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Autore: Cornfield    10/04/2013    1 recensioni
(Dall'ottavo capitolo):
Non riuscivo a crederci. Non riuscivo a guardarla in faccia, non meritavo di guardarla in faccia, non sapevo suonare, non sapevo allacciarmi le scarpe, sapevo solo di non sapere. Ero un completo disastro.
E mia madre aveva ragione.
Scesi di corsa dalle scale e uscii da casa, mentre mia madre piangeva lacrime amare, mentre il cielo piangeva e la mia faccia era completamente bagnata.
Dal sudore, dalla pioggia e da altrettante lacrime.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
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Minneapolis, 1994.

Fissai la mia immagine riflessa allo specchio.
Ma che cosa vedevo esattamente?
Un giovane con una sigaretta in mano, i vestiti strappati e luridi, un sorrisetto maligno. La mia illusione. Tutto ciò che mostravo alla gente era custodito in quello specchio e non riusciva a impossessarsi di me, perché quel senso di solitudine, dolore prevaleva sempre.
Uscii, senza avvisare nessuno.
Pioveva.
Pioveva impetuosamente, ma non mi importava.
Pioveva proprio come quel lontano giorno, ma poi tanto vicino, a Berkeley.
Pioveva proprio come quel giorno in cui imparai a costruire una nuova ombra, la musica.
Proprio come un’ombra, mi seguiva dappertutto, ossessivamente.
Eravamo sempre a suonare nei concerti e a fare interviste. Non è che non mi piacesse. La gente pagava per vederci. Era stranissimo. Pagare per vedere tre fattoni che compongono canzoni tramite pochi accordi. Non sapevo ancora come spiegarmelo. Però era divertente, fottutamente meraviglioso. Insomma, qualcuno si ispirava a te, magari aveva comprato una chitarra per imitarmi, perché avevo rincorso i miei sogni e li avevo presi per il bavero della giacca.
Ma quasi ogni giorno ci spostavamo.
Troppa pressione.
Non ero ancora abituato a tutto ciò.

Qualche volta volevo semplicemente fermarmi al centro della strada, fumando una canna e dimenticando tutto in quella coltre di fumo.
Stava diventando qualcosa di ansioso.
I paparazzi erano dappertutto e ad ogni minimo gesto te lo facevano passare per un atto vergognoso. Non potevo neanche scaccolarmi, per cosi dire.
Mi sentivo in apnea, affogato dal troppo … successo?
Avevo bisogno di una pausa e questo desiderio non faceva che spingermi a fare sempre più uso di droga.
Non volevo che la droga diventasse la mia ombra.
Quella sera era stata diversa dalle altre, non perché era l’unica praticamente libera in tutto il mese, per qualcos’altro.
Decisi di andare a trovare Adrienne visto che mi trovavo in città e sfogarmi un po’.
Bussai alla sua porta, ma non ottenni risposta.
Presi una copia delle chiavi che lei stessa mi aveva affidato (“Cosi puoi anche aspettarmi dentro mentre io sono a lavoro senza che la signora delle pulizie ti cacci dal corridoio”) e aprii. La radio era accesa.
L’appartamento in disordine.
Pile di libri e fazzoletti sparsi dappertutto.
Trovai Adrienne stesa sul letto, con la faccia nel cuscino.
Deglutii.
Mi avvicinai a lei e mi sedetti sul letto.
Le tolsi i capelli bagnati e appiccicaticci dal viso umido. Gli occhi la tradivano ancora di più, lucidi.
Capii subito.
“Quando è successo?” Sussurrai come per non farmi sentire da nessuno.
“Non importa quando è successo, ma perché è successo.”
“Ti rifarei la stessa domanda.”
Si accovacciò sulle mie gambe.
“Billie, perché il mondo è cosi?”
“Cosi come?”
“Lurido, sporco, malvagio, ipocrita..”
Fece una pausa.
“Doloroso.”
“Non lo so.”
“Lui lo sapeva. Ma ora si è portato via tutte le risposte sai?”
“Tutte quante?”
“Si. E sai perché?”
“No, perché?”
“Perché ora non c’è più Billie. E non ci sono più neanche le risposte. E senza risposte non vale la pena vivere Billie, non ne vale la pena capisci?”
“Ma hai una certezza.”
“Quale certezza?”
 “Adrienne, vuoi sposarmi?”
I suoi occhi verdi accerchiati dal mascara colato si spalancarono improvvisamente di fronte alla mia affermazione.
“E’ la certezza più meravigliosa che io abbia mai sentito.”
 
Fissai la mia immagine riflessa allo specchio, come qualche mese fa, con la differenza che ora vedevo un uomo con lo smoking.
Non ce la posso fare.
No.
Potevo sempre strappare quello smoking.
Potevo sempre scappar mene da quella stanza soffocante che puzzava di aria consumata.
Ma qualcosa mi tratteneva.
Fottuto amore, lasciami in pace.
Bussarono alla porta.
“Sei pronto? Stiamo per cominciare.”
“Si, arrivo.”
Non ero pronto.
Non ero pronto per niente.
Non sono mai stato pronto per niente.

Ed eccola li, che avanza lentamente.
Fanculo il matrimonio.
Noi siamo uniti da qualcosa di più potente che quattro parole messe in croce.
Destino.
Cuciti nello stesso vestito, sangue che pompa nelle stesse vene, o come volete voi.
Semplice destino.
Il destino che ci manipola e ci imbroglia.
Il destino che fa brutti scherzi.
Il destino che fa render un uomo felice.
Non ero degno di lei, nessuno era degno di lei.
Il destino non era degno di lei.
Ed io appartenevo solo a quel corpo pallido.
Tutto il resto non era niente.
Solo paroloni a casaccio, canti spirituali e applausi.
L’amore non è quello. L’amore è qualcosa di più potente che non si può spiegare.
Arrivò all’altare, più emozionata di me. Non riusciva a guardarmi negli occhi.
Avrei fatto qualsiasi cosa per renderla felice. Perché lei non è mia moglie, è la mia anima.
Il prete parlava a vanvera. Il mio cuore batteva, il suo tremava.
E il tempo si fermò.
Si fermò per un secondo.

E tante immagini confuse mi attraversarono la mente.
La vidi mentre mi strinse la mano per la prima volta, ubriaco fradicio.
Vidi il suo sorriso mentre mi aggrovigliavo tra i cavi delle chitarre ed eravamo soli, io ero cosi impacciato.
Mi vidi che impazzivo e che credevo di amarla.
La vidi mentre passeggiavamo nel parco torturando gli scoiattoli.
La vidi mentre la prendevo in giro e lei faceva il broncio.
Vidi il suo sguardo spento mentre mi diceva che doveva partire per Minneapolis.
Vidi il suo sguardo ancora più marcio immerso nelle lacrime.
Vidi che gridava in silenzio.
Vidi che l’abbracciai.
Vidi che le chiesi di sposarmi.
Ed ora era davanti a me, sorridente e impacciata.
Infondo io sono nato soltanto per amarla, nient’altro.
“Ora potete baciarvi.”
Il tempo riprese, il mi cuore ricominciò a battere forte e il suo ricominciò a tremare.
Ringraziammo velocemente gli ospiti. La cena per festeggiare non si tenne. Ritornammo subito a casa.
“Forse ho trovato le risposte.” Fece, mentre la spogliavo.
“Buono a sapersi.”
“Ma non ne ho bisogno.”
“Davvero?”
“La vita la si può vivere con qualche dubbio.”
“Queste perle di saggezza da chi le hai rubate?”
“Stai zitto e baciami, stronzo.”
  
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