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Autore: Trick    15/04/2013    5 recensioni
ĢIl mondo non č diviso in brava gente e Mangiamorteģ.
Raccolta di drabble, flash-fic e one-shot di mediocre pretesa spudoratamente a caso.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Pių contesti
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Scritta per l'iniziativa 24hours-of-fun organizzata dalle fantastiche Geilie ed emme. Il prompt era «Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuovi orizzonti ma nell'avere occhi occhi nuovi». (Marcel Proust)

*

Apri gli occhi
Percy Weasley
1700 parole


Di Percy Weasley si sarebbero potute dire tantissime cose. Si sarebbe potuto dire che era un Weasley dai capelli rosso fuoco come tutti i componenti della sua famiglia, si sarebbe potuto dire che era uscito fuori alto e allampanato come suo padre e cocciuto come sua madre. Si sarebbe potuto dire che era sempre stato un ragazzo dotato di vivido acume, volenteroso e diligente – spesso pedante. Si sarebbe potuto dire che era diverso da tutti i suoi fratelli, ma la realtà era che nessuno dei suoi fratelli si assomigliava l'uno con l'altro.
C'era Bill, il primogenito talentuoso e responsabile che era cresciuto in fretta per correre dietro ai fratelli più piccoli; c'era Charlie, quello scanzonato e impetuoso nato per l'avventura; c'erano i gemelli Fred e George, senza freni e senza paura, con la risata riflessa negli occhi identici e la battuta tagliante pronta sulla lingua; c'era Ron, quello timido e insicuro con la lealtà impressa nel cuore; e poi c'era Ginny, che era un po' Bill e un po' Charlie, un po' Fred e George, e perfino un po' Ron.
Percy era diverso da loro quanto ognuno era diverso a modo suo, ed erano tutti Weasley, tutti a modo loro. Era quello ambizioso, lui – ma lo era anche Bill, lo erano anche Fred e George. Era quello sveglio – ma lo era anche Ginny. Era quello che non voleva mai salire sul manico di scopo, l'unico al quale non fosse mai piaciuto particolarmente il Quidditch – e alla fine era stato proprio lui a cadere.
Quello che non aveva mai davvero volato.

    «Non hai nulla da dire?».
    Percy osservò sconcertato il volto inespressivo del padre, poi rivolse un'occhiata perplessa alla madre. La donna era rimasta immobile accanto allo stufato, con il mestolo stretto fra le mani grassocce e la labbra appena dischiuse. Il ragazzo si passò le dita fra i capelli.
    «Sono diventato assistente del Ministro» ripeté con foga crescente. «Assistente del Ministro. E tutto ciò che riuscite a fare è... tacere?».
    Arthur socchiuse le palpebre con un moto di dolore, si sfilò gli occhiali di corno e iniziò a pulire distrattamente le lenti con deboli movimenti del polso. Non disse nulla per diversi secondi, ma quando parlò il suo tono parve fendere l'aria fra lui e il figlio.
    «Percy... hai pensato a cosa davvero potrebbe significare?».

    «Certo che l'ho pensato. Significa che finalmente le mie capacità sono state notate da persone importanti, gente che conta. Assistente del Ministro, papà... e lavoro al Ministero soltanto da due anni. È un traguardo incredibile per la mia carriera, non--». S'interruppe di colpo e parve trattenere il fiato. Nei suoi occhi si accese una luce inquisitoria. «Tu non credi mi abbiano promosso per le mie capacità» concluse con un filo di voce. «Non credi che io ne sia davvero all'altezza».
    «Al contrario, credo che saresti ottimo per quel compito» replicò con forza Arthur. «Ma non così, Percy. Non adesso. Non sei stato assunto per i tuoi meriti. Sei stato assunto perché sei mio figlio».
    Percy emise uno sbuffo sarcastico.
    «Perché sono tuo figlio? Dannazione, papà, tu lavori all'Ufficio per l'Uso Improprio dei Manufatti dei Babbani» sputò l'ultima parola come se fosse un'onta tremenda. «Che raccomandazioni avresti mai potuto offrirmi?».
    Le orecchie di Arthur si tinsero di un pericolosa sfumatura rubizza. Molly si portò una mano al petto e si frappose fra loro.
    «Percy, come puoi parlare a tuo padre in questo modo?» pigolò con voce tremante. «Darebbe l'anima per ognuno di voi».
    «Forse, ma non la sua ammirazione» rispose pungente. «Non è così, papà? Non sei pronto a vedermi fare la carriera al Ministero che tu non sei mai riuscito a fare?».
    «Percy!».
    Ma il ragazzo pareva irrefrenabile. Teneva i pugni chiusi e al di là delle lenti degli occhiali il suo sguardo brillava di delusione.

    «È sempre stato così» continuò con rabbia crescente. «Quando Bill è diventato Caposcuola vi siete accesi di orgoglio, avete festeggiato per intere settimane. Quando io sono diventato Caposcuola mi avete dato una pacca sulla spalla. Mi avete detto: “Ben fatto, non ci aspettavamo niente di diverso”. Ve lo aspettavate e basta, così come vi aspettavate i risultati dei miei M.A.G.O. Ho ottenuto i voti migliori del mio anno» sibilò astioso. «I migliori. Ma voi eravate troppo impegnati a gonfiarvi per le prodezze avventurose di Ron, per i successi che Charlie riscuoteva in Romania, per la bravura di Bill in Egitto... perfino i ridicoli di scherzi di Fred e George vi hanno reso più orgogliosi dei miei progressi scolastici. A nessuno è mai importato di ciò che io guadagnavo, giorno dopo giorno, fatica dopo fatica».
    Molly osservava il volto del figlio come se non riuscisse nemmeno a riconoscerlo. Sembrava che ogni sua parola le stesse dilaniando il petto e le guance rotonde erano rigate da lacrime silenziose.
    «
    Percy... non è vero».

    Percy non aveva occhi che per il padre.
    «E ora, proprio quando vengo a dirti che sono il più giovane assistente al Ministro che si sia mai visto, che davanti a me si apre una carriera straordinaria come mai nessuno di questa famiglia ha potuto vantare... tu mi dici che non lo merito».
    Stremato, Arthur si passò le mani sul volto. Le sue spalle erano incurvate in una linea rassegnata e sconfitta.
    «Ti sbagli. Non hai la minima idea di quanto io e tua madre siamo orgogliosi di te» mormorò piano. «Tu sei un ragazzo straordinario, Percy, ma ti stai lasciando accecare dall'ambizione. Non riesci a valutare con razionalità cosa davvero sta accadendo. Il ritorno di Tu-Sai-Chi ha messo il professor Silente nella condizione di--».
    «Chi lo dice?» lo interruppe il figlio. «Silente? Harry Potter? Nessuno lo ha visto davvero tornare».
    Arthur rimase impietrito e sgranò gli occhi.
    «Percy...» lo chiamò di nuovo Molly, avvicinandosi a lui e cercando di stringerli il braccio sinistro. Il ragazzo si levò in fretta dal suo tocco e la donna trasalì come se avesse brandito una frusta contro di lei. «Percy, per l'amore del cielo... come puoi anche solo pensarlo? Conosci Harry. Come ti viene in mente che--».
    «Girano voci al Ministero che--».
    «Voci ridicole!» gridò d'istinto Arthur, picchiando con forza il pugno sul tavolo. «Sciocchezze! Cialtronate! Sussurri sciocchi di gente ancora più sciocca! Sai cosa davvero mi deluderebbe di te, Percy? Vederti chiudere gli occhi davanti alla realtà per la brama di gloria. Vedere uno dei miei figli lasciarsi corrompere dalla doppