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Autore: Cottage    14/04/2013    1 recensioni
Una banconota da 100 Pokè oscillava costantemente davanti ai miei occhi. "Ecco, questa è una cosa sospetta" avevo quindi detto, a Daisuke, il quale l'aveva già superata, non badandoci e dicendo "Sbrigati che siamo quasi arrivati"
Io, per tutta risposta, avevo sorriso, ridendo della mia distrazione "Hai ragione, scusa, si vede da lontano un miglio che questa è una trappola!" Quindi, dal nulla, erano scese altre banconote da 200 e 300 Pokè. "Oh, beh, direi che questo è un gran colpo di fortuna" Avevo ammesso, cambiando idea a facendo voltare un Daisuke stupito. Il mio lato taccagno aveva preso il sopravvento. Sembravo una bambina a cui la mamma aveva comprato un sacchetto di caramelle. Tante caramelle.

Madeleyne, Maddy, Madd-madd, chiamatela come più vi sembra comodo, è una ragazza normale (?), leggermente sarcastica e taccagna, che da un giorno all'altro decide di diventare allenatrice di Pokèmon e partire per una nuova regione.
In questo lungo -sì, si preannuncia lungo- viaggio incontrerà amici e nemici, persone divertenti e strambe e capirà che, dopotutto, stare chiusa in casa non è poi così divertente…
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga, Videogioco
Capitoli:
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Pkm 32.0
~ Mochapoli ~
 
 
Mochapoli era considerata dagli allenatori come una città raggiante. Si ergeva su una collinetta verde, circondata da fiori e giardini profumati che rilasciavano un senso di serenità a tutti coloro che arrivavano dalla via principale. Le case parevano brillare, tanti erano i colori sgargianti con i quali erano state verniciate. Un’allegra musica di sotto fondo aleggiava per le vie, coinvolgendo ogni abitante. I più anziani, che avevano un sorriso compiaciuto stampato in faccia, osservavano dalle proprie panchine i bambini che, urlando, schizzavano verso un’unica meta comune, al centro della città. Meta comune che ebbe lo strano potere di sopprimere totalmente la mia capacità intellettiva, ipnotizzandomi con la sua seducente alternanza di luci e colori.
 
Luna Park. Luna Park. Luna Park. Luna Park. Luna P-
“Andiamo al Luna Park!” Esclamò Désirée, i cui occhi brillavano più di dieci Soli ardenti. “Jack! Jack! Ci accompagni?” Il ragazzo sorrise, ma prima ancora di poter spiccicare parola, la ragazza si lanciò verso la sua schiena, appendendosi al cappuccio della sua felpa. “Per favore ~”
Qualcosa, però, mi diceva Jackpot non stava passando un bel momento: non solo la sua schiena era arcuata in una posizione innaturale, ma stava anche assumendo un colorito bluastro.
Non che Désirée se ne fosse resa conto.
Avrei potuto fare qualcosa. Ma facendo un veloce controllo, mi accorsi di non essere in possesso di sufficiente volontà per ricordarle che uccidere le persone era considerato un reato.
“Ci saranno le tazzine rotanti, le case infestate, le montagne russe e …” Aw. Era così adorabile. Se si ignorava il fatto che, ad ogni strattone che dava, Jack emetteva dei raccapriccianti suoni gutturali. Mmh. Forse quello non era un buon segno.
Corrugai la fronte. Naah! Lui è un ragazzo robusto. Se fosse davvero in pericolo dovrebbe essere in grado di ribellarsi, no?
Ma, puntualmente, il fato si affrettò a ricordarmi della mia perpetua ingenuità.
Désirée, che rideva innocentemente, non sospettando che a causa della sua gioia qualcuno stava varcando la soglia dell’oltretomba, diede un’ultima tirata, più forte delle altre, per poi mollare la presa. Nessuna di noi due si poteva aspettare che il rosso, per contraccolpo, si sfracellasse a terra, con tanto di sangue dal naso.
Désirée lo osservò con confusione.
“… Jack?”
Ancora non riuscivo a capire come avesse fatto a non notare Jackpot diventare blu. Da quel che mi ricordavo, Désirée non aveva mai mostrato segni di essere daltonica. E di certo Jack non era mai stato un Avatar…
… a meno che non ci abbia mentito per tutto questo tempo. Chi mi assicura che in realtà non sia venuto sul nostro pianeta per studiare un modo con cui schiavizzarci e usare il nostro sangue per nutrire il loro albero radioattivo?
Sconcertata, feci alcuni passi indietro, allontanandomi da Désirée che, in preda alla confusione, si era inginocchiata davanti a lui, brandendo il suo ombrello. Prese a punzecchiarlo, ma l’unica risposta che ottenne fu un’eloquente rigurgito di bolle e bava dalla bocca.
 
