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Autore: Lantheros    06/04/2013    1 recensioni
Primo sequel di Sidro Proibito.
E così non c'è più concorrenza, nella Città Proibita...
O forse no?
E' piuttosto semplice risolvere i problemi con una pallottola in fronte. Ma questa volta non sarà sufficiente.
Alleanze e tradimenti porteranno a conseguenze incontrollabili. La sete di potere spingerà lo spargimento di sangue.
Personaggi che si credevano usciti di scena per sempre... torneranno.
Questa volta non ci sarà pietà alcuna.
Ma le Redenzione non è qualcosa che si possa conquistare così facilmente..
La fiction ricalca i toni del suo predecessore e propone un approfondimento di alcuni personaggi, nonchè la comparsa di un nuovo... "protagonista" rispetto ad Applejack e al suo "gruppo".
La storia si basa sempre su toni noir e pulp aggiungendo però alcuni momenti drammatici esterni al conflitto fisico.
Verrà gettata luce sul passato oscuro di chi si credeva un nemico... mentre gli alleati... potrebbero rivelarsi non proprio così amichevoli.
Genere: Azione, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Applejack, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Grey Hound osservava il paesaggio notturno saettare attraverso il finestrino incrostato di lerciume. Era così sporco e opaco che a fatica si poteva distinguere uno spicchio di luna nel cielo.

Attorno lui, accompagnata dal ritmico rumore delle rotaie sotto le carrozze, una manciata di pony dallo sguardo inespressivo si dedicava a svariate (e poco impegnative) faccende: c’era chi leggeva il giornale, chi dormiva, chi smaltiva la sbronza e, per ultimo, una tizia che piangeva su una rosa rossa, poggiata sul sedile. Viaggiare in classe economica era tutto ciò che le tasche dello stallone gli avrebbero permesso, quindi non vi era altra scelta, ed il treno rimaneva il mezzo più rapido per raggiungere Counterlot: la città-fortezza del Governo Celeste.

Il Segugio, con sguardo melanconico, sospirò ed iniziò uno dei suoi monologhi interiori, sempre coadiuvato dalla profonda voce da stallone vissuto.


    “Feccia. Ecco come avrei definito un tempo i passeggeri di questo vagone. Ma, questa volta, non ero io quello meno sporco o meno disperato degli altri.

E’ curioso come le situazioni possano ribaltarsi, da un momento all’altro. Un paio di settimane fa ero il Segugio di Counterlot, il Cacciatore di Criminali, la Giustizia fatta a stallone. Ora ero Grey Hound: l’unicorno stanco e trasandato, il tizio nerboruto dal vago puzzo di alcol, qualcuno che vorresti evitare di incontrare nel vicolo dietro casa”.

Un tizio, nel sedile attaccato al mio, si appisola con un ronfo sommesso: il suo capo scivola mollemente sulla mia spalla. Maledizione. Ed io che pensavo di avere problemi di igiene personale, ultimamente. Lo catapulto dall’altro lato del vagone, con un colpo di zampa. E’ così rintronato che manco se ne accorge.

“E’ così che vuoi finire, vecchio caprone? Come quello? Sudicio, assonnato, senza uno scopo?

Ma, dopotutto, qual è il mio scopo? Cosa ho fatto nella vita? Prima cacciavo i criminali e tanto bastava a tenermi lontano dall’amara verità. E qual è la tua verità, Hound? Cosa nascondi?...

La verità… La verità è che io volevo vivere in tranquillità con Coraline. Avere dei figli. Una famiglia. Ho forse chiesto troppo?...”.

Sospiro nuovamente.

“Poco importa, adesso. Le cose sono andate diversamente”.

Il treno rallenta. In lontananza scorgo le luci di quella gabbia di cemento che è Counterlot. La “Vergine Invalicabile”, la chiamavamo all’accademia, poiché nessuno era mai riuscito a entrarvi dentro, se non sotto esplicito invito.

I freni stridono. La stazione è prossima all’arrivo.

Prendo il cappello. Non sia mai che esca senza il mio cappello. Il treno si ferma.

Mi alzo e mi dirigo con noncuranza verso l’uscita: mentre cammino, passo accanto alla puledra con la rosa rossa. I suoi occhi sono chiusi e le lacrime ancora calde.

“Spera sempre in un futuro migliore”, le dico, con voce roca, “Non sia che il domani ti riservi qualcosa di meno tragico del passato”. Lei apre le palpebre e mi osserva.

“Che stronzo che sei, vecchio. Tu a compatirti e piagnucolare e poi snoccioli consigli da caposcout alla prima ragazzina che vedi”.

Al diavolo. Me ne vado.


    Ed eccomi all’esterno, sul binario d’arrivo della stazione. Counterlot si staglia sullo sfondo, enorme e maestosa, proprio come me la ricordavo. Non è cambiata di una virgola: enormi mura di cinta a protezione di altissimi edifici governativi, il tutto farcito da una miriade di luci brillanti, sintomo che l’elettrica è un lusso che ormai si può permettere quasi chiunque. Ma io so bene che si tratta di un Lager travestito da bella signora.

“Bando alle ciance, vecchio. Non sei qui per turismo”.

Giusto. Sono qui per scoprire… la verità.

Abbandono la stazione, trovandomi d’innanzi ad una scura strada di asfalto, che conduce direttamente alla città. Parcheggiato in silente attesa, un gruppo di taxi non aspetta altro che un possibile cliente da trasportare. E, almeno per questa notte, uno di loro sarà accontentato.

    Mi avvicino al primo che vedo. L’autista è appisolato sul sedile, con il capo chino e sbavante. Apro la porta, mi siedo e la richiudo violentemente. L’altro si desta di colpo.

“Mi porti a Counterlot, per piacere”.

“Come sei gentile… In circostanze migliori sarei stato più diretto, ma stavolta il basso profilo è d’obbligo. E quindi evviva la cortesia”.

Il tizio (fortunatamente di poche parole) macina i chilometri e mi scarica di fronte all’enorme portone d’ingresso della fortezza. Nessuno ha il permesso di entrare a Counterlot, almeno che non sia accompagnato da un documento ufficiale o con le manette ai polsi. Io le manette ancora le tengo nel tascone della giacca, ma non credo avrebbe molto senso presentarmi come reo confesso di un fatto che ancora non ho compiuto (ma che sono intenzionato ad ultimare).

“Parli troppo. Taglia corto”.

Giusto. Ringrazio Bobby e gli sgancio gli ultimi verdoni che mi sono rimasti. Che tenga il resto. Anzi: che gli vada di traverso, per quel che mi importa.


    Ci siamo: le porte di Counterlot; le vedette sulle mura; la guardiola farcita di Agenti.

Entrare di prepotenza è fuori discussone. Un paio d’anni fa e senza la ferita alla schiena, che ancora mi brucia, forse sarei entrato senza suonare il campanello.

“Maledetta femmina…”, dico tra me e me, ripensando a quello schianto di Rarity e a come mi aveva conciato sullo zeppelin.

L’agente all’ingresso mi scruta con fare interrogativo.

“Ehy, vecchio… quel tizio è un novellino… Guardalo, tutto fighetto, con la divisa e lo sguardo da prima donna”.

Già, è proprio un cadetto, li riconoscerei a distanza di chilometri.

“Forse, vecchio caprone, riuscirai ad entrare senza che ti farciscano di piombo, almeno per ‘sta volta…

Poi… come farai ad uscirne… Beh… quelli sono cavoli tuoi…”.


