Libri > Stephen King, Varie
Ricorda la storia  |       
Autore: nephylim88    10/04/2013    0 recensioni
Elisabeth Warren è una ragazza che ha appena scoperto di avere una malattia mentale. mentre guida lungo la Extension di Derry, farà un incontro molto particolare...
La storia che ho scritto è ispirata (e per certi aspetti molto simile) a una delle storie del libro "Notte buia, niente stelle". non pretendo assolutamente di eguagliare il maestro Stephen King (a cui scherzosamente mi inchino), ma spero che comunque vi piaccia! Fatemi sapere!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Elisabeth Warren correva con la macchina lungo la Extension, all'altezza dell'aeroporto di Derry. Il suo pick-up sembrava quasi urlare nel silenzio della strada. Il sole rosso del tramonto illuminava l'asfalto davanti e dietro di lei. Fermò la macchina sulla pista ciclabile. Probabilmente si sarebbe presa una multa da record, con tanto di rimozione del veicolo. Ma in quel momento non le importava. Adorava la sua auto, di norma. Appunto, di norma. Ora odiava tutto e tutti. Odiava la sua vita, odiava se stessa. Chiuse a chiave l'auto e si avviò a piedi verso lo slargo dove normalmente si mettevano i venditori con le loro carabattole. Adorava camminare in quella zona. Beh, in generale, adorava guidare per un po', e poi sgranchirsi le gambe prima di rimontare in macchina e tornare a casa dal suo neo-marito. Elisabeth aveva venticinque anni compiuti da tre mesi. Aveva sposato Damian Warren un mese dopo il suo compleanno. Dio, come amava il suo Damian! Ma allora, perché quella sensazione così opprimente al petto? Avrebbe dovuto essere contenta come una pasqua, e invece, giusto due settimane prima, era andata da uno psichiatra perché “si sentiva un po' strana”. E lo psichiatra le aveva diagnosticato una malattia mentale “dovuta probabilmente ad una questione irrisolta”. Bastava scoprire qual era il problema da risolvere e il più era fatto. Già, semplice... come no? Una cosina da nulla! Di una cosa, almeno, era sicura: Damian non c'entrava con la sua “depressione”, come la chiamava lei, anche se continuava a comportarsi come se fosse colpa sua. Elisabeth stava facendo l'impossibile per calmarlo, e fargli capire che il problema era dentro di lei. Lui si calmava per un po', e poi ricominciava a chiederle scusa. Era come un gatto che si mordeva la coda: avevi un bel dire che non doveva morderla, lui comunque continuava.

“Buonasera, signorina!”. Elisabeth si fermò di colpo. Assorta com'era nei suoi pensieri, non si era accorta di essere arrivata allo slargo delle “bancarelle”. A salutarla era stato un uomo di mezz'età, piuttosto tozzo e con l'aria amichevole, seduto sotto ad un ombrellone giallo, dietro ad un tavolino da pic-nic.

“Oh, buonasera! Signora, a proposito! Sono sposata.” chissà come mai, ci teneva sempre a fare questa precisazione. Prima di sposarsi, ci teneva a farsi chiamare signorina. Ora ci teneva a farsi chiamare signora. Paradossalmente, prima di sposarsi la chiamavano signora. Ora che era sposata, ovviamente, signorina.

“Sposata, ed è qui senza il suo bel maritino?” l'uomo sghignazzò. Ed Elisabeth si mise automaticamente sulla difensiva. Non sapeva perché, ma era certa che quell'uomo fosse decisamente pericoloso. Anche se, ed era certa anche di questo, non l'avrebbe aggredita. Non sapeva perché avesse quella certezza, eppure non le veniva in mente di metterla in dubbio neanche per un secondo.

“Mi piace stare un po' per conto mio, a volte.” ammise. Poi allungò la mano “Elisabeth Warren, molto piacere.”

“George Elvid, per servirla.”

Gli occhi di Elisabeth corsero al cartello che stava appoggiato al tavolino da pic-nic del signor Elvid.

“'Le giuste estensioni'?” domandò, incuriosita. Si sedette sulla vecchia sedia malridotta di fronte al tavolino e a quello strano uomo.

“Eh, già.”

“Mi scusi, ma di cosa si tratta, esattamente?”

Elvid fece un movimento strano, quasi a volersi mettere più comodo sulla sedia. Poi incrociò le mani sul tavolo, come se dovesse iniziare una conferenza.

“Diciamola così” disse, con un sorriso che a Elisabeth sembrava più un ghigno “lei è giovane, carina... scommetto che le piace fare shopping!”

