Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: Miss I    29/03/2013    2 recensioni
Il suo sguardo era stato catturato e custodito per secoli dal Sole.
Le sue labbra furono per tempo il teatro delle rose dense di spine.
Il colorito del suo viso racchiudeva quello di tanti altri.
I suoi capelli d'oro erano le liane del sentimento che gli unì a lungo.
Il battito le colorava le guance.
Genere: Avventura, Erotico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


Basato su una storia realmente accaduta.
Qualsiasi riferimento a fatti o persone reali è puramente casuale.

I luoghi citati sono realmente esistiti, tutt'ora lo sono e lo saranno.
 

Image and video hosting by TinyPic



Original Video - More videos at TinyPic




(0)
Introduzione


 

14 Aprile 2003
Nei pressi di Keleft, Afghanistan


La stanza era buia e i passi del soldato erano lenti. Due respiri e il diaframma si contrasse allo stesso tempo di questi.
Quel straniero sentimento denominato come paura non si insediò in essa, fu anzi scacciato dalla sua stessa astuzia maturata nei duri e lunghi anni di addestramento militare.
Parte della sua unità era al di fuori di codesta casupola costruita di consunti pezzi di stoffa retti da lunghi tronchi di alberi,
di cui lei si era presa il compito di controllare se all'interno ci fosse anima viva.
L'altra era a comando del suo migliore soldato che sembrava avere la disciplina e l'obbedienza agli ordini come valori fondamentali nel suo sangue irlandese.
Quando constatò che il luogo fosse abbandonato, si diresse nell'uscita ricavata tracciando un taglio sulla quella stoffa ma qualcosa la fermò.
Ad un tratto essa sentì un urlo subito soffocato da qualcun altro o qualcosa. Questi tremavano in un angolo della stanza, spaventati dall'avvenire, dal buio.
Lei, invece, era dotata di occhiali di ultima generazione che le permettevano di guardarsi intorno nonostante l'ora notturna.
A passo lento si avvicinò al punto dove lo sentì mentre in ambedue le mani teneva il suo moderno fucile d'assalto Colt Model 16 cosicché se sarebbe servito, lo avrebbe usato senza scrupoli.

«Knight, richiediamo il suo intervento nel settore quattro... - le arrivò un messaggio vocale - Abbiamo bisogno di lei comandante!» continuò poi la connessione vocale fu interrotta.
«Horan, mi sente?» cercò quest'ultima di ricontattarlo invano. Prese le redini della situazione e contattò l'altrà unità o meglio chi la controllava.
Persino questo tentativo fu inutile così uscì dal posto dimenticandosi di chi avesse urlato e non trovò nemmeno parte della sua unità che aveva affidato al nulla per qualche minuto.
«!الأرض عاهرة» ricevette un colpo all'altezza della nuca dal fusto di un arma a lei sconosciuta ma dalla leggerezza sembrava fosse un normale Kalashnikov, senza modifiche o miglioramenti.
Da ciò che aveva imparato delle lingue durante sua istruzione superiore, capì che le era stato appena detto di abbassarsi a terra, dopo essere stata chiamata brutalmente come puttana.

