Salve,
vi ricordate ancora di me? Sono esattamente 2
mesi e 14 giorni che non aggiorno, ma ve lo avevo detto, la scuola ha
cominciato a richiedere sempre più tempo e impegno e non mi
sono potuta
dedicare molto alla scrittura. Anche se in questo tempo ho postato due
song-fic.
Però ci tenevo a pubblicare il capitolo prima di
Pasqua, anche per darvelo come regalo.
Non vi trattengo oltre... ci si legge sotto.
Capitolo 4
Uno sguardo veloce all’orologio, e ricordo che
questa prima,
assurda, giornata da universitaria è finita.
Assurda, si. Lo è proprio stato.
Vorrei vederci voi nella mia situazione. Conoscere coloro
che ti dovranno esaminare per cinque lunghi anni e scoprire che sono
del tutto
Pazzi!
Ma meglio non pensarci, o correrei il rischio di tornarmene
in stanza per cominciare a cercare un altro posto in cui la pazzia non
sia una
componente richiesta per i professori.
Affretto il passo per arrivare quanto più presto in
caffetteria, ci sarà già mezzo mondo che mangia e
non voglio neanche pensare a
quanto dovrò aspettare, in coda, per poter mangiare.
Fortunatamente, quando arrivo, noto che non c’è
molta fila
da dover aspettare così nel giro di dieci minuti sono
già libera, con un
vassoio fra le mani in cui fanno bella mostra di se,
un’insalata dall’aspetto
tutt’altro che fresco e una bottiglietta d’acqua
poco gasata.
Salutista fino in fondo, io, non come quei patiti di fast
food dei miei fratelli.
Ma ora si presenta un altro problema. Dove mi siedo? Sarà
anche vero che non ho trovato troppa confusione per prendere da
mangiare, ma
all’orizzonte non si vede neanche l’ombra di un
posto vuoto su cui sedersi.
Faccio vagare il mio sguardo per tutta la sala, attendendo
che magicamente si liberi un posto, ma noto qualcuno sbracciarsi nella
mia
direzione.
E’ Carla che mi invita a sedermi al suo stesso tavolo. Oh
guarda, con lei c’è anche tutta la gang.
Vado al tavolo e una volta seduta saluto tutti.
Ovviamente non mi danno neanche il tempo di mangiare un
boccone che mi coprono subito di domande sulla mia prima giornata
“scolastica”.
Mi piace ancora chiamarla così, nonostante sappia benissimo
che c’è un’enorme differenza fra una
scuola e un campus universitario.
Ma cosa volete farci? Forse non ho ancora ben realizzato.
Comunque dopo aver spiegato non troppo concisamente come è
andata la mia giornata, lascio che siano gli altri a raccontarmi la
loro,
sebbene, devo ammetterlo, ascolti con poco interesse quello che mi
viene detto.
Un po’ perché inaspettatamente questa insalata
è veramente buona e me la sto
godendo; un po’ perché continuo, ancora, a pensare
alle ultime due ore, passate
in mezzo ai pazzi.
Sto ancora perdendomi nei miei pensieri quando sento Elliot
chiedermi preoccupata.
“Piccoletta cos’hai? Ti vedo distante.”
Le sorrido leggermente
e dopo aver sospirato le rispondo.
“Non è niente Elliot. Solo... stavo pensando alle
ultime due
ore di lezione. Ho avuto simulazione, e sono rimasta alquanto
interdetta.”
“Ma allora hai conosciuto i Dottori!” esclama J.D.,
compiendo un’ascesa repentina della scala armonica con la sua
voce.
“Proprio così -ammetto- e non so proprio cosa
pensare di
loro”.
Questa mattina, il professor Hoffman ci ha condotto in una
strana stanza, chiusa da una porta bianca, senza alcuna insegna o targa
ad
identificarla.
Entrati dentro abbiamo trovato la prima stranezza o, come mi
piace definirli, il primo dei due pazzi.
C’era un uomo con completo blu, camicia in tinta e con delle
piccole righette bianche, cravatta e un lungo e pesante cappotto
marrone.
