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Autore: Shade Owl    26/03/2013    3 recensioni
Un mondo devastato dalla guerra, teatro di disagi e difficoltà per la popolazione. Una storia.
Che parla di un gruppo di persone coraggiose.
Tra aeronavi, pirati, storia antica ed ex militari, l'inizio di una grande avventura.
Genere: Avventura, Guerra, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'I Ranger del Cielo'
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John Disen, l’uomo che si era vantato di essere salito su un Avionatante, in guerra, lasciò il bar solo a sera inoltrata, così ubriaco che a malapena si reggeva in piedi. In giro non c’era molta gente, e ormai i lampioni erano l’unica fonte di luce a rischiarare le strade. Con passo incerto si diresse verso la sua casa, un misero monolocale in affitto, ridotto da tempo al livello di una topaia, nonché l'unica cosa che poteva permettersi: la sua pensione da veterano gli garantiva un minimo di liquidità ogni mese, lo stretto indispensabile per tirare avanti. Non era certo un benestante, e quel poco che aveva di solito lo buttava via in alcolici, ma almeno campava.
Camminando, ogni tanto sbatacchiava di qua e di là lungo la strada, in preda alle vertigini, cantando una canzone stonata di cui sapeva solo metà delle parole. A malapena riusciva a mettere un piede davanti all’altro, e la vista gli andava fuori fuoco a momenti alterni.
Comunque, non era abbastanza sbronzo da non sentire gli schiamazzi che scoppiarono nella via vicina.
Si appoggiò ad un muro, cercando di snebbiarsi la mente, e tese l’orecchio: non riusciva a cogliere le parole (un po’ per l’alcool, un altro po’ perché erano troppo lontane), ma gli sembrava che due o più persone stessero litigando. Decise di dare un’occhiata, tanto per curiosità, e cominciò a muoversi verso la fonte del rumore, seguendo il muro accanto a sé con la mano per non perdere né la via né l’equilibrio. Svoltando l’angolo vide in fondo a un vicolo tre persone, una delle quali sembrava essere stato preso in trappola dagli altri due.
- Non ce l’ho più, vi dico!- gridò - L’ho data a Carsen Breeze, razza di idioti!-
- E noi come facciamo a crederti?- chiese uno dei due, quello più alto - Per quanto ne so, potresti anche averlo nascosto da qualche parte.-
- Ma certo, ora lascio incustodito qualcosa di così importante!- sbottò l’altro, facendo un gesto esasperato - Sentite, io non ce l’ho, punto e basta! Ora prendetevela con Carsen, e buon pro vi faccia! Voglio proprio vedervi, a inseguire lui!-
- Io dico che prima potremmo mandargli un messaggio, magari.- continuò l’uomo alto con tono minaccioso, accarezzandosi le nocche - Tu che ne dici, Secco?-
John, pur avendo la vista e la mente annebbiata, capì perfettamente che quello poteva essere soltanto un soprannome ironico: il Secco era più basso e, soprattutto, più robusto del suo compagno. Comunque, quello rispose con un grugnito e scrocchiò le nocche a sua volta.
- Ehi, no!- esclamò il terzo uomo - Levatevi dai piedi, accidenti! Io non c’entro più niente con questa storia!-
- Beh, forse possiamo fare finta di niente.- disse l’uomo alto - Però dovrai rispondere bene ad una domandina… una facile facile, e potrai tornartene nel tuo buco schifoso.-
- Che domanda?-
- Semplice.- rispose lui - Tu hai visto ciò che conteneva il pacco, o non avresti potuto chiuderlo nella sua bella custodia. Se ce lo descrivi nel più piccolo dettaglio, o se ci dici come aprire l’involucro, allora potremmo decidere di lasciarti andare via.-
- Eh, caschi male.- rispose secco l’altro - Carsen mi ha dato una di quelle sue schifezze chimiche perché la prendessi subito dopo aver finito il lavoro. Non ricordo un accidenti di niente riguardo al modo in cui si apre, né il contenuto del pacco.-
L’uomo alto annuì lentamente.
