Ruddy, il maniscalco, era un uomo buono e paziente che ben conosceva la sua situazione economica, ma la miseria si faceva sentire anche per lui e gli premeva essere pagato, anche perché, oltre ad avere quattro figli da mantenere, intendeva far sposare la maggiore e gli occorreva una  dote: non poteva certo permettersi di darla in moglie così a mani vuote…
Il conto della prestazione, ammontava a quindici thanni[moneta d’argento], e considerato il lavoro certosino che aveva completamente rimesso a nuovo il tetto, non era neanche un’ingente somma, ma un prezzo più che ragionevole… il vero problema era che Lisel, non sapeva minimamente da dove tirarli fuori, quei soldi; non che fosse al verde, ma quei pochi spiccioli che le restavano sarebbero stati appena sufficienti per tirare avanti, almeno per quel mese, sperava.
C’era poi la parcella di Esther da pagare, e non voleva lasciare un conto aperto con lei, anche se sapeva che la donna non si sarebbe mai permessa di rinfacciarle in fatto che non l’aveva ancora pagata.
Detestava terribilmente avere dei debiti.
Ci pensò su per alcuni minuti, rimuginando su una possibile soluzione che avrebbe potuto accontentare tutti, mentre passava in rassegna la stanza con lo sguardo, alla ricerca di qualcosa che avrebbe potuto barattare e che eguagliasse il prezzo del lavoro; ma nella sua casa dimessa non vi era nulla che si poteva avvicinare al valore richiesto per saldare il debito. Avrebbe potuto vendere l’asino: questa era l’unica soluzione che sembra essere ragionevole, anche se a dire il vero quell’animale non le apparteneva direttamente, ma era si suo marito… ma forse quel ciuco poteva rivelarsi ancora utile in un altro modo, senza doverlo vendere per forza; ad esempio poteva darlo al mugnaio e affittarglielo per far girare la mole del mulino per macinare la farina…
Oppure avrebbe potuto vendere, o sempre affittare, il campo coltivato…
Si sentiva sconfortata e terribilmente affranta, un’opprimente angoscia legata all’ignoto per il futuro le gravava addosso.
-Oh David… che devo fare?- si chiese pensando al marito, sull’orlo del pianto.
Quasi per caso lo sguardo le cadde sul bagaglio del nano, che aveva posto sotto il caminetto nel vano dove teneva i ciocchi di legna da ardere, nascosto un po’  da alcuni fasci dalla vista del piccolo Thomas, che era solito raccogliere e mettersi in bocca qualunque cosa gli capitasse sotto mano… anche per questo aveva nascosto nella sua stanza le armi che aveva trovato appresso al nano, dove ai bambini non era permesso entrare.
Si morse un labbro.
Spostò la legna e lo raccolse con gesti incerti.
Lo aprì e vi frugò dentro; non che stesse cercando qualcosa in particolare, ma mentre faceva così si paralizzò, perché un pensiero malsano e scorretto le aveva trapassato la mente come un chiodo. Ripensò alle piccole spade affilate del nano, nella sua stanza…
 


Anche se non era un’esperta in materia di armi, dovette riconosce che erano di ottima fattura, e mentre rimirava le incisure che decoravano la lama e gli intarsi geometrici sull’elsa, si convinse che  sicuramente chi le aveva fabbricate, doveva averle vendute a caro prezzo.
Poi la sua attenzione fu attratta dalla gemma che decorava la testa dell’impugnatura… era uno zaffiro grande come una ciliegia e così brillante come non ne aveva mai visti… a dire il vero, Lisel non aveva mai visto uno zaffiro!
Mentre soppesava l’arma nella mano, quel pensiero insistente la tormentava: dopotutto se il nano si fosse svegliato, avrebbe potuto dirgli che l’arma era andata perduta, e che la corrente del fiume l’aveva trascinata via, e certamente non avrebbe potuto obbiettare nulla in un a simile circostanza, dato che gli aveva anche salvato la vita…
La tentazione era davvero grande.
Diede un rapido sguardo al nano che dormiva nel suo letto e per uno strano motivo provò un senso di pietà e sconforto.