Quest’uomo se ne andava camminando, tranquillamente, per la
stanza senza
degnarci neanche di uno sguardo. Solo quando il professore rese chiara
la
nostra presenza, con un colpetto di tosse accennato, l’uomo
si girò
deliziandoci di con un grandissimo sorriso a 32 denti e gridandoci.
“Hey ma benvenuti! Io dono David Tennant, ma potete
chiamarmi Dottore.”
In un primo momento pensai, magari questo sarà un tecnico
del simulatore e avrà preso qualche laurea particolare per
averci chiesto di
chiamarlo in quel modo. Solo dopo, parlando col prof Hoffman, capimmo
che non
era laureato in niente. Anzi non si sapeva proprio che relazione avesse
col
simulatore, ma chissà come l’anno in cui a
Cambridge si decise di utilizzare il
simulatore per gli esami pratici, lui e il suo compare arrivarono
insieme alla
macchina.
Dopo averci detto qualche altra parolina per “scioglierci e
non avere paura di lui”, parole sue, Tennant e il professore
ci accompagnarono
al simulatore.
Rimanemmo tutti stupidi da esso perché era identico ad una
cabina della polizia uscita fuori da una Londra di non so quale periodo
storico.
Ci spiegarono che il T.A.R.D.I.S. (aka Teoria Applicata
Realmente a Distanze Impossibili Scolasticamente) era stato introdotto
per
tutti quei corsi di studio che si prefiggevano di formare i futuri
“tecnici del
lavoro” che dovrebbero essere in grado di produrre risultati
senza provocare
danni al genere umano. Quindi eravamo obbligati dalla politica
universitaria a
sostenere gli esami con quel coso.
Quello che mi chiedevo io era come si potesse sostenere
un’esami in quella cabina che aveva tutta l’aria di
essere strettissima. Ma a
quanto pare “il Tardis è più grande
all’interno” come ci disse Tennant stesso.
Provò anche a farci vedere che aveva ragione, voleva farci
entrare dentro la macchina tutti insieme per darci prova di quanto
diceva, ma
appena si avvicinò alla porta essa si aprii da sola
permettendo ad un’altra
figura di uscirne.
Fu così che facemmo conoscenza dell’altro
pazzoide. L’uomo
in questione si presentò a noi con pantaloni marroni,
camicia azzurra, giacca
ocra, papillon e feltz rossi.
“Salve ragazzi. Voi dovreste essere le matricole di
quest’anno. Sono Matt Smith, ma voi potete chiamarmi
Dottore”. Ed eccone un
altro con le velleità di dottore, senza laurea.
Ora ditemi, non rimarreste anche voi straniti se vi
presentassero una situazione del genere?
Ma dove eravamo rimasti? Ah si, dovevo rispondere a J.D.
“Si J.D. ho conosciuto i dottori, e sinceramente non so cosa
pensare di loro.” Rispondo ancora incerta su come prendere
tutta la storia.
“Ma i dottori sono l’unica cosa che renda piacevole
affrontare un esame. Quando sei terrorizzato, e non sai cosa fare, o il
panico
si sta impadronendo ti te alla tua prima operazione a cuore aperto,
loro sono
sempre pronti a darti una parola di conforto; non è vero
Turk?” chiede,
cercando supporto nel suo amico che sta visibilmente flirtando con
Carla.
J.D. è costretto a dare uno scossone all’amico per
farlo
riprendere, ma quando l’attenzione di Turk è
alfine su di me, conferma quanto
detto prima.
“Ha ragione J.D., Iris, i dottori saranno sempre pronti ad
aiutarti se ne avrai bisogno.”
“E poi non si può sempre fare i musoni, ci vuole
anche un
po’ di brio nella vita. Siete d’accordo con
me?” chiede Elliot, rivolgendosi
alla tavolata, e tutti le rispondono affermativamente, per poi
intavolare una
discussione su non so che festa in non so quale locale.
