Fumetti/Cartoni americani > My Little Pony
Segui la storia  |       
Autore: Lantheros    06/04/2013    1 recensioni
Primo sequel di Sidro Proibito.
E così non c'è più concorrenza, nella Città Proibita...
O forse no?
E' piuttosto semplice risolvere i problemi con una pallottola in fronte. Ma questa volta non sarà sufficiente.
Alleanze e tradimenti porteranno a conseguenze incontrollabili. La sete di potere spingerà lo spargimento di sangue.
Personaggi che si credevano usciti di scena per sempre... torneranno.
Questa volta non ci sarà pietà alcuna.
Ma le Redenzione non è qualcosa che si possa conquistare così facilmente..
La fiction ricalca i toni del suo predecessore e propone un approfondimento di alcuni personaggi, nonchè la comparsa di un nuovo... "protagonista" rispetto ad Applejack e al suo "gruppo".
La storia si basa sempre su toni noir e pulp aggiungendo però alcuni momenti drammatici esterni al conflitto fisico.
Verrà gettata luce sul passato oscuro di chi si credeva un nemico... mentre gli alleati... potrebbero rivelarsi non proprio così amichevoli.
Genere: Azione, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Applejack, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

La prigioniera, con ancora la tuta nera addosso, osservò pacatamente le sbarre della cella. Si sentiva avvilita, per tutto ciò che era successo: non solo non aveva recuperato il bottino ma un pony mai visto prima, di punto in bianco, l’aveva letteralmente presa a calci nel sedere.

Si passò delicatamente gli zoccoli sul collo arrossato, rivivendo per brevi istanti il dolore e l’apprensione della notte appena trascorsa.

Si aprì una porta, fuori dalla sua visuale, e un secondino accompagnò un unicorno viola al suo cospetto.

“Grazie. Ora lasciaci soli un attimo”, disse Twilight, allungandogli una mazzetta. L’altro annuì e si congedò fischiettando.

Rainbow inchiodò lo sguardo al pavimento, senza riuscire a reggere quello dell’amica, che continuava a fissarla con fare ammonitore.

“Twilight, io…”.

“Ma sei completamente rincretinita??”, sbottò.

“Ma guarda che…”.

“Cosa ti è venuto in mente? Che diamine ci facevi in una gioielleria?”.

“Secondo te?”.

“Cos’è? Avevi bisogno di soldi? Sei in cattive acque?”.

L’altra riabbassò lo sguardo: “No… Non è quello… E’ che…”.

“E allora… perché?... Perché hai voluto rubare dei gioielli?”, chiese Sparkle, facendo seguire una lunga pausa.

“Senti Twilight”, proruppe infine il pegaso, “L’ho fatto perché volevo farlo. Va bene? Volevo…”.

“Volevi cosa?”.

“Volevo… volevo di nuovo un po’ di attenzione. Volevo di nuovo che qualcuno parlasse di me. O semplicemente dimostrare… dimostrare a me stessa che potevo ancora compiere grandi imprese”.

L’amica scosse il capo: “Ma che stai dicendo? Ti sei forse dimenticata quello che è successo circa una settimana fa?”.

“E’ questo il punto!”, riprese con foga, “Quell’episodio mi ha riportata ai tempi passati! Quando solcavo i cieli ed ero l’asso del volo della Guerra Equestre!”.

“Ma lo sei ancora, Dash, lo sai benissimo!”.

“Non dire fesserie! Credi che volare a spargere insetticida sui meleti sia la stessa cosa? Che mi faccia sentire orgogliosa?”.

Twilight si rattristò leggermente: “Sì ma hai visto cos’è successo, questa notte… Per poco non ti sei fatta amazzare…”.

Rainbow si massaggiò il collo e, come folgorata, aggiunse rapidamente: “Ascolta, Twilight! C’è una cosa molto importante che devi sapere!”.

“Cosa?”, chiese spazientita.

“Non so chi siano ma, questa notte, il mio piano è saltato per colpa di un gruppo di tirapiedi capeggiati da… da un pony grigio”.

L’interlocutrice alzò le zampe al cielo: “Oh! Un pony grigio. Meno male. Ora assolderò tutti i gangster della città per far fuori tutti i pony grigi che vedo”.

“Piantala col sarcasmo. E’ una cosa seria. Quella… quella non è un sicario normale. E’ abile. Tremendamente abile”.

“Da come hanno fatto irruzione nel locale, non mi sono sembrati granché raffinati…”.

“Se avessero usato del tritolo avrebbero dato meno nell’occhio, è vero, ma ti assicuro che quella tizia sa davvero il fatto suo…”.

“Quindi?”.

“Quindi… quindi niente… State attenti”.

“Uhm. Grazie del consiglio, mamma”, la schernì, con noncuranza, “Ma ora che intenzioni hai? Vuoi rimanere al fresco ancora per un po’?”.

“Fanculo, Twilight…”, sbottò.

“Va bene, va bene… scusami. Tra qualche ora dovrebbe arrivare la firma per convalidare la cauzione. Vedi di resistere fino ad allora”.

“E... Fluttershy? E il nano viola?”, chiese, allontanando debolmente il broncio.

“Stanno bene. Dopo che la Guardia ti ha catturata, sono scappati alla Carousel Maison e ci hanno avvertiti. Ora Spike sta facendo i doppi turni al mio scantinato… Così la prossima volta ci penserà due volte, prima di fare il furbo”.

“Non essere troppo dura con lui… L’ho… l’ho convinto promettendogli delle pietre preziose”.

Sparkle sospirò sommessamente: “Sì… ok”.

Il volto del secondino sbucò dalla porta, segno che era meglio concludere in fretta.

“Va bene, Dash. Ora devo andare”.

“D’accordo…”.

L’unicorno si allontanò e, dopo pochi metri, udì nuovamente le parole dell’amica: “Ricordati… un pony grigio. Con gli occhi viola”.

“Anche io ho gli occhi viola”.

“Sì… ma tu non mi fai paura quanto lei…”.


*** ***** ***


    Twilight uscì dall’ufficio governativo, osservando il cielo nuvoloso. Forse, tra pochi minuti, si sarebbe messo a piovere, così si affrettò a chiamare un taxi, che la trasportò rapidamente alla nuova bottega: un modesto stabile dalle poche stanze (ma dotato di uno scantinato sufficientemente grande da contenere gli “attrezzi del mestiere”).