-Ah dannazione!- esclamò poi tra sé, spazientita.
Con un gesto stizzoso rimise al suo posto la lama, come per togliersi dalla vista la tentazione e ritornò al tavolo; per un istante desiderò di non essere così onesta e scrupolosa, se non lo fosse stata non si sarebbe fatta così tanti problemi a vendere quelle armi non sue... ma non era così che avrebbe risolto i suoi problemi.
il fuoco nel camino si stava per estinguere e la fiamma della candela tremolava per gli spifferi che filtravano dalle travi di legno della casa, agitando debolmente anche le carte sopra al tavolo. Si mise a sedere rassegnata e vergognandosi di se stessa per quel terribile pensiero, arrossendo in viso.
Si convinse che in un certo qual modo sarebbe riuscita a venirne fuori: avrebbe fatto di tutto per i suoi figli; ma nel modo più assoluto non si sarebbe mai abbassata a chiedere la carità, e non avrebbe mai portato su di sé l’onta di un gesto così ignobile come il furto.
Lei non era una ladra!
 
 
Il mattino seguente, madre e figli uscirono di buon mattino per recarsi al mercato del villaggio.
Era una giornata nuvolosa e forse nel pomeriggio sarebbe piovuto.
Non le erano rimasti molti soldi in casa e perciò Lisel era più che mai decisa a vendere l’asino, e si aspettava di fare un buon affare: quell’animale era ancora sufficientemente giovane e tollerava bene le fatiche del lavoro, anche se da quando suo marito era partito e il raccolto non veniva più curato con le dovute attenzioni, con l’aiuto dell’animale, l’asino passava la maggior parte del giorno in ozio nella misera stalla o talvolta all’aperto, e i bambini lo usavano come ornamento dei loro giochi fantasiosi, in cui fingevano di essere nobili cavalieri ed intrepidi avventurieri.
Ci furono due o tre momenti in cui Lisel pensò che finalmente le sue preghiere fossero state esaudite: il fabbro era lì lì per decidersi a comprare l’asino, ma quando seppe il prezzo rifiutò l’offerta e la delusione della ragazza fu immensa.
Purtroppo la miseria della povertà non aveva colpito solo Lisel e la sua famiglia.
In paese infatti non vi era nessuno in grado di permettersi il lusso di spendere una somma di denaro tale per comprare un animale da lavoro, e Lisel aveva deciso che il valore dell’asino fosse di quaranta thannie venti castar, una cifra davvero azzardata ed astronomica… Molti contadini infatti preferivano faticare di più con le loro stesse braccia e risparmiare qualche soldo in più, piuttosto che spendere per un animale che necessitava anche di cure e cibo per rimanere in vita, costituendo una bocca in più da sfamare: fardello che molte famiglie non erano in grado di accollarsi.
Come ultimo tentativo, propose anche al mugnaio di prendere in affitto l’asino, ma con grande rammarico, questi si rifiutò dicendo alla ragazza che non poteva accollarsi le spese della bestia e che si era anche visto costretto a licenziare uno dei due garzoni che aveva al suo servizio presso il mulino.
Sconfortata e rassegnata, prese la strada di casa con i figli e l’animale, con la mente piena dei più bui pensieri.
Il villaggio distava dalla piccola casa solo poche miglia, ma non c’avrebbero impiegato così tanto tempo a ritornare se non fosse stato per il sentiero accidentato e la strada allagata dalle piogge torrenziali che in quel mese erano cadute più abbondanti del solito. I prati erano un pantano e perfino il ciuco faticava ad avanzare nel fango melmoso della strada.
Più di una volta Andrew inciampò lungo la via sporcandosi di fango; la sua andatura rallentava tutti, finché Lisel lo fece salire in groppa al mulo tirato al laccio da Simon, che si muoveva più agilmente del fratello, balzando da una pietra all’altra.
Lisel aveva le scarpe logore inzuppate d’acqua e fango, e lo stesso valeva per il suo abito… dopo questo era da buttare per davvero.
Oltrepassarono la collina cosparsa di erica fucsia e la casetta fu finalmente visibile.
