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Autore: ScleratissimaGiu    11/04/2013    2 recensioni
Serial killer a Seattle: sei persone sono già morte. Era il primo caso per Julie, nuovo membro dell'Unità Analisi Comportamentale arrivata fresca fresca dalla CIA. Ma lei non si sentiva sicura... e forse, visto quello che è successo, aveva ragione.
La storia è dedicata a BecauseOfMusic_, che mi sopporta, mi corregge ed ispira :)
Genere: Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non la trovava più.
Era in un momento di disperazione profonda, peggio di quando le voci iniziavano ad urlare tutte insieme.
Non c’era… doveva averla persa.
Per forza, non c’era altra spiegazione…
Ma dove l’aveva persa?
Aveva rovistato in ogni cassetto, guardato in ogni singolo angolo della casa, eppure niente.
Un improvviso lampo di lucidità lo colpì come una spada che trafigge il cuore… 
La metropolitana.
 
 
 
Era circa l’una e trenta quando JJ fece suonare il mio cellulare, interrompendo quel poco di riposo che ci eravamo concessi dal nostro arrivo a Seattle.
- Julie, scusa. È urgente, ci vediamo a Yesler Way… ha colpito ancora.
Mi rizzai a sedere sul letto dell’albergo, ormai sveglia del tutto, assimilando quel che mi aveva appena detto la mia collega.
Prima che potessi replicare, Jennifer aveva già riattaccato, così mi vestii in fretta e furia e bussai alla porta di Emily, proprio accanto alla mia stanza, e insieme ci avviammo alla fermata B della metropolitana di Seattle.
Arrivammo insieme a Hotch e Rossi, che erano rimasti al dipartimento di polizia un po’ più a lungo.
Notai che Reid, Morgan e JJ erano impegnati a parlare con un uomo in lacrime che sedeva poco distante dalla biglietteria.
- Il guidatore, - ci spiegò il commissario Nichols - è disperato.
- Posso capirlo… - mormorò Hotch, guardando nella sua direzione.
- Commissario, ci sono altre entrate? - domandò Rossi.
- Non lo so… perché?
- Il dottor Reid e l’agente Prentiss hanno riguardato le registrazioni del momento dell’accaduto: non è uscito da dove si esce di solito da qui.
- Chiami un po’ dei suoi uomini, setacceremo la zona. Voi due, andate a parlare con il guidatore, magari ha visto qualcosa - continuò Hotch, indicando me ed Emily.
Quando gli altri ci videro avvicinarci, capirono immediatamente e se ne andarono.
- Lei è…? - chiese Emily, gentilmente.
- Tony. Tony Hudson, guidavo la metro…
- Lo sappiamo, signor Hudson - lo interruppi - non è stata colpa sua.
- Non sono riuscito a fermarmi… - riprese, continuando a lacrimare - ci ho provato, ma non ce l’ho fatta… l’ha spinto all’ultimo momento, non era nemmeno previsto che mi fermassi…
- Ha visto l’aggressore? - domandò la mia collega.
- Io… non molto bene… andavo troppo veloce… è scappato via… non volevo, credetemi… non potevo immaginare…
- Si calmi, si calmi, signor Hudson! Le abbiamo già detto che non è colpa sua. Lei non poteva farci niente, chiaro? Non ne ha colpa!
Quasi urlai, tanto mi ero arrabbiata.
Nella CIA ero abituata a condurre quasi tutte le operazioni, ad esercitare la mia autorità sugli altri, ad essere ascoltata.
Eppure, quell’uomo pareva non udirmi, non riusciva a non pensare di avere ucciso un innocente… e io non riuscivo a non pensare che non avevo niente di concreto per le mani che mi permettesse di prendere quel bastardo.
Emily aveva una faccia esterrefatta; gli altri sembravano non essersi accorti della mia sfuriata, perché era arrivata la polizia per cercare la seconda entrata.
Hudson si era improvvisamente zittito, probabilmente stranito da quella mia reazione sciocca ed impulsiva. 
- Mi… mi dispiace, - mormorai, chinando il capo - non volevo alzare la voce. È solo che… non voglio che lei pensi di essere un assassino, perché non lo è. Le prometto che troveremo il vero assassino e lo sbatteremo in cella, va bene?
Sembrò rinfrancato da quelle mie parole, e mi sorrise.
Sorrisi anch’io stancamente, e lo congedammo.
- C’è qualcosa che non torna… - dissi.
- Cosa? - chiese Emily, guardandomi pensierosa.
- Hudson ha chiamato verso l’una, appena aveva… beh, appena era successo.
- Giusto. Allora?
- Ha cambiato il modus operandi.
- Circa mezz’ora o un’ora dopo gli altri omicidi… - realizzò lei.
- È vero, è un assassino disorganizzato, ma lo è solo per metà: uccide vicino a casa, ma sempre negli stessi orari. È meticoloso, sotto questo punto di vista. Perché cambiare proprio ora?
- Ha commesso un errore, stavolta.
- E perché l’ha commesso?
Il nostro discorso cadde.
In realtà, non sapevamo perché l’aveva commesso.
- Ragazze, c’è qualcosa! - urlò Morgan.
Ci avviammo verso di lui con passo veloce, e ci trovammo davanti ad una porta che, come dovevamo aspettarci, dava su un vicolo cieco.
- Sappiamo che è uscito da qui… - mormorò Hotch.
- Guardate! - esclamò il commissario.
Con i guanti di lattice reggeva una cosa che sembrava una collana che aveva per ciondolo un frammento di specchio.
- Mandatelo alla scientifica, presto! - continuò l’uomo, ringhiando verso i suoi sottoposti.
- Se Dio vuole, abbiamo in mano qualcosa - pensai, stanca.
  
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