Elisabeth annuì vagamente, prima di pigolare qualcosa tipo “sì, ogni tanto...”. In verità era una ragazza molto sobria, da quel punto di vista. Non amava andare per negozi a vedere cosa comprarsi, se andava in un negozio, genericamente sapeva già cosa prendere. Andare a fare compere senza sapere di cosa aveva bisogno la faceva innervosire, il più delle volte non comprava nulla, oppure qualcosa di completamente inutile che la faceva sentire... frustrata! Come un bambino a cui si promette un giocattolo che alla fine non arriva mai.

“Bene, in quel caso, potrei farle un'estensione di credito. Così potrebbe spendere tutti soldi che vuole.”

Elisabeth fece un vago ghigno. “Intende dire che mi regalerebbe soldi?”

Elvid la fissò con evidente disprezzo. “Niente è gratis, a questo mondo, signora. Logicamente chiederei qualcosa in cambio.”

La sensazione di pericolo si acuì. 'Forse perché quest'uomo è un pazzo furioso... chissà se a Juniper Hill manca un paziente?'... fu in quel momento che si accorse di essere sola con quell'uomo. Dove di solito c'erano una decina di bancarelle, si vedeva lo spiazzo deserto. 'Perfetto! Una ragazza di venticinque anni e un tizio da manicomio soli in una zona isolata! Complimenti, Elisabeth! Bel colpo!' pensò istericamente.

“Quindi lei è... un usuraio?”

Elvid la guardò un attimo, sorpreso, poi scoppiò a ridere. Rideva così forte le pancia sussultava, aveva praticamente le convulsioni. E aveva anche le lacrime agli occhi... 'ma sbaglio' si ritrovò a pensare Elisabeth 'o quelle lacrime sono rosse? Sembrano sangue... e i denti... com'è che mi sembrano i denti di uno squalo?'

Ci mise un po', ma Elvid smise di ridere, e si asciugò le lacrime.

“No, signora, non sono un volgare usuraio! Non vengo a pignorare i mobili in caso di mancato pagamento, non alzo gli interessi sulle rate della restituzione... diciamo pure che non lavoro solo sull'umile denaro.”

“E allora, mi può spiegare in cosa consiste il suo lavoro?” ma perché diavolo non si alzava e scappava a gambe levate? Quel tizio le metteva i brividi!

“L'ho già spiegato, signora.” rispose pazientemente Elvid “estensioni. Io allungo qualsiasi cosa voglia il mio cliente. E intendo qualsiasi. Anche il pene, volendo. In cambio chiedo un piccolo pagamento.”

Elisabeth comprese, di colpo, il motivo reale per cui quell'uomo le sembrava così pericoloso. Non era mai stata molto abile nei giochi di parole, per esempio Ruzzle la faceva impazzire dal nervoso. Eppure il suo cervello, così scarso in giochi simili, forse comprendendo ad un livello profondo il pericolo in cui si trovava, aveva scomposto il nome Elvid e lo aveva ricomposto in...

“Mi sta dicendo che vuole la mia anima?” esalò la ragazza, sbiancando. Tuttavia rimase seduta lì.

“Ma perché mi pensano tutti così squallido? Anche un suo concittadino, qualche anno fa, mi fece la stessa domanda! No, no, signora, le pare che camperei di anime, di questi tempi?”

“Un mio concittadino? E chi?” chiese Elisabeth, sorpresa, pur immaginando che non avrebbe ottenuto risposta.

“Non fornisco i nomi dei clienti, signora. Le basti sapere che gli ho dato un'estensione di vita. Ora, veniamo a lei” rispose Elvid, puntandole contro l'indice grassoccio “lei ha bisogno di un'estensione?”

A Elisabeth venne una sorta di vertigine. Era sempre lì seduta, a guardare Elvid con aria perplessa, ma si sentiva precipitare in un baratro. Se aveva bisogno di un'estensione? Magari un'estensione di felicità...

“E perché le servirebbe?”

Elisabeth batté le ciglia. Non si era resa conto di aver parlato a voce alta.

“Beh, vede... mi hanno diagnosticato una malattia mentale... una brutta forma di depressione.”

“Aah... gran brutta bestia, quella!” esclamò Elvid, con aria solidale.

“Già. Dicono che se non prendo psicofarmaci e non comincio una cura psichiatrica al più presto, il rischio che io mi ritrovi idee suicide a perseguitare la mia già fragile psiche è molto alto...” il tono della giovane era incredibilmente amaro.