Per tutto il tragitto la mente di Lise rimase altrove, mentre i due figli più grandi discutevano tra loro, talvolta litigando per futili questioni da bambini.
Arrivò sul sentiero di ghiaia oltre il bosco di bianche betulle che portava alla casetta, quando sollevando lo sguardo si arrestò: la porta della casa era aperta.
-Avete lasciato la porta aperta, prima di uscire?-
Simon e Andrew smisero di litigare e guardarono anche loro la porta.
-Io no!- fece subito con la sua vocettina Andrew come per discolparsi.
-Nemmeno io!- lo imitò Simon.
Seguì una pausa.
-Forse il nano è uscito!- suggerì banalmente Andrew con un’espressione vuota.
-O forse qualcuno è entrato!- disse in tono cupo Simon, tentando di spaventare il fratello che si strinse nelle spalle cercando lo sguardo della madre.
-Restate qui!- fece Lisel affidando il piccolo Thomas tra le braccia di Simon.
-Forse è papà…- fece timidamente in un sussurro.
-Non essere stupido!- lo rimproverò il fratello.
-Non dirmi stupido!- fece tirando un pugno in aria; e cominciarono a litigare.
 

Lisel corse a passo leggero lungo il sentiero sassoso, cercando di attutire i suoi passi che si infrangevano fragorosi sulla ghiaia. Con passo furtivo si fece largo sul portico della casa e si accostò alla porta, sbirciando attraverso la  fessura della porta.
Per un brevissimo istante, sperò che si trattasse con tutto il cuore di suo marito, ma quando entrò in casa ogni sua speranza venne demolita dalla figura che si trovò davanti che le dava le spalle.
-Henry!- fece sbigottita, -Che cosa ci faituqui?-
l’uomo stava appresso al caminetto e stava rovistando nei vasetti d’argilla che si trovavano sulla mensola.
Quando la voce della donna giunse ai suoi orecchi, si voltò lentamente, con l’espressione di chi viene interrotto mentre sta facendo qualcosa di urgente.
-Lisel!- fece mellifluo e quasi sorpreso di vederla in casa sua.
L’uomo era poco più alto di lei e dalla corporatura snella, con un’espressione insolente ed altezzosa stampata sulla faccia, aveva un bel viso ma terribilmente arrogante.
-Come sarebbe a dire che ci faccio qui?-
Lisel entrò a passo rapido e gettò un rapidissimo sguardo verso la porta della sua stanza che era semi aperta, e si frappose tra questa e l’intruso, ma con una certa naturalezza.
-E’ da molto che sei qui?- chiese la donna cercando di mascherare l’ansia della sua voce; era preoccupata infatti che l’uomo oltre nei vasi avesse frugato anche nella stanza…
-Sono appena arrivato a dire il vero…- fece questo muovendosi nella stanza e guardandosi attorno come se stesse ancora cercando qualcosa. Lisel approfittò del fatto che Henry le diede le spalle, e con un calcio richiuse la porta della sua stanza.
-Dove sono i ragazzi?- chiese,  -ero venuto a trovarli! – disse ovvio.
-Sono fuori…-
In quel mento i tre bambini irruppero nella casa gridando esultanti a gran voce -Zio Henry!- mentre Andrew gli saltava in braccio.
Henry sembrava sinceramente contento di vederli e per un attimo dimenticò che Lisel stava lì davanti a loro.
-Vi ho portato una stecco di liquirizia da dividere e una barca con la vela da far scivolare lungo il fiume!-
-Nel fiume?- fece Simon pensoso, come se quella parola gli avesse portato alla mente qualcosa di importante.
-Sai, zio,- incominciò il bambino, - nel fiume la settimana scorsa abbiamo…-
-Simon! Simon!- lo interruppe Lisel allarmata da quello che il bambino stava per lasciarsi sfuggire riguardo al nano, che più volte la donna s’era presa la premura di rammentagli, che doveva restare un segreto.
-Perché non andate fuori ad aspettare lo zio, e nel frattempo portate l’asino nella stalla?-
-Si andate ragazzi… ora vi raggiungo!- fece Henry depositando Andrew a terra e prendendo dalle braccia di Simon il piccolo Thomas che con gli occhioni stralunati su succhiava avidamente la mano.