Si mise in ginocchio sul terreno sabbioso con ancora i sensi saldi nonostante il colpo duro in quel punto abbastanza vulnerabile e pericoloso del corpo umano.
«Dammi tua arma!» continuò a comandare su di essa ma con la testa dura, ereditata dal padre di cui aveva seguito le orme, non glie la diede.
«Allora muori come tutte puttane!» le tolse il casco pensando di tirarle qualche ciocca anche se trovò solo capelli di pochi centimetri di stile piuttosto maschile.
«يأتون إلى هنا - ordinò ad altri suoi compari di venire vicino a lui - مساعدتي لاصطحابها بعيدا» 
ed infine di aiutarlo a portarla via in qualche luogo che a lei sarebbe continuato a rimanere sconosciuto.
Lei scosse la testa in segno di negazione e con la sua arma cercò di fargli del male, senza un risultato che ritraeva la sua posizione all'interno dell'istituzione dell'esercito militare.
Nemmeno il suo orgoglio la aiutò in questo aneddoto e fu costretta a sopportare il loro palpare mentre la portavano via dal posto.
«من قبل، وهنا يأتي معرفة ما إذا كان هناك شخص آخر» ordinò sempre ai suoi filibustieri di saccheggiare il luogo che lei aveva appena visitato e controllare se vi era qualcuno.
Quest'ultima venne trascinata per qualche metro poi, con forza, la misero su un auto. Quel precedente colpo prese sopravvento sul suo subconscio, iniziando ad offuscarlo incontrastato.
Mantenne lo sguardo sul luogo osservando anche se stessa, ormai privata di ogni modo di contrattaccare con armi da fuoco o chiedere rinforzo attraverso apparecchi.
Ne uscirono due uomini, uno dai ricci unici che sembravano biondi, data l'eccessiva sabbia, alla luce delle torce
mentre l'altro continuava a sgranare gli occhi, facendo finta di non capire cosa stesse realmente succedendo.
Gli fecero andare a petto contro un muro di una spelonca frastagliata e rocciosa. In aggiunta gli ordinarono di mettere le mani sulla nuca, in modo che non potessero scappare.
I due non urlavano. Rimasero fedeli e impassibili ai loro sentimenti lasciando che il silenzio si impadronisse della scena.
«Vi pentite dei tuo peccati? - camminò accanto alla loro costituzione - Vi pentite del vostro oriantamento sessuale?» urlò avvicinandosi al riccio, tirandoli con insistenza un ciuffo dei suoi.
«Mai» risposero a tono, nello stesso momento come se fossero stati gemelli anche se la verità era che il sentimento che gli legava era più forte di un legame fraterno o della morte.
In quel momento a loro non sarebbe servito un segno d'affetto, semplicemente il fatto di essere insieme, gli rendeva felici e fieri di loro stessi.
Harry scappa sussurrò l'altro in inglese, a voce così bassa che l'uomo che gli doveva concedere l'ultimo respiro non lo sentì. Questo fu il suo scopo.
Non ti posso lasciare qui sibilò a sua volta. Avevano imparato a parlare a così basso tono grazie ai loro ricordi che vigevano nelle loro giovani menti.
L'altro, mantenendo le mani sulla nuca, agitò lentamente il capo dall'alto al basso, senza farsi notare dall'uomo, ordinandogli di andarsene.
L'uomo che prima diede a loro la possibilità di redimersi, rassegnato o piuttosto seccato dalla loro risposta contradditoria, si allontanò dalle loro figure per prendere una mira giusta.
Iniziò dal riccio, che gli sembrava il più facile e debole da consumare. 
Nella sua mente chiusa e di poche vedute, vigeva la regola che solo donna e uomo erano l'eccezione e anche la quotidianità.
Corri, ora! lo convinse il suo amato a farlo e quando l'uomo era troppo concentrato a prendere la mira lui iniziò a correre.
Amore, corri con me! urlò il riccio e l'adrenalina fusa alla paura, con l'istintiva voglia di vivere che ogni sano umano possedeva, anch'esso lo fece.
«Neanche se correte al di fuori dei confini di questo paese, sarete liberi» urlò il primo suscitando le risate dei suoi compari,
cercando di puntare la sua stessa arma su quei due innocenti che avevano solo imparato ad esprimere un sentimento senza vergogna.
La tangibilità era che col tempo l'individuo maturò la convinzione che l'eccezione non esisteva. In realtà tutto è un eccezione, pure l'uomo e la donna.
Dio ci ama tutti come siamo, non ci divide per il nostro colore, né per ciò che proviamo o per le nostre ideologie. Queste ultime sono i fatti che ci rendono unici nella nostra personalità.
Gli bastò raggiungere, abbracciare ciò che amava per sentirsi bene ed anche per il riccio valeva. Il pensiero era reciproco. Chiusero gli occhi, attendendo quelle pallottole.
Un ultimo bacio, un ultimo tocco, i loro occhi si lodarono per l'ultima volta sulla terraferma, salutandosi per poi ritrovarsi in un altra dimensione,
che noi umani nei secoli passati avevamo maturato come il nome di Paradiso per i buoni ed Inferno per i cattivi.
Solo un apparenza, per poter credere che anche dopo la morte ci saremmo salvati o che in qualche modo si sarebbero ancora i sensi.
Credenze in tutto il mondo, mischiate ad origini, racconti che negli anni sono divenuti leggende fino a trasformarsi in religioni.
Un credo che ci aiuta a non smettere di fermarci, di stare in pace con noi stessi e con gli altri. Ognuno ne ha e come tali, si devono rispettare.
Uno sparo. Dopo un altro secondo divenirono due spari susseguiti. Il sangue colorò la sabbia intorno ai loro corpi che ormai erano a terra.
Il comandante chiuse gli occhi dopo aver finito di vedergli cadere a terra come sagome di cartone sospinte dal vento marino o da un ventilatore, perse uno dei cinque sensi, ovvero la vista.
Si stese cercando di non farlo notare ma fu subito disturbata dagli uomini che vi salivano per poter partire in un luogo a lei sconosciuto.
Con la mente continuava a contare i secondi cosicché sapesse quanti minuti fossero passati da quando l'avevano privata dei suo oggetti e della sua unità.


