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Autore: myricae_    30/03/2013    8 recensioni
[REVISIONATO FINO AL CAPITOLO 20 E CAPITOLO 41] [REVISIONE IN CORSO]
Estate.
La stagione delle lunghe notti punteggiate di stelle e delle risate spontanee.
La stagione perfetta per dimenticare una relazione difficile e andare avanti.
La stagione perfetta per incontrare una persona speciale, magari innamorarsi e rimanere segnati per il resto della vita.
O, almeno, così è stato per Marco e Alisea.
Ma cosa possono saperne due giovani cuori dell'amore?
Della distanza?
Della morte?
E di un passato che è deciso a ritornare, forse, separandoli per sempre?
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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3


Era sbagliato tenere quel libro. Non sapeva neanche il motivo che l’aveva spinto a prenderlo. Voleva leggerlo? No.
Voleva rivedere la ragazza? Sì.
Come metodo per rimorchiare doveva ammettere che non era stato dei migliori che gli fossero venuti in mente. Ma che altre soluzioni aveva? Alis non gli aveva lasciato niente. Non un numero di cellulare. Nessun indirizzo su dove alloggiasse. Gli aveva lasciato solo quel libro. Anche se era quasi sicuro che non l’avesse lasciato di sua spontanea volontà. Ma gli sembrava altrettanto impossibile che se lo fosse dimenticata.
Marco si infilò sotto le coperte, nascondendo il libro sotto il cuscino quando sentì bussare qualcuno: «Chi è?».
 «La donna delle pulizie» scherzò Davide, imitando in modo orribile una voce femminile.
Marco alzò gli occhi al cielo e l’amico fece capolino nella stanza: «Che vuoi?».
 «Io e gli altri andiamo a fare un giro. Vieni con noi?» chiese, appoggiandosi alla porta con una spalla, le braccia conserte.
 «No, non ho voglia».
 «Stai bene?» chiese Davide, con una punta di preoccupazione nel suo solito tono scherzoso.
 «Sì».
Davide gli si avvicinò e stringendogli una spalla disse: «Domani cercheremo quella ragazza».
Il ragazzo rimase spiazzato dall’affermazione dell’amico e da come riuscisse a capirlo così bene.    «Non mi interessa!» esclamò Marco con voce un po’ troppo acuta, sgranando gli occhi.
 «Ah ok» si arrese Davide. Prima di uscire dalla stanza si girò ancora verso l’amico: «Sai…» iniziò, esitando per qualche istante sulla porta «…quando menti, sgrani gli occhi».
Marco afferrò il cuscino e glielo scagliò addosso.
Il mattino seguente, Marco si svegliò con il libro aperto al suo fianco. Aveva letto finché i suoi occhi non si erano chiusi su quelle pagine. Posò il libro sul comodino e si alzò andando alla finestra: il caldo sole estivo si rifletteva sulla superficie del mare tranquillo; il cielo era un lenzuolo blu senza nuvole; sullo sfondo, di fronte a sé, si stagliavano le morbide curve delle colline punteggiate di piante basse. Alla fine della spiaggia, nel campo da beach volley, i suoi amici stavano giocando una partita che sarebbe durata ancora per un po’. Aprì la finestra e l’aria gli accarezzò la pelle nuda, scaldandogli le ossa. Marco si stiracchiò, poi prese il libro e se lo rigirò tra le mani. Le pagine della nostra vita, lesse più volte mentalmente. Accarezzò la copertina, avrebbe dovuto ridarglielo. E dopo? Cosa sarebbe successo? “Non programmare il futuro”, le parole della ragazza gli risuonarono nella mente.  
L’aveva osservata per giorni; si svegliava ogni mattina verso le undici, passeggiava sul bagnasciuga fermandosi ogni tanto per raccogliere un sasso o una conchiglia. Nel pomeriggio faceva parecchie immersioni e Marco tratteneva il fiato, immobile, per tutto il tempo in cui lei rimaneva sott’acqua. E quando riemergeva, il ragazzo sentiva una piacevole e indescrivibile sensazione di sollievo allargarsi nel petto. Una volta era salita in superficie dopo dieci minuti e Marco aveva represso a fatica la tentazione di tuffarsi in acqua.  Talvolta Alis si sedeva sugli scogli e, con le cuffie nelle orecchie, osservava con sguardo assente il mare. Quanto avrebbe voluto sapere a cosa stesse pensando o quale canzone stesse ascoltando. Quanto avrebbe voluto entrare nel suo mondo, imparare a conoscerla così tanto da capire i suoi pensieri.