Decisa a lasciare che i due piccioncini se la sbrigassero da soli, mi osservai attorno, fino a trovare chi cercavo. Ergo il mio asociale compagno di viaggio che, rinchiusosi nella sua consueta misantropia, se ne stava a dieci metri di distanza, limitandosi a guardarci. Lo raggiunsi trotterellando, con il volto plasmato in una pura maschera di allegria.
Maschera, per l’appunto; in realtà, dentro di me sentivo la tensione e la determinazione che si provavano negli incontri di pokémon. Strinsi un pugno: ero pronta alla missione.
“Luna Park?” Scelsi con prudenza di usare un tono vagamente esortativo. Ma non è un invito. È un diamine di ordine: dopo tutte le disavventure che ho passato, è mio diritto avere un po’ di divertimento.
“…” L’altro si limitò a fissarmi con aria critica, come se avessi dovuto già conoscere la risposta. Certo che la conosco. La conosco e me ne frego. Stavolta non avrei ceduto alla sua rigidità. Indicai l’ingresso che era alle mie spalle, risoluta.
“Luna Park.”
Per essere più chiaro, scosse la testa un paio di volte. Ma non mi sarei fermata: quella era un’occasione unica, per me, e non l’avrei sprecata. Avrei ricorso a tutta la mia fino-ad-allora-inesistente energia psichica pur di convincerlo.
“Luna Park!”
“No.” Quella volta fu Daikke ad essere deciso, con tanto di aria stizzita.
Uh, oh. Presi fiato; era l’ora di ricorrere al mio potere sovrannaturale. Lasciai che i miei occhi s’indurissero, si rispecchiassero nei suoi.
Tuuuuu. Ioooo. Luuuna Pparrrrrrrrrk!
L’aria cupa che aveva circondato Daikke si dissolse, lasciando posto ad un’altra più interrogativa. Mi fermai, percependo alcune vene gonfiarsi dallo sforzo. Dopotutto, come sarei potuta andare sulle montagne russe se prima fossi morta di emorragia cerebrale?
Studiai i risultati del mio faticoso lavoro, portando la mano a massaggiare il mento. Daisuke, non pare più intenzionato a ribattere. Ha funzionato?
Il mio volto s’illuminò di soddisfazione. Daisuke sollevò il sopracciglio.
“Stai male?”
Oh. Il mio sorrisetto crollò miseramente. É semplicemente rimasto traumatizzato dalle facce che devo aver fatto mentre lanciavo il mio sortilegio.
Beh, rimaneva sempre il piano B. Abbandonai la maschera di determinazione, assumendo l’aspetto che meglio rappresentava il mio stato d’animo. Ovvero quello di un cane bastonato. Misi le mani a mo’ di preghiera.
“Park! Luna Park! Luun! Lun!”
Passarono pochi secondi di totale silenzio, durante i quali non potevo che sperare in qualche miracoloso cambio di programma. Ma fui costretta ad assistere a un altro fallimento, quando lui, prendendo il suo Pokèdex (opportunamente modificato nel passato mese), iniziò a dettare:
“Giorno XX. Sono testimone di una scoperta impensabile. Cambierà per sempre la storia del mondo pokèmon.” Prese a girarmi attorno, ispezionando la mia figura come se fosse la prima volta che mi vedeva. “Ebbene sì: gli umani possono regredire allo status mentale dei pokèmon.”
Spalancai la bocca, congelandomi sul posto. Potevo sentire il venticello accarezzare incurante la mia pelle. Incurante come il mio tecnicamente-amico, che, dopo aver scritto un paio di cose sul mio aspetto (“Il soggetto qui descritto è un giovane esemplare di sesso femminile. Altezza: nella norma.” Pausa per lanciarmi un’occhiata indagatrice. “Taglia: grossa.”), ripose il materiale nella sua valigetta.
Iniziavo a credere di essere un chewing-gum. Un chewing-gum spiaccicato sulla strada. Che tutti quanti calpestavano, senza dargli molto peso o preoccuparsi per i suoi sentimenti.
 
“Hey, Maddy!”
“Sto avendo un lungo soliloquio mentale sul maltrattamento delle gomme da masticare. Gradirei di essere lasciata alla mia demoralizzazione.” Mormorai, sentendomi cedere le gambe. Perché le chewing-gum non le avevano. Erano molli e senza spina dorsale.
Sorrisi debolmente, fissando il vuoto.
Ecco, finalmente ho trovato il mio scopo vitale. Se fossi rimasta ferma immobile, senza mangiare o bere, lasciando che gli agenti esogeni compissero il loro lavoro, forse anche io, un giorno, mi sarei liquefatta, ricadendo sul marciapiede sotto forma di poltiglia rosa. Un chewing-gum alla fragola.
“Maddy, guarda!” Sollevai debolmente la testa, sentendomi incompresa. Cosa c’era di così importante da distrarmi dal corso della mia vita?
“Ora che Jack è a posto, possiamo andare!” Davanti a me, Désirée mi fece il segno dell’OK.
Guardai per terra, senza molta vitalità. Jack non era più un Avatar, vero, e stava respirando …
… Ma non è che giacere in una pozzanghera rosa sia molto salutare.
“Oh, non badare al liquido che c’è per terra. È uscito fuori quando gli sono saltata sopra.”
What?
“Sì, vedi, ho visto che gli uscivano delle bolle dalla bocca.” Sorriso orgoglioso “Quindi ho dedotto che doveva avere i polmoni pieni d’acqua!”
Ah. Ecco, ora è tutto- COSA?!
“Jackpot, sei vivo?!” Gli urlai, preparandomi ad uno sprint nella sua direzione.
Fortunatamente, non dovetti compiere un tale sforzo fisico – le chewing-gum non avevano muscoli – poiché il rosso si rialzò, traballante, accennando ad un debole sorriso.
“T-tutto ok. Ci vuol ben altro per togliermi di mezzo.” Sagge parole, per uno che sembra più morto che vivo.
“Allora non ti spiacerà se andiamo al parco dei divertimenti, giusto?” Désirée fece inconsciamente gli occhi dolci. Un’espressione che risollevò completamente il mio spirito, e fece riacquistare forza a Jack.
“Aww, certo che non mi dispiace! Ci andrei anche subito …” Esclamò, facendole fare un salto di gioia. Al contrario, io mi scordai completamente della mia brama di diventare una Dit-Babol. Incrociai le braccia, mettendo su un broncio invidioso. Perché lei ha un accompagnatore mentre io sono costretta ad essere sola come un cane?
“… se avessi almeno un pokè.” Continuando a sorridere – un sorriso più triste e rassegnato – dai suoi occhi sgorgarono pian piano piccole lacrime di coccodrillo. Per dimostrarci la verità delle sue parole, prese il portafoglio e lo scrollò. Anche da quella distanza riuscivo ad intravedere tracce di ragnatele e polvere.
“M-ma ...” Désirée lo afferrò per la collottola, con un’aria che doveva apparire triste, ma che agli occhi di Jack doveva apparire lievemente minacciosa. Probabilmente era rimasto traumatizzato dagli eventi precedenti. “Ci deve essere qualcosa che possiamo fare!”
Il rosso scosse la testa di riflesso, temendo per la sua – ormai esaurita – salute. Ma ad un tratto s’illuminò.
“Ci sono! Ho un’idea geniale!” Prese Désirée per le mani, causandole un lieve arrossamento delle gote. “Désirée, vieni con me! Madeleyne, ci si vede dopo l’incontro in palestra!” Carico come non mai, prese a correre via …
“Jack, attento!”
… per poi scivolare sopra la pozzanghera del suo stesso sangue misto a bava e schiantarsi a terra, fra gli occhi stupiti dei passanti.
 