Io però sono ancora dubbiosa, e non posso fare a meno di
continuare a pensare che quei due prima o poi metteranno nei guai
qualcuno, e
spero vivamente di non essere io.
Sospiro affranta e torno alla mia insalata, ma oggi
“qualcuno” deve proprio aver deciso che non devo
mangiare, perché sento Indio
chiedermi.
“Cosa c’è che ti turba Iris? Continui
ancora a pensare alla
conversazione di prima?” lo guardo e decido di confessargli
ciò che mi
preoccupa.
Lui ascolta attentamente tutto senza mai lasciare il mio
sguardo e quando, alla fine, taccio, si sporge verso di me,
appoggiandomi una
mano sulla spalla per poi stringerla delicatamente.
“Iris, non devi aver paura dei Dottori, né del
Tardis. Sono
completamente sicuri. Migliaia di studenti prima di te hanno superato
gli esami
col simulatore, e mai nessuno ha fallito o si è fatto male.
Pensa, c’è chi dice
anche che sia magico.” E poi si apre in uno dei suoi stupendi
sorrisi,
lasciandomi abbagliata.
Continuo a guardarlo a bearmi della sicurezza che sembra
emanare e infine mi convinco a lasciare tutte le paure alle mie spalle.
“Grazie Indio, farò come dici tu” e
sorridendogli ritorno a
prestare attenzione alle chiacchiere dei miei amici.
E’ così che passiamo tutta la pausa pranzo,
ridendo e
scherzando fra di noi. Non accorgendoci neanche che ormai la pausa
è passata e
che potremmo anche tornarcene tutti alle nostre camere a fare
ciò che più ci
aggrada.
Ma l’atmosfera è così rilassante qui,
fra le chiacchiere di
Carla ed Elliot sul nuovo centro commerciale che ha appena aperto qui
vicino, i
sogni ad occhi aperti di J.D che lui non manca mai di raccontarci e che
ci
fanno fare delle matte risate, e le discussioni di Turk e Indio su quel
nuovo
gioco per play station che hanno appena cominciato, che mi sembra
brutto far
notare che il tempo sta passando e che probabilmente sarebbe meglio
dividerci.
Non sono mai stata una persona facile alle nuove amicizie,
nonostante io abbia un bel carattere, detto dagli altri eh?; per cui
questo
nuovo gruppo di amici così grande, mi piace.
Nonostante questo, la mia attenzione viene catturata dalla
figura di una persona che dal fondo della sala incede verso di noi. Mi
prendo
tutto il tempo per osservarla.
Guardare il suo portamento perfetto, che non viene guastano
neanche dall’enorme borsone che porta al braccio.
I suoi abiti perfettamente abbinati, da vero fanatico della
moda qual è.
I suoi capelli che ormai si stanno schiarendo sempre di più
per via dell’età.
E infine i suoi occhi, così simili ai miei che molte donne e
anche qualche uomo fecero cadere ai suoi piedi, mia madre compresa.
Mi alzo di scatto dalla sedia e ancora sorridendo gli corro
incontro, per poi buttargli le braccia al collo quando gli sono
davanti, e
gridare.
“Papà cosa ci fai qui?”
Pov Indio
“Ma
no J.D per completare il livello devi uccidere il capo
zombie e solo allora uscire dal covo.” Spiego per
l’ennesima volta, la stessa
cosa al mio amico, ma lui sembra proprio non capire. Non so neanche
come ci
siamo finiti a parlare di queste cose, generalmente ne discute con Turk.
E’
in questo momento che, con la coda dell’occhio, vedo Iris
alzarsi repentinamente dal tavolo e correre verso una persona.
“Papà
cosa ci fai qui?” la sento chiedere, ebra di gioia, ed
insieme a tutti gli altri mi giro a guardarla.
E’
veramente tenero vederla rapportasi col padre, col quale,
mi sembra di aver capito, condivide un forte legame. Parlano e io mi
incanto a
guardare la gioia e la felicità che rendono il suo viso
radioso, come se le
preoccupazioni di prima non l’avessero mai colpita.