“Se mi è concesso dirle una mia opinione personale, il medico che le ha dichiarato una cosa simile è un criminale! Le malattie psichiche sono argomenti incredibilmente delicati da trattare, e dirle così aumenta solo la possibilità che lei peggiori!”

Elisabeth si asciugò una lacrima. Si sentiva come se avesse un macigno enorme posato sulle spalle. Aveva tentato di non far preoccupare nessuno, con la sua malattia. In fondo, era solo “depressione”, con un po' di forza di volontà l'avrebbe superata. Non voleva ammettere, soprattutto con Damian, di essere terrorizzata.

“Almeno le hanno detto in cosa consisterebbe la sua terapia?”

“Oh,” biascicò lei “anni di psicoterapia nella vaga speranza che le cose migliorino. Il medico l'ha fatta molto più semplice di quello che è, pare che basti capire cosa mi ha fatto ammalare, e lavorare per risolverlo. Ma ho fatto qualche ricerca sulla forma della mia depressione, e pare che in realtà non ci sia nessuna garanzia che la terapia funzioni. Non so se guarirò mai, a questo punto.”

“Certo che lo farà.”

“Come?” Elisabeth era sbalordita. Davvero aveva fatto un patto con... con...

“Le ho appena fornito un'estensione... beh, un'estensione di realtà, più che di felicità. Avrà una percezione migliore di quanto le accade intorno.”

“Ah.” cadde il silenzio. “Tutto qui?”

“Ovviamente no!” Elvid prese un'aria da 'non dirmi sciocchezze!' “Ci sono due cose da fare perché il patto sia valido. La prima è scaricare la negatività che le ho tolto da qualche altra parte.”

“Come?”

“Signora, ha mai sentito parlare di equilibrio? Ecco, il male e il bene sono in perfetto equilibrio. Per ogni gesto malvagio, ce n'è uno buono a fare da contrappeso. Per ogni fatto positivo, ce n'è uno negativo a mantenere questo equilibrio. Non si può cancellare del tutto una parte di negatività o di positività, toglierebbe l'equilibrio. La negatività che ho tolto a lei, deve andare da qualche parte. Deve andare da qualcuno, per la precisione.”

“E chi? Insomma, non si può fare in modo che vada a qualcuno che non conosco?”

“Naaa, la formula dello scaricabarile anonimo è già stata tentata, e non funziona. Questo è un genere di patto per cui ci si deve assumere le proprie responsabilità. È troppo comodo scaricare a chi non si conosce un carico di negatività, rende troppo semplice il lavarsene le mani. No, deve scaricarlo su una persona che conosce. Rende più facile il tutto se la odia.” Elvid sorrise. E la sua bocca prese ancora l'aspetto delle fauci di uno squalo. Elisabeth rabbrividì.

“Coraggio, Elisabeth. Te lo leggo negli occhi, che hai qualcuno a cui scaricare il tuo peso.”

La ragazza si sentiva come in trance, distante dal tavolino, dalla strada, dal suo stesso corpo. Quando parlò, la sua voce risuonò come da lontano.

“Odio... il mio ex. Ramon Lopez.”

Elvid sogghignò “un cliché, insomma.”

“Dubito che ci siano tante persone che odino i loro ex. Magari lo fanno, in un primo momento, ma poi passa. Io invece lo odio profondamente da cinque anni, ormai.”

“Non sei così sola come pensi, a provare questi sentimenti. Coraggio, spiegami come mai odi il tuo ex.”

“Perché.. perché...” oh, dannazione, una volta tanto poteva anche sputare il rospo! “È un bastardo!”

“Oh, andiamo! Lo dicono tutte le donne, sugli ex!”

“Sì, ma lo dicono sull'ex traditore, e spesso non lo sentono più!”

“Ragioni per luoghi comuni.”

“Chissenefrega!” strillò lei “non credo siano tante le donne con un ex che non solo le tradiva, ma rigirava la frittata in modo da dare la colpa a loro! Era così che funzionava! Era giusto scoparsi un'altra, se ci restavo male era solo colpa mia! Perché credeva in quell'enorme stronzata della legge dell'attrazione! Anzi, no, non proprio, credeva che la legge dell'attrazione valesse solo per gli altri! Se lui scopava un'altra donna, era colpa mia che attraevo quella situazione!” Elisabeth singhiozzò.

“Ah, un gran bel caso di narcisismo patologico, insomma!” Elvid fece un sorriso di comprensione.