Questo è un buon momento per far finta di non conoscerlo e rifugiarsi in palestra.
Annuii fra me e me. Non fui sorpresa quando scoprii che di Daisuke non c’era più traccia – doveva essersi dileguato ore fa. Facendo ambarabà ciccì coccò m’incamminai in una direzione presa a caso, decidendo di ricorrere all’aiuto dei passanti nel caso mi fossi persa.
Prima trovavo e sconfiggevo il capopalestra, prima mi sarei tolta quell’impiccio.
 
~ ♪ ~
 
No. Mi ero per forza sbagliata. Dovevo essermi sbagliata.
“Scusi …?” Sventolai una mano di fronte ad una delle due guardie del cancello. Erano vestite alla maniera inglese, con le divise rosse ed un colbacco peloso. Quando l’uomo posò gli occhi sulla mia figura, continuai.
“Mi potrebbe dire dove trovare la palestra pokémon di Mochapoli?”
La guardia sollevo un sopracciglio, per poi rispondere, piattamente: “Le sta proprio davanti.”
Lo guardai. E poi guardai di fronte a me, come avevo fatto precedentemente per ben cinque minuti. Ma il mio cervello non voleva accettarlo. Non era possibile accettarlo.
“Chi ha avuto la brillante idea di costruire un campo di battaglia dentro ad un castello medievale?”
La guardia borbottò qualcosa, ma non lo sentii, troppo impegnata a guardare l’antica costruzione: avevo sperato fosse tutto solo uno scherzo, ma eccolo lì, in tutta la sua pietrezza.
C’erano diversi motivi che mi portavano a giudicare negativamente quell’edificio.
Un palazzo così enorme, ricco, storico, ridotto a misera palestra? Senza contare che con un paio di attacchi ben assestati potrebbe crollare! E’ un enorme spreco di soldi! Chissà quanti ragni e ratti e scarafaggi!
Ma la verità era un’altra. Avevo una sola preoccupazione al momento. Mi rivolsi per un’ultima volta alla guardia.
“Umh. E, di preciso, a che piano è collocato il campo di battaglia?”
“Torre centrale, ultimo piano.”
… come sospettavo, il mondo mi odia.
 
~ ♪ ~
 
Ansimavo pesantemente. Intravedevo lievi fasci di luce provenire dalle vetrate colorate della torre. Il mio sguardo era fisso in un punto, dritto davanti a me. Presi fiato, guardando come i piccoli granelli di polvere danzavano alla luce del sole.
C’era un’atmosfera così rilassante …
Era un peccato che il mio cadavere avrebbe rovinato quel posto magico.
Ma non avevo intenzione di andarmene senza aver pronunciato le mie ultime parole.
“Nonno, credo che è solo merito tuo se la nonna ha scelto di adottarmi. Doveva essersi abituata alla tua mania di salvare gli animali randagi, come Gigio. Ho sempre sospettato che tu, per un certo lasso di tempo, mi avessi considerato uno di quegli animali. Dopotutto, quando ero piccola, mi facevi mangiare dalle ciotole sul pavimento …” Feci un profondo sospiro.
 “Nonna, non ho mai voluto dirtelo per non offendere i tuoi sentimenti ma … la tua cucina fa proprio schifo.” I lati della mia bocca s’incresparono per la nausea. “Io e il nonno lo rifilavamo sempre al cane di turno. Chiediti perché sono tutti morti.” Tossii, sentendomi perdere le forze di minuto in minuto. Sapevo della futilità di tale gesto, ma non ero riuscita comunque a contenermi.
“Nonna, Nonno, Gigio...”
Sentii gli occhi inumidirsi.
“Mi mancheret-”
 
“Eccola lì.”
Senza un briciolo di delicatezza, un paio di guardie mi afferrarono per le braccia e le gambe, trasportandomi frettolosamente verso la meta.
Sbuffai: perché non mi lasciavano semplicemente morire?
Venni sbattuta dentro ad una stanza senza molte cerimonie. Rotolai sul pavimento, finché la forza d’attrito non compì il suo dovere, fermandomi a pancia in giù. Lo spettacolo che vidi quando aprii gli occhi si poteva dire alquanto stravagante.
Era una palestra di pokèmon circolare, illuminata da potenti lampade che parevano inusuali per quell’ambiente medievale. Ai lati si trovavano, da una parte, Daikke, dall’altra, una bambina.
Correzione: bambina che, non soltanto indossava un vestito multicolore pieno di merletti, ma indossava pure una tiara. E tacchi. E uno scettro. E un’espressione accigliata.
 
“… è lei?” Inquisì questa, battendo il piede con fare irritato sul pavimento.
Daisuke accennò con la testa ad un sì, ma la bambina non pareva convinta.
“Questa larva?”
Al sentire quell’insulto bello e buono, mi drizzai in piedi, ergendomi con un portamento che quasi mai mi sentivo in dovere di mostrare. Iniziai la conversazione in maniera piuttosto pacifica.
“Sei una vera principessa?”
“In questa palestra, sì.” Rispose quella, con superiorità. Abbandonai completamente l’aria nobile, optando per un’altra più inasprita.
“E allora ritira quel che hai detto, se non vuoi che questa larva venga lì e ti sbavi tutto il vestito.”
Una vena pulsante le comparse sulla tempia.
“Che affronto! Tale gesto è punibile con la decapitazione!” Strillò lei, facendo cenno alle guardie di portarle una grossa poltrona. O trono. Quel che era. “Ma dato che sei la mia cosiddetta sfidante, e che io sono la principessa più magnanima fra tutte, ti concederò l’onore del perdono.”
“Ma senti tu …” Mi morsi la lingua per non andare oltre. I bambini insolenti non riuscivo proprio a sopportarli. Avevano un brutto effetto su di me.
“Scegli un pokémon!” Annunciò con tono autoritario, spalancando le braccia.
 
Mi posizionai al limite del campo di battaglia. La mocciosa schioccò le dita, facendo sì che una delle guardie alla sua destra lanciasse per lei la pokéball. Alzai gli occhi al cielo, ma prima di poter commentare fui sorpresa da una voce alle mie spalle, che assunsi essere Daisuke.
“Ti ho aspettato per due ore”. Beh, forse ciò dipende dal fatto che mi hai abbandonato nel bel mezzo della città, senza nemmeno concedermi un briciolo d’informazione. Ma questa è solo l’ipotesi di una Dit-Babol in via di formazione, non ci far caso.
Mi morsi la lingua, contenendo la mia stizza: dovevo ricordarmi che non era lui l’oggetto della mia rabbia, ma solo la marmocchia.
“Scusa, ero impegnata a dire le ultime parole alla mia famiglia.” Frugai nella borsa alla ricerca delle sfere poké. “Le scale, sai, sono un avversario troppo potente.”
Quella volta fu il suo turno di alzare gli occhi al cielo.
Ma non avevo tempo da perdere: avevo una babbuina da ammaestrare.
 