16 Aprile 2003
Periferia di Quarquin, Afghanistan


Aveva smesso di contare i secondi.
Di una cosa era certa, tutta la sua unità era andata persa, da ciò che aveva potuto ascoltare e capire nel parlare tra chi la teneva in ostaggio.
Ognuno di loro poteva essere stato ucciso da questi stessi anche se alcuni potevano essere scappati nei paesi circostanti, superando con furbizia i confini.
Gli uomini che l'avevano rapita non sapevano che lei gli capisse perciò parlavano dei loro segreti apertamente, una risorsa importante per il Governo.
Era stata rapita ma ciò nonostante era ancora in carica come militare e come tale, il suo compito era quello di servire il suo Paese e fornirgli il materiale giusto per contrattaccare.
Conosceva il posto in cui si trovava a memoria: le entrate, le vie più facili per uscire ma nonostante ciò era apparentemente e purtroppo imponente.
Legata per ambedue le braccia e gli arti inferiori pensava di essere in trappola, che non ci fosse via di scampo ma questo era ciò che le voleva far credere più volte il suo cervello.
In questo ultimi paio di giorni, dopo che fu portata nel posto che a lei rimaneva ancora sconosciuto, subì quattro violenze carnali
e così legata, le sembrò che sarebbe stata ancora più dura, che ne avrebbero aprofittato con più tono e mascolinità.
Non riusciva a prendere sonno nonostante la stanchezza che le andava a caratterizzare i suoi occhi rossastri.
Respirava profondamente cercando di trovare una soluzione in ogni secondo che passava in più in questo luogo sudicio e sporco, senza risultati vincenti.
La sua attenzione fu catturata da un pallone che attraversava una parte del muro distrutto e successivamente un bambino che la seguiva entrando in essa.
Quest'ultimo fu attirato dai rumori che faceva lei: le catene di cui era legata e le sue urla nascoste da un pezzo di scotch malandato.
La guardò con scompiglio ma condizionato dalla sua curiosità di natura infantile la raggiunse, osservandola dall'alto al basso.
Altri rumori: stavolta la porta principale si aprì e entrarono due uomini, tirando con forza un altro al seguito.
Il bambino più astuto di quanto il comandante pensasse, si andò a nascondere nel punto del luogo in cui nessuno avrebbe mai controllato.
Ciò voleva dire che c'era già stato in altre occasioni, circostanze che lo avevano portato a dover trovare un posto in cui nascondersi per non essere riconosciuto.