Si avvicinano
al tavolo e una volta arrivati, Iris fa le
dovute presentazioni.
“Ragazzi
questo è mio padre, Jude” e tutti salutiamo
educatamente.
“Papà
questi sono i miei amici, Carla, Elliot, Turk, J.D ed
infine Indio.” Il signor Law ci guarda e saluta tutti,
esibendo un cortese
sorriso. Ma quando Iris presenta me, lo vedo irrigidirsi
impercettibilmente, e
fissarmi intensamente col suo sguardo glaciale.
Io, da bravo
Downey come mio padre mi ha insegnato, non
abbasso lo sguardo ma anzi sostengo il suo e lo guardo, cercando di
capire cosa
lo renda così nervoso.
Passiamo
alcuni attimi a guardarci, attimi durante i quali
mi accorgo che il suo viso mi è stranamente familiare, anche
se non riesco a
ricollegare dove io possa averlo già visto.
“Ci
siamo già incontrati, per caso signor Law?” chiedo
esitante, ma soprattutto curioso di capire perché la mia
mente mi sta dicendo
che io quest’uomo l’ho già incontrato
prima d’ora.
“N-no
non credo proprio” risponde il padre di Iris,
tentennando leggermente, quasi volesse nascondere qualcosa.
“Forse
lo avrai visto recitare qualche volta, Indio”
suggerisce Iris, incuriosita dal nostro scambio di sguardi.
“Si
forse sarà così” concordo con lei,
eppure sono sicuro di
non aver mai visto un suo spettacolo. Diciamo che il teatro non
è proprio una
delle mie più grandi passioni.
Ma passato
l’iniziale momento di imbarazzo, lasciamo che
Iris parli con suo padre e noi ce ne torniamo alle nostre chiacchiere.
Dopo un
po’ vediamo Iris tornare sola, dopo che si era
allontanata per accompagnare il padre.
“Devo
dirtelo Iris, tuo padre è proprio un bell’uomo.
E’
single per caso?” chiede Elliot lasciandoci tutti allibiti
per la sua sfacciataggine.
Ma evidentemente Iris deve essere abituata a questo genere di richieste
perché senza
farsi problemi risponde alla coinquilina.
“Si
è single Elliot, ma mi duole comunicarti che le donne
non sono il suo genere d’interesse.” Ed ancora una
volta sul tavolo scende il
silenzio.
Mi volto verso
Iris e le sorrido leggermente, a quanto pare
abbiamo qualcosa in comune, oltre al college.
“Ah
che notizia tragica! E’ proprio vero, sono sempre i
migliori che se ne vanno.” Ma questa volta Elliot, col suo
intervento, riesce
solo a farci fare una grassa risata, riportando l’atmosfera
all’iniziale
leggerezza.
“Ragazzi
ma sono quasi le 16:00, non vi sembra ora di
alzarsi da qui e andare ognuno nelle proprie camere?” ci urla
Carla, in pieno
stile militare e corriamo tutti a guardare l’orologio.
E’ veramente tardissimo
e non ce ne siamo neanche accorti, ma d’altronde
com’è che si dice? Il tempo
vola quando si sta in compagnia, o no?
Ma dobbiamo
dare ragione a Carla quindi ci alziamo tutti e
dopo aver posato i vassoi del pranzo, ci dirigiamo tutti fuori.
“Indio
potresti darmi un passaggio alla macchina? L’ho
posteggiata dall’altra parte del college.” Mi
chiede Iris e tranquillamente le
rispondo che per me non c’è nessun problema. Mi
piace passare tempo con lei. E’
una persona molto interessante, con cui è facile e gradevole
parlare, e poi
sembra quasi la sorellina che non ho mai avuto. Dopo così
poco tempo, penso di
essermi già affezionato a lei.
Le faccio
segno di seguirmi alla macchina, ma una volta
arrivati siamo costretti a fermarci davanti alla persona che
comodamente è
appoggiata alla mia portiera.
“Papà
qual buon vento?” chiedo stupito. Ma oggi è giorno
di “ricevimento
genitori” e nessuno ce lo aveva detto?
