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Autore: cocochokocookie    02/04/2013    1 recensioni
L'orgoglio ferito da parole di sottovalutazione, desideri di conquista che portano anche ad andare contro amici di vecchia data, e la presunzione del potere che scorre nelle vene. Ma la superbia non sempre veleggia su acque sicure, nella Storia di un Impero.
[Siglo de Oro]
Genere: Generale, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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imperio13


Rating: Verde
Genere: Storico.
Personaggi:Antonio Fernandez Carriedo — Monarquía Universal Española | Tankariy Yachiy Tupac  — Impero Inca | Lovino Vargas — Italia Romano ◊ Stato del Vaticano ◊ Stati italiani del Meridione | Glória García Galvão — Império Português.
Nota: 1575 d.C. — 1580 d.C.
Osservazioni personali:  Sì, va beh. A-ah.




Imperio mutilado
ARCOS Y ARENAS


Il sollievo tolto da un petto scivola viscido tra le costole d'altri.
'Ché non è polvere l'errore.
È polvere l'uomo.

Sentiva la sua voce risuonare per le scalinate ampie, incastrate in mura dall'aspetto pesante e, per quanto il soffitto potesse essere alto ed imponente, costrette sotto volte intarsiate e cassettonate di legnami d'ansia. Gli stessi scorci di luce pura filtrati dalle grandi vetrate della sua stanza parevano costrittivi.
Nemmeno temesse di ustionarsi sotto quel sole soffocante, seppur schermato da finestroni e tendaggi pesanti che davano l'idea d'una stabilità precaria, quasi i bastoni sfarzosi su cui facevano affidamento quelle stoffe antiche e ricamate potessero cedere e piegarsi allo scorrere degli anni da un momento all'altro.
Lui che sotto il sole v'era cresciuto, osservando cicatrici rilucenti e chiare sopra carni abbronzate, vigorose, sì, ma malate.
D'un morbo dei peggiori di questo e dell'altro mondo.
Sentì nuovamente il richiamo femminile sulle scalinate, le govenanti latinoamericane dovevano essere in subbuglio, forse il proprietario di casa aveva anticipato l'orario di rientro dall'ennesimo incontro diplomatico con uno tra i numerosi cardinali della penisola.
Sbuffò scocciato al terzo lamentìo proveniente dagli ampi corridoi candidi adorni di decori e quadri ad olio di decine e decine di nobili d'ogni casata e Nazione. Nella sala che il suo “superiore” impiegava come ufficio per gli incontri formali v'era anche appeso un grande ritratto delle Nazioni sotto il controllo della famiglia degli Asburgo, da Austria ad Ungheria a quel tizio con i capelli troppo puliti.
Lasciò cadere lo sguardo sul profilo del paesaggio ispanico oltre la balconata di marmi rosei, dondolando il capo nel pensare che, almeno in quel dipinto, poteva rivedere il viso del fratello minore. Si intrufolava in quella sala da decenni, oramai il viso di Feliciano sarà mutato almeno quanto il mio, si ripeteva ogni volta, dandosi dello sciocco nel fissare quattro pennellate e due lineamenti d'una prima adolescenza impressa per sempre sulla tela pregna di colore.
Il sospiro lungo che gli sfuggì dalle labbra venne seguito da un violento calcio al mobile di pesante legno lavorato poco distante dalle colonne del baldacchino del letto dalle lenzuola indaco, ed il cuore cadde appena un poco più giù nella cassa toracica.
Gli mancavano le montagne, le correnti ed i venti salmastri, era tutto così statico. Gli mancavano i suoi Colli.


Vesti amarantine di pregiata fattura e sottovesti di lino, passi veloci, chi se ne importava della terra dei campi nell'atrio, l'aguzzino d'ogni essere vivente in quella gabbia d'aria e mari armati non sarebbe tornato che ad ore.
Tra le braccia olivastre dal sottotono vermiglio, un'anima si spegneva di solitudine, colta dal malore in pieno giorno.
Le era caduto il vassoio d'argento dalle dita lunghe e incallite, poco avevano impiegato le compagne e sorelle a capire cosa si stava delineando a poche stanze di distanza.
« Ci sta uccidendo. Tutti quanti. »
Dall'altra parte del mondo, il cranio di Tupac Amaru* si sgretolava all'impatto con le roccie della costa che stava costando al Continente tanto sangue quanto d'acqua è pieno l'Oceano, mentre dei piedi fin troppo piccoli e pieni di tagli di felce portavano urla di dolore e paura nel mezzo della grande macchia verde.


Parve una beffa.
Quantomeno alla dama in abiti d'armeria, lo parve eccome.
Inspirò profondamente, soffocando d'orgoglio un rantolìo strozzato, mentre osservava il cielo, le ginocchia sulle grandi pietre impolverate, lo scrosciare dell'acqua sopra e sotto. Desiderò annegare, per pochi istanti, desiderò annegare in pioggia, fiume e lacrime di fierezza sfregiata, mentre lasciava cadere la lancia ed urlava al cielo, i lunghi capelli scuri, incrostati di sangue raffermo di giorni e umidi di nuove stille vermiglie le ricaddero lungo la schiena inarcata, aderendo al metallo bagnato.
Dinanzi, il fratello alzava la lunga arma, vittorioso e colmo di cieco orgoglio.
Sopra Traiano**, vinceva.
La donna smise di sfogar la propria furia alla volta, per poi volgere all'avversario, al vincitore, lo sguardo smeraldino colmo d'ira, non sarebbe incorso in errore nel teorizzare un attacco alla gola, mentre incrociavano le pupille gemelle.