*** ***** ***


    Grey Hound chiuse lentamente le palpebre e, con un lieve luccichio del corno, si accese l’ultima sigaretta che aveva nel pacchetto.

Con fare disinvolto, decise di varcare la soglia d’ingresso. Il cadetto lo fermò istintivamente, riportando a mente il recente addestramento: “Alt! Disposizione numero cinquantaquattro del Codice Celeste! Nessuno entra senza permesso! Si identifichi!”.

L’ex agente fece appello alla propria spavalderia e, senza scomporsi, lo fulminò con lo sguardo: “Cos’hai detto, nullità?”. L’altro sgranò gli occhi, impreparato ad una simile reazione.

Hound, sperando che le burbe ancora non fossero a conoscenza del suo recente congedo, continuò la scenata: “Hai idea di chi hai di fronte, per caso?”.

“Uuh… Ecco… Io…”.

“Io sono Grey Hound!”, tuonò, “Il Segugio di Counterlot! Non ho bisogno di permessi o inutili scartoffie per entrare o uscire dalla Vergine Invalicabile!”.

Il poveretto cercò di non perdere la calma e si voltò verso il collega, anch’egli fresco di accademia.

“Il… il Segugio di Counterlot?...”.

“Stai iniziando a farmi perdere la pazienza, cadetto…”.

L’amico intervenne per non farlo sfigurare: “Ma non lo conosci, idiota? Le sue foto sono su tutte le pagine affisse in bacheca!”.

“Io… sì… ora che mi ci fai pensare…”.

Grey sollevò la tesa del cappello, con un colpo di zampa: “Ah! Meno male che qualcuno ancora si ricorda del vecchio Segugio…”.

“Mi scusi, signor Hound… Il mio amico”, continuò, dandogli uno spintone, affinché si mettesse sull’attenti, “è un po’ distratto ultimamente… Sa… con tutti i criminali che circolano… ci fanno fare turni extra e siamo tutti molto stanchi”.

“Capisco, Bobby”, rispose con noncuranza, “Ma ricordatevi che il crimine… non dorme mai”.

“Certo, signor Hound!”.

Cadde il silenzio.

“Ora… posso entrare oppure devo chiamare un superiore, schiappe?”.

I due trasalirono e si fecero da parte: “Oh! No no, entri pure, ci scusi!”.

“Spero non accada più… Non ho tempo da perdere, io…”.

Mentre superava il picchetto, i due continuarono ad osservarlo con vago stupore, prima che incominciassero a litigare sottovoce, accusandosi a vicenda della pessima figura che avevano fatto.

“Questa volta la Dea della Fortuna mi ha arriso”, pensò l’ex agente, “Speriamo che il suo ghigno non si spenga proprio sul più bello”.


    Il primo ostacolo era superato: l’unicorno si trovava oltre le mura fortificate. Dinnanzi a lui, ordinatamente disposti secondo rigore geometrico, si stagliavano gli edifici governativi di Counterlot. Ogni distretto era suddiviso in base ad una specifica mansione: burocrazia, caserme, sale d’udienza, forum giurisdizionali, archivi… ed era proprio verso questi ultimi che il Segugio era diretto, intento a far chiarezza sul proprio passato.

La città-fortezza, ovviamente, brulicava di agenti. Grey attivò un incantesimo di identificazione, per tenersi alla larga dagli unicorni, che avrebbero potuto riconoscerlo e smascherarlo. Questo lo costrinse a compiere lunghe deviazioni ma, alla fine, riuscì a raggiungere la facciata d’ingresso dell’Archivio Celeste.

La sorveglianza, sia dentro che fuori, era strettissima, a causa dell’importanza dei documenti ivi custoditi. Non sarebbe stato facile ma lo stallone confidava nella propria reputazione: fintanto che si fosse tenuto alla larga dagli ufficiali, sarebbe probabilmente riuscito ad ingannare gli Agenti di rango inferiore.

Studiò attentamente l’andirivieni dalla porta, attendendo il momento giusto per entrare. Quando un manipolo di burocrati fece capolino, Hound gli si incollò come una ventosa, seguendoli fino all’androne principale.

    La sala non era molto grande ma ciò che faceva impressione era il numero spropositato di corridoi e scale che si dipanavano in ogni direzione, in base a categorie e sottocategorie.

“Archivio Agenti”, ecco la destinazione dello stallone: mantenendo il sangue freddo, iniziò a seguire le indicazioni con disinvoltura, sperando che l’archivio non fosse troppo lontano. Incrociò diversi funzionari, nel mentre, ma nessuno parve dargli la minimi importanza.

“Ehy tu!”, esclamò un tizio alle sue spalle. Grey controllò la presenza della propria pistola, attraverso la giacca, e poi si voltò.

“Che c’è?”.

Un Agente gli si avvicinò, con volto stupito: “Tu! Tu sei Grey Hound! Il Segugio di Counterlot!”.

“La mia fama mi precede”, rispose, con falso compiacimento.

“Non ci posso credere! Sei proprio tu! In carne e criniera!”.

“Già”.

“Uao!”.

“Eh”.

“Mitico!”.

“Senti, patacca, avrei un po’ da fare”, tagliò corto, guardandosi attorno con vago nervosismo.

“Oh, certo! Però, prima, potresti farmi un autografo?”.

“Un… cosa?”, chiese, quasi schifato.

“Un autografo! Anzi due, cioè tre! Uno per me, uno per mia zia Betty e uno per la mia fidanzata!”, rispose l’ammiratore, passandogli il libretto delle multe, assieme ad una penna.

Hound dovette trattenersi dal vuotargli il tamburo nelle trippe: “Ma… ceeerto”, sibilò a denti stretti.

“Mi chiamo Geremia!”.

“Al mio caro… ammiratore… Bobby”, farfugliò, intento a comporre la firma.

“Ma io…”.

“Poi… alla cara… zia Betty… che Celestia l’abbia in gloria…”.

“Ma lei, veramente, non è ancora… insomma…”.

“E a quella sventola di puledra dalle chiappe sode di… uh… com’è che si chiama, la poveretta?”.

“Jenny”.

“…Gianna”.

“Ehm, no, in realtà…”.

“Tieni, Bobby, e tante belle cose”, concluse, buttandogli gli oggetti in grembo, dopo un paio di ‘teneri’ buffetti sulla guancia. Si congedò.

Il tizio, un po’ interdetto, osservò i fogli, quindi si illuminò di gioia: “Oh per Celestia! Ho l’autografo del Segugio di Counterlot! Questo è il giorno più bello della mia vita! Devo subito avvertire Gianna!... Uh, cioè, Jenny!”.


    Lo stallone affrettò il passo, ritenendo di aver perso fin troppo tempo. Continuò a seguire le indicazioni finché, voltando un angolo, vide di sfuggita un Agente a presidiare l’ingresso degli archivi: si ritrasse prontamente e cacciò fuori un occhio, sincerandosi come l’altro non lo avesse notato. E non era un Agente qualsiasi, bensì lo stesso tizio che lo aveva deliziato delle ‘buone nuove’, all’ospedale.

“Guarda un po’ chi si rivede”, bisbigliò il Segugio, senza farsi sentire, mentre il suo sguardo si faceva maligno. Raccolse un vaso di fiori lì vicino e diminuì la distanza che lo separava dall’ex collega.

Quando gli fu a meno di un metro, sentenziò: “Ehy amico, sono qui per darti il cambio”.

Il pony, senza degnarlo di uno sguardo, proruppe in un sonoro sbadiglio: “Era ora, per la miseria… Sono stanchissimo… Ultimamente non riesco proprio a dormire…”.