“Oh
giovanotto eccoti qui, finalmente sei arrivato. Ti stavo
aspettando.” dice e mi avvicino a lui per salutarlo.
“Allora
papà, cosa ti porta da queste parti del mondo?”
chiedo,
ricordando quand’è stata l’ultima volta
che mi aveva avvertito di una sua
imminente escursione londinese. Credo sia stato qualche mese fa, quindi
questa
nuova visita mi stupisce.
“E
questa bella ragazza che è con te suppongo che sia Iris,
giusto?” chiede eludendo tranquillamente la mia domanda, per
poi andare a fare
il baciamano ad Iris. E’ sempre il solito, si diverte a
sedurre la gente quando
poi sa perfettamente come gli è finita l’ultima
volta.
L’ultima
volta che si è innamorato veramente, intendo.
Perché
se cerca un’avventura occasionale di sicuro non ci mette poi
troppo impegno,
visto che uomini e donne indistintamente sono irrimediabilmente
attratti da lui
come le api col miele.
“Ho
sentito molto parlare di te Iris. Sei davvero una
ragazza bellissima.” le dice, dopo averle leggermente
sfiorato la mano con le
labbra.
Vero Iris
girarsi verso di me, imbarazzata e chiedermi.
“Hai
parlato di me a tuo padre?” e i suoi occhi sembrano
brillare di felicità.
“Ehm
veram... Ahi! Papà!?!?!” mi volto verso di lui
sconvolto. Mi ha dato un pestone nel piede, impedendomi di dire che no,
io non
ho mai parlato di lei a mio padre.
Gli ho giusto
detto che mi avevano assegnato una matricola a
cui avrei dovuto fare da tutor. Ma quindi, come fa mio padre a sapere
di Iris?
E soprattutto
chi gliene ha parlato? Io no di sicuro.
“Si,
si, ho parlato a mio padre di te” mento, per non avere un
altro pestone. E mentre mento guardo mio padre che mi sorride
compiaciuto.
Tu vallo a
capire.
“Signor
Downey spero che Indio le abbia solo parlato bene di
me.” Mio padre sorride a quell’affermazione e si
premura di rassicurare Iris.
“Certo
signorinella, mi ha detto solo cose positive. E come
si potrebbe fare altrimenti?” chiede retorico e Iris
arrossisce ancora una
volta sotto il mio sguardo allibito.
Proprio il
quel momento il suono di un cellulare si propaga
dalla borsa di Iris e lei si precipita a prenderlo.
“E’
mio padre, scusatemi un attimo. Vi raggiungo subito.” e
così dicendo si allontana da noi, concedendomi finalmente
l’opportunità di
parlare in privato con mio padre.
“Allora
papà cosa ti porta qui?” gli chiedo.
“Oh
lo sai Indio, il solito viaggio di lavoro. Solita vita,
solite cose” dice liquidando in breve il discorso. Ma sembra
strano come se la
telefonata di poco fa lo avesse messo in agitazione.
“Quindi
alloggerai nell’ hotel sotto la sede? Lo sai papà
che ho ancora la casa che tu mi hai preso quando mi sono trasferito
qui. Se
vuoi ti do le chiavi così non sei costretto a passare il tuo
tempo rinchiuso in
un albergo”. Non è la prima volta che mi trovo a
fare questa stessa proposta a
mio padre, ma lui non ha mai accettato. Sembra quasi che preferisca
un’
asettica stanza alle comodità di una casa completamente
arredata.
“Non
ti preoccupare Indio, lo sai la camera alla sede mi va
più che bene così, quando la sera esco dalle
infinite riunioni che lo zio Val
convoca, posso tranquillamente buttarmi a letto senza fare troppa
strada.
Ma grazie per
la tua preoccupazione, se sempre gentile,
bambino mio.” E mi sorride furbescamente.