La luce rossa del pokèmon della capominestra si ampliò, fino ad arrivare al soffitto. Con un ruggito poderoso, la figura oscura aprì gli occhi, fissandoli su di me con aria minacciosa. Il pavimento prese a tremare. Mi domandai se l’essere poteva sentire la mia paura. Onde evitare rischi, presi in un lampo la pergamena del mio testamento, pronta a segnare gli ultimi dettagli.
La luce si dissolse, rivelando una gigantesca mostruosità, nata dalla profondità del centro della terra, dalle fattezze simili a quelle di un demoniaco dragone grigio. Riuscivo a percepire il suo potere anche senza averlo mai visto: era un pokèmon devastante. Un pokémon che non mi avrebbe lasciato scampo.
Pokémon che si era appena incastrato fra il soffitto e il pavimento del campo.
“A-AGGRON!” Piagnucolò il gigante, dovendosi piegare per non distruggere il piano.
Nella stanza scese il silenzio.
Con molta nonchalance, la capominestra prese la pokéball e lo fece rientrare. Socchiuse gli occhi, porpora in volto.
“… ti preferivo quando eri ancora un Aron.” Quindi si ricordò di me.
“Ahah! Sei stata fortunata! In queste circostanze non posso usare il mio più fido alleato… ma non ce ne sarà nemmeno bisogno.”
In fretta, sottrasse a una guardia un altro pokèmon, e lo spedì in campo.
 
Questo era decisamente molto più piccolo e, se dovevo dire la verità, più carino. Aveva una specie di lungo codino grigio, mentre il resto del suo corpo era giallo e grazioso.
Riprendendomi dallo shock dell’Aggron – seriamente, che era successo? – mandai in campo Rattata. Era solo giusto: Wooper aveva già lottato in palestra, mentre lui no.
Al sentire il suo avversario scendere in pista, il pokèmon nemico aprì gli occhi rossi, attendendo gli ordini dell’allenatrice.
“La prima mossa allo sfidante.” Decretò questa, sogghignando.
E no, non mi faccio ingannare da questo gesto di fasulla gentilezza. La faccenda puzzava.
“Rattata, su, inizia a corrergli incontro.” Lo incitai, prelevando rapidamente il pokèdex per controllare gli attacchi che avevo a disposizione. Perché sì, ero una frana con i nomi.
Uno di questi, in particolare, aveva attirato la mia attenzione; una delle ultime mosse che aveva imparato, ma che non avevo ancora capito bene come sfruttare. L’idea che mi dava la sua descrizione, però, era piuttosto appagante.
“Mph, stolta! Mawy, mordilo!” Urlò senza preavviso la bambina, nello stesso istante in cui io avevo ordinato il mio attacco.
“Sbigoattacco!”
La sequenza fu rapida: il pokèmon giallo, ancora prima di voltarsi, venne colpito alla pancia da una velocissima schienata. L’avversario perse l’equilibrio, e, volendo cogliere l’occasione al volo, decisi un altro attacco.
“Iperzanna!” Quando il topo cercò di mordere il nemico, si udì un forte rumore metallico. Controllando Dexi, notai con sorpresa che l’attacco non aveva avuto il solito effetto prodigioso. Approfittando della mia confusione, il coso con il codino si rialzò in un batter d’occhio, facendo cadere Rattata a terra.
“Mawy, sgranocchio!” Ah! Come se quel cosino possa riuscire a battere il dente miracoloso di Rattata! Pensai, piena di orgoglio.
 
Orgoglio che mi ritrovai a sputare dallo shock, quando vidi il mio pokèmon essere librato in aria e masticato come una caramella da niente meno che una pianta carnivora.
“Che diavolo ci fa una pianta su quel pokèmon!? Gliel’avete impiantata voi? Lo sta controllando? Le radici sono penetrate fin nel cervello?” Quella era stata una mossa che non mi sarei mai aspettata, ma non avevo il tempo di scandalizzarmi sull’abuso del pokèmon. Dovevo già salvare il mio.
“Uh ...” Che potevo fare? “Prova a usare di nuovo Sbigoattacco.”
Il topino eseguì l’ordine, ma non riuscì comunque a liberarsi da tale morsa. Iniziai a sudare freddo.
“Attacco rapido?” Oltre a sprecare energie, non fu in grado nemmeno di scalfire i suoi denti d’acciaio.
“Azione!” Prima ancora che potesse eseguire, il pokemon pseudo-pianta strinse le fauci attorno a lui, impedendogli il movimento.
“Ahahahah!” Risuonò dall’altra parte del campo. “Il mio Mawy ha una difesa impenetrabile! La sua bocca può masticare persino l’acciaio!”
“Perché mai dovrebbe mangiare dell’acciaio?!” Mi misi le mani fra i capelli, frustrata, guadagnandomi un paio di occhiate stranite dalle guardie.
 