Si girò e vide Grey, con le zampe che reggevano il vaso, sopra il cappello: “Tranquillo: con questo ti addormenti di sicuro”. Rumore di cocci infranti echeggiò per un istante tra i corridori. Hound controllò che nessuno stesse osservando e nascose lo sfortunato, privo di sensi, dentro lo sgabuzzino degli attrezzi.

    Aprì quindi la porta per l’archivio e scese una piccola rampa di scale, giungendo infine in un’enorme stanza arredata con cassetti, cassettoni e scansie farcite di documenti polverosi.

Un piccolo pony, con fondi di bottiglia al posto degli occhiali, sistemava alcune scartoffie dietro un’imponente scrivania di legno.

Lo stallone vide che non c’era nessun altro, così si diresse verso il piccoletto.

“Saaalve”, esordì quello.

“Uhm… sì, salve. Senta… ho bisogno di una documentazione particolare, risalente a circa quattro anni fa”.

“Ma certo. Mi dica”.

“Devo trovare informazioni su un Agente Celeste: Grey Hound”.

“A-ah. Provvedo subito… signor?”.

“Bobby”.

“Provvedo subito, signor Bobby”.

Il pony si immerse nel mare di documenti, risalendo lentamente alla richiesta del Segugio. L’archivio era così ampio che impiegò diverse decine di minuti per ottenere infine ciò che stava cercando: afferrò un grosso tomo e ci soffiò sopra, sollevando un batuffolo di polvere. Tornò quindi alla scrivania, dove Hound batteva nervosamente uno zoccolo sul legno, in lieve agitazione.

“Ecco a lei, signor Bobby”.

“Mille grazie”. Ma l’altro ritrasse il documento.

“Uhh… Aspetti… Questo è un documento di classe B. E’ altamente riservato. Possiede il permesso per effettuare il prelievo, signor Bobby?”.

“Ecco… io…”.

“Senza il permesso numero duecentoventitre, non posso consegnarle questo tipo di referto!”.

“Ma, ecco, io… Io sono un Agente. Non ho bisogno di permessi”, buttò lì.

“Lei può anche essere Celestia in persona. Senza permesso duecentoventitre non posso consegnarle questa roba”.

“Ma certo, mi dia un attimo”, rispose, infilando la zampa sotto il cappotto. Tirò quindi fuori la pistola e, spazientito, gliela puntò al muso.

“Permesso tre e cinquantasette, tamburo da cinque colpi. E’ sufficiente?”.

Il piccoletto si sistemò gli occhiali, mettendo a fuoco l’oggetto.

“Ovviamente”, rispose deglutendo.

Il registro passò sotto le zampe dello stallone: senza perdere ulteriore tempo, continuando a tenere sotto tiro il tizio, srotolò il fascicolo e prese a leggere più velocemente possibile.

Passarono alcuni minuti e la fronte gli si corrugò.

“Ehy…”, borbottò, “Qui c’è scritto… che Grey Hound è stato assoldato previa ‘prassi da forzatura’. Che diavolo è una prassi da forzatura?”.

L’altro, con gli occhiali appannati dal sudore, scosse il capo: “Io… io non ne ho idea, signor Bobby…”.

La canna della pistola gli spinse una narice verso l’alto: “Senti, piccoletto, non ho molto tempo da perdere e tu preferiresti rimanere con soli due buchi nel naso, giusto? Quindi rispondi”. Armò il cane.

“Io… io… io sono solo un semplice faccendiere, signor Bobby”, farfugliò, “Le assicuro che non so… che io non…”.

    Una voce proruppe alle spalle dei due: era il pony che aveva steso Grey un attimo prima.

“Getta la pistola”, gli intimò, rivolgendogli a sua volta una semiautomatica, “E non fare scherzi. Una mossa falsa, una lucetta sul corno… e sei storia”.

“Ma guarda. Evidentemente non ti ho colpito abbastanza forte”.

“Getta la pistola. Ora”.

Il Segugio ci pensò per un attimo e poi, decisamente infastidito, lanciò l’oggetto lontano.

“Ehy, amico”, gli chiese quindi, con le zampe in aria, “Com’è che sei da solo? Dove sono i tuoi amichetti in divisa?”.

L’altro sorrise: “Eh… e chi me la toglie un’opportunità simile? Perché dividere il successo quando posso catturare o uccidere Grey Hound, il ‘Traditore di Counterlot’, tutto da solo? Sai no? Promozione assicurata”.

“Fantastico. La tua morale è inattaccabile”.

“Oh, per piacere, razza di ipocrita! Chi è che ha passato anni della propria vita a catturare e far fuori centinaia di pony, solamente perché qualche superiore gli puntava la zampa contro, eh?”.

“Io lo facevo per un ideale. Per la giustizia”.

“Cosa? Ma credi alle stronzate che dici? Giustizia? Dimmi un po’, Grey Hound”, lo istigò, “ti sei mai domandato davvero chi fossero i tizi che gettavi al fresco? Ti sei mai fatto due domande sulla vita o sul passato di coloro che hai freddato con una pallottola?”.

L’ex agente abbassò lo sguardo e non rispose.

“Me lo immaginavo”, continuò, “Sei farcito di belle chiacchiere e poco altro. Certo che sei proprio stupido, oltretutto: ti abbiamo dato la possibilità di congedarti con un minimo di onore e dignità. Potevi eclissarti come una leggenda. E invece? Invece sei tornato qui, solo per farti ammazzare o catturare come un criminale”.

“Cosa ne sai tu di me, feccia? Di me conosci solo il nome e le dicerie da caserma”.

“Niente affatto, amico… So molto di più…”.

La fronte di Hound si corrugò: “Cosa vorresti dire?”.

“Hai accennato ad una ‘prassi da forzatura’, vero?”.

“Sì…”.

“Beh… io c’ero quando la prassi è stata messa in atto”, ammise, con un sorriso sardonico.

“Messa… messa in atto?”.

“Ma allora sei realmente uno stupido! Non ci arrivi? Pensaci un attimo… Il Governo Celeste individua uno degli unicorni più promettenti in Equestria, gli fa una proposta di lavoro e questo rifiuta”.

Grey continuò ad ascoltarlo, macinando lentamente le sue parole.

“Come poteva farsi scappare un’occasione simile? Come poteva farsi scappare un potenziale Agente del tuo calibro? Semplice. Motivandolo! Dandogli uno scopo, una direzione, un canale dove riversare le sua capacità”.

“Cosa… cosa stai blaterando?”, chiese, realmente spiazzato, mentre un dubbio terrificante iniziava ad insinuarsi nel petto.

“Prontooo?? Non ti ricordi? I due tizi… tua moglie... Possibile che ti sia sembrato tutto così… normale? Cioè: rientri a casa e scopri una coppia di ladruncoli, completamente terrorizzati, di fronte al cadavere di tua moglie… Noti niente di strano? Non hai rivolto loro alcuna domanda, vero? Sennò, magari, ti saresti accorto che nessuno dei due si ricordava la benché minima cosa di quanto era successo…”.

“Stai… stai dicendo…”.

“La ‘prassi da forzatura’ è un’operazione congegnata per motivare qualcuno… per dargli la spinta… Cosa serve per metterla in atto? Ben poco… Qualche informazione, due barboni qualsiasi, un incantesimo mnemonico per cancellar loro gli ultimi ricordi e… qualcuno che facesse fuori la tua puledra”.

    Gli occhi del segugio si spalancarono. Le sue zampe tremarono e lo costrinsero ginocchia a terra. I suoi dubbi si rivelarono realtà.