«Guarda, puttana!» richiamò l'attenzione di essa con un nomignolo che aveva poco a che fare con lei, la sua costituzione. 
Il suo sguardo era basso e chino ma quando le fu dato l'ordine, lo alzò senza indugio, e con quest'ultima azione anche le sue speranze iniziarono a crescere.
Quei capelli mori del suo miglior soldato, quello più fedele. I suoi occhi rossastri in contrasto con l'azzurro delle sue iridi, le dava ancora una ragione per continuare a combattere.
«Fa parte della tua unità?» chiese il primo avvicinandosi pericolosamente a lei, togliendole lo scotch per poi accartociarlo tra le sue dita della mano sinistra sporca di sangue.
«No» mentì ma sapeva che cosa faceva. Se avesse risposto positivamente non gli avrebbero lasciati insieme perché di sicuro avrebbero creato un complotto.
L'uomo sorrise ed infine iniziò a ridere degustandosi la scena, il dolore del comandante. «Hai perso tutto!» fece luce sulla situazione della ragazza.
«Del resto c'era da aspettarselo - continuò con una schifosa convinzione - una donna al capo di un unità non porta risultati concreti» finì quella frase con una voce primitiva e insensata.
Il comandante sorrise a sua volta nella sua mente, senza lasciare trasparire sentimenti nel suo viso che sapeva rimanere impassibile e doppio agli occhi del presente.
L'uomo raggiunse il moro che era in ginocchio davanti al suo comandante mentre il collega del primo, puntava alla tempia del militare una pistola.
«E tu, peccatore... - urlò scuotendo le menti stanche dei due militari - Lei è il tuo comandante?» chiese la stessa domanda al moro.
«No» rispose calmo, senza lasciar trasparire anch'esso nessun sentimento. 
«Giuralo sul tuo Dio!» contrattaccò l'altro che puntava una pistola alla sua tempia, troppo credente e pieno di idealismi teologici.
«Lo giuro» mentì spudoratamente. Solo chi conosceva bene il moro sapeva che lui non credeva nell'istituzione religiosa: era ateo.
Non sentì più la più semplice arma sulla sua tempia e fu ancor più trascinato dall'altra parte del luogo, non abbastanza lontano dal suo intimo comandante.
«!التعادل معه، يتعين علينا القيام به» disse l'uomo ordinando palesamente di legarlo come avevano fatto con la ragazza.
Gli ordinò di legarlo ma nonostante l'ultima frase diceva anche di non avere tempo, il suo collega ebbe il coraggio di malmenarlo coinvolgendo anche l'uomo.
Lo legarono con le catene in modo che potesse essere ancora più vulnerabile ai colpi che gli avrebbero dato.
Due calci all'altezza del petto. 
Cinque schiaffi sulle sue guance.
Sangue sul pavimento.
Respiri umani diventati clandestini.
L'irlandese era forte e nonostante quei colpi che per altri sarebbero stati fatali o di gran lunga dannosi ad un altro, a lui fecero solo del anormale solletico.
Lo lasciarono in un apparente stato di confusione ma quando uscirono convinti di aver vinto questa sfida, lui riaprì gli occhi lasciando che nel suo viso trasparisse un sorriso schifato.
Di seguito si abbassò tanto quanto ciò che le catene con cui lo avevano legato gli permettevano di fare
«Ah» si lamentò del dolore che contrasse a quel movimento. Fu costretto a rilassarsi e respirare lentamente per poterlo alleviare. 
Pensò ai suoi cari, a sua madre con più nostalgia. Non aveva nessun altro: solo i suoi genitori e suo fratello.
Ripensò al parco lontano qualche metro da casa sua a Mullingar, i giorni da piccolo passati a combattere con una pistola che sparava pallottole di plastica.
L'innocenza di quel periodo gli era stata rubata con lentezza ed amore durante l'adolescenza finché compiuta la maggiore età, decise di arruolarsi al servizio del suo stato.
Il bambino, piuttosto scosso dalla scena a cui assistì, fece cadere il suo stesso pallone attirando l'attenzione dei due che non avevano ancora avuto modo di ritrovarsi.
Uscì senza pensare dal posto in cui si era nascosto osservando ambedue i presenti con paura, morsicandosi più volte il labbro inferiore.
Il comandante mosse le sue catene attirando di nuovo l'attenzione del bambino. 
«ما هو اسمك؟» chiese la prima come si chiamasse all'esile bambino.
«Z - Zayn» rispose a sua volta questo con voce tremolante. La ragazza sorrise alla costituzione di esso cercando di calmarlo, cosa che in parte riuscì.
«يمكنك أن تساعد؟» infine chiese sempre ad esso se poteva aiutare lei e il suo compare, compagno di vare spedizioni di natura militare.
«...أحاول» le rispose che ci avrebbe provato poi si dileguò dall'entrata ricavata dal muro che aveva varcato anche nella sua precedente entrata.
Lasciò il pallone a terra e ciò significava che sarebbe tornato ad aiutarli o almeno, questo era quello che ci aveva fatto credere.
La ragazza che prima aveva lo sguardo rivolto verso la figura del bambino, la rivolse su quella del suo compare dall'altra parte del luogo in cui si trovavano.
Non ebbe il coraggio di rivolgerli la parola o scuoterlo ancor più di quanto già lo era.
Sapeva per certo che fine aveva fatto la sua unità e chiedere chiarimenti avrebbe peggiorato la situazione.
Nonostante scelse di rimanere in silenzio, sentire i singhiozzi del suo miglior militare non facilitò le cose.
Sospirò a lungo poi prese il coraggio di parlare, quest'ultimo che aveva lasciato che le lacrime solcassero come un fiume in piena le sue guance.
«Sono morti tutti - confessò la dura realtà con voce lagnante - tutti» ripetè quell'ultima parola con amarezza.
Il comandante si pentì di non avergli detto di tacere su essa ma prima o poi sarebbe venuta a galla, evidenziata da qualsiasi individuo.