“Argh! Ce l’avrà pure un punto debole quel coso!”
Lo osservai rapidamente, e, guardando il pokèdex, compresi che se non fossi riuscita a liberare Rattata sarebbe stato tutto finito in un attacco. E non volevo perdere contro una bambina così altezzosa.
Ragiona, Maddy. Sei incapace come allenatrice, questo lo sanno tutti. Ma considera questa battaglia da un altro punto di vista. Come si fa nei videogames a sconfiggere un boss impenetrabile dall’esterno, e che mangia gli opponenti?
Sollevai un sopracciglio. Beh, Zelda ci butta una bomba dentro e –
“Muahaha.” Feci una piccola risatina, fregandomi le mani.
“D’accordo Rattata, mordi la sua bocca!”
“Ti ho appena detto che--” La zittii, aggiustando l’ordine che avevo dato al pokèmon.
“Usa Iperzanna dall’interno!”
Ugh, che schifo! Dopo questa battaglia, passerò almeno un’ora a lustrare i denti del mio pokèmon!
Qualcosa comunque dovette accadere, perché in men che non si dica il pokemon con le zanne sputò il mio, iniziando a correre di qua e di là in preda al dolore. Rattata, notai con preoccupazione, era ricoperto da graffi e ferite più profonde. Inoltre, sembrava incredibilmente stanco, con quel suo pelo arruffato e ricoperto da bava.
Strinsi i denti: quella pianta affamata si meritava una bella lezione.
I miei pensieri furono interrotti dalla voce stridula della bambina.
“H-hey! Non fuggire dal campo di battaglia per una simile sciocchezza!”
Non me ne sarei stata a guardare mentre lei riacquistava il controllo dell’incontro. Ordinai al topo di usare Inseguimento, e questo scattò in avanti, dapprima barcollante, ma poi più deciso. In pochi secondi raggiunse l’avversario e gli si schiantò addosso, facendolo rotolare contro una delle pareti della torre.
Ma questo aveva ancora un buon vantaggio su di noi. Prima di stenderlo definitivamente, avrei dovuto usare almeno una decina di mosse, e di certo non avevo così tanto tempo a disposizione. Seriamente, di cosa era fatto quel mostriciattolo? Pareva indistruttibile!
Ci dev’essere qualcosa che posso fare, oltre ad attaccarlo! Pensa Maddy, in cosa è bravo il tuo primo pokèmon? Ormai dovresti conoscer- Oh.
 
Non avevo molto tempo.
Il nemico si era ormai rialzato, e Rattata non avrebbe potuto reggere un altro colpo.
“Rattata, vai sulla sua testa e usa colpo-coda!”
Mi ero aspettata un lungo sospiro da parte di Daikke, ma questi, incredibilmente, decise di lasciarmi fare come mi pareva. La sfida era mia dopotutto.
La principessa non era però dello stesso parere e, anzi, ci tenne molto a farmelo sapere.
“C-colpo coda? Ma è l’attacco più inutile che-..!” Prese a ridere, battendo lo scettro per terra. “Ah, beh, attacco inutile da padrona inutile. Mawy, usa di nuovo sgranocchio! Mangia quell’odioso parassita!”
Durante il lungo discorso della mia avversaria, ebbi tutto il tempo necessario per gridare, pregando ad un qualche dio pokèmon (chissà se ne esisteva uno) che la tattica funzionasse.
“Attacco Rapido! Vattene da là!”
E, mentre il topo schizzò via grazie alla sua velocità, la testa del pokémon giallo venne inglobata dalla pianta carnivora che, senza preavviso, diede una sequenza di morsi poderosi. Ma, per quanto incuriosita, non avevo il tempo di stare a guardare il mio primo atto di cannibalismo. Rattata, intuendo le mie intenzioni, prese la rincorsa ed abbatté l’avversario con un altro Sbigoattacco.
“Ipeeeerzanna!” Cavolo, quando fa bene sfogarsi.
Ergendosi con energia sopra il nemico, allargò per un’ultima volta i denti fosforescenti, e, producendo per l’ennesima volta un suono metallico che rimbombò sulle pareti, colpì.
 
In un primo momento non accadde nulla. Alla fine, però, Mawy crollò a terra privo di grazia, con le fauci ancora attorno alla sua testa ma abbastanza allentate da potergli intravedere gli occhi a girandola.
Mi asciugai il sudore dalla fronte, immensamente sollevata. Rattata si sedette sulla sua vittima, annusandosi le ferite riportate. Le guardie deglutirono, come se fossero in attesa di qualcosa. Qualcosa che non tardò a farsi sentire.
“N-no … NO! Non posso credere di aver perso contro un essere così insolente!”
Con la velocità di un fulmine, ripose Mawy nella pokéball e rovesciò il trono – sotto il quale c’era un piccolo passaggio segreto - cercando di nascondere le lacrime di rabbia e imbarazzo. Quindi, facendomi un’ultima pernacchia, saltò nella cavità.
 
Le guardie, imbizzarrite, scattarono fuori dalla porta, alla ricerca della loro padrona.
Sorpresa e a dir poco arrabbiata, corsi a vedere lo strano passaggio: sembrava una semplice buca scavata nella terra, troppo profonda per poterne vedere l’uscita.
“Dove cavolo è andata adesso?” Domandai con tono seccato fermando una delle guardie, che tossicchiò.
“Se non sbaglio, il condotto porta da suo nonno.”
“E donde sta questo vecchietto?”
“Gestisce una piccola attrazione nel Luna Park, anche se adesso è chiusa per restauro.”
Ma non lo stavo più ascoltando: avevo smesso da quando questo aveva pronunciato le fatidiche parole. Capendo di non essere più richiesto, se ne andò via, lasciandoci da soli con il passaggio.
 
“Luna Park!” Mi voltai verso Daikke, più decisa che mai.
“Te lo già detto, non ci voglio mettere piede.” Incrociò le braccia, difensivo.
“Ma ha le nostre medaglie!” Mi lamentai, sapendo che Daisuke non avrebbe rinunciato a una medaglia solo per una misera avversione al divertimento.
A quello spalancò gli occhi, realizzando solo allora quel che avrebbe dovuto fare. Abbassò leggermente lo sguardo, contemplativo.
“… le medaglie.”
“Yep, sai, quelle cosucce luccicanti e di ferro colorato, che non servono a niente se non per vantarsi?” Lo aiutai, facendo leva sul suo senso del dovere.
Non ricevetti risposta.
Corrugai la fronte, non sopportando l’idea di essere ignorata.
“Grazie per la considerazione …”
Daisuke, però, non pareva nemmeno avermi sentito. Si limitava a fissare il vuoto con il volto che andava via via impallidendo.
Iniziai ad agitarmi.
 