“Guardati! Sei ridicolo!”, lo schernì.

“Tutto… tutto questo…”, rispose l’unicorno, con una morsa al petto, quasi in iperventilazione, “Tutto questo… per… per…”.

“Sì, tutto questo per far nascere il Segugio di Counterlot. Tutto questo per dargli un nemico da combattere: i criminali che, per tanto tempo, sono stati la spina nel fianco del Governo”.

“Mia moglie…”, biascicò, “Due innocenti… tutto questo… Mi avete ingannato… Per anni ho svolto il mio operato nella rabbia e nel rancore, combattendo coloro che voi mi indicavate come criminali… Ogni volta che andavo a prenderli… io rivivevo quel momento… quell’apprensione… quel dolore… e… così riversavo la mia furia contro di loro…”.

“Ohh… finalmente ci siamo…”, concluse ironicamente.

“Come… come avete potuto?...”, chiese, sull’orlo del pianto.

“Incredibile… Mai avrei pensato di vedere il Segugio in lacrime… Sei davvero patetico. Comunque non è stato difficile. E’ bastato pagare i sicari giusti, affinché mettessero a soqquadro la tua stanza e assassinassero tua moglie”.

L’altro non disse nulla e si limitò a fissare il pavimento.

“Ora però… siamo al capolinea, Hound”, concluse, puntandogli la pistola contro la criniera, “La tua avventura finisce qui. Vieni con me o fatti ammazzare. Poco m’importa. In un modo o nell’altro… avrò la mia promozione”.


    Il Segugio rivisse ogni secondo, ogni istante della macabra scoperta: quando trovò Coraline distesa sul pavimento, priva di vita. Si ricordò degli sguardi terrorizzati dei due “finti” ladruncoli e, sotto un’altra luce, percepì il terrore e la sincerità nei loro occhi… ma allora era troppo disperato e infuriato per potersene accorgere. Con il senno di poi: si era trattato tutto di un grosso, grossissimo errore. La sua vita era stata una menzogna. Le sue gesta manipolate. La sua figura… una farsa.

Sentì l’apprensione crescere e il dolore si fece insopportabile. Quando fu sul punto di crollare, si ricordò di come era riuscito, ai tempi, a divenire il Segugio di Counterlot: canalizzando la rabbia verso gli altri. Forse, anche per quella volta, anche se contro coloro per cui un tempo lavorava, avrebbe nuovamente funzionato.

    “Alzati, pagliaccio”, lo minacciò l’Agente, riportandolo alla realtà.

Grey chiuse le palpebre e poi le riaprì, fulminandolo con uno sguardo terrificante.

“Ehy… un solo gesto avventato e…”, ma non riuscì a finire la frase.

Come una saetta, l’unicorno gli afferrò la zampa: partirono dei colpi, che però finirono dritti al soffitto. Il faccendiere occhialuto emise uno urlo e si tuffò dietro la scrivania.

Con la levitazione, l’arma di Hound tornò nella zampa del legittimo proprietario, pronta a sputare piombo.

“A-aspetta! Un attimo, lascia che…”.

“Taci”, e premette il grilletto così rapidamente da scaricare tutto il tamburo in poco più di un secondo.

Il Segugio era tornato.


    Lo stallone si sentiva come una vasca che era appena stata svuotata e riempita di rabbia allo stato liquido. Non riusciva a pensare chiaramente: l’odio era troppo forte e spingeva l’adrenalina come un compressore, in tutto il corpo. In quel momento gli importava una cosa sola: uscire di lì e riorganizzarsi, per sistemare una volta per tutte la VERA corruzione che aleggiava in Equestria.

    Salì lentamente le scale, comparendo d’innanzi ad una dozzina di Agenti armati, pronti a far fuoco. Dalle retrovie si fece strada un unicorno imperioso, dal manto scuro come la notte: indossava una divisa da alto ufficiale e portava un paio di baffi alla texana.

“Black Hammer…”, dichiarò Hound, a denti stretti, riconoscendo il compagno d’accademia.

“Grey Hound”, rispose l’altro, con nonchalance, “Non mi sarei mai aspettato di trovarti qui”.

I due si osservarono e gli altri pony rimasero in attesa di ordini, pistole puntate.

“Black… voglio una risposta sincera da te… Siamo stati compagni di addestramento e ci siamo salvati il culo a vicenda parecchie volte…”.

“In realtà te l’ho salvato più volte io”.

“Tu… Tu sapevi cosa c’era in quegli archivi?”.

“A cosa ti riferisci?”.

“Parlo di questo”, rispose l’altro, estraendo il fascicolo sul suo passato.

“Sarebbe?”.

“Parla della ‘prassi da forzatura’”.

Il volto dello stallone nero si incupì leggermente: “Oh… quello. Quindi ora sai tutto, immagino?”.

Grey chiuse gli occhi: “Dunque… lo sapevi”.

“Sì”.

“Lo sai adesso e lo sapevi anche allora”.

“Sapevo che avrebbero applicato la prassi ad un unicorno. Ai tempi, tuttavia, non avrei mai potuto dire che saresti stato tu”.

Il cuore, nel petto del Segugio, ebbe un ennesimo sussulto. Tutti. Tutti erano corrotti, persino il suo collega di lavoro, che una volta stimava.

“Io o un altro… Che differenza avrebbe fatto, Black? Come sei riuscito a rimanere indifferente d’innanzi ad una crudeltà simile? Pensavo che avessi un briciolo di coscienza...”.

Ma l’ex collega gli rispose con la frase che Hound aveva sentito dire mille volte dai criminali che, fino a qualche settimana fa, erano stati il suo unico obiettivo: “Sai… alla fine è solo una questione di affari…”.

“Affari?”, sbottò, “Affari?? Tre innocenti uccisi e la mia vita sotto metri di menzogne li ritieni affari??”.

“Ascolta, Grey. Sei andato troppo oltre. Fermati ora. Non costringermi a farcirti di piombo”.

“Hai idea di cosa significhi tutto quello che è successo??”.

“Te lo dico un’ultima volta. Arrenditi e finiamo la faccenda”.

“Oh sì, hai ragione”, gli disse, illuminando il corno e spedendo in aria il capello, “La faccenda si concluderà questa notte”.

    Hammer, vedendo che l’altro non avrebbe desistito, diede l’ordine di aprire il fuoco. I sottoposti ubbidirono. Un’impressionante aura, rossa di rabbia, si originò dal Segugio ed i colpi si bloccarono a mezz’aria, come se avessero impattato contro un denso muro di liquido.

La magia di Hound era al suo culmine, catalizzata dall’odio che provava. Gli altri rimasero bocca aperta: quasi un centinaio di pallottole, ancora roteanti, era sospeso da terra. Seppur ottenebrato dalle emozioni, l’unicorno ebbe lucidità a sufficienza da risparmiare le vite dei cadetti: troppo giovani, troppo inesperti per essere caduti anche loro nella trappola del Governo. Non meritavano la morte.

L’aura esplose, rispedendo i colpi ai mittenti, con intensità inferiore: il piombo li mise al tappeto come una pioggia di grandine. Quadri, vasi, risme di foglie e altri oggetti vennero sventrati in mille pezzi. I pony si piegarono sui propri corpi: doloranti, incapacitati, ma vivi.

Solo Black non fece una piega, proteggendosi con un semplice controincantesimo.

“Ti sei rammolito, sai? Una volta non avresti risparmiato le loro vite”, concluse.

“Fatti da parte o mi farò strada personalmente”, gli intimò l’altro.

“Non credo proprio”.