Dopo aver pagato l’autista, si diresse verso l’ingresso e cercò di infilare le chiavi nella serratura, ma la porta si aprì semplicemente sfiorandola. Qualcosa non quadrava.

    La spinse lentamente, scrutando l’interno, senza esporsi troppo. Non era armata ma aveva il suo corno, e quello poteva essere peggio del cannone di una portaerei.

Entrò nel salotto e non notò nulla di strano. Quando si avvicinò alla soglia dello scantinato, tuttavia, udì alcune parole provenire dalle scale in discesa: Spike stava parlando con qualcuno e, dal tono, non prometteva niente di buono.

Scese cautamente i gradini, con la fronte luminosa, pronta a devastare chiunque le si fosse parato d’innanzi. Fece capolino nella stanza degli alambicchi, dopo aver voltato repentinamente un angolo. Lo sguardo le si arricchì di stupore: “G-Grey Hound??”, esclamò.


    Spike, per nulla intimorito, si trovava in un angolo della camera, con le zampe in aria, in segno di resa.

“Finalmente sei arrivata”, le disse il draghetto, con tono annoiato.

Hound era ad un paio di metri da lui. In uno zoccolo impugnava una .357 mentre, nell’altro, faceva oscillare con noncuranza una grossa bottiglia vuota di Whisky. Aveva la barba più incolta del solito, ciondolava pericolosamente avanti e indietro e puzzava d’alcol più dei solventi presenti nel laboratorio.

Quando la proprietaria fece la sua comparsa, Hound impiegò qualche istante per mettere a fuoco l’immagine.

“Tu!”, urlò, con occhi arrossati, “Tu shei l’uncornio… l’un… l’unicorno viola! Twilight Shparkle!”.

“Grey Hound?? Ma… ma come…”.

“Lurida pu… puledra… Penshavi di avermi fatto fuori, eh?”, biascicò, agitando la bottiglia a mezz’aria.

“Meno male che ora ci sei tu a sorbirti questo pazzo”, aggiunse il drago, tirando fuori il solito sigaro.

“Spike! Perché l’hai fatto entrare?”.

“Entrare? Che son scemo?? Quello ha divelto la serratura con una roba sbarluccicosa dal corno e poi è piombato qui brandeggiando una pistola!”.

“Eshatto!...”, aggiunse l’altro, quasi perdendo l’equilibrio.

“Per la miseria! Ma che ti è successo?”, gli domandò Sparkle.

“Non shono affari tuoi… feccia…”.

In quel momento, l’unicorno viola rivisse ogni istante dello scontro con il Segugio di Counterlot. Non poteva credere che lo stesso rivale che tanto l’aveva inguaiata, che quasi l’aveva uccisa, ora fosse ridotto in quello stato.

“Perché sei qui?... Vuoi vendicarti?”.

Hound, sulle prime, non seppe cosa dire: “Uhh… shì…”, rispose, per nulla convinto.

“A-ah… E… Intendi farlo domani, quando sarai sobrio?”.

“Non… non shono ubriaco!”.

“Ceeerto”.

Grey sollevò la testa e cercò di bere a canna. Fece quindi l’occhiolino attraverso il collo della bottiglia, constatando come fosse effettivamente vuota: la tirò alle sue spalle, infrangendola sonoramente al suolo.

“Bah… al diavolo… E ora… preparati a morire, feccia!”, concluse, puntandole addosso la pistola.

Twilight osservò il tamburo dell’arma e non si scompose: “Grey… Quella pistola è scarica”.

L’unicorno grigio tentennò e poi premette il grilletto: una, due, tre volte, producendo semplicemente lo scatto del percussore. Buttò quindi l’oggetto e si tolse il cappello, rivelando il corno luminoso: “Non mi sherve un’arma per farti fuori, feccia!”.

Una ridicola scintilla magica si spostò dalla sua fronte al petto di Twilight. L’altra innalzò un semplicissimo controincantesimo e rispose con un’onda d’urto decuplicata.

Il Segugio incassò pesantemente il colpo con una capriola all’indietro, cadendo sul pavimento, culo all’aria e privo di sensi.

    “Oh… meno male”, esordì Spike, con un sospiro, “Finalmente sta un po’ zitto”.

Twilight lo osservò senza dire nulla.

“Aaaadesso…”, riprese il drago, “Che ne facciamo di lui?”.

L’altra non rispose.

“Beh? Lo vivisezioniamo?”, incalzò.

“N-no”, disse infine l’amica, “Direi di… di liberarcene nel solito modo”.

Spike si sfregò le mani dalla gioia e aprì un armadio poco distante. Con una zampa impugnò un badile e, nell’altra, tirò su un piccolo sacco di cemento: “Allora… fossa nelle Neverfree Forest oppure abbellimento artistico per i pesci?”.

Sparkle si avvicinò al corpo dello stallone e, per terra, forse sfilatosi dall’impermeabile, notò un portadocumenti: lo raccolse magicamente e frugò nel contenuto. Spike, intanto, continuava ad osservare i due oggetti che teneva in mano, perso in un monologo: “Uhm… certo il buco nel terreno richiede più tempo… ma potremmo fargli scavare la sua stessa fossa… d’altro canto mi sono sempre piaciute le escursioni lungo i fiumi…”.

L’unicorno viola estrasse una foto e la osservò con attenzione: ritraeva Grey Hound con una graziosa puledra. Il Segugio era quasi irriconoscibile: sguardo sereno, volto pulito e una scintilla di gioia negli occhi.

Gli occhi si posarono di nuovo sullo stallone “attuale” e qualcosa la infastidì al petto.

“Spike… riponi quella roba”, dichiarò infine, con sguardo melanconico.

“Uh? Ah! Ho capito! Incaprettamento!”, esultò, tirando fuori alcuni metri di corda.

“No, Spike. Dammi una mano a metterlo sul lettino lì in fondo”.

“Come?”.

“Dai, muoviti”, ribadì, iniziando a trascinarlo con la levitazione

“Ma… poi lo facciamo fuori, giusto?”.

“Vedremo”.

“Come vedremo?? Ti sei forse dimenticata cosa ci ha fatto quel bastardo? Il… il laboratorio! L’inseguimento! E tutto il resto!”.

“Sì, Spike, me lo ricordo come se fosse ieri”.

“E… allora… perché?”.

L’amica lanciò un’ultima occhiata alla foto, prima di riporla nel portafogli: “Non chiedermelo, Spike. Forse… forse mi sto rammollendo”.