La sera la ragazza usciva verso le sette e mezzo rincasando a mezzanotte o giù di lì. Marco lasciava la finestra aperta e non si addormentava finché non la vedeva tornare; seguendola con lo sguardo capì dove abitasse in quel villaggio. Proprio di fronte a casa sua, solo cinque villette a sinistra.
 Buona notte, Alisea, si ritrovò a sussurrare mentalmente una volta osservando la ragazza che entrava in casa, chiudendosi la porta alle spalle.
Le mancava.
Fu allora che decise che era arrivato il momento di restituirle il libro.
 
Alis camminava lentamente sulla via lastricata, guardando dritto davanti a sé. Mancava poco alla mezzanotte, ma non aveva fretta. Quella sera aveva deciso di passare per la spiaggia, passeggiava a piedi nudi tenendo le scarpe in una mano. Mentre camminava osservava la grande distesa scura sulla quale si rispecchiava pallido il riflesso della mezzaluna e delle stelle. Non le piaceva il mare di notte e per questo si teneva a debita distanza dal bagnasciuga, vicino alla luce confortante dei lampioni. Dopo qualche passo imboccò la via che portava alla sua casa e si rimise le scarpe. Quando giunse alla porta, notò un biglietto spiegato sullo zerbino. Lo raccolse guardandosi intorno; lo aprì e lesse la scrittura poco ordinata:
Spero mi raggiungerai all’alba.
Sogni d’oro, Alisea.
Marco.
Alis si guardò ancora intorno e per un istante pensò di gettare il biglietto, invece lo strinse in una mano a pugno ed entrò in casa.
Trovò la madre in cucina: «Mamma. È tardi. Non riesci a dormire?» chiese Alis, preoccupata.
 «Oh, tesoro, tranquilla. Avevo solo sete» spiegò indicando il bicchiere d’acqua che teneva in mano. «Tu sei stanca?».
 «Un po’» rispose, sentendo le palpebre pesanti. «Anch’io ho sete». La madre le versò l’acqua in un bicchiere e glielo porse.
 «Sembri sconvolta» commentò, guardando la figlia con apprensione.
 «Sono stanca» la corresse, bevendo una sorsata.
La madre continuò ad osservarla, poco convinta, e alla fine chiese: «È successo qualcosa?».
Alis le raccontò di Marco e le fece leggere il biglietto che aveva trovato poco prima. «Perché l’hai respinto?» chiese la madre, porgendole il foglio dopo averlo letto.
 «Perché… non mi interessa».
 «Ti fa bene conoscere qualcuno».
 «Non un ragazzo e non in questo momento».
 «Non sono tutti stronzi» il tono di voce era pacato.
 «La maggior parte sì» ribatté Alis, con convinzione. «Sono molto stanca, buona notte» e le schioccò un bacio sulla guancia. La madre rimase in silenzio per alcuni secondi prima di chiamarla. Alis si girò verso di lei, seduta ancora al tavolo di legno scuro: «Sì?».
 «Non respingere le persone».
Alis fece un sorriso forzato, le augurò ancora la buona notte e si mise sotto le coperte con in mano il biglietto di Marco. Lo rilesse più volte, lentamente. Quando immaginò la voce del ragazzo pronunciare quelle parole, si ritrovò a sorridere involontariamente. Si mise a sedere, prese il suo cellulare dal comodino e regolò la sveglia alle cinque e mezzo: pochi minuti prima dell’alba.
Alis era immersa in un sonno senza sogni quando il suo cellulare cominciò a squillare con insistenza. Con gli occhi ancora chiusi, spense quel rumore assordante. Si girò a pancia in su e si stiracchiò, le palpebre ancora pesanti. Si lavò e si vestì con i capelli ancora umidi. Fuori il cielo era costellato da flebili stelle che davano il loro ultimo saluto alla notte. Alis sbadigliò e si strinse nella felpa quando uscì di casa. Le gambe erano pesanti e si costrinse a rimanere sveglia, maledicendo il ragazzo per aver scelto un orario così assurdo. D’altronde, si ritrovò a pensare, anche il loro incontro era stato a dir poco assurdo.
Dopo poco raggiunse la spiaggia e i lampioni si spensero uno dopo l’altro. Alis si diresse verso gli scogli; lui la stava già aspettando. La sentì arrivare e la salutò con un gran sorriso. «Ciao, Alisea».
 «Ciao» rispose lei senza entusiasmo, squadrandolo con aria diffidente. Indossava dei pantaloni che gli arrivavano al ginocchio e una felpa chiusa che aderiva al corpo.