« Vilão.*** » sibilò la nazione atlantica, alzandosi a fatica, aiutandosi con gli arti superiori e sostenendosi a fatica, senza scostar l'attenzione dal fratello minore, il petto che doleva per la costrizione nell'armatura che limitava l'ossigeno. Mai quanto allora rifiutava di liberarsi del peso della battaglia.
« Te quiero también, Glòria.****
» replicò Matamori, avvicinandolesi a passi sicuri, l'alabarda al fianco che cozzava contro la superficie levigata ed insanguinata del ponte romano, scandendo con rumore sordo i passi dell'ispanico, il cui viso andava apparentemente deformandosi in un ghigno vittorioso, lo sguardo ricolmo e straripante di strafottente sicurezza, vacuo quanto le cataratte degli anziani.
La Monarquía Universal alzò il braccio mancino, posando la mano sulla spalla destra dell'Império, prima di scoppiare a ridere al cielo, facendole il verso, mentre ella ancora urlava di rabbia, allungando le dita furiose al viso dell'uomo, prima di cadere a terra, debolmente a carponi.

Antonio si chinò sulle proprie ginocchia, facendo sbattere ancora la punta inferiore dell'alabarda contro le pietre, avvicinando le labbra contratte in un ghigno dai denti digrignati ed i muscoli del viso dolenti.
« I Reggenti saranno felici. Feliphe è un ottimo Re. » mormorò, la voce tagliata da note di puro ed infantile scherno, gl'occhi vibranti della vendetta d'un bambino per un dispetto, un giocattolo rubato, una disputa sui regali dei Re Magi.
« Eu odeio você.***** »
 

La staticità d'una casa vuota si rifletteva sul trascorrere del tempo di coloro che attendono.
E la tensione che Italia Romano percepiva da giorni serpeggiava come vipera tra le stanze, dalle cantine risalendo per le ampie e sfarzose scalinate. Era passato del tempo dall'ultima volta che era uscito per trascorrere del tempo nei giardini, il freddo pungente, per quanto secco, gli era oramai conosciuto da anni, capiva quindi quando lasciar perdere le scampagnate negli ettari di giardino che circondavano l'abitazione, ben lontani dai campi di lavoro che svettavano lungo il paesaggio posteriore alla facciata del palazzo.
Sbuffò, girando la pagina del grande tomo rilegato e miniato, soffermandosi ancora ad osservare la cartina geografica che raffigurava il mar mediterraneo. Da mesi si aggirava per i corridoi sfogliando quel libro di pergamena, vecchio di decenni. Era l'unico risultato della corruzione di uno dei marinai salpati per una delle ultime tratte per Napoli.
Era perfettamente conscio che l'Università era stata ultimata ed era operativa e funzionante, Antonio gli aveva mostrato i progetti ed alcuni dei dipinti più recenti appesi alle pareti raffiguravano e celebravano l'opera architettonica ed accademica. Aveva chiesto al ragazzo di Barcellona di portargli un libro, un libro sulla storia del Mediterraneo.
Ed una foglia d'arancio, essiccata ed inserita tra le prime pagine. Li nascondeva entrambi accanto alla Bibbia, nel cassetto del pesante mobile di legno antico nella propria stanza. Matamori sapeva della sua istruzione, gli aveva affidato un istitutore anni prima, quando non veniva la stessa Nazione a spiegargli i dettagli dell'interazione tra i suoi simili.

Si sentiva preso per i fondelli, ma non poteva protestare più di tanto: si trattava comunque di espedienti per far trascorrere il tempo.
Sospirò ancora, scorrendo l'indice lungo il profilo della pagina e voltando pagina.


« Posso benissimo cavarmela da solo. » 

Parole taglienti, d'un uomo ferito e dalla superbia appena pizzicata.
« Preferirei non rischiare. »
Dietro finestre con gli occhi rivolte alle costellazioni splendenti, un'altra porta sbattuta, un'altra imprecazione sibilata, un'altra gamba slogata.
E boria frustrata di ricercare ancora la medesima stampella.

 
Una croce stretta tra le dita, una preghiera sulle labbra.
Nei cielo, il vuoto sordo d'un uccello che cade.


 
 
 
 



*= Tupac Amaru fu l'ultimo sovrano dell’effimero regno di Vilcabamba creato dal padre, Manco II, nei recessi più selvaggi delle Ande, nel tentativo di restaurare l’Impero Inca dopo la conquista spagnola e la perdita della capitale del Cuzco.
**= Il Ponte di Alcántara è un ponte romano ad arco costruito tra il 104 e il 106 sotto Traiano, che attraversa il fiume Tago nella località di Alcántara (Provincia di Cáceres), venen ristrutturato da Carlo V. Ad
Alcántara si è svolta la battaglia definitiva dove Filippo II di Spagna vinceva la corona del Portogallo contro le truppe portoghesi.
***= Pazzo, folle.

****= Ti voglio bene anche io
*****= Ti odio



Dove c'è Antonio, c'è casa <3
© Miki89

ANTONIO REGNA!
© la Crapa
   
 
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