*** ***** ***


    “Mi raccomando, Pinkie”, la esortò Rarity, appuntandosi gli orecchini, “Sei in grado di badare al locale per qualche ora, in mia assenza?...”.

“Prometto senza che tema di fallire che un proiettile mi possa colpire!”.

L’amica non parve per nulla convinta e si girò verso Macintosh: “Hai voglia di tenere le orecchie dritte per un po’, caro?”.

“Eyup. Ma dove devi andare?”.

Il pony rosa ricominciò a servire bevande ai clienti, col sorriso sulle labbra.

“Devo vedermi con Twilight per una faccenda… strana: pare che Rainbow Dash si trovi dietro alle sbarre per qualche motivo che non ho ben compreso e, forse, posso dare una zampa ad ungere gli ingranaggi. Ci sono molti pony che mi devono… parecchi favori…”, concluse, controllando in uno specchietto portatile che trucco e capigliatura fossero impeccabili.

“Dash al fresco? Questa poi… L’uccellino in gabbia, eh?”, domandò l’altro.

“Ah! Non parlarmene! Se penso che devo uscire e lasciare il locale in mano a… a…”. In quell’istante, Pinkie miscelò sapientemente un cocktail ad alta gradazione, lo poggiò con orgoglio sul bancone e, con gesto immediato, lo trangugiò in un sol colpo. L’unicorno strinse i denti dalla preoccupazione.

“Tranquilla. Orecchie dritte”, la rassicurò Big Mac.

“Grazie, tesoro”.

Uscì quindi dalla Maison, proprio al tramontar del sole: chiamò un taxi e partì in destinazione della bottega. Twilight e Spike, quasi a farlo apposta, si stavano invece dirigendo proprio verso la Carousel Maoison, per avvertirli del possibile pericolo che, forse, incombeva: i due taxi si incrociarono circa a metà strada e nessuno riconobbe gli occupanti reciproci.


Nello speakeasy, intanto, iniziava ad affluire la clientela. La barista prese ritmo nel servire e l’orchestrina nell’angolo propose il classico repertorio allegro. Macintosh rimase al bancone, con un boccale alla zampa, e la tesa del cappello ad occultarne lo sguardo circospetto. Probabilmente non sarebbe successo nulla ma la prudenza non era mai troppa, così accettò di buongrado il ruolo di osservatore. E non dovette nemmeno aspettar tanto, affinché qualcuno attirasse la sua attenzione.

Octavia fece il suo ingresso in sala, con nonchalance, accompagnata da un pugno di pony in tiro. Lo stallone li scrutò attentamente: i buttafuori li avevano lasciati entrare, sintomo che non erano armati, ma qualcosa gli diceva che non si trattava di semplici avventori.

Il pony grigio analizzò il locale, con la solita espressione di noncuranza, amareggiandosi leggermente nell’udire la melodia composta dai musicisti. I compagni, anch’essi piuttosto inespressivi, si accomodarono nelle poltrone lì vicino. Octavia, invece, prese posto su uno sgabello al bancone, proprio a fianco di Macintosh.

“Buonasera!”, esclamò allegramente Pinkie, “Cosa desideri?”.

L’altra osservò la fila degli alcolici sulle scansie e poi, con voce atona, proferì: “Sidro”.

“Okie dokie!”, e spillò uno schiumoso boccale di bevanda, trasferito al volo sotto al muso della cliente.

Mac, intanto, non la perdeva d’occhio un solo istante, sfruttando al massimo la copertura della tesa, a capo chino.

Octavia annusò e poi assaggiò, bagnandosi appena le labbra, il contenuto del bicchiere.

“Ehy…”, la riprese la barista, “Guarda che è buona… Puoi tracannarla tutta d’un fiato! Ogni due boccali, il terzo è scontato del cinquanta percento!”.

Il pony, per tutta risposta, chiuse gli occhi e degustò a fondo il sapore del sidro. Dopo averli riaperti, si girò verso i suoi accompagnatori e fece loro un cenno d’assenso.

Big Macintosh intuì che qualcosa davvero non andava.

“Com’è il sidro?”, le chiese, senza scomporsi.

“Mediocre”.

“A me non sembra poi così male”.

“Questo perché… c’è il trucco”, rispose l’altra, poggiandosi al bordo del tavolo, in direzione dello stallone.

Tra i due cadde il silenzio.

“Mi avevano detto che ce n’era uno particolarmente corpulento. Devi essere tu, immagino”.

“Ho l’ossatura pesante”.

“Significa semplicemente che le ossa fanno più rumore quando si spezzano”.

“Mai successo”.

Pinkie osservava i due senza capirci nulla.

“C’è sempre una prima volta… Comunque io dovrei andare”.

“Ma sei appena arrivata”.

“Non posso trattenermi”.

“Io, invece, vorrei che ti trattenessi ancora un po’”.

“Ci stai provando con me?”.

“Non sei il mio tipo: non sopporto le puledre che non riescono a bere nemmeno un boccale. Tieni. Prova il mio”, con quelle parole, Mac si girò di scatto, utilizzando il bicchiere a mo’ di tirapugni, del tutto intenzionato a sfracassare il muso della tizia.

Octavia lo anticipò e si gettò all’indietro con fluida agilità, quindi scattò come una molla e ridusse l’oggetto in mille pezzi, tramite un colpo di zoccolo. Il sidro schizzò in tutte le direzioni e i compagni del pony grigio balzarono in piedi, pronti a menar le zampe. Uno di loro, senza tanti complimenti, polverizzò una sedia sulla groppa di Macintosh, che si girò impassibile verso di lui, subito dopo.

“Ma che sei fatto di granito?”, blaterò lo sgherro.

“Eyup”, ripose l’altro, ribaltandolo con una testata.

E così partì la rissa.

    La banda smise di suonare e, dai presenti, si levarono alcune urla isteriche, unitamente a qualche verso d’incredulità.

Octavia si allontanò dallo stallone, lasciando che i tirapiedi lo circondassero e si prendessero cura di lui. Afferrò quindi un coltello dal bancone e lo scagliò verso i musicisti, sfiorandone uno e piantandolo nel muro subito dietro: “Continuate a suonare, branco di incapaci! Interrompere una melodia a metà è come ucciderla!”. Il gruppo riprese immediatamente e a ritmo accelerato.

La clientela e le ballerine iniziarono a dileguarsi, mentre Big Mac incassava e restituiva le botte dei suoi assalitori, come un toro infuriato, utilizzando ogni cosa che gli capitava sotto zampa come arma improvvisata.