«Noi due ci siamo e torneremo a casa» 
mantenne uno sguardo austero, non lasciando che uscisse alcuna lacrima né pena per i deceduti. Doveva essere forte.
Aveva ancora il comando della situazione apparentemente ma dentro le sembrò di morire di vergogna,
di pentimento per molte azioni commesse durante la missione che il Generale le aveva assegnato con un grande sentimento di fiducia.
Il moro sorrise sornione per il fatto che il suo comandante lo stesse ascoltando nonostante fosse incatenata, piena di ferite e addirittura privata dei suoi indumenti.
Un suono lancinante perforò i loro sistemi uditivi facendoli a cadere a terra. Per ore sarebbero rimasti in quella posizione facendo credere a chi passava,
nemico o un normale cittadino, che fossero realmente deceduti. Quando si svegliarono ognuno urlava il nome dell'altro. 
Mike Phillips, il suo compagno continuava a urlare ma l'unica cosa che riusciva a sentire erano i suo pensieri che risuonavano con sapienza nel suo cervello.
Valeva lo stesso per l'irlandese che fu spaventato dal fatto che non potessero udire più alcun suono. Furono costretti a usare segni e rimedi naturali come rami o sassi per potersi capire.
Decisero di ritornare nel settore quattro dove avevano lasciato i loro compagni di missione ma la visione fu cruenta e inaspettata.
Sapevano con chiarezza cosa comportasse essere militari ma ripensando ai cari dei deceduti in decomposizione, fu dura accettarlo.
Scavarono con le proprie armi, con qualsiasi oggetto e seppellirono i loro compagni come era giusto che fosse.
Servì circa un giorno per farlo poi si incamminorono per le colline fino ad arrivare in codesta cittadina. Durante il loro tragitto riacquistarono via via, il senso che era perso.
Si divisero ma quando l'irlandese iniziò a camminare per Quarquin iniziò ad udire spari, urla e violenza, finché lui stesso non fu preso e portato in questo luogo.
Pensò che sarebbe stato ucciso ma quando vide il comandante nelle sue vesti, che era ancora abbastanza lucida da mentire creando piani mentali, si insidiò speranza in sè.

Ricordò con rancore le ultime ore della sua vita pensando che se fosse stato più arguto, avrebbe salvato le vite dei suoi compagni di missione.
Il comandante osservò il suo miglior militare rimuginare solo mentre le sue lacrime continuavano dileguarsi con lo scorrere lento dei secondi.

«Giuro di essere fedele alla Repubblica Irlandese, di osservarne la costituzione e le leggi 
e di adempire con disciplina ed onore tutti i doveri del mio stato per la difesa della Patria e la salvaguardia delle libere istutizioni
» pronunciò la ragazza, una cosa che teneva a memoria.
Il Giuramento che si prestava alla sua istituzione repubblicana, promettendo fedeltà eterna negli anni della propria vita
fu un'altra ragione per sperare di poter uscire da codesta situazione. Lo ripeté anche il ragazzo riprendendo la forza che aveva perso ricordando il dolore.
Il bambinò rientro da quel buco nella parete con un mazzo di chiavi che nel subconscio dei due militari si delinearono come la soluzione alle serrature delle catene che le legavano.
Oltretutto nell'altra mano aveva un paio di vestiti lunghi e neri e burqa che avrebbero coperto i loro sguardi, facendoli passare inosservati.
Infatti il primo provò ognuna di queste nella serratura della catene che tenevano legata la ragazza, finché una la aprì liberandola.
Cadde a terra non più retta dalle catene e iniziò a fuoriuscire del sangue dalle ferite che quelle le avevano procurato.
Il bambino prese il suo pallone, si avvicinò al moro e liberò pure esso. 
«Grazie!» disse quest'ultimo scrollando i propri arti dalle catene.
Il primo annuì sorridendo e dopo aver lasciato i due burqa a terra, se ne andò alla stessa velocità con cui era entrato.
L'irlandese si avvicinò vicino al suo comandante, la trascinò vicino a quell'apertura nel muro e tagliando un pezzo di stoffa dalla propria maglietta, cercò di fermare il sangue.
Sembrò che il tentativo fu servito a qualcosa e quando la vide riprendersi, fu entusiasta di aiutarla ad alzarsi.