- Peccato…- disse - Peccato…-
John decise che era meglio intervenire. A dire il vero, da sobrio avrebbe pensato che quella non fosse una scelta saggia ma, in quanto soldato, era stato addestrato a intervenire nelle situazioni di bisogno, e con tutto l’alcool che aveva in corpo non riuscì a rendersi conto di non essere in condizioni per fare alcunché. Le sue gambe si mossero e basta, facendolo avanzare lentamente. La pioggia cominciò a cadere a poco a poco, mentre lui faceva di tutto per rimanere dritto e nel contempo andare avanti, cercando anche di assumere una postura minacciosa.
Non si rendeva conto di procedere chino e di rimbalzare praticamente da un muro all’altro, incespicando nei suoi stessi piedi.
- Ehi!- gridò con voce impastata.
Il trio si voltò a guardarlo.
- Chi è?- chiese il Secco.
- Oh, è solo un ubriacone.- rispose il suo compagno - E farà anche meglio ad andarsene.-
In quel momento l’uomo alle loro spalle decise di darsi da fare e, approfittando dell’attimo di distrazione, abbassò la testa e partì alla carica, investendo i due con la sua mole non esattamente sottile. Purtroppo l’effetto dello spintone durò solo per un momento, perché servì solo a farli barcollare contro le pareti e a dargli lo spazio per scappare e, dopo un istante e un paio di incitazioni reciproche, cominciarono a rincorrerlo. Gli furono addosso prima che potesse allontanarsi abbastanza e lo gettarono a terra, afferrandolo per il cappotto. John cercò di avvicinarsi di qualche altro passo, pronto a fare quanto poteva per aiutare, ma un istante dopo sentì un tremendo dolore all’addome e cadde a terra, colpito da un calcio vagante di qualcuno, e finì giù come una pera cotta. Intanto, l’uomo inseguito aveva ingaggiato un fiero corpo a corpo con i suoi assalitori, cercando di tenere loro testa contemporaneamente.
Riuscì a mandare al tappeto quello alto e smilzo, ma l’altro era ancora in piedi e sembrava molto capace nel combattimento, evitando uno ad uno i suoi colpi. John si alzò ancora, barcollante, e saltò addosso all’aggressore che gli dava le spalle, cingendogli il collo con le braccia. Quello cominciò ad agitarsi furiosamente, cercando di scrollarselo dalla schiena, ma ricevette un forte colpo all’addome e poi al volto da quella che avrebbe dovuto essere la sua vittima, cadendo finalmente a terra. John crollò con lui, incapace di coordinare bene i suoi movimenti, e si rialzò con molta lentezza, la testa che vorticava come se fosse salito su un ottovolante troppo veloce. L’uomo che aveva salvato andò in suo aiuto, prendendolo per un braccio e rialzandolo.
- Beh…- borbottò - Non so chi tu sia… comunque… ehm… grazie… credo.- disse in tono dubbioso, come se non fosse sicuro delle proprie parole.
John scosse la testa, incapace di parlare. Poi, sentì un forte dolore alla schiena, come una specie di perforazione, e cadde nuovamente in mezzo alle pozzanghere con un grido strozzato.
- Molto divertente…- ringhiò la voce del Secco, mentre anche il suo amico si rialzava - Ora però mi sono stufato…-
Un istante dopo, perse i sensi.
 
Si svegliò intontito, disteso sul letto in una stanza buia e sconosciuta. Era un locale grande e disordinato, pieno di attrezzi, pezzi di tubi o lamiere, teli polverosi e bulloni buttati in giro. Tre ampi finestroni inclinati si aprivano sulla parete davanti a lui, ma erano coperti da veneziane scure. Si alzò a sedere lentamente e sentì la pelle che tirava leggermente sulla schiena. Torse il braccio e ci passò una mano sopra: per prima cosa, si accorse di non indossare la camicia, e subito dopo sentì una medicazione coprirgli il punto in cui aveva sentito il dolore prima di svenire. Probabilmente era stato ferito.