“Ehy! Il mio coltello!”, disse Pinkie Pie, con volto dispiaciuto, “Hai lanciato il mio coltello!”.

L’altra non la degnò nemmeno di uno sguardo: “Torna a servire cialappe, ragazzina, e stanne fuori”.

Ma il pony rosa non era d’accordo: prese una lama dal set da cucina e scavalcò il bancone, portandosi davanti ad Octavia, la quale, a sua volta, ne afferrò un altro e assunse una postura difensiva.

“E poi devi pagarmi il boccale!”.

“Tu scherzi col fuoco, ragazzina”, la minacciò.

“Fuoco??”, biascicò Pinkie. In quell’istante, le venne in mente il Sugarbooze Corner in fiamme, fino a sentirne il calore sul volto: “Il fuoco è una cosa brutta!”.

“Basta. Mi hai stufato”.


    Octavia mollò un fendente verso la gola del pony rosa ma, con sommo stupore, colpì soltanto l’aria. Pinkie si era scansata di una spanna appena, con il pensiero ancora rivolto al suo amato locale.

“Il mio povero Sugarbooze!...”, piagnucolò.

L’aggressore rimase interdetto e si lanciò in una serie di attacchi, con la chiara intenzione di farla fuori. Nonostante la sua tecnica fosse spettacolare, alla pari di una ballerina mortale, non riusciva a capacitarsi di come l’avversario continuasse a schivare ogni singola mossa.

“Ma… ma… che diavolo sta facendo?? Come ci riesce?? Non sta nemmeno usando una tecnica! E’ come se… come se si stesse muovendo a casaccio!”.

La lama, ogni volta, le passava ad appena qualche millimetro dalla pelle, senza causarle la benché minima ferita. Pinkie Pie, tra balzelli e capriole scoordinate, si limitava a sorriderle e ridacchiare infantilmente.

“Stronza! Sta ferma! E non sta usando alcuna mossa particolare! Si muove a istinto! Non riesco a decifrarne le intenzioni…”.

“La smetti di schivare, sottospecie di rospo saltellante??”, sbottò infine, rompendo la calma che l’aveva da sempre contraddistinta.

“Uh… Okie dokie! Come vuoi! Non schivo più!”, e, come se nulla fosse, passò dallo schivare al fendere la lama. Octavia dovette fare appello ai propri nervi d’acciaio, quando vide il pony rosa, completamente incurante della propria incolumità, passare all’attacco, trepidante di felicità.

Anche i suoi affondi erano dettati dal caso, rischiando di raggiungere la carne del pony grigio, che cercò di difendersi disperatamente con l’arma che impugnava.

L’orchestrina, intanto, aumentò il ritmo dello swing, completamente assorta nell’osservare la coppia furiosa, quasi stessero danzando entrambe.

Octavia iniziò a sudar freddo, ritrovandosi improvvisamente spalle al muro e con la lama di Pinkie al collo. Tutto avvenne così in fretta…

“Ah! Ho vinto!”, esultò. “E adesso… cupcakes!”, concluse, con occhi da matta.

L’altra, vedendo quello sguardo, provò semplicemente una paura grezza: quella strana sensazione che non l’affliggeva da tempo immemore. Strinse denti e pupille.

    La gamba di una sedia divelta si diresse verso il capo del pony rosa, che mollò la presa su Octavia e schivò inspiegabilmente l’oggetto. L’altra non ci pensò due volte e si tolse di mezzo: “Via! Via!! Andiamocene da qui!”, ripetè più volte. Dentro di lei si fece strada il panico. Non le era mai successo e la cosa le fece quasi mancare il fiato in corpo.

I tirapiedi, completamente pesti (qualcuno appena in grado di trascinarsi) si allontanarono da Big Mac e guadagnarono l’uscita. Lo stallone era un po’ malconcio: nulla che non avesse già passato in scazzottate passate.

“Ehy! Dove stanno andando? Vanno già via?”, domandò Pinkie, delusa.

“Scappano come conigli, ecco cosa”, esordì l’altro, con un leggero fiatone.

“Ma il party era appena iniziato!...”.

Lo stallone scrutò il locale in disordine, ormai praticamente deserto e, specchiandosi in una bottiglia, si accorse di avere un occhio nero.

“Noi… noi dobbiamo continuare?”, chiese timidamente uno dei musicisti.

L’altro ci pensò un attimo: “Doppia paga se ci date una mano a ripulire questo macello”.

Gli strumenti vennero rapidamente poggiati a terra: “Affare fatto!”.


*** ***** ***


    Il taxi, con l’elegante unicorno bianco al suo intero, si infilò tra le strade cittadine, rallentando in presenza del traffico.

“Oh.. Oh! Per la miseria! Oh no! E’ terribile!!”, urlò improvvisamente, assordando l’autista.

“Che?! Cosa? Che succede??”, farfugliò l’altro, che per poco non inchiodò.

“E’ una tragedia! Sta iniziando a piovere!”, si lamentò, scorgendo i primi goccioloni d’acqua sui finestrini.

“C-cosa? Tutto qui?”.

“Lei non può capire! Con l’umidità la mia chioma si rigonfia in modo orribile!”.

“Ehm… non ha un ombrello, signorina?”.

“Ma certo che ce l’ho! Non sono mica una sprovveduta! Ma basta l’aumento di umidità che… oh ma cosa vuole capirne lei… con quella cravatta tremendamente fuori moda…”.

Il poverino si osservò la cravatta: “Cosa… cos’ha che non va la mia cravatta?...”.

    Dopo circa un quarto d’ora, il taxi accostò vicino alla bottega di Twilight. Rarity aprì la portiera, quasi contemporaneamente all’ombrello.

“…Quindi… Lei dice: una camicia chiara con abbinata cravatta amarena e gilet in camoscio?”, le chiese l’autista, completamente assorto.

“Ma certo, dolcezza. Metterebbe in risalto i suoi zigomi incavati!”. L’altro si scrutò allo specchietto retrovisore e sorrise. Accettò il pagamento e, dopo averla ringraziata, si allontanò.

“E si faccia crescere un paio di baffi!”, esclamò infine l’unicorno, sperando che il tizio riuscisse ancora a sentirla.

    Pioveva a dirotto, quindi non c’era motivo per attendere all’esterno. Il pony si avvicinò all’uscio, stando attenta a non bagnarsi le scarpe nuove, e bussò delicatamente. La porta si scostò debolmente, sotto i leggeri colpi dello zoccolo.