Hammer si teletrasportò, in un istante, di fronte allo stallone e lo colpì con un’onda d’urto così violenta da spedirlo contro il muro in fondo al corridoio, non molto lontano dal pony a cui aveva vuotato addosso l’arma, giusto qualche attimo prima. La botta alla schiena fu violentissima e il Segugio sentì alcuni punti della ferita lacerarsi. Emise un verso di dolore e cadde a terra.

“Vedi cosa succede a voler strafare, Hound?”, dichiarò, sollevando magicamente un’asta reggi bandiera. L’oggetto prese ad acquisire potere magico, pronto ad essere scagliato a folle velocità, come un giavellotto.

L’altro si strinse il ventre e tossì parecchie volte, cercando di rialzarsi, con zampe tremanti.

“Hammer, io me ne andrò, in un modo o nell’altro”, biascicò.

“Non posso lasciartelo fare, Hound: non riuscirai a mettere zoccolo fuori di qui, lo sai bene”.

Il volto di Grey si dipinse con un sorriso accennato: “Allora sei un cadavere che cammina e ancora non lo sai”.

“Non avrei mai voluto farlo… ma le tue spacconate mi hanno stufato”, e, con quelle parole, scagliò l’asta verso il bersaglio. Lo stallone venne trafitto al petto e inchiodato al muro. La testa gli cascò mollemente di lato, priva di vita.

“Questa faccenda stava durando fin troppo”, ammise Hammer.

Ma qualcosa non andava. La fronte dell’unicorno nero si corrugò. Il corpo di Hound prese a tremolare e il velo d’illusione svanì, rivelando, al suo posto, il corpo dell’Agente ucciso nell’archivio.

Una fredda canna di metallo premette contro la criniera di Black, che assunse un’espressione amareggiata.

“Sei una spanna sopra a tutti, Hound. Ti ho sempre invidiato, per questo”, sussurrò.

“Te l’avevo detto. Sei un cadavere che cammina. E i cadaveri non possono provare invidia per nessuno”.

Premette il grilletto.


*** ***** ***


    L’ultima pallottola venne estratta, tintinnando rumorosamente nel piattino sporco di sangue. Twilight si asciugò la fronte dal sudore, posò le pinze e si tolse i guanti.

“Va… va tutto bene?”, chiese Applejack, preoccupata.

“E con questa… sono quattro. Non ho mai visto un pony incassare così tante pallottole e manco cadere a terra”.

L’altra sorrise dal sollievo: “E’ fuori pericolo?”.

Big Macintosh era disteso su un lettino, con la faccia da ebete. Fece dondolare un po’ la testa e poi si rivolse alla sorella: “Uuhhh… Quanti boccali di sidro ci vogliono per navigare da Coltago fino a Manehattan?...”.

“Ma che sta dicendo?”.

L’unicorno alzò le spalle: “E’ imbottito di sedativo”.

“Quanto gliene hai messo?”.

“Tre siringate”.

“Sono sufficienti?”.

“Di solito, con una siringa, addormento una vacca in travaglio per ventiquattro ore. Con lui ne sono servite di più, a quanto pare… Sennò mi avrebbe spezzato le braccia nel tentativo di estrargli i proiettili”.

“Queshto shì che è mio nipote! Casso!”, berciò Granny Smith, battendo uno zoccolo sul tavolo.

“Maaac!”, urlò Applebloom, sfuggendo dalla presa di Fluttershy e trottando preoccupata verso il letto.

“Appleblooooom!”, piagnucolò il fratello, stritolandola in un abbraccio.

“Aawww!”, esordì Applejack, “Come sono carini! Non è che puoi siringarlo un altro po’? Non l’ho mai visto così tenerello…”.

“Ehy, ragazza, io queste robe le pago! E anche care! Non è che vado in giro a regalare siringhe di gioia e felicità…”.

“Bubibubi bubulò!”, farfugliò Macintosh, completamente rintronato dagli antidolorifici.

“E’ fuori come un balcone”, bisbigliò Fluttershy, controllando le condizioni del pony.

“Tu stai bene, tra l’altro?”, le chiese Applejack.

“Oh, sì… io… sto bene. Mi spiace non essere riuscita a volare via… Se non fosse stato per me… Macintosh non sarebbe in questo stato…”, concluse, abbassando lo sguardo.

“Tranquilla, dolcezza”, la rassicurò l’altra, “Alla fine tutto si è risolto per il meglio”.

“Sai Faffershy…”, bofonchiò quindi lo stallone, con una palpebra socchiusa, “Secondo me… sei il pony più carino che ci sia in giro per Ponymood…”.

Il pegaso arrossì di colpo e si ritrasse, arrotolandosi nervosamente la criniera tra le zampe.

Twilight rivolse sguardi perplessi ai presenti: “Ehm… ooookay. Basta con i sedativi, per oggi, va bene?”.


    Il gruppetto, attraverso la finestra della tenuta, vide una coppia di fari baluginare nella notte.

“Chi è, adesso?”, si domandò Applejack, spostando lo sguardo sul fucile.

“Tranquilla. E’ Spike”, rispose Sparkle.

La macchina frenò sulla ghiaia: si udirono alcune portiere sbattere e, dall’uscio della casa, fecero capolino il drago viola, Pinkie e Dash.

“…Eppure ti dico che gli spazzini conquisteranno Equestria con le banane!”, disse il pony rosa, rivolgendosi a Rainbow.

“Con le banane?”, berciò l’amica, “Pinkie… Secondo me, ultimamente, stai bevendo un po’ troppo…”.

“Il terzo boccale ha lo sconto del cinquanta per cento!”.

“L’ultima volta ti ho vista bere direttamente dalla canna del barile…”.

“Uhh…”, rispose impreparata, “Stavo… Stavo controllando la pressione del sidro”.

“Meno male che siamo arrivati”, sospirò Spike, passandosi una zampa sul viso.

“Cavoli, Mac!”, disse il pegaso blu, “Sei proprio messo male!”.

“Ohh! Poverino!”, aggiunse Pinkie.

“A-aiuto!”, sussurrò Applebloom, non riuscendo più a sottrarsi dalla presa del fratello.

“Sorellina tutta mia!”, disse il bestione, stritolandola un altro po’.

Il drago assunse un’espressione di perplessità: “Ehm… Abbiamo interrotto qualcosa, forse?”.

“Anch’io! Anch’io voglio un abbraccio spezza ossa!!”, esultò Pinkie Pie, tuffandosi verso il lettino. Macintosh allargò le zampe e schiacciò entrambi i pony contro il petto, sorridendo come un demente.

“Scusa per l’attesa, Dash”, affermò l’unicorno viola, “Non sono riuscita a farti uscire prima… Abbiamo avuto questo contrattempo”.

“Tranquilla, ragazza, capisco benissimo”, la rassicurò.

“Com’è stare in gabbia, passerotto?”, chiese Applejack, con un sorriso provocatorio. Il pegaso le rispose con un’occhiataccia.

“Grazie al cielo stai bene!”, esordì Fluttershy, abbracciandola, “Non ti ho più vista da quella notte!”.

“Ehm… Sì, sto bene, grazie…”, disse imbarazzata.

Spike sgranò gli occhi. Tutti che si abbracciavano amorevolmente.

“Uè!”, esclamò, “Cos’è? La sagra dell’affetto?? Anche io voglio la mia dose! Dov’è… uh… Dov’è Rarity??”.

“Dovrebbe arrivare tra poco…”, rispose Twilight.

“Ah!”, esclamò il draghetto, fregandosi le zampe.