Mi avvicinai lentamente, studiando il suo comportamento alquanto inconsueto. Daisuke che si estraniava dalla realtà? Non era un buon segno.
“… Daikke?” Chiamai, maledicendomi per il mio tono incerto. L’altro parve riscuotersi dai suoi pensieri e strabuzzò gli occhi. Rialzò di poco il volto, corrugando un sopracciglio inquisitorio.
Era il momento per provare a distrarlo. Qualsiasi cosa andava bene, per non vederlo rientrare nello stato di smarrimento in cui era prima. Non avrei saputo come reagire con un Daisuke smarrito.
“Se vuoi, possiamo fregarcene della faccenda.” Provai. “Possiamo andare al Centro Pokèmon, farci una bella dormita, e ripartire domani. Possiamo tornare dopo aver sconfitto le altre palestre.” A quello socchiuse gli occhi, distogliendo lo sguardo.
“Le medaglie. Per sfidare gli altri capipalestra ci servono le medaglie.” Non aveva usato un tono particolare, pareva una semplice constatazione. Ma ero riuscita a sentirla lo stesso. Quella piccola nota esitante, che aveva fatto tremare la sua voce. Titubanza? Era come se avesse pronunciato quelle parole contro la sua volontà. Solo perché era la cosa logica da dire.
 
“Allora andiamo.” Non sapevo bene cosa avrei dovuto consigliargli. Incoraggiarlo a fare qualcosa che ovviamente non voleva fare, o impuntarmi e trascinarlo via, abbandonando i nostri dovuti premi?
Immediatamente dopo aver pronunciato l’esortazione, lo notai stringere con forza le maniche della sua giacca, fino a sbiancar le nocche. Corrugò la fronte, ma non per esprimere disappunto o critica. Sembrava piuttosto un gesto spontaneo, come se cercasse di convincersi di qualcosa. Qualcosa che lo stava angosciando. Qualcosa che in quel momento mi ritrovai a odiare.
Perché mai si sentiva in dovere di fare qualcosa che evidentemente non voleva fare?! Che c’era di tanto terrificante in un parco dei divertimenti?! Perché quella stupida mocciosa non ci aveva consegnato le medaglie, al posto di fuggirsene via in quel modo?!
No, no, no. Calmati Madeleyne. Ci sono altre cose di cui preoccuparsi.
Daisuke stava infatti fissando il tunnel con aria tormentata, quasi morbosa. Sul suo viso notai la comparsa di piccole gocce di sudore.
Al vederlo in quello stato, mi sentii quasi in colpa. Era ovvio che non voleva farsi vedere così, e che in quel momento stessi assistendo ad una dimostrazione di emozioni che sarebbe dovuta rimanere nascosta. Ma era anche ovvio che non mi avrebbe mai rivelato nulla, nemmeno se gliel’avessi chiesto.
Per la prima volta mi resi conto che, in effetti, non conoscevo proprio niente di lui: non sapevo dove abitasse, quali erano i suoi interessi, perché aveva intrapreso il viaggio …
Non conoscevo nemmeno il suo cognome.
Percepii la formazione di un nodo alla gola. Come avevo fatto per tutte quelle settimane a viaggiare insieme a lui, quando praticamente era come uno sconosciuto? Come avevo potuto affermare di essere sua amica, senza sapere nemmeno cose importanti come il suo cognome?!
Gli lanciai una fugace occhiata, ma poi fui costretta a distogliere lo sguardo, disprezzandomi con tutta me stessa. Chiusi gli occhi, cercando di calmarmi.
 
Avvertii una leggera pressione sulla mia gamba. Aprendo gli occhi, mi ritrovai a fissare quelli rossi di Rattata, che, seppur ricoperto di ferite, sembrava fermo e determinato. A quanto pareva, voleva dirmi qualcosa. Lo presi fra le mani, portandolo a livello del mio viso. Quello mosse le orecchiette, guardandomi con disapprovazione.
E no, non l’avevo capito guardandolo: Rattata era sempre piuttosto indifferente, nel dimostrare le sue emozioni. Semplicemente, lo sapevo. Come sapevo che sopportava a stento Wooper, adorava mangiarmi le provviste e non avrebbe esitato a comportarsi in maniera insensibile con me, pur di salvarsi da situazioni scomode.
Quello era Rattata, e non avevo bisogno che lui mi parlasse, per conoscerlo.
Un po’ come Daikke... Riflettei automaticamente.
A quel punto, il topino, raddolcendosi, indicò il mio compagno di viaggio con la coda.
Ritrovandomi ad osservarlo, notai che non stava affatto migliorando. Infatti, non si era mai mosso di un millimetro da dove l’avevo lasciato.
Presi una decisione.
Afferrai la pokéball e guardai Rattata, annuendo con energia. Quello chiuse gli occhi e, non avendo nient’altro da dirmi, si lasciò risucchiare nella sfera.
 
Tornai da Daisuke, desiderosa di far qualcosa, qualunque cosa, per farlo tornare come prima.
Per prima cosa mi intromisi fra lui e il passaggio, chiamandolo per nome. Quando vidi che quello non funzionava, ritentai, allarmata.
“Daikke!”
Fui enormemente sollevata al vederlo tornare in sé. Così tanto, infatti, che non riuscii a trattenere un sospiro. Lui, nel frattempo, impiegò alcuni secondi per riconoscere l’ambiente circostante.
“Bentornato fra i comuni mortali.” Cercando di attirare l’attenzione su di me, schioccai le dita. O almeno, tentai. Non ero mai stata brava a schioccare. Ma il gesto era bastato.
Lentamente, sollevò gli occhi neri fino ad incontrare i miei.
Riconoscevo quell’espressione: la facevo anche io ogni volta che notavo degli insetti. Erano gli occhi di una persona intimorita. Di qualcuno pronto a fuggire da una situazione spiacevole. Di qualcuno che era incredibilmente insicuro sul da farsi.
In qualche modo, l’idea di andare al Luna Park era riuscita a destabilizzarlo.
Mi morsi il labbro, concentrata, per poi inspirare profondamente: se non era in grado di prendere una decisione, per una volta l’avrei presa io.
 
Perché era vero.
Io non sapevo nulla di Daisuke, e probabilmente non l’avrei mai compreso appieno.
Ma ciò non era importante. Non avevo bisogno di quelle informazioni, per poterlo aiutare.
Ci sono certe cose che non si imparano dialogando. Non conoscevo Daisuke …
Ma conoscevo Daikke.
 