“Uhm… hanno lasciato aperto?”, si chiese, scrutando l’interno.

“Ehm… Twilight! Spike? Spikino ciccinooo?? C’è qualcuno?”. Non ottenne risposta.

“Oh! Col cavolo che me ne sto qui fuori a farmi la doccia: io entro!”. E così fece.

Le sue prime reazioni, di fronte al salotto un po’ in disordine, furono di repulsione: “Ma… guarda che caos! Oh! E l’arredamento?? Ma credono che viviamo ancora nelle caverne? Pazzesco…”.

Controllò tutte le stanze (senza risparmiarsi sui soliti commenti circa l’arredo) e poi, spazientita, sbuffò: “Vi prego… non ditemi che è di sotto, in quel laboratorio dalle puzze insopportabili…”.

Urlò il nome dei proprietari ancora un paio di volte, di nuovo senza alcuna risposta: tanto bastò per spronarla a scendere verso il seminterrato.

“Bleah! Che schifo! Cos’è quella chiazza nell’angolo e… oddio… una trappola per t... Eewww!...”.

Quando voltò l’angolo, infine, si ritrovò tra gli alambicchi della sala. Tutto era silenzioso.

Notò quindi un pony, seduto pesantemente su un lettino in un angolo. Sulle prima non capì chi fosse ma, dopo aver aguzzato lo sguardo, lo riconobbe e sbottò: “M-m-ma tu sei… Grey Hound!!”.

L’altro, con lo sguardo perso nel vuoto, drizzò improvvisamente le orecchie. La sbronza le era quasi passata del tutto e, udendo le parole di Rarity, ruotò lentamente il capo verso di lei, con le palpebre spalancate.

“Quella voce…”, esordì Hound, “Quella voce la riconoscerei tra mille…”.

Nella propria testa rivisse il momento dello sparo, seguito dalle parole di un pony che non ebbe mai la facoltà di vedere, fino a quel momento: “Grazie al potere d’arresto di una pallottola, stronzo!”.

“Tu!”, disse, alzandosi dal giaciglio, “Tu sei la puledra che quella sera mi ha sparato…”.

Rarity deglutì rumorosamente e fece un passo indietro. Grey iniziò a muoversi verso di lei, con passo implacabile e una strana scintilla negli occhi.

“G-Grey? Come… com’è possibile che tu sia…”.

“Vivo? Sei sorpresa, bellezza?”, chiese ironicamente, diminuendo la distanza che li separava.

Colta da panico improvviso, l’unicorno bianco strizzò gli occhi, scagliando una saetta arcana verso l’interlocutore. La magia si infranse, tra mille scoppi e crepitii, ad una spanna dal Segugio: era di nuovo in forma e il controincantesimo funzionò perfettamente.

Il pony bianco si trovo spalle al muro e Grey Hound alzò uno zoccolo, abbattendolo pesantemente sulla parete, a pochi centimetri dal muso di Rarity.

“Nessuna puledra si era mai azzardata a spararmi, fino ad allora”.

“I-io…”, balbettò l’altra, con voce tremante.

“E la cosa… mi fa letteralmente impazzire”, concluse, affondando il muso tra le calde labbra dell’unicorno bianco.

Rarity sgranò gli occhi, senza dire nulla. Il bacio durò alcuni secondi, poi Hound si ricompose e la osservò intensamente. L’altra, per tutta risposta, gli mollò un ceffone tale da mandargli il cappello per terra.

“Tu! Come… come ti permetti!! Tu… bruto! Tu… tu!...”, ma non riuscì a trattenersi e gli saltò addosso come una pantera, lanciando entrambi sul pavimento.


*** ***** ***


    “Sai che ti dico?”, biascicò il trombettista a Pinkie, con parecchi boccali vuoti davanti al muso, “Secondo me… la vita è come una sinfonia. Bisogna saperla leggere… interpretare… e poi suonare, con il tuo tocco personale”.

“Ooh…”, rispose l’altra, completamente assorta da quelle parole.

Un collega, con la camicia parzialmente sbottonata, seduto poco distante, si mise ad agitare una bottiglia a mezz’aria: “Uoo… Roba profonda, amico! Sai invece che ti dico io?... Che non mi fregano!”.

Seguì una pausa.

“…Chi?”, chiese un altro.

“Sai, no?... Loro…”.

“Ahh!... Chi?”.

“Massì, dai…”, gli sussurrò, avvicinandosi all’orecchio, “Gli spazzini…”.

“Cosa?”.

“Sì, gli spazzini! Sempre in giro, giorno e notte… con quelle loro scope sinistre… i carretti pieni di immondizia… che secondo me non ci mettono dentro l’immondizia… ci infilano invece delle cose… importanti”.

“Che… che genere di cose??”, domandò Pinkie, assolutamente eccitata.

“E’ tutto un complotto!”.

“Ma smettila!”, lo ammonì uno.

“Non scherzo! Loro raccolgono le bucce di banana!”.

“E allora?”.

“Sai quanto è pericolosa una buccia di banana? E’ facile scivolarci sopra… Se loro raccolgono tutte le bucce… le mettono da parte… e poi le riversano in strada, tutte insieme, nessuno potrà più uscire o rischierà di cadere! E così conquisteranno tutta Equestria!”.

Seguì un’altra pausa.

“Tu sei tutto scemo…”.

“Io ti credo!”, proruppe il pony rosa, con sguardo serio.

“Avete finito di sparare stronzate?”, urlò Macintosh, in disparte, con una bistecca sull’occhio.

    In quel momento, Twilight e Spike fecero capolino nel locale, totalmente straniti: “Ma… che è successo?”, domandò il draghetto.

“Abbiamo fatto un party!”, rispose Pinkie, con un sorriso.

“Party?”, ripeté Sparkle.

“Dei tizi, capeggiati da un pony grigio, sono entrati nel locale”, spiegò Mac.

L’unicorno si ricordò delle parole di Dash: “Un… un pony grigio?...”.

“Sì… Ha assaggiato il nostro sidro… E, secondo me, sa che ci mettiamo qualcosa dentro, per renderlo più gustoso”.

“La cosa non mi piace per nulla”, aggiunse l’altra, senza nascondere la preoccupazione.

“Già. Secondo me abbiamo un nuovo, pericoloso concorrente, in città”.

“Per me sono alleati con gli spazzini…”, buttò lì uno dei musicisti.