“Ero arrivata al punto che ormai alzavo le mani su di lui. Ma non per aggressività mia. Cioè, sì, suppongo di essere piuttosto energica, di mio. O forse no, vista la mia malattia. Ma non avevo mai alzato le mani su nessuno, in tutta la mia vita. Solo su di lui, che pretendeva di sapere tutto di me, di poter curare le mie paure. Di sapere cose in più di me!”

“E invece?”

“Era ignorante come una zappa! Non sapeva neanche scrivere il suo nome senza errori grammaticali! E mi trattava come se fossi l'ultima ignorante sulla faccia del pianeta!”

Elvid sollevò un sopracciglio, con un'espressione indecifrabile.

“Dannazione” continuò Elisabeth, con la netta sensazione di aver appena fatto esplodere un bubbone “io sono laureata! In letteratura inglese! Non dico di essere una cervellona, ma neanche l'ultima stupida degli stupidi! Ed ero arrivata all'esasperazione più totale. Alzavo le mani su di lui perché non riuscivo più a controllare la mia rabbia nei suoi confronti. George, hai una vaga idea di cosa vuol dire avere un idiota che sghignazza come un matto mentre gli urli che non ne puoi più di essere trattata come una merda?”

“Ma perché non l'hai lasciato?”

“Perché sono stupida io, ed estremamente abile lui. C'era la combinazione di tre fattori a tenermi legata a lui. Il primo era il mio bisogno di amore. Il secondo era il fatto che, nonostante tutto sapevo che tipo era. Come lo sapevano i miei, che mi rinfacciavano ogni giorno l'aver scelto un uomo sbagliato. E io volevo mostrare loro che avevano torto.”

“E il terzo?”

“La sua abilità a sfruttare i primi due fattori e a farmi credere che aveva bisogno di me.”

“Magari ce l'aveva davvero.”

“Certo. Aveva bisogno di me per sentirsi il migliore. Ma a discapito mio, e della mia salute mentale.”

Elvid si passò la mano sul mento, con un sorriso compiaciuto.

“Poi, di colpo, è sparito! Se n'è andato! Non aveva più bisogno di me! Con tutto quello che ho fatto per lui, all'improvviso ha deciso che non gliene fregava un cazzo! Ha avuto problemi legali, è stato accusato di truffa, ma pare che in realtà fosse il suo migliore amico ad essere la causa di quel problema. E lui doveva fare una sintesi dei fatti, in modo tale da sottoporla ad un giudice. Ma, come ho già detto, la sua grammatica era estremamente scarsa. Così l'ho aiutato a riscriverla. Settimane intere sul computer a riscrivere quello schifo di relazione. Poi, ha avuto problemi sul lavoro, e ogni giorno mi chiamava lagnandosi. E io ad ascoltarlo. E via discorrendo! Poi, puff! Sparito! E lo avesse fatto dicendomelo! No!” Elisabeth praticamente urlava, il respiro affannoso. Inghiottì saliva, prima di continuare, con voce più tranquilla, anche se spezzata “Vedi, George, ho diverse amiche. Alcune di esse si lamentano perché sono state lasciate dai loro ex via sms. Mi sono ritrovata a pregare di trovarmi al loro posto! Almeno i loro ex hanno avuto abbastanza rispetto per loro da informarle che era finita. Io neanche quello ho avuto.”

“C'è dell'altro, vero?” Elvid sembrava quasi leggerle nella mente.

“Sì. C'è dell'altro. Anni fa, stavo passando un brutto momento. Ero in rotta con i miei, Ramon mi trattava come spazzatura. Dove lavoravo c'era questo ragazzo... bello, ma... non potevo immaginare che fosse così bastardo da...”

“Da?”

“Da tendermi una sottospecie di trappola. Avevo bevuto troppo, e quel tizio mi ha portata a casa sua. E ho trovato la 'bella' sorpresa. C'era anche un suo amico, lì.”

“Oh. Stupro?”

“Quasi. Non sono stata malmenata, nessuno mi ha costretta a fare niente. Solo ero confusa, in cerca di un qualsiasi conforto. Quando ho capito che intenzioni avevano, mi ha preso il panico. Mi sono bloccata, di conseguenza non me ne sono andata e, peggio, non mi sono opposta. L'ho vissuto come uno stupro, ma in realtà non era uno stupro. Solo l'errore estremamente umiliante di una ragazzina stupida e disperata.”

“E questo cosa c'entra con il tuo ex?”

Elisabeth inghiottì forte, nel tentativo di rilassare la gola dolorante. “Dopo quello che è successo, non avevo il coraggio di rientrare in casa. Come avrei potuto guardare in faccia i miei dopo quella sera? Così sono andata da lui. Da Ramon. Sapevo che non mi amava, ma si dichiarava mio amico. E speravo che, da amico, mi desse il conforto di cui avevo bisogno. Ovvio che mi sbagliavo...”