Le labbra mi s’incresparono in un sorrisetto maligno.
“Daikke, Daikke, Daikke ~” Mi fissò, confuso.
“Daikketto ~” Gli ritornò un po’ di colore.
“Daikkellino ~” Corrugò la fronte.
“Daikkuccio ~” Smise di incrociare le braccia e stritolare la giacca.
“Daikke bau bau ~” Gli occhi s’indurirono, acquistando una freddezza e una ferocia tali che, se non mi fossi ricordata di star compiendo un’azione kamikaze per il suo bene, mi sarei probabilmente buttata giù dalla finestra della torre. Ma la mia lingua era ormai posta sull’automatico: dovevo continuare, nonostante non mi fosse sfuggito il tremore rabbioso del suo pugno.
“Daik-”
 
ZITTA.” Si vedeva da lontano un miglio che stava usando tutte le sue forze per controllare il suo temperamento. “Se non vuoi diventare una razza estinta, sta zitta.”
E così feci. Per circa quattro secondi, ma era un tempo più che sufficiente. Non si poteva aver tutto dalla vita, no?
Aprii la bocca, gesto non passato inosservato.
“Ti avevo av-” E no. Non poteva dirmi di stare zitta dopo che mi aveva fatto quasi venire un colpo. Avremmo dovuto fare un lungo discorsetto su quello che era successo … dopo aver recuperato le medaglie, certo.
“Sono felice di vedere che stai meglio, ma, nel caso non te ne fossi accorto, ci terrei alla preservazione della mia specie.” Lo informai, incrociando le braccia. Quindi, con più pacatezza, cercando di mascherare l’agitazione che fino a poco fa avevo provato, aggiunsi, “Credevo ti stesse per venire un collasso nervoso, prima.” Credevo te ne saresti andato.
Fortunatamente riuscii a fermarmi, prima che dettagli imbarazzanti potessero essere rivelati.
“Sei tornato al pianeta Terra, o il tuo cervello è ancora attraversato dalle radici di pianta carnivora mutante?” Scherzai, ricordandomi dell’incontro di poco fa.
L’altro, il cui rossore stava finalmente abbandonando il viso – era ancora arrabbiato? – lasciò ammansire il suo sguardo, facendolo tornare alla normalità. Si sistemò gli occhiali.
“Non era una pianta. Erano le sue corna.”
“Gli hanno conficcato delle corna nel cervello!?” Trillai, shockata. “Se questo è vero, dichiaro il mondo dei pokémon troppo violento per i miei standard e me ne torno dritta a casa.”
“… Perché perdo ancora tempo a parlare con te?” Si massaggiò il setto nasale, sconfortato.
“Perché senza di me, ti annoieresti.”
L’altro roteò gli occhi.
Non sapeva quanto quel gesto mi avesse tranquillizzato.
Good, everything is back to normal. Meglio non perdere altro tempo. Devo salvare le medaglie da quella befana.
Corrugai le sopracciglia.
Ok, bene. Ma come faccio a convincere Daikke ad andare nel passaggio?
 
Lasciai passare dieci secondi. Dieci secondi nei quali Daisuke si era pulito gli occhiali. Dieci secondi nei quali mi si allargò un ghigno sulla faccia. Dieci secondi al termine dei quali, senza preavviso, ero andata dietro al mio compare. Che si voltò, fra l’apatico e il sospettoso. Per poi sbarrare gli occhi dalla realizzazione e cercare di correre via dalla sua locazione. Non che gliene concessi la possibilità.
Prima che potesse far qualcosa, gli diedi uno spintone, buttandolo nel passaggio.
Ascoltando per un attimo l’eco delle sue minacce, scossi la testa ridacchiando e saltai dentro anche io.
 
~ ♪ ~
 
Jack riusciva a sentire le giunture delle sue ossa supplicargli di mettere fine al loro supplizio.
Era riuscito a trovare un lavoro temporaneo in uno dei ristorantini appena dentro il parco dei divertimenti – quel giorno c’era il pienone ed il direttore si era dimostrato piuttosto felice di avere qualche braccio in più. Aveva deciso di lavorare per permettere a Désirée di svagarsi con le attrazioni del parco, ma questa aveva testardamente rifiutato di lasciarlo solo, asserendo che non avrebbe sfruttato il suo ‘sacrificio’ per andare a divertirsi. Così entrambi si erano ritrovati a correre avanti ed indietro, portando vassoi pieni di profumate pietanze che non potevano nemmeno sognarsi di assaggiare. Ma quella non era la peggiore tortura.
Per un certo periodo, infatti, tutto era filato liscio: diverse signore erano state molto generose e, dopo aver trascorso qualche minuto a chiacchierarci assieme, avevano lasciato a Jack una cospicua mancia. Ma più passava il tempo, più sentiva le sue vecchie ossa scricchiolare. Non era che non avesse un fisico atletico: semplicemente non aveva un briciolo di resistenza.
Ciò non aiutava affatto la solitudine che provava in quel momento. Perché sì, Jack era, per la prima volta dopo mesi, libero dai continui rimproveri del vecchietto che abitava in lui:  da quando aveva incontrato il Team Pyro, infatti, il nonno non s’era più fatto vivo. All’inizio era stato felice – un po’ di riposo per i suoi nervi! – ma ora era seriamente preoccupato. Non era raro che l’altro si assentasse per un po’, nei meandri della sua coscienza (o meglio, che si addormentasse senza motivo), ma mai per più di qualche ora.
Jack iniziò a chiedersi se non fosse andato in letargo. Dopotutto l’inverno era alle porte, e non era effettivamente sicuro che il suo coinquilino fosse umano. In fondo non l’aveva mai visto. Poteva essere un orso. O un dinosauro. Ogni volta che parlava, si riferiva sempre alla sua saggezza e vecchiaia ...
Scosse la testa, andando ad aprire la porta ad una coppietta.
 
C’era solo un’unica cosa che lo poteva distrarre dai suoi problemi personali. Ovvero, la sua preoccupazione per Désirée. O, se si voleva essere più precisi, per i clienti che flirtavano con lei.
Facendo lo slalom fra i tavoli, Jack si lasciò scappare un sospiro impensierito: la ragazza, pur essendo molto perspicace – a volte gli era quasi sembrato che riuscisse a leggergli nella mente – era anche estremamente ingenua. Chissà cosa le avrebbero potuto chiedere, camuffando tutto da semplice conversazione …
Ma, per quanto fosse guardingo, doveva ignorare i propri impulsi protettivi per concentrarsi sul lavoro.
O almeno, così avrebbe voluto fare.
 