Sospirando, scese dal letto massaggiandosi la testa pulsante e si avvicinò cautamente ai finestroni, così da guardare fuori per cercare di capire dove si trovava. Quando tirò la cordicella, fu investito da un fiume di luce che per qualche istante lo accecò, mentre la tempia gli diede una fitta talmente intensa da farlo gemere. Strizzando gli occhi e mettendo una mano davanti alla faccia, guardò la scena al di fuori della stanza.
Ovunque si trovasse, non era un appartamento come gli altri: fuori c’era un immenso hangar di lamiera, all’interno del quale si muovevano almeno una decina di persone diverse, tutte indaffarate a caricare alcune casse a bordo di qualcosa che lui riusciva a scorgere soltanto in parte. Probabilmente era un Avionatante, e pure bello grosso a giudicare dal poco che riusciva a vedere, ma non seppe identificarne il genere: lo scorcio che gli si presentava davanti era solo una massa nera e convessa, liscissima all’aspetto, che occupava quasi tutto l’angolo in alto a destra del vetro.
- Ti sei svegliato, finalmente.- disse qualcuno dietro di lui.
John sussultò e si girò di scatto: sulla porta della stanza, alla sua sinistra, oltre la fila di finestre, era comparso un uomo grosso e avanti con l’età, il cui aspetto gli ricordava vagamente quello di un orso.
- Dove sono?- chiese.
- Nell’Aviorimessa di un mio amico.- spiegò l’uomo - Il mio nome è Carsen Breeze. Tu chi sei?-
John esitò un momento prima di rispondere, chiedendosi chi diavolo fosse quel tipo e, soprattutto, perché lo avesse aiutato e dove lo avesse portato.
- John.- disse alla fine, decidendo che dopotutto non era un nemico - John Disen.-
- Molto piacere di conoscerti. Hai fame?- chiese, facendogli un cenno con la mano - Vieni, stavo proprio per pranzare. Sarei onorato se ti unissi a me. Ti presterò anche qualcosa da metterti.-
E uscì senza lasciargli il tempo di rispondere. Siccome non aveva motivo per rifiutare, ed anche perché voleva vederci chiaro in quella storia, seguì Carsen fuori dalla stanza. L’uomo lo condusse giù per una stretta scala di metallo fino ad una specie di piccola cucina incrociata con un salotto, dove un televisore di vecchio tipo riposava sopra ad un basso mobiletto, posto di fronte a un divano grigio sbiadito. Dall’altro lato della stanza c’erano dei fornelli, un forno a microonde e alcuni scaffali scheggiati carichi di scatolette.
Sopra a una frusta sedia di plastica c’era un vecchio giaccone, che Carsen prese e tirò a John, che cercò di afferrarlo al volo. Notò con piacere che i propri riflessi, quando era sobrio, rispondevano ancora piuttosto bene, anche se ebbe qualche difficoltà a serrare la presa sulla stoffa, sulle prime.
- Allora, come sono arrivato qui?- chiese, indossando l’indumento, mentre il suo ospite prendeva qualche scatoletta e delle stoviglie di metallo - E perché mi ci hai portato?-
- Potrei farti le stesse domande, in un certo senso.- rispose l’altro, aggrottando la fronte e sedendosi - Cos’è successo in quel vicolo?-
John inarcò un sopracciglio e cercò di ricordare: l’alcool non era molto d’aiuto alla memoria.
- Non ricordo benissimo.- disse - Stavo tornando a casa mia… e ho sentito qualcuno che litigava. Quando sono andato a vedere ho… ho trovato due uomini che ne minacciavano un altro, sì. Mi pare volessero… qualcosa da quel tizio, ma lui non ce l’aveva più… l’aveva data ad un suo amico, e questo non gli è piaciuto. Io mi sono messo in mezzo e c’è stata una lotta poi… boh, non so… ho sentito un dolore alla schiena, e sono svenuto.-
Carsen annuì cupamente, senza guardarlo, mentre apriva della carne in scatola e la metteva nei piatti di metallo.