Sa che odio
quando mi chiama bambino, nonostante io non sia
più esattamente il suo “bambino”. Ma
infondo io e mio padre possiamo anche
permetterci questi tipi di comportamenti. Il nostro non è
mai stato il tipico
rapporto padre-figlio. Soprattutto non dopo quel suo periodo oscuro, in
cui
tutto sembrava tranne che un padre equilibrato, e durante il quale io
sono
passato oltre la barriera del “figlio” e sono
diventato “amico”.
Un amico che
c’era durante le sue crisi di panico e di
pianto. Un amico che lo ha supportato fino alla fine senza mai
allontanarsi da
lui. In quei momenti ero io il “grande” della
situazione, nonostante fossi un
ragazzo appena ventenne.
Ma
fortunatamente quel brutto periodo ora è passato e tutto
si è risolto per il meglio.
Parliamo un
po’ del più e del meno, finché vediamo
Iris
ritornare.
“Scusatemi
era mio padre. A quanto pare questa settimana
niente tea del giovedì” dice leggermente
rattristata.
“Deve
avere molto lavoro da fare. Vedrai che la prossima
settimana potrai recuperare” le dico per tirarle un poco su
il morale. Lei mi
sorride riconoscente e annuisce.
“Probabilmente
le prove a teatro richiederanno tanto impegno”
sentiamo mio padre sussurrare, e un silenzio stupito scende fra di noi.
Ma come?
“Oh
come è tardi, devo proprio andare!” si affretta a
dire
lui, dopo essersi accorto del nostro stupore.
Non ci da
neanche il tempo di rispondergli che ci saluta
lasciando ad ognuno un bacio su una guancia, per poi allontanarsi nello
spiazzo.
Ancora stupito
mi giro a guardarlo, e noto che ci sta
fissando con uno sguardo atterrito, mentre ancora si allontana verso
l’uscita.
E’
proprio quello sguardo atterrito che mi riporta alla
mente una cosa.
Ricordo un
compleanno di tanti anni fa, quando ancora non
era successo niente, e la strana sorpresa che trovai, cercando il mio
regalo in
quella che era la casa di mio padre a New York.
La mia bocca
si spalanca sgomenta e devo prendere qualche
respiro per concedere alle mie facoltà mentali di ritornare
in loro.
Sbatto le
palpebre un paio di volte, nella speranza che
tutto questo sia solo un perverso e brutto incubo. Ma niente cambia.
Non cambia
questa situazione assurda.
Non cambiano i
miei ricordi.
E non cambia
la mia consapevolezza, appena acquistata.
Ora ricordo
dov’è che ho visto il signor Law prima di oggi.
Ma che cazzo
sta succedendo qui?
N.d.a
Allora,
allora, allora, so che magari vi sarete confusi in
alcuni punti, ma io vi consiglierei di dare una veloce rilettura ai
capitoli
passati e anche all’extra di natale, così forse
avrete le idee più chiare.
Per altre
cose, invece, dovete solo aspettare che la fic
vada avanti. Anzi, fossi in voi, io comincerei a prendere appunti,
perché da
ora in poi i capitoli saranno strettamente legati l’uno
all’altro.
Riguardo i
personaggi, carina la sorpresa del Pov Indio,
vero?
Era da un
po’ che volevo dare un Pov anche a lui e questo mi
è sembrato il momento adatto.
Poi
cos’altro dovevo dirvi? Ah si, per quanto riguarda le
apparizioni prima di Jude e poi di Rob, è una sorta di
scherzetto che ho voluto
fare a Jude, propedeutico al prossimo capitolo, ma non posso dirvi
altro :D
Passiamo agli
altri personaggi della storia, qualcuno li ha
riconosciuti, qualcuno no. Poco male.
Carla, Turk,
Elliot e J.D sono i personaggi del telefilm
Scrubs. Molto divertente, ve lo consiglio.
Quindi, credo
di avervi detto tutto, non mi rimane che augurarvi
buona Pasqua (in anticipo) e.......
Al prossimo
capitolo! Che arriverà non so quando ;)
Baci baci,
Naky.
Ah
dimenticavo!!!
Scusatemi il
piccolo sclero da Wohvians ;P