“KYAH!” Posando i piatti su un tavolo a caso, Jack scattò in direzione dell’urlo di sorpresa, proveniente da dentro un grande sgabuzzino per le provviste. Fece per entrare nella stanza, pieno di apprensione.
Non poteva prevedere che la porta lo attaccasse.
Cadendo a terra, la sentì quasi ridacchiare. Ma quasi. Doveva essere stata colpa del trauma che aveva appena subito al teschio.
Non fece in tempo a riprendersi, che venne scosso, senza grande rispetto per la sua salute, da una voce frettolosa.
“Jackpot! Hai mica visto una mocciosa con un vestito multicolor?” Riconosceva quella voce.
“Madel-” Quella fece un gesto d’irritazione, per poi rilasciarlo senza troppi complimenti.
“Argh! Abbiam già perso troppo tempo! Daik- Daisuke, andiamo!”
 
E così, in un lampo, se n’erano andati, correndo via senza che lui potesse chiedergli da dove diamine fossero spuntati. Si affrettò nello sgabuzzino, confuso e dolorante. Quello che vide lo risvegliò dall’atmosfera sognante dovuta allo stordimento, per lanciarlo in un vero e proprio incubo.
“Jack? T-ti posso spiegare! Maddy e Daisuke sono usciti dal condotto d’areazione! So che sembra impossibile ma-” Il rosso perse la calma.
“Sì, ma perché proprio i piatti!” Jack s’inginocchiò con aria nevrotica davanti ai cocci, cercando futilmente di rincollarli con lo sputo.
“Mi sono caduti addosso! Come avrei potuto salvarli?” La ragazza gesticolava con irrequietezza, volendosi scusare decentemente ma non avendo idea di come fare.
“… è una maledizione …” Vedendo che la sua tattica non funzionava, Jack lasciò cadere, affranto, i cocci – ora sbavati – sul pavimento.
Ma non ebbe il tempo per compiangersi adeguatamente.
“Uuh, Jack? Sta arrivando il direttore!”
“Ogni volta … ogni singola volta …” Prese a lacrimare, arresosi al destino.
“Ja-”
 
“JACK!” Il suddetto interessato prese a tremare, ma non si girò.
Lo fece solo quando sentì due mani afferrargli le spalle, in una morsa che pareva chiudersi direttamente sulle sue ossa. Il proprietario del ristorante, alto e possente, aveva fin da subito intimorito il giovane cameriere.
“Lo sai cosa facciamo a chi rompe?” L’uomo strinse la presa, conficcandogli le dita nella carne.
Jack aprì un paio di volte la bocca, ma la richiuse subito dopo. Fece un piccolo sorriso di disperazione.
“Glielo facciamo pagare.” Il sorrisetto di Jack traballò. Lanciò una veloce occhiata a Désirée, che lo fissava con un lieve sorriso, come ad incoraggiarlo. Con la bocca, pareva aver sillabato una qualche rassicurazione.
Solo allora il ragazzo si voltò, con il cuore leggermente speranzoso. Si voltò, e impallidì: il suo capo, con sguardo severo, gambe divaricate a mo’ di barriera, stava impugnando un lucido, pesante mattarello … ricoperto da un liquido rosso.
Lentamente, si alzò in piedi.
“Allora Jack. Lo farai adesso? Oppure dopo? Sappi che più aspetti, più la punizione diventerà cara … Ahahah!” Jack ignorò la risata da brivido, e fece di sì con la testa. Sì a cosa, poi, non lo sapeva. La vista del sangue l’aveva scosso troppo in profondità.
Con rispetto, fece un veloce inchino, facendo sì che il proprietario lo fissasse stranito.
E, con uno scatto che prima di allora non aveva mai creduto di poter realizzare, gli passò in mezzo alle gambe con una capriola, fuggendo via.
 
Nessuno dei due lo rincorse. Désirée si limitò a massaggiarsi le meningi, mentre l’uomo si grattava la testa con il mattarello.
“Cosa gli è preso? Gli avrei solo detratto un po’ dello stipendio. Non pensavo che quei soldi fossero così importanti, per lui …”
“Lo scusi, è un po’ impressionabile.” Sospiro.
“L’ho notato, mia cara, l’ho notato …” L’uomo prese un gran respiro. “Peccato, però. Era un ottimo dipendente. Metà delle ragazze del luna park è venuta qui solo per vederlo.”
“Già.” Désirée fece una piccola smorfia infastidita. Quindi abbassò lo sguardo, pensierosa.
Il suo capo, che oltre ad essere il proprietario del luogo era anche il suo chef più importante, comprese all’istante. Stampandosi in faccia un enorme sorriso, decise di batterle con energia una mano sulla schiena.
“Hey, la serata non è ancora finita: ci sono una sacco di clienti che aspettano.”
Désirée, sorpresa dal gesto, spalancò i grandi occhi puerili.
“E poi, ho appena messo una bella torta di forno, con tanto di farcitura alla marmellata di Cherrim!” L’uomo, giocherellando con il mattarello, le strizzò l’occhio. “Se lavorerai con costanza, te la potrei anche regalare tutta.”
“M-ma-!” Non poteva accettare un regalo così grande da un perfetto sconosciuto. Désirée arrossì, non sapendo come rifiutare senza essere scortese.
“Consideralo un bonus. Te lo sei guadagnato!” Detto ciò, il proprietario s’incamminò fuori dallo sgabuzzino, dove le cucine e i suoi colleghi lo attendevano con impazienza. Désirée si affrettò a ringraziarlo, alzando la voce.
“Non so come ringraziarla! Se solo tutte le persone fossero gentili come lei, il mondo sarebbe un posto decisamente migliore!”
Come risposta, ottenne solamente una fragorosa, ma distante, risata.
 
Una volta rimasta completamente sola, il guizzo di infantile felicità che Désirée aveva sentito, seppur per pochi istanti, riempirle l’animo, si dissolse.
Estrasse il suo cellulare dalla tasca, aprendolo. Sull’immagine di sfondo c’erano una bambina dai capelli biondi, che seppur aveva le labbra contorte in un broncio non poteva fare a meno di arrossire, mentre veniva abbracciata da un altro bambino castano, leggermente più alto di lei, con un sorriso da furbastro.
“Già …”
Lasciò che un sorriso malinconico le affiorasse sulle labbra.
 “Sarà un posto decisamente perfetto.”

 
 
 
 
 
~ Author’s Corner
Scusate. Davvero. Chiedo venia. Scegliete voi per cosa.
   
 
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