“…Con un ospite… particolare”, continuò l’altra.

L’assistente divenne irrequieto: “In che senso… un ospite particolare?”.

“Quando lo vedrete… capirete. E non saltate a conclusioni affrettate… C’è qualcosa sotto… qualcosa di molto importante che dovranno dirci”.

“Non sarà mica quel buffone??”, berciò Spike.

Nessuno capì di cosa stessero parlando esattamente i due ma, come sempre, la risposta ai loro quesiti non si fece attendere.


    Una seconda auto posteggiò nel cortile del caseggiato. Ruote gommate scricchiolarono sul pietrisco. Quando la porta d’ingresso si aprì, quasi tutti trasalirono. Grey Hound, con il cappotto bruciacchiato e farcito di buchi, fece il suo ingresso, a fianco di Rarity. Il draghetto li osservò con sguardo maligno.

“Grey Hound?!”, proruppe Applejack.

“Tu??”, chiese Rainbow Dash.

“Oh…”, bisbigliò Fluttershy.

“Banane!”, concluse Pinkie Pie.

“Uhm… Ci siete proprio tutte…”, eslcamò l’altro, accendendosi una sigaretta spiegazzata.

“Ma… ma… Ma che diavolo… Sei ancora vivo!”, disse la proprietaria di casa.

“Il tuo spirito di osservazione è sorprendente, per essere una zoticona di campagna”.

“Ma!!... Caro… suvvia…”, lo ammonì l’unicorno bianco.

“Come… ‘caro’??”, sussurrò Spike, abbassando le orecchie.

“Uff… scusa bambola… Sono ancora un po’… incaz… alterato”.

“Bravo orsacchiotto!”.

“Orsacchiotto??”, ripeté il piccoletto viola.

“Ok, ok… E’ tutto a posto, mi sembra, no?”, intervenne Dash, “Insomma… Dei sicari attaccano la tenuta Apple, Rarity si presenta con un Agente Celeste resuscitato e le banane vogliono conquistarci. Forse sono l’unico pony ancora un po’ sano di mente, nel raggio di chilometri?”.

“Banane?...”, chiese Rarity, aggrottando un sopracciglio.

“Le banane sono nemici formidabili!”, rispose Pinkie, serissima.

“Zitti tutti!!”, urlò Applejack, “Non me ne frega niente delle vostre chiacchiere da ubriaconi… Tu lavori per gli stessi bastardi che hanno emesso il Decreto Celeste, costringendo noi tutti a comportarci da criminali, pur di mantenere viva l’attività!”.

“Non lavoro più per il Governo, se questo ti può interessare…”.

“Ah beh, allora questo cambia tutto!”, ironizzò, “Tutto quello che abbiamo passato a causa dei pagliacci come te, sarà perdonato, visto che ora non lavori più per loro!”.

“Ehy, ragazza, non ho detto questo”, esordì, con tono spazientito.

“Greeey…”, lo richiamò Rarity.

“Hai idea del casino che avete fatto? Delle guerre intestine tra clan che avete scatenato?? Avete la più pallida idea del numero di morti che avete sulle spalle, forse??”.

“Io… io, sì… Me ne rendo conto… e…”.

“Aspetta, dolcezza!”, intervenne la compagna, “Grey è stato ingannato! Il suo… il suo passato parla per lui… Davvero, credimi… Lui non…”.

“Tranquilla, pupa…”, la interruppe, facendosi avanti, “Non è il caso. La tua amica ha ragione. Non basta pentirsi… redimersi… per ottenere il perdono”.

Lo stallone si portò d’innanzi al pony arancione e si tolse il cappello.

“Se vuoi darmi una ripassata… ne hai tutto il diritto”.

Applejack cercò di trattenersi ma poi, a denti stretti, mollò un manrovescio verso il Segugio, che incassò virilmente.

“Ok, ragazza”, disse quindi, “Ora direi che…”, ma non riuscì a terminare la frase, poiché un altro cazzotto della puledra, questa volta molto più poderoso, lo colpì in pieno muso, cogliendolo impreparato. Hound cadde all’indietro.

“Ehy!! Non me lo rovinare troppo!”, strillò Rarity, aiutandolo a rialzarsi.

“No… no, è tutto a posto, pupa… Me lo merito…”.

“Ti meriteresti ben altro, schifoso bastardo!”, le disse l’altra, sventolando lo zoccolo a mezz’aria, vagamente dolorante.

“Anch’io! Anch’io voglio fare a botte!”, si intromise Pinkie, impossibilitata dal muoversi.

Hound si rimise il cappello in testa.

“Allora… si può sapere che cosa ci fai qui?”, chiese Applejack.

L’altro tirò fuori il fascicolo e lo buttò sul tavolo, accanto a Granny Smith.

“Questo documento riporta alcuni fatti… sconcertanti… a riguardo della condotta del Governo Celeste”.

“Ah. E a noi cosa dovrebbe fregarcene?”.

“Ve la farò breve, signore: il Governo mi ha ingannato. Ha assoldato un gruppo di sicari per ammazzare mia moglie, facendo ricadere la colpa su pony innocenti. Sono stato stupidamente ingannato e… usato… come un netturbino usa la scopa per spazzare le bucce di banane per la strada…”.

“Lo sapevo…”, sibilò Pinkie, con sguardo indagatore.

Rarity prese lo stallone a braccetto.

Spike non riuscì più a reggere il fastidio e, abbassando lo sguardo, si congedò rapidamente all’esterno.

“S-scusate. Ho… ho dimenticato i sigari in macchina”, farfugliò, chiudendo la porta dietro di sé.

“Quel documento riporta tutto, nero su bianco”, continuò il Segugio.

Ci fu una lunga pausa.

Applejack diede una rapida occhiata alle pagine e poi, con una certa melanconia, disse: “Grey, sembra davvero una storia triste, te ne rendo atto. Ma se pensi che ti perdoneremo solo perché…”.

L’altro si affrettò ad interromperla: “Aspetta, ragazza, io non voglio alcun tipo di perdono da parte vostra. Io voglio… io voglio vendetta”.

“Come?”.

Gli occhi di Hound si chiusero. Quando le palpebre si riaprirono, molto lentamente, la sua espressione era serissima e la voce estremamente profonda: “Io voglio farla pagare ai bastardi che hanno fatto questo a me… a mia moglie… e a tutti gli innocenti cui ho rivolto una pistola”.

“Aspetta, amico”, buttò lì Dash, “Vuoi farla pagare a chi, esattamente?”.

“A tutti”, affermò con decisione, “Agenti, funzionari, tutti quanti. Voglio vedere Counterlot ridotta ad un cumulo di macerie”.

Rainbow rise di gusto, facendosi improvvisamente seria quando capì che l’altro non stava affatto scherzando.

“Voglio vedere Celestia strisciare ai miei zoccoli… Voglio riscattare il mio passato e farla pagare a tutti coloro che hanno contribuito a questa follia”.

“Sa, signor Hound”, disse timidamente Fluttershy, “Io… io ho perso un pony a me caro e la… riabilitazione… mi ha fatto capire che non si ottiene nulla affrontando l’odio con altro odio…”.

Lo stallone la scrutò attentamente e, dopo aver emesso una nuvola di fumo di sigaretta, dichiarò: “Mi ricordo di te. Tu sei la tizia che ha salvato la ciospa blu, fuori dallo zeppelin. Non mi sembravi così docile, in quel frangente…”.

“Ciospa blu a chi??”, ruggì Dash.

“Oh… ecco… Il fatto è che… Che in quel momento…”, balbettò.