“Fuori dai piedi, buffoni!”, tagliò corto lo stallone, “Avete preso i soldi e bevuto a sbafo, ora via!”.

“Ehh!... Va bene, non ti agitare… Andiamo ragazzi… Stasera abbiamo un concerto da quella vecchia riccona dalla pelle rattrappita…”. Gli altri rabbrividirono, trascinando mollemente gli strumenti con loro.

    Spike si spostò la coppola, grattandosi la testa: “E… adesso?”.

“Niente… Sono scappati”, rispose Macinotsh.

“Hai idea di dove possano essere andati?”, ribatté Twilight.

“Nope”.

“Però… sapevano che qui veniva servito del sidro corretto… Erano sicuramente ben informati”.

“Eyup”.

“E se…”, azzardò Sparkle, con volto preoccupato.

L’enorme stallone, improvvisamente, drizzò le orecchie, percependo una fitta al petto: “La… la tenuta…”. Si alzò di scatto e si diresse verso l’uscita.

“Ehy!”, urlò l’unicorno, “E’ solo un’idea! Non è detto che…”.

“Non voglio rischiare”.

Spike osservò l’amica, stringendo i denti: “Forse… forse non ha tutti i torti”.

L’altra si incupì: “No… non ce li ha…”, ammise, “E’ meglio se andiamo con lui”.

“Sì! Evviva! Cupcakes!”.

“No, Pinkie! Tu rimani qui”, l’ammoni Twilight, spegnendole immediatamente l’entusiasmo.

“Ma!.. Ma!... Cosa?? Perché?...”.

“Qualcuno deve rimanere a controllare il locale”.

“Sì… ma…”.

“Ti prego, Pinkie… Dobbiamo correre immediatamente alla tenuta Apple… E il locale deve restare al sicuro…”.

Il pony rosa si intristì debolmente ma poi annuì: “Va bene… Però non state via tanto, ok?...”.

“Promesso”.


    Il trio uscì in strada, dirigendosi verso la Dodge di Macintosh: il proprietario aprì il portabagagli ed estrasse un Thompson Coltago Version, che buttò al draghetto, senza tanti complimenti. Spike incassò il peso dell’arma. Metodicamente, salì sull’auto e mise in moto, facendo rombare il motore truccato: “Salite. Svelti”, ringhiò. I due ubbidirono e l’auto sgommò a tutta velocità.

Il drago, sul sedile posteriore, continuava ad osservare l’arma, costantemente sballottato dalla guida “sportiva” del guidatore. Twilight si girò verso di lui.

“Spike? Tutto bene? Sei… sei in grado di usarla? O preferisci darla a me?”.

L’altro deglutì. Il suo sguardo era incerto. Estrasse un sigaro, con zampe tremanti, e se lo accese, inspirando profondamente un’abbondante dose di fumo.

“N-no”, rispose, “Io… io ce la faccio”.

L’amica gli sorrise: “Tranquillo… magari arriviamo là e non sta succedendo niente”.

Il mezzo, dopo aver attraversato a tempo di record la città, imboccò uno sterrato di campagna, sobbalzando ad ogni buca. Dopo qualche istante, in lontananza, apparve la tenuta Apple e Macintosh premette sul gas: “Hai parlato troppo presto”, disse a Twilight.


    Di fronte al caseggiato erano parcheggiate, di sbieco, alcune auto nere. Dietro di esse, utilizzate a mo’ di copertura, una decina di pony armati intratteneva uno scambio di proiettili con gli occupanti della casa. Alcuni corpi erano già stesi a terra, in mezzo all’erba, ma i rumori degli spari erano continui e regolari, sintomo che la battaglia non stava certo per concludersi.

All’interno, con il volto scolpito in una smorfia, Applejack scagliava supposte di piombo da mezzo centimetro, tramite il Remington di famiglia. Ad ogni colpo, Applebloom, in un angolo, si tappava le orecchie e strizzava gli occhi, quasi sul punto di piangere.

“Applejack!”, le urlò, con voce terrorizzata.

“Piccola!”, intimò, “Non ti muovere da lì! E tieni la testa giù, capito??”. Si sporse dalla finestra. Chiuse un occhio. Collimò le diottre. Mise a fuoco il bersaglio. Premette il grilletto. Lo sfortunato ruzzolò nella polvere, accompagnato da un boato.  I colleghi risposero con una selva di proiettili e il pony arancione si ritrasse prontamente.

“Ho paura!”.

“Tranquilla, zuccherino… Stai giù e tutto andrà bene…”.

Un paio di ali paglierine la circondarono: “Calmati”, sussurrò Fluttershy, con voce dolcissima, “Ti tengo al sicuro”.

A piano terra, intanto, dietro un’altra finestra, la vecchia GrannySmith infilava le cartucce nelle canne della lupara. Gli spari dei visitatori le sibilavano vicino, incassandosi nel legno delle pareti e rompendo saltuariamente oggetti d’ogni sorta. La vecchia si portò vicino un piccolo vaso di fiori, mettendolo al sicuro, quindi puntò l’arma e la vuotò sonoramente: “Guai a voi she mi rovinate i gerani, bashtardi!”.


    Dal lato opposto ai sicari, la Dodge di Macintosh arrivò come un treno. I tizi trasalirono e spostarono il fuoco verso i nuovi arrivati. Twilight si sporse dal finestrino, con la criniera scompigliata dalla velocità, ed evocò una bolla di protezione, che deviò ogni colpo in arrivo.

Big Mac sterzò bruscamente, compiendo un’ampia parabola attorno agli sgherri: “Spike!!”, urlò, “Spike, spara!”.

Il draghetto, praticamente in iperventilazione, lanciò un urlo da battaglia, sfondò il vetro e premette il grilletto. L’arma iniziò a vibrargli ripetutamente tra le zampe. Non vide dove finirono i colpi ma tanto bastò a far abbassare la testa ai nemici.

La macchina si arrestò.

“Applejack!!”, urlò il fratello.

“Maaac!”, rispose l’altra dalla finestra, “Ce ne sono altri che tentano di entrare dal retro!!”.

La sparatoria ricominciò, impedendo ai due di parlare ulteriormente.

“Merda!”, urlò lo stallone.

“Che facciamo?”, chiese Twilight, mantenendo attiva la barriera. Spike, intanto, sdraiato sul sedile, ansimante, cercava di riprendere fiato.


    La sorella si spostò alla finestra che dava sul giardino posteriore e si accorse, con terrore, che un manipolo di piromani aveva appena incendiato l’uscita.

