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Autore: hikarisan    01/11/2007    5 recensioni
Taro Misaki si ritrova ad affrontare cose più grandi di lui... [Storia riscritta]
Genere: Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Taro Misaki/Tom
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Erano passati tre giorni

Erano passati tre giorni. Tre maledetti giorni.

 

In casa la tensione era alle stelle. Quando Azumi era in camera, Taro era in salotto, quando lei era in salotto, lui era in camera. Il tempo scorreva lento e la bambina non tardò a voler uscire dalla pancia della suddetta mamma.

 

Il quarto giorno, la donna si svegliò in preda a forti contrazioni e il ragazzo la portò subito in ospedale.

 

Attese tre lunghe ore per avere la sua piccola creatura tra le braccia; alle 11 di mattina fu invitato ad entrare in camera della moglie per assistere la sua famiglia. Ringraziò meccanicamente l’infermiera che aveva assistito la bimba nei suoi primi istanti di vita e fu lasciato solo in quella stanza bianca e limpida.

 

Azumi giaceva sul letto con il volto stanco e pallido, e aveva lo sguardo rivolto verso la finestra. Taro volse lo sguardo verso una culla, posta accanto al letto della madre, dove si sentivano dei piccoli vagiti sommessi che reclamavano attenzione. Si avvicinò lentamente e si affacciò per vedere per la prima volta il volto della sua bambina.

 

Bellissima.

 

Piccola ma bellissima.

 

Qualche capello castano spuntava dalla testolina chiara, gli occhietti erano ancora chiusi con il tipico taglio giapponese, la bocca a cuoricino chiusa in una smorfia incomprensibile e il nasino all’insù, preso dalla stirpe Misaki, che un giorno gli avrebbe rinfacciato sicuramente.

 

E fu amore a prima vista.

 

La prese delicatamente in braccio, cercando di stare attento alla testolina e alle braccine, che si muovevano avanti e indietro dando i loro primissimi segni di vita.

Forse cercavano la mamma, ma lei non avrebbe risposto a quella chiamata.

 

“Ho detto all’infermiera che non riconoscevo la bambina.”

 

Il ragazzo distolse un attimo lo sguardo da sua figlia e lo posò sulla sua ex-moglie.

 

“Ho firmato le pratiche per il divorzio. Non siamo più marito e moglie, teoricamente.”

 

Qualche giorno prima, l’avvocato di suo marito le aveva mandato le pratiche per l’avvio al divorzio e lei le aveva firmate immediatamente, lasciandole sul tavolino del salotto per fargliele avere.

 

“Ho visto. D’ora in poi comunicherai solo con il mio avvocato e, se tutto va bene, tra un bel po’ di tempo potrai risposarti.”

 

Il ragazzo le si avvicinò e le porse la bambina, come per dirle che poteva abbracciarla un’ultima volta. Lei rimase immobile e non si mosse, chiudendo gli occhi e sgorgando qualche lacrima.

 

Lui si ritrasse ed uscì da quella camera, lasciando la donna da sola e abbandonata a se stessa.

 

“Buona piccolina… Ci penso io a te.”

 

L’infermiera che aveva atteso fuori dalla stanza si avvicinò, e si rivolse a lui in tono affettuoso e cordiale. “Signore, sua moglie non ha riconosciuto la bambina…”.

 

Lui alzò lo sguardo e le rivolse un piccolo sorriso “Lo so… Quasi ex-moglie, prego.”

 

“E lei? La riconosce?”

 

“Certo che la riconosco.”

 

All’infermiera s’illuminò lo sguardo, pensando che quella bimba non sarebbe stata abbandonata e messa in un istituto, come accadeva a pupi meno fortunati di lei.

 

“Come si chiama?”

 

“Sayuri. Sayuri Misaki.”

 

Lei sorrise e annotò il nome sulla pratica che portava sempre con sé, dopodiché si congedò gentilmente, avvertendolo che di lì a poco una seconda infermiera lo avrebbe informato sulle poppate e il cambio dei pannolini.