- Capisco.- disse - Beh, sei stato coraggioso… e anche stupido.- lo guardò con un misto di compassione e divertimento - Dai, mangia qualcosa, che ti spiego più o meno come stanno le cose. Te lo meriti.-
John prese posto e afferrò il piatto che Carsen gli porgeva, accorgendosi soltanto in quel momento di quanta fame avesse.
- Dunque…- cominciò il vecchio - In pratica, è successo che quell’uomo che hai aiutato era un mio amico. Mi ha dato un oggetto molto importante, e i due che hai visto lavoravano per qualcuno che voleva portarmelo via.-
- E cos’era questo “oggetto”?- chiese.
- Questo non te lo posso dire.- rispose l’altro - Comunque era ciò che volevano, e il mio amico non ce l’aveva più. Purtroppo per lui, non l’hanno presa molto bene.-
- E ora come sta?-
- Molto peggio di te… o molto meglio, a seconda di come la guardi.- rispose cupamente Carsen - È  morto.-
A John andò per traverso la carne in scatola.
- Cosa?- gracchiò.
- Purtroppo è così.- sospirò - Io sono arrivato un’ora dopo con un paio dei miei, e ti abbiamo trovato pieno di sangue e svenuto. Intuire l’accaduto è stato semplice, così ti abbiamo portato qui e ricucito. Ti avevano accoltellato.- aggiunse, in risposta al suo sguardo interrogativo.
- Ah, sì…- grugnì John - Quello…- sospirò - Bene. Immagino che tu voglia un ringraziamento, ora.-
Ma Carsen scosse la testa, vagamente sorpreso.
- No.- disse - Chiunque rischi la vita per un perfetto estraneo merita un aiuto.-
- Bah…- grugnì lui - Sono un soldato, amico… o almeno lo ero. Mi hanno addestrato per aiutare chi è nei pasticci, una brutta abitudine che mi è rimasta anche adesso. Mi sono meritato una medaglia al valore perché ho salvato ventotto persone ferite da un proiettile esplosivo, dodici delle quali del fronte opposto.-
Omise di dire che quella medaglia, ormai, non ricordava più nemmeno dove diavolo fosse finita. Probabilmente l’aveva data in pegno per pagarsi qualche altro bicchiere, oppure era semplicemente scivolata sotto il letto. In ogni caso, scoprì che non gliene importava proprio niente.
- Comunque, che dice la polizia?- chiese invece.
Carsen fece una risataccia amara.
- La polizia… il tuo cervello deve proprio essere stato seriamente danneggiato dall’alcool, John: il governo ha praticamente finito i soldi con la guerra, e quelli che ha preferisce impiegarli in progetti militari. Hanno fatto un paio di rilievi, l’altro giorno, e poi hanno archiviato il tutto come una rapina finita male.-
- L’altro giorno?- ripeté John, bloccandosi con un boccone a mezz’aria - Ma… da quanto tempo sono qui?-
- Due giorni precisi.- rispose Carsen - Tranquillo, non ti cerca nessuno. Lo avrei saputo.-
John annuì, lo sguardo che gli si perdeva nel vuoto. Un omicidio era avvenuto in pieno centro e non importava niente a nessuno. Ormai, fatti del genere sembravano essere quasi all’ordine del giorno, e la parte peggiore era che non c’era una sola persona che sembrava preoccuparsene.
Che schifezza di mondo…Pensò.
Ignaro dei suoi pensieri, Carsen incrociò le braccia e si appoggiò allo schienale della sedia, guardandolo come se lo stesse valutando.