“In quel momento”, continuò Grey, “eri incazzata come una iena, vero? Avevi qualcosa o qualcuno per cui valesse la pena farsi ammazzare, vero?”.

Il pegaso giallo si limitò ad abbassare lo sguardo.

“Bene, allora sai di cosa sto parlando. So benissimo che uccidere quei tizi non mi ridarà mia moglie, non mi farà star meglio, non mi donerà la spensieratezza di un tempo. Il fatto è che…”, concluse, con un sorriso da matto, “Non me ne frega niente… Voglio solo vederli morire…”.

Pinkie riconobbe quell’espressione: “Sìì!! Cupcakes in compagnia!! Io sto con il pony-zombie tornato dall’oltretomba! Voglio andare a Counterlot!”.

“Vendetta, eh, Grey Hound?”, chiese Applejack, “Qui sappiamo tutti, chi più e chi meno, cosa significhi quella parola. Ma, siamo seri, vuoi davvero attaccare la città-fortezza? Questa non è vendetta. E’ follia allo stato grezzo”.

“La mia è follia?”, ribatté, “E la vostra cos’è stata? Vi siete introdotti abusivamente su uno zeppelin e avete schiacciato una coppia di criminali incalliti in meno di un paio d’ore. Pensate che questa volta sia molto diverso?”.

“E’ stato un azzardo! Ma non stiamo più parlando di qualche dozzina di idioti armati di lupara. Questa volta parliamo di una città farcita di pony addestrati alla guerra contro il crimine e non solo. Senza contare che, recentemente, abbiamo i nostri grattacapi con un nuovo concorrente in città…”, puntualizzò, spostando lo sguardo su Mac.

“Concorrente?”, chiese l’ex agente.

“Sì. Un nuovo gruppo di criminali, capeggiati da una tizia dal manto grigio”, intervenne Dash, con il ricordo ancora bruciante.

“Manto grigio?...”, ripeté l’altro, pensieroso, “Qualche altro segno distintivo?”.

“Occhi viola. Sguardo inespressivo”.

“Sul fianco ha tatuata una chiave di violino?”.

“Non lo so… era buio …”.

“Io mi ricordo!”, strillò il pony rosa, parlando a mitraglia “Manto grigio, occhi viola, criniera nera, cappello scuro, tatuaggio a chiave di violino sul fianco sinistro e… banane!”.

“Uhm… Octavia…”, decretò infine.

“La conosci?”, chiese Twilight.

“Dalla descrizione sembra Octavia, uno dei sicari più pericolosi a cui davo la caccia ultimamente”.

“Questo è interessante…”, sussurrò Applejack, “Sai per chi lavora, quindi”.

“Forse… e la cosa mi riempie la testa di nuove idee…”.

“Sì, però frena: da come parli ho l’impressione che siamo amiconi e che tu voglia trascinarci in qualche folle impresa dagli scopi personali”.

“Oh no, ti sbagli”, ripose, spegnendo il mozzicone in un posacenere, “Fosse per me, neanche sarei qui. Ma ti faccio notare che sbarazzarci del Governo gioverebbe a tutti, anche alla tua attività”.

“Balle. I nostri problemi sono rivolti a quelli che vogliono farci le scarpe: Octavia o come si chiama, per capirci”.

“Mhh… Vedo che non hai un quadro d’insieme”.

“Cioè?”, chiese dubbiosa.

“Cioè: perché avete rogne con altri sicari? Perché il Governo Celeste ha emesso un’ordinanza di divieto sulla vendita degli alcolici e l’uso della magia, no? Se non fosse per quello, la vostra attività sarebbe perfettamente legale, e non avreste pony armati come concorrenza”.

“La concorrenza ci sarà sempre”.

“Il vostro peggior concorrente è proprio il Governo, perché gioca sporco. Ha emesso il Decreto per seminar zizzania tra i criminali, per trovare un nemico comune pronto ad annientarsi da solo, in lotte intestine. Ha solo attuato un repulisti alle spalle degli innocenti. E ne uscirà vittorioso. E’ matematico”, concluse.


    I presenti iniziarono a discutere debolmente tra loro: Hound non aveva tutti i torti. Se c’era qualcuno da incolpare davvero, per tutto quello che era successo, era proprio il Governo Celeste.

“Discutiamone pure fino a domani!”, disse Rainbow Dash, “Tanto non c’è verso di fare anche solo un metro oltre le mura della città, senza che ci trasformino in concime per i fiori!”.

“Bashtardi! I miei gerani…”, mugugnò Granny Smith, osservando i cocci infranti, ancora sul pavimento.

“Già. Il bel faccino di Rarity non basterà a farci imbucare, questa volta”, ammise Applejack.

“E’ per questo che stavo pensando ad Octavia e a… Discord”, affermò il Segugio.

“Spiegati meglio… e chi sarebbe Discord?”, domandò Twilight.

Lo stallone, senza tanti complimenti, iniziò a perquisire i mobili, fino a trovare una bottiglia di Whisky mezza vuota: la portò magicamente al tavolo, si sedette e ne trangugiò avidamente una boccata. Scosse ripetutamente il capo, facendo vibrare le guance.

“Se le cose sono rimaste come un tempo”, riprese, “allora Octavia lavora per un certo Discord: un pezzo grosso arrivato oltremare”.

“Come fai a saperlo?”, chiese Dash.

Hound bevve un altro sorso: “E’ semplice: eravamo sulle sua tracce. Abbiamo studiato il caso. Ero pur sempre il Segugio di Counterlot, no?”.

“Vacci piano, patato”, suggerì Rarity, abbassandogli la zampa che reggeva la bottiglia.

Applejack si tolse il cappello, grattandosi il capo: “E cosa centrano quei due con questa faccenda?”.

L’altro la fissò con sguardo intenso: “Da come ho capito… Voi avete un grosso problema con questa… nuova concorrenza, giusto?”.

“Sì…”.

“Allora abbiamo tutti un motivo per sbarazzarci del Governo. A me ha ammazzato la moglie e rovinato la vita. A voi ha quasi mandato in malora le vostre attività. E Discord… beh, questo è ancora da verificare”.

“Aspetta… intendi che…”, farfugliò Applejack.

“Io dico di andare a fare una visita ai vostri concorrenti e mettere in chiaro la situazione, rischiando il tutto per tutto”.

“E’ una follia. Anzi: una gran cazzata!”, sbottò Dash, a zampe conserte.

“Io non odio il governo…”, sussurrò Fluttershy.

“Ehy, canarino giallo”, l’apostrofò Hound, “Ti è morto un soldato in azione, giusto? Chi credi che abbia aperto le danze alla Guerra Equestre, se non il Governo?”.

    Applejack osservò il fratello: si era appisolato assieme ad Applebloom. I due, stretti sotto le coperte, dormivano pesantemente.

“Per poco non ci hanno ammazzati. L’ultima cosa che vorrei è parlar loro. Inoltre… non credo potremo andare armati”.

“Ne dubito”, ammise l’altro, “E non voglio certo fare false promesse. Ma, in un modo o nell’altro, credi che si fermeranno? Tuo fratello ha perso qualche litro di sangue, il pennuto blu si è sorbito una collana troppo stretta al collo, senza contare che il locale della mia pupa, da quanto mi ha detto, necessita di una risistemata”.

“Quei villani!”, aggiunse Rarity, con aria di superiorità.

“Già…”, sussurrò il pony arancione, con lo sguardo fisso sul fratello e la sorellina, “Se ci colpissero ora… Non so… non so come potremmo…”.