 

Il ragazzo tornò a guardare il suo tesoro, memorizzando ogni singola smorfia che produceva con la sua boccuccia; osservò rapito quelle piccole manine poggiate sul suo petto e che tentavano di stringerlo con scarsi risultati; baciò delicatamente le guance rosee soffermandosi su quella pelle calda e soffice. Si sedette su una sedia e la cullò dolcemente cantandole piano una dolce melodia.

 

“Me li apri gli occhietti, eh, stellina mia?”

 

Lei rispose solo con un mugolio.

 

“Li aprirà presto, stia tranquillo!” gli disse un’infermiera arrivata proprio in quell’istante. “Devo rubargliela…” Il ragazzo sorrise e gliela passò gentilmente “Mi segua, comincia il suo corso d’addestramento per fare il padre!”

 

Taro arrossì leggermente e seguì la gentile signora che si stava occupando della piccola.

 

“Non si può imparare a fare i genitori, ognuno lo fa a modo suo ed ottiene i suoi risultati… Lei imparerà col tempo… Io le insegnerò solo le cose fondamentali…”

 

“Qualcosa la so fare… So cambiare pannolini…”

 

“Oh, e da chi ha imparato?”

 

“Una mia amica ha avuto un bambino l’anno passato e mi ha insegnato alcune cose…”

 

Eh, già… quando Tsubasa lo aveva chiamato, nel bel mezzo della notte, per avvertirlo che Sanae era entrata in travaglio, aveva preso il primo aereo per Barcellona e si era precipitato lì.  Era arrivato molto dopo il parto, ma dei suoi amici era stato il primo a conoscere Hayate Ozora; Sanae gliel’aveva messo in braccio appena arrivato, e ce n’aveva voluto per riprenderselo, poi. Tsubasa l’aveva rincorso per tutto l’ospedale per poterlo tenere un po’ in braccio!

 

“Venga.”

 

Il ragazzo entrò in una piccola stanza attigua al reparto maternità e vi scorse pannolini, tutine e biberon. Subito cominciò a darsi da fare ed ad assimilare tutte le cose che gli erano dette dall’infermiera e tutti i movimenti che le vedeva fare con naturalezza; provava a ripeterli ottenendo buoni risultati e tanti complimenti dell’infermiera lì accanto.

 

“Tutto il resto, dovrà farlo da solo…”

 

Taro alzò lo sguardo dalla sua bimba che era impegnata a ciucciare il latte artificiale, e guardò negli occhi la donna davanti a lui.

 

“Ora arriva la parte più complicata…” disse lui serio, mentre scrutava la sua piccola con amore.

 

“Sì… Dovrà fare anche da madre…”

 

Lui abbozzò un sorriso amaro e volse lo sguardo fuori dalla finestra. Non sarebbe stato facile, era solo un ragazzo di ventitré anni che non sapeva neanche più come definirsi e cosa fare della sua vita; era confuso, triste, arrabbiato, deluso. Non sapeva neanche lui cosa provava; era tutto così irreale e vuoto. No, in quel momento, non era decisamente un buon padre per la sua piccola.

 

“Ma posso diventarlo…”

 

“Cosa?” gli chiese l’infermiera volgendo lo sguardo verso di lui, mentre lo vedeva fissare il paesaggio fuori dalla finestra.

 

“Parlavo tra me e me, scusi…”

 

E lo diventerò…”

 

 

Sarò ripetitiva, ma un grazie è dovuta a coloro che seguono questa storia... Già ho ribadito che è molto importante per me, e continuerò a scriverla anche se piovessero gli alieni!

Mi dispiace veramente tanto far passare Azumi per una poco di buono, ma è la storia a richiederlo...

 

Non so ogni quanto riuscirò ad aggiornare, perché questo è un periodo nero per me e per molte altre persone che mi stanno vicino, e stiamo cercando di risollevarci tutti insieme, con scarsi risulati.

 

A presto, spero!

 

Hk^^

  
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