“No… no! No! No!”, ripeté.

“Che succede??”, chiese la sorellina, tenendosi stretta al pegaso.

L’altra si osservò attorno con nervosismo e agitazione sempre più incontrollabili.

“Se Mac non ci toglie quelli davanti… non potremo uscire! E la casa brucerà!”, esordì, dimenticandosi della presenza di Applebloom.

“Cosa??”, strillò la piccola.

Applejack cercò di calmarsi, al fine di pensare chiaramente. L’attenzione si soffermò sulle ali dell’amica.

“A-ascolta, Fluttershy…”, le disse con titubanza, “Ce… ce la fai a volare fuori, portando Applebloom con te?”.

La sorellina scosse vigorosamente il capo, con gli occhi umidi.

“I-io… Io credo di sì…”, rispose.

“Allora prendila e vola lontano!”.

“No! Applejack! Non voglio lasciarti!”. Ma l’altra non sentì ragioni: posò per un istante l’arma, sollevò Applebloom e la mise tra le zampe di Fluttershy.

“Vola veloce come il vento! Io ti coprirò da qui!”.

“D’accordo”, le disse, sapendo che la criticità della situazione richiedeva misure altrettanto drastiche.

“Applejack!!”, sbraitò nuovamente la piccola.

“Sei pronta?”, chiese il pony arancione, fucile alla mano, a fianco del davanzale, “Uno… due… vai!!”.

Il pegaso caricò un balzò e si fiondò all’esterno, come una molla, iniziando immediatamente a sbattere le ali. L’altra tirò fuori il Remington e inchiodò sul posto uno degli invasori. Gli altri spararono alla rinfusa. Fluttershy udì alcuni colpi passarle molto vicino.

    Uno dei (tanti) proiettili, mandò il vaso di fiori in mille pezzi. GrannySmith assunse un’espressione scocciata, abbandonò la lupara e, a passo di lumaca, mentre altri colpi impattavano nei dintorni, si avvicinò ad un portagioie. Lo aprì, estrasse un oggetto e lo scagliò fuori dalla finestra. Dopo qualche secondo, le vetrate esplosero e una nube di detriti invase il salotto.

“Queshto è per avermi rovinato i gerani, shtronzi!”, berciò la vecchia, in mezzo al polverone, agitando uno zoccolo a mezz’aria.


    Gli amici assistettero all’intera scena. Lo scoppio mandò a terra gran parte degli aggressori.

“Per la miseria…”, esclamò Twilight, con stupore, “La vecchia sa il fatto suo…”.

Poi la videro: Fluttershy saettò all’esterno, cercando di allontanarsi. Mac riconobbe a colpo d’occhio il fiocco rosso della sorella: “Applebloom!!”, urlò.

Un altro pegaso, forse appostato nei paraggi, spiccò il volo, placcando le due e costringendole a precipitare nel giardino dietro il caseggiato, oltre la visuale.

“Noo!!”, esordì infine lo stallone, catapultandosi all’esterno della macchina e galoppando come una furia.

“Oh merda! Spike! Coprilo!”, aggiunse l’unicorno, concentrandosi per mantenere viva la barriera.

Il draghetto cercò di non perdere la calma: cambiò il caricatore circolare, fece scattare l’otturatore e prese quindi a vomitare fuoco verso i superstiti dell’esplosione.


    Quando il fratello raggiunse Applebloom, vide chiaramente Fluttershy a terra, dolorante, mentre il rapitore teneva la sorella contro il petto, con una pistola puntata alla tempia. Si fermò.

“Lasciala… subito… andare…”.

“Nemmeno per sogno”, rispose l’altro, con un ghigno, “Tu, piuttosto… dietro front, oppure le faccio un buco in testa”.

“Maaac!”, pigolò Applebloom, con il volto rigato dalle lacrime.

Lo stallone quasi si spezzò  i denti, a furia di stringerli tra loro. Non ci capì più nulla: con passo inesorabile, prese a muoversi verso il pegaso, che strabuzzò gli occhi.

“Ehy… ehy! Fermo! Fermati ho detto!”. Ma l’altro non lo ascoltò.

“Guarda che l’ammazzo!”. Ma qualcosa gli fece intuire che, in un modo o nell’altro, non si sarebbe arrestato. Che avesse o meno ucciso la sorella, il bestione gli avrebbe sicuramente spezzato il collo, così puntò l’arma verso di lui e premette il grilletto.

Il fratello si bloccò per un istante, incassando la pallottola, ma poi riprese.

“Noo! Maaac!”. La sorella venne scagliata a terra. Il tizio strinse l’arma con entrambe le zampe e stabilizzò la mira. Premette il grilletto altre tre volte e, ripetutamente, non fece altro che rallentare il suo avversario. Nel panico e col sudore in fronte, chiuse un occhio e puntò al volto dello stallone.

Si udì uno sparo. Una fugace nuvoletta rosa apparve dietro la chioma del sicario, che capitolò all’indietro.

Dalla finestra lontana, Applejack scarrellò l’arma, espellendo un bossolo che tintinnò diverse volte sul parquet.


*** ***** ***


    Grey Hound si portò le zampe alla fronte, seduto sul bordo del lettino. Rarity, con il lenzuolo tirato fino al collo, lo osservava con vaga tristezza, mentre gli passava una zampa sulla schiena.

“Suvvia, dolcezza… E’… insomma… Succede a tutti …”.

Il Segugio si voltò amareggiato: “Non… non è questo…”.

“Ah… no?”.

“No… Cioè… Non esattamente…”, disse combattuto.

Il pony bianco gli cinse la vita con gli zoccoli: “Vuoi parlarmene?...”.

“Io… io non lo so…”.

Rarity non disse più nulla e si limitò ad appoggiare teneramente la guancia sul collo dell’altro, che lentamente si sciolse: portò magicamente il portafoglio verso di lei e le allungò una fotografia.

“Carina… Chi è?? La tua fidanzata??”, ringhiò, con sguardo vendicativo.

“Lei è… era… mia moglie”.

“Cos… tu sei sposato??”, esclamò.

“Ho detto… era…”.

“Vi siete lasciati?”.

“E’ morta”.

Rarity si ritrasse di colpo, portando entrambe le zampe alla bocca: “Oh! I-io… Scusami… io non…”.

“Tranquilla. E’ tutto a posto”.

“M-ma… quando è successo?...”.