- Ora, tornando un momento a te… mi pare di capire che non stava parlando l’alcool, l’altro giorno, giusto? Sei davvero un veterano.-
- Eh?- chiese lui - Di che stai parlando?-
- Ero col mio amico in quel bar. È lì che ti ho visto la prima volta.-
John aggrottò appena la fronte, scrollando le spalle.
- Oltre la metà di quelli che hanno più di ventitré anni è stata nell’esercito, Carsen.- osservò - Non sono l’unico soldato sfigato di questa città.-
Lui non disse niente, annuendo con fare pensieroso. Rimasero in silenzio per qualche istante, mentre John finiva di mangiare.
- Bene…- sospirò questi alzandosi, quando il piatto fu vuoto - Ora credo che me ne andrò via.-
Carsen lo guardò, alzando le sopracciglia.
- E dove, sentiamo?-
- In giro… forse mi sbronzerò un altro po’… ma a te che importa?- chiese.
- A me niente, ma dovrebbe a te.- rispose - Ti stai rovinando la vita, nel caso in cui non te ne fossi accorto. Anzi, se fossi stato sobrio avresti anche potuto salvare il mio amico.-
- Ehi, mi stai accusando di qualcosa?- sbottò, appoggiando le mani sul tavolo e sporgendosi in avanti - Senti, mi dispiace per ciò che gli è successo, ma non mi riguarda, okay? Qualcun altro se ne sarebbe andato, e avrei dovuto farlo anch’io, visto com’è andata. Sono stato fortunato… molto fortunato.-
Carsen non fece una piega: si limitò a guardarlo negli occhi impassibile, con le braccia ancora incrociate sul petto. Alla fine, John scosse stancamente la testa e si ritrasse, scocciato.
- Posso aiutarti a rimetterti a posto, se vuoi.- disse il vecchio - Ti interessa?-
- Rimettermi a posto?- ripeté - Di cosa stai parlando?-
- Di tirarti fuori da questa cosa patetica che tu chiami vita, John.- rispose, con disarmante schiettezza - O preferisci ricominciare a devastarti il fegato? Io ti posso aiutare a creare qualcosa che ti permetterà di rifarti un’esistenza umana, se accetti. Forse sarà difficile e a volte anche pericoloso, ma un proiettile fa meno male di una cirrosi, te lo posso garantire. E dovresti sapere bene quanto possa essere dolorosa una pallottola, visto che eri nell’esercito.- spiegò - Ma se preferisci la bottiglia, prego…- aggiunse, indicandogli la porta con un cenno della mano - … non ti trattengo.-
Il primo pensiero di John fu quello di agguantarlo per i vestiti e spazzarci il pavimento, e per un secondo fu quasi sul punto di farlo davvero. Tuttavia, si rese quasi subito conto di stare ancora sragionando e si trattenne, sforzandosi di usare la testa, per la prima volta da anni.
Traendo un respiro profondo si passò una mano tra i capelli, pensieroso: doveva ammetterlo, Carsen aveva ragione. La sua vita, se così poteva chiamarsi, faceva schifo. Anche a lui non piaceva affatto, né lo allettava molto l’idea di continuare in quel modo. Piangersi addosso non era utile a nessuno. Se avesse rifiutato, probabilmente avrebbe sprecato quella che poteva essere l’occasione di cui aveva bisogno per rimettersi in gioco.
- Perché mi vorresti aiutare?- chiese alla fine - Noi non ci conosciamo nemmeno.-
Carsen fece un sorrisetto scaltro.
- Non per generosità.- ammise - Vedi… anche a me serve una mano.-

Ebbene sì, John sarà il nostro protagonista, e non una semplice comparsa di un minuto o due. Saranno sue le avventure che seguiremo tra queste righe e, se mi riesce di far bene il mio lavoro, vi affezionerete a lui.
Ringrazio Ely79 e LullabyMilla, che mi hanno già recensito, come sempre, sfidando miliardi di impegni pur di leggermi. Grazie, a domani!

   
 
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