“Prima la famiglia”, brontolò la vecchia, riprendendo ad oscillare mollemente sul dondolo, “Prima pensa alla famiglia…”.

Applejack si dimostrò titubante: non sapeva cosa fare.

Alla fine cedette: “D’accordo, Hound... Proviamo a parlare a quei figli di buonadonna”.


    Il gruppo iniziò a discutere pacificamente e l’atmosfera si fece più rilassata.

Twilight, approfittando del momento di calma, uscì nel cortile, per cercare Spike.

La notte, nella periferia, era nera come la pece ma permetteva altresì di bearsi del cielo stellato, come mai si sarebbe scorto stando in città. Il frinire dei grilli dominava su ogni centimetro del luogo.

Il draghetto era seduto su un ciocco di legno, con le zampe strette al grembo, osservando un punto indefinito sul terreno. Ai suoi piedi si trovava una manciata di sigari calpestati.

Sparkle gli si avvicinò cautamente.

“Ehy, Spike…”, esclamò. L’altro, molto rapidamente, si passò il dorso della mano sotto gli occhi e cercò di ricomporsi.

“Oh!... Ehm… T-Twilight…”.

L’amica assunse un’espressione dispiaciuta: “Va tutto bene?...”:

“Ma certo che va bene”, mentì, “Cosa… cosa non dovrebbe andar bene?”.

L’altra non rispose e si limitò a sedersi al suo fianco, alzando lo sguardo al cielo e riabbassandolo poco dopo.

“E quei sigari?...”.

“Sigari?”, domandò l’altro, ricordandosi, subito dopo, la fine che avevano fatto, “Ah! Ecco… ecco dov’erano finiti…”. Si allungò e ne afferrò una manciata.

“Spike…”.

“Che c’è?”.

“Mi… mi dispiace…”.

Il drago cercò di sviare il discorso: “Per cosa? Per i sigari? Ah ma ne ho a dozzine, a casa! In effetti, ora che ci penso, ho ancora quel Cohiba da parte che…”.

“Ok, non ne vuoi parlare… Vuoi stare un po’ da solo?”.

Spike si incupì: “No… anzi… sono sempre d-disposto… a parlare… di sigari…”, rispose, ruotando lentamente la testa verso le finestre del caseggiato. Attraverso una di esse, illuminata dall’interno, scorse la coppia di unicorni: Hound era coricato sul divano, con una zampa attorno al collo di Rarity, che chiacchierava amabilmente con i presenti.

Il piccoletto sospirò: “Cosa… cos’ha lui in più di me?”.

Twilight si passò nervosamente una zampa dietro al collo: “Ehm… Beh, innanzitutto è uno stallone…”.

“Non ha nemmeno i baffi…”.

“Tecnicamente quella è una ‘barba da cinque del pomeriggio’ e contempla un accenno di baffi che…”. L’amico si morse un labbro. “Oh… scusami, Spike…”.

“Certo che non ci posso credere”, aggiunse innervosito, “Ho passato quasi due anni a starle dietro come un cagnolino… a donarle i gioielli che mi sarei potuto mangiare con due spaghetti… Ed ora? Che stronza…”.

“Spike!!”.

“Beh?”, sbottò, alzando le zampe, “E’ quello che penso, va bene?? E’ una… è una stronza…”.

“Non lo pensi davvero. E poi al cuore non si comanda. Non ha senso avanzare pretese”.

“Ma davvero? Come ti sentiresti ad aver fatto la corte per anni ad una puledra che poi va con il primo stallone che passa?? Cos’ha fatto lui per meritarsi… per meritarsi Rarity?”.

“Spike…”.

“Niente! Non ha fatto niente! Si è limitato a tracannare una bottiglia e fare irruzione nella nostra casa! Poi si sono incontrati e… paf!”, esclamò, colpendosi i palmi delle mani.

“Ma è così che funziona… E’ una questione di chimica e neurorecettori. Non c’è una logica”.

“Bella scusa del cazzo…”, brontolò, incrociando le braccia.

“Che vuoi che ti dica? Vuoi bene a Rarity?”, gli domandò, poggiandogli uno zoccolo sulla spalla.

“Io… sì”, rispose tristemente.

“Allora vuoi che sia felice, no?”.

“Ah no! So dove vuoi arrivare! Non me ne frega niente di vederla felice tra le zampe di un altro… Io… io voglio vederla felice tra le mie zampe… Voglio essere io a renderla felice… Non quel… Gnèi Ound”, disse, ponendo particolare enfasi sul nome storpiato, anche attraverso una smorfia facciale, “Quello stupido pallone gonfiato… Prima fa i porci suoi comodi… Ci smantella il laboratorio… poi torna, avanza pretese e si vuole pure trombare la mia puledra…”.

“Oh, tranquillo, lo hanno già f…”, le rispose l’amica, accorgendosi troppo tardi dell’errore, “Ehm… cioè…”.

Il cuore del draghetto si arricchì di ulteriori crepe: “Ah. Bene. Perfetto. Forse dovrei imitare lo scimmione, non credi? Forse dovrei iniziare ad andare in giro con un impermeabile, farmi crescere la barba, che noi draghi non abbiamo, e tracannare alcol come un barbone. Forse, così, Miss ‘Mi-faccio-palpeggiare-da-un-cretino’ potrebbe degnarmi d’attenzione, no?”, blaterò ironicamente.

“Calmati, Spike”.

“No! Al diavolo!”, urlò, balzando improvvisamente in piedi, “Al diavolo Hound! Al diavolo Rarity! E al diavolo quel gruppo di mafiosi che c’è lì dentro!”. Fece per allontanarsi, infilando le mani in tasca.

“Ehy! Aspetta! Cosa significa tutto questo?”, chiese preoccupata.

Il draghetto si girò un ultimo istante, gesticolando animatamente: “Significa che ne ho le palle piene, ok?? Ne ho le palle piene di te! Di farti da assistente leccazoccoli da mattino alla sera! Di essere sempre la ruota di scorta! Di sorbirmi le menate di tutti! Sono stufo di avere attorno gente che pensa agli affari propri…”. I suoi occhi si spostarono nuovamente verso la finestra, intravedendo l’unicorno bianco accoccolata al Segugio: “E a me?”, continuò, con occhi lucidi, “Chi ci pensa ai miei, di affari?? Nessuno! Se ne fregano tutti!”.

“Ma… ma non è vero!”, farfugliò Twilight.

L’amico la liquidò con un gesto, quindi riprese a marciare mollemente verso lo sterrato oscuro.

“Dove vai?? Spike! La macchina è qui!”, gli urlò.

“Torno a piedi. E non cercarmi. Non mi troverai alla bottega”.

“Ma sei impazzito di colpo? E poi… poi abbiamo un nuovo colpo da mettere in atto… Se solo ti fossi fermato ad ascoltare!...”.

“Mi tiro fuori, Twilight. Divertitevi senza di me”. Quelle furono le sue ultime parole, prima di scomparire completamente nel buio della notte.

    Dopo qualche istante, Rarity uscì dalla casa, scrutando le tenebre e scorgendo debolmente l’amica.

“Twilight! Cosa ci fai lì al buio? E dov’è il mio Spikuccio? Non l’ho più visto…”, chiese preoccupata.

L’unicorno viola si fece triste: “Spike… Spike è tornato in città”.

“Ma la sua macchina è ancora lì…”.

“Sì. Credo volesse… camminare”.

“Oh! Impossibile! Lui è sempre stato un pelandrone!”.

“Già… Lo è sempre stato…”, affermò sottovoce.
   
 
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