«Penso che dobbiamo vestirci di questi» le passò uno di quei vestiti e un burqa.
Anch'esso si sarebbe dovuto vestire così; era d'obbligo se non voleva essere scoperto.
Uscirono da quel luogo e camminarono per due giorni e sette ore per poter passare i confini e nemmeno loro sappero come non fossero stati scoperti.
Raggiunsero la base militare più vicina ovvero ad Hatab in Turkmenistan e da essa presero un aereo che gli riportò nella loro patria come riconosciuti sopravissuti di una disgrazia.
Quest'ultima si era divulgata in tutto il mondo come una delle tante perdite umane che subiva ogni anno l'istituzione dei militari.


27 Aprile 2003
Centro di Dublino, Irlanda


E ora passiamo alle notizie di attualità dove vediamo sotto li occhi di tutti l'attacco dei terroristi nei confronti dei nostri militari.
L'unico sopravissuto Niall Horan è ora tornato nella propria casa a Mullingar. Il ragazzo non ha ancora rilasciato interviste né il sergente ne ha voluto parlare.

«Spegni quell'aggeggio!» ordinò la madre al proprio figlio che era seduto composto sul divano attendendo che dessero notizie della sorella.
«Liam, ho detto spegni quell'aggeggio!» ripeté un secondo dopo non dando nemmeno il tempo ad esso di prendere in mano il telecomando e spegnere la televisione.
Fece quest'ultima azione facendo allontanare la costituzione della madre che si dileguò in cucina dove nel muro vi era una foto in tenuta militare della propria figlia.
La osservò con nostalgia, scuotendo più volte il capo e trattenendo a stento le sue lacrime. In aggiunta mise la mano destra sull'apertura della bocca.
- Cosa vuoi fare da grande? - le chiesero gli zii alla sua piccola figlia. - Voglio sparare, voglio fare come papà! - rispose battendo ripetutamente la forchetta sul piatto.

«Allora tesoro, - irruppe nella stanza interrompendo i suoi pensieri o meglio ricordi - qualche notizia su Cassandra?»
chiese suo marito dandole un bacio sulla guancia senza prima a visto l'ultima notizia che diedero i telegiornali.
Si sottrasse all'ultimo gesto e prese aria per iniziare ad urlare. 
«E' colpa tua se ora è morta chissà dove, solo colpa tua!» lo tastò più volte con l'indice destro nel petto.
Quest'ultimo abb
assò lo sguardo quasi offeso dalle parole taglienti della moglie. Alzò il sopracciglio in segno di incomprensione contrapposta alla negazione.
Infine lasciò la stanza raggiungendo il figlio che era ancora seduto sul divano ad osservare con poco interesse il telecomando.

«Vedrai che tornerà» finse un sorriso il padre al suo secondo genito cercando di rassicurarlo. 
«Già» rispose a sua volta sorridendo di velo doppio al padre.
La famiglia Knight non conosceva la verità e pareva che non l'avrebbero mai intraveduta. Troppi segreti caratterizzavano gli stati occidentali.
Di fatto a qualche chilometro dalla loro casa si trovava la base militare di Dublino dove loro figlia
era stata convinta a cambiare la propria vita per evitare uno scandalo più economico che culturale.
Cassandra Knight era divenuta Jude McCarthy grazie a ventitré operazioni chirurgiche e documenti fasulli creati appositamente per lei.



  
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: Miss I