“Magari ti ha cacciata definendoti una puttana.”

“Magari! No. Mi sono fiondata tra le sue braccia, piangendo. E lui ha borbottato qualche frase fatta, stringendomi. Dopo un po' l'ho sentito tremare leggermente. Mi sono discostata, e... e... rideva! Quel bastardo rideva!”

Elvid spalancò gli occhi “Quanto a perfidia, questo Ramon potrebbe addirittura insegnarmi qualcosa!” mormorò.

Elisabeth ormai aveva le lacrime agli occhi. “Non mi ero mai sentita così umiliata. Mai! E l'aspetto ancora peggiore, giusto perché non appena si raggiunge il fondo, tanto vale cominciare a scavare, è stato non poter dire niente a nessuno! Quanto avrei voluto dire ai suoi amici che merda fosse quell'uomo! Ma, ovviamente, sarei risultata paranoica, sgradevole! Mi hanno insegnato a non abbassarmi mai al livello del nemico! La frase di Oscar Wilde, sai, “mai discutere con un idiota, ti trascina al suo livello e ti batte con l'esperienza!' è praticamente il mio stile di vita... ma mi spinge a tenermi tutto dentro! Lui ora ha un ottimo lavoro, è sposato con una poveretta che non sa che tipo è, ha pure un figlio, mentre io non posso neanche concepire l'idea di averne uno, con la mia malattia! Che razza di vita gli darei? Così, alla fine dei conti, Ramon è lo splendido, e io la malata di mente!”

La ragazza scoppiò in singhiozzi affranti. Continuò a piangere per un pezzo, sentendo le spalle rilassarsi sempre di più.

“Ottimo, Elisabeth, ottimo. Ora, passiamo alla parte finale del patto.”

Elisabeth lo guardò, un po' sorpresa.

“Eh, già, carina... domani mi porterai qualcosa che appartiene a Ramon.”

“È così necessario?”

“Certo che sì. Altrimenti il patto si annulla, e tu ritorni al tuo mondo di psicoterapie e sogni infranti. Portami qualcosa di suo, domani, e discuteremo anche dei metodi di pagamento.”

Elisabeth annuì. Poi si alzò e si avviò verso la macchina.

“Ah, signora Warren?”

Lei si voltò.

“Come mai non se l'è presa anche con quei due bastardi di quella disgraziata sera?”

Elisabeth aprì la bocca per rispondere. Poi la richiuse senza dire nulla e se ne andò.


In realtà, aveva tutta una serie di scuse pronte per rispondere a Elvid. Ma gli aveva già detto troppo. E non aveva voglia di dire altre scomode verità ad alta voce. In realtà lei era furiosa anche con quei due. L'unico motivo per cui non si sfogava era il puro e semplice fatto che era troppo impegnata ad odiare Ramon. Oltre al fatto che era ancora molto arrabbiata con se stessa per essersi lasciata trattare come il mero divertimento di una sera. Al solo pensiero, lanciò un enorme grido che diede un lieve rimbombo nell'abitacolo del pick-up. Aveva le lacrime agli occhi, ancora. Aveva raccontato a Damian di quella sera. E grazie a Dio, lui non l'aveva trattata come una sgualdrina. Ma comunque si sentiva sbagliata. Non riusciva a liberarsi di quella sensazione.

Si fermò ad un semaforo, e approfittò della fermata per guardarsi in giro. Ed ebbe un tuffo al cuore. Era davanti al Monte Trashmore. La vecchia discarica, chiusa anni prima, guardava Derry come potrebbe farlo un sovrano decaduto. Il suo proprietario, Tom Goodhugh, era stato l'uomo più ricco di Derry, ma, a seguito di diverse disgrazie, era praticamente diventato l'ombra di se stesso. La madre di Elisabeth era stata molto amica della defunta signora Goodhugh. E una volta l'aveva sentita parlare con suo padre di come la vita a volte girava, visto che, mentre Goodhugh affondava, il suo migliore amico, Dave Streeter, sembrava ricevere sempre più grazie dal cielo. “O forse dall'inferno?” domandò Elisabeth allo specchietto retrovisore della sua macchina. Nel silenzio dell'abitacolo, la sua voce suonò sgomenta. “E ti credo!” sbottò “Ho appena scoperto chi altri, nella mia città, ha fatto un patto con George Elvid!”

  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Stephen King, Varie / Vai alla pagina dell'autore: nephylim88