“Quattro anni fa. Da allora non sono più riuscito a frequentare nemmeno una puledra…”.

“E’… comprensibile …”.

Hound si incupì profondamente.

“Però”, cercò di consolarlo, “Dovrai superare, prima o poi… Sennò ti rovinerai la vita…”.

“Eh”, ridacchiò, “Me la son già rovinata, non c’è più niente di salvabile”.

“Non dire così”.

“Se… se sapessi come… cosa è successo…”, sussurrò.

“Non sei obbligato a dirmelo, se non vuoi…”.

Lo stallone fece una pausa, sospirò e poi prese a raccontare: “Ci eravamo sposati da poco più di due mesi, trasferiti freschi freschi in un appartamento a Ponymood. Hai presente la classica coppietta di sposini?... Lei… lei era scrittrice. Io lavoravo come impiegato in un negozio di fiori”.

L’altra si sbalordì.

“Lo so. Non si direbbe”, continuò, “Comunque… Mi era stato offerto un lavoro come Guardia Celeste. Degli Agenti mi dissero che avevo del potenziale, che sarei stato all’altezza e avrei ricevuto una buona paga. Ma io rifiutati. Non volevo rischiare di finire ammazzato, lasciando mia moglie sola. E poi… avevamo intenzione di avere dei piccoli… E certi lavori non funzionano bene, se hai una famiglia”. Le parole vennero interrotte da un altro sospiro. “Mi ricordo che… una sera… rincasai più tardi del solito… Quando raggiunsi la porta dell’appartamento, la trovai divelta. Dentro c’era disordine ovunque. Il mio pensiero andò subito a Coraline… sì, insomma, a mia moglie. La.. la trovai…”. Il fiato gli venne meno e l’unicorno bianco gli strinse il volto al petto. “La trovai priva di vita, vicino al letto. Un paio di teppisti era su di lei, increduli… terrorizzati… Con il sennò di poi, so cosa successe: due rapinatori da quattro soldi volevano rubare qualche gioiello, entrando di prepotenza in un appartamento. Quando trovarono Coraline… la presero e la legarono… Ma erano inesperti… Bastò loro stringere un po’ troppo i nodi… imbavagliarla in malo modo… affinchè… affinchè lei… Ma, sul momento, persi il controllo. Diedi sfogo a tutta la mia magia… e i due non superarono la notte”.

“Io… io non so cosa dire… Mi dispiace tantissimo”, rispose l’altra, con sincerità.

“Il giorno seguente decisi di accettare l’offerta come Agente Governativo. Fu allora che divenni Grey Hound, il Segugio di Counterlot, uno degli Agenti più spietati dell’intera Equestria. Giurai che avrei trovato e consegnato alla giustizia tutta la feccia che avessi incontrato. Ho passato questi quattro anni ad odiare me stesso e gli altri… Sfogando la mia frustrazione su coloro che ritenevo ingiusti…”.

Dopo qualche istante, Hound si riprese e si scostò dall’abbraccio di Rarity: “Io… scusami… Mi sono… lasciato andare”.

“Hound…”, gli rispose dolcemente, “La tua è una storia tristissima… Non sapevo avessi passato tutto questo”.

“Già… Ho solo provato odio… odio… E altro odio… Fino a… fino ad oggi”, ammise, girandosi verso il pony dalla chioma viola.

“Smettila!”, farfugliò, passandosi uno zoccolo sotto la guancia, “Così… così mi rovino tutto il trucco!”.

Passarono alcuni istanti.

“Però… c’è una cosa”, riprese Rarity, come folgorata da un pensiero, “Hai detto… quattro anni fa, giusto?”.

“Sì. Perché?”.

“Io, quattro anni fa, iniziai il mio ingresso nell’alta società. Mi ricordo… mi ricordo che conobbi un tizio che lavorava per il Governo Celeste… Però non chiedermi il nome… Mi disse tante cose, inclusi degli accenni sul Segugio di Counterlot…”.

“Ah, sì? E cosa ti disse di me?”.

L’altra si fece titubante: “Ecco, io… ricordo… insomma mi disse che il Governo aveva… ‘forzato’ la tua entrata in campo, attraverso ‘incidenti che capitano’…”.

Lo sguardo di Hound si fece perplesso: “Cosa? Come sarebbe a dire?”.

“Io… io non lo so. Il vero significato lo ignoravo allora e lo ignoro ancora adesso… Mi è sembrata una cosa singolare che… che avresti dovuto sapere… magari non è niente…”.

Strani pensieri attraversarono la mente dello stallone, che si fece silenzioso.

“Tutto bene?...”.

    L’ex agente si alzò improvvisamente, iniziando a vestirsi di gran fretta.

“E-ehy! Che stai… che stai facendo?”.

“Perdonami, dolcezza… Le tue parole… hanno risvegliato in me antiche incertezze… Dubbi che sono intenzionato a dissipare…”, le rispose, afferrando con decisione la .357.

“Ma!... Fermati! Dove vuoi andare?”, gli chiese, preoccupata.

Lo stallone si girò verso l’unicorno bianco e, subito dopo essersi sistemato il cappello, le sfiorò il mento con una zampa: “Ascoltami, pupa… Devo portare luce sul mio passato… Devo capire chi sono veramente…”.

“Ma… tu non ne hai bisogno… Tu sei Grey Hound!… Tu sei… il mio Segugio…”, sussurrò, con gli occhi lucidi.

“Sei la femmina più sensuale e dolce che abbia mai conosciuto… Ma devo capire alcune cose. Devo farlo… per Coraline”.

“Allora vengo con te!”.

“No. Devo farlo da solo… Ti prego di capirmi…”.

“Ma… Ma non sarà nulla di troppo pericoloso, vero?”.

“Pericolo è il mio secondo… anzi terzo nome”.

“Il secondo è ‘Testa di Cazzo’, vero??”, lo ammonì rabbiosamente, tirando su col naso, a zampe conserte.

“No… è Sbruffone”, rispose, baciandola di sfuggita, prima di allontanarsi.

“Ecco, vattene, bastardo!”, piagnucolò l’altra, ancora con il lenzuolo stretto al petto, tirandogli il cuscino sulla schiena, “Vattene e non tornare!”.

Hound uscì dal laboratorio e chiuse pesantemente la porta dietro di sé.

L’unicorno bianco, con il labbro tremolante, disse sottovoce: “No… Non è vero… Non andartene… Torna… ti prego…”.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > My Little Pony / Vai alla pagina dell'autore: Lantheros