 «Pensavo non saresti venuta» iniziò lui.
 «L’idea iniziale era quella» rispose Alis, spostando per un attimo lo sguardo sul mare.
 «E cosa te l’ha fatta cambiare?» sembrava sinceramente incuriosito.
 «Hai qualcosa che mi appartiene» rispose sicura di sé, tenendosi sempre a distanza dal ragazzo.
Marco sorrise dicendo: «Il libro».
 «Perspicace» commentò lei, sarcastica lasciando trapelare la sua irritazione crescente.
Marco si guardò intorno, non sapendo cosa dire. Poi il suo sguardo si posò sul piccolo porto vicino alla scogliera. «Va bene. Ti darò il libro, se prima vieni a fare un giro in barca con me».
 
Alis non aveva saputo ribattere e così dopo una decina di minuti si era ritrovata seduta su una barca, dietro di lei Marco armeggiava con il motore.
 «Dove andiamo?» chiese lei. Il ragazzo indicò la piccola isola davanti a loro. La barca partì e il viaggio lo trascorsero in silenzio. Marco la osservò come era solito fare dalla sua finestra; lei guardava l’orizzonte, era tesa anche se cercava di non darlo a vedere. I capelli che formavano un mantello color ebano alle sue spalle.
Arrivarono alla spiaggia che il sole stava per salire, emanando flebili raggi che dipingevano il cielo di un rosa pastello. Alis scese dalla barca e si fermò ad osservare l’alba, con un’espressione meravigliata disegnata sul volto ancora assonnato. Marco la imitò avvicinandosi a lei, ma non troppo per paura che potesse allontanarsi aumentando ancora di più la distanza. «Hai ragione, è bellissima» ammise la ragazza continuando a guardare dritto di fronte a sé. Due gabbiani si alzarono in volo sfiorando la superficie del mare con le ali candide.
 «Più del tramonto» rispose lui.
 «Non saprei dirlo» ammise, sincera. Erano entrambi spettacoli incredibili. Alis si ricompose e si rivolse al ragazzo con un tono di ghiaccio: «Adesso dammi il libro».
 «Cosa?».
 «Hai detto che me l’avresti restituito se avessi fatto un giro in barca con te. Be’, l’ho fatto» spiegò velocemente.
Marco si voltò girò verso la ragazza dicendo: «Vieni». Lei cercò di protestare ma alla fine lo seguì.
 «Dobbiamo proprio camminare?» esclamò la ragazza dietro di lui, sentiva le gambe più pesanti a ogni passo.
 «A meno che tu non sappia volare» rispose Marco sarcastico. E per l’ennesima volta si fermò ad aspettare che lo raggiungesse.
 «Se non volessi camminare?» chiese, fermandosi all’improvviso. Te ne andresti?, era la sua domanda inespressa. Rimasero per alcuni interminabili istanti immobili, guardandosi a vicenda. In quel momento Marco si accorse di quanto fosse bella, ferma in mezzo all’erba bassa, una figura solitaria che si stagliava verso il cielo che piano piano si dipingeva d’azzurro. Non era una bellezza provocante, no. Era una bellezza semplice, particolare,… delicata, che accarezzava qualcosa dentro di lui. Nessuno dei due aveva abbassato lo sguardo, né avevano intenzione di farlo. Alis pensò che si girasse e se ne andasse, come aveva fatto … il bastardo. Marco invece avanzò verso di lei, con passo deciso, e porgendole una mano le chiese: «Vuoi venire con me?». Nessuno dei due si mosse. Marco fissava gli occhi della ragazza: un verde acceso screziato di marrone. Alis spostò lo sguardo sulla mano aperta del ragazzo. Per tutta risposta posò la sua, titubante. Marco la strinse forte. Alis sorrise tra sè, nessuno l’aveva mai presa così. Nemmeno il bastardo.
Camminarono in silenzio lungo il pendio, che saliva serpeggiando su per una collina. L’erba era secca e le più grandi piante erano dei cespugli che correvano in modo irregolare lungo il sentiero. Il caldo sole estivo era attenuato dal soffio di una leggera aria fresca che aumentava a mano a mano che salivano. Le loro mani non si staccarono mai, nemmeno quando la salita si faceva a tratti più ripida. Rallentavano, ma mai si separarono l’uno dall’altra.
Le dita non erano intrecciate, si tenevano come se fossero due bambini, strette intorno al dorso della mano dell’altro; senza accarezzarla, perfettamente immobili. 
   
 
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