Henry cominciò a intraprendere un discorso insensato con Thomas che rimaneva a fissarlo come se capisse quello che gli stava dicendo; lo zio lo ricopriva di vezzeggiativi e ogni tanto gli stampava un sonoro bacio sulle guance, al quali il bambino rispondeva con gorgoglii soddisfatti.
Lisel non lo perdeva d’occhio e guardava di sottecchi il cognato.
-Ah ho sentito del vostro raccolto!- disse all’improvviso Henry, -Che disgrazia, davvero non ci voleva in un momento come questo…- fece con falso rammarico.
-Certo se ti fossi affidata a me, piuttosto che fare tutto da sola e con tre figli a cui badare, forse a quest’ora avresti ancora di che nutrirti!-
-Grazie Henry,- disse la ragazza strappandogli dalle braccia Thomas, -la tua sensibilità è disarmante! Mi chiedo come mai ti preoccupi così tanto per me?-
-Sono solo preoccupato per il pagamento dell’affitto… come intendi pagarlo se non hai più ortaggi da vendere al
mercato?-
-Affitto? Quale affitto?- fece Lisel confusa.
-Ma l’affitto sulla casa che tu e i ragazzi state occupando, è ovvio, cara!-
-Questa casa appartiene a David!-
-Tecnicamente si, fa parte dell’eredità che avrebbe dovuto riceve da nostro padre alla sua morte, ma sfortunatamente, sembra che sia io l’unico beneficiario di mio padre vista la recente dipartita di tuo marito; povero sfortunato fratello! Quindi sembra proprio che alla morte di mio padre questa casa passerà sotto la mia proprietà!- la ragazza non riuscì a cogliere tutte le parole di Henry perché le era parso di sentire dei mugoli provenire dalla sua camera da letto dove giaceva il nano.
-Mio marito,- fece Lisel trattenendo la collera, ma alzando la voce per nascondere i lamenti sommessi che provenivano dalla sua stanza -Non è morto!-
-Credi pure quello che ti pare… ma la sua ultima lettera risale a due mesi fa…-
-Non significa nulla! Avrà avuto sicuramente qualche problema!- ora era seriamente arrabbiata.
-Già… e se non è uno stupido, a quest’ora si starà trastullando in piacevoli compagnie…- fece allusivo, -devi ammettere che tre figli e una vita di miseria non è una prospettiva allettante!-
Lisel lo fulminò con lo sguardo. Come osava quel vile e viscido verme insultare suo marito, in casa sua? E alla sua presenza.
La donna ringraziò il cielo di essere troppo distante dal caminetto e di avere le mani occupate, altrimenti avrebbe afferrato l’attizzatoio e gliel’avrebbe sbattuto sulla testa, a quel damerino.
-Finché non vedrò il cadavere freddo e decomposto di David davanti ai miei occhi, mi rifiuto di crederlo morto! E tu dovresti fare lo stesso!-
-Io non tratterei in questo modo chi ha l’autorità di sbatterti fuori da questa casa…, che ti piaccia o no, alla morte di mio padre sgombererai questa catapecchia, a meno che tu non voglia fare un accordo…-
-Fuori da casa mia!- disse la ragazza a denti stretti, spingendo Henry verso la porta, ma quello puntando i piedi per terra bloccò la sua marcia.
-Certo non sarei costretto a buttarti sulla strada se decidessi di sposarmi! Dev’essere davvero desolante avere una casa e nessuno con cui condividerla!-
Lisel sfoderò un sorriso sferzante. Decise di tagliar corto: sapeva come sbarazzarsi di lui; se c’era una cosa che Henry non sopportava era dover sborsare soldi…
Si diresse verso il caminetto e da un cassetto del comò ne estrasse un foglio di pergamena, lo spiegò e lo consegnò trionfante ad Henry.
-Visto che sarà casa tua, ricordati di pagare il maniscalco: ha riparato il tetto!-
Henry rimase un attimo interdetto e continuava a fissare il foglio con uno sguardo assassino.
-Ben fatto Lisel…- commentò ammirato, e guardandola con sufficienza girò sui tacchi e se ne andò.
Simon ed Andrew che lo aspettavano fuori, come lo videro gli corsero in contro, reclamando i doni promessi dallo zio, ma questi era talmente inviperito che non li degnò di uno sguardo e recuperando il cavallo nella stalla se ne andò, lasciando i bambini delusi e con un palmo di naso.
Che situazione deplorevole!
Questa era la conclusione perfetta di un’orribile mattinata di un giorno che non era ancora volto al suo termine.
Cos’altro le doveva accadere?
Un’altra notizia del genere e sicuramente non avrebbe retto il colpo!
-Dov’è andato lo zio?- chiese Simon trafelato per la corsa.
-Sì, non c’ha neanche dato i regali!- disse arrabbiatissimo Andrew con un broncio che poteva sfociare in pianto da un momento all’altro, le braccia incrociate. Quel visetto le faceva una tenerezza indescrivibile.
Lisel lo guardò e provò una stretta al cuore… si sentiva esattamente come Andrew.
Non riuscì a rispondere perché un nodo alla gola le bloccava le parole.
-Ehm…- vece deglutendo e trattenendo le lacrime, per non mostrarsi debole ai figli,- lui è dovuto andare via…-
Simon, che era un bambino molto più intelligente di quanto i suoi otto anni facessero intendere, guardò la madre rattristato, e afferrando il fratello per un braccio lo invitò ad uscire.
-Dai lascia stare, ce li darà un’altra volta! Andiamo a giocare!-
Ma Andrew era irremovibile.
-No, io volevo giocare con la nave!- fece pestando un piede a terra.
-Oh dai…- fece l’altro bambino, che sapeva come conquistare il fratello, -se vieni a giocare fuori con me ti faccio usare la mia spada di legno!-
Dimenticando la delusione di poco fa, Andrew sollevò lo sguardo con occhi luccicanti di emozione.
-Evviva! Sarò un cavaliere! Andiamo!-
 
 
Rimase di nuovo sola e pensierosa.
Non aveva via di scampo: se Henry voleva quella casa, l’avrebbe ottenuto con ogni mezzo!
-Ehilà!-
Lisel sussultò e il cuore prese a batterle nel petto all’impazzata.
-Ehilà!- non era una voce che conosceva, ma proveniva dalla sua stanza, flebile e stanca.
Depositò il figlio che teneva in braccio a terra e quello cominciò a gattonare per la stanza, mentre lei si dirigeva nell’altra stanza a passo silenzioso, trattenendo il respiro, ma era anche in trepidante attesa, perché non sapeva cosa aspettarsi dal suo ospite che presto avrebbe finalmente conosciuto.
 
 
Era ancora lievemente dolorante e si sentiva leggermente stordito, come chi dopo una lunghissima dormita si risveglia di colpo cadendo dal letto, travolto dai raggi del sole in pieno viso; in bocca aveva un sapore metallico che gli legava la bocca. Si sentiva comunque estremamente riposato, anche se aveva una fame lancinante che avrebbe potuto mangiare un troll con la sua caverna.
Si passò una mano sul viso per scacciare gli ultimi residui di sonno, lisciandosi la barba e si mise a sedere.
La stanza in cui si trovava era in penombra, ma un coraggioso raggio di sole che sfavillava dalla finestra la rischiarava, evidenziando il modesto ma curato arredamento.
Sopra una cassapanca, ai piedi del letto, c’era un catino con una brocca per lavarsi; poco più là, verso la parete un comò con quattro cassetti e i pomelli in ferro battuto e in cima un centrino di candido pizzo.
-Ehilà!- chiamò, era sicuro di aver udito delle voci…




angolo dell'autrice
bho non so bene che dire di questo capitolo, non è nulla di chè, credo, è un pò così: di sfondo.
ringrazio calorosamente i miei numerosi lettori/lettrici e tutte le care persone che seguono questa storia! spero cmq che questo capitolo vi sia piaciuto lo stesso! spero a prestissimo: baci baci.

 

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Il Signore degli Anelli e altri / Vai alla pagina dell'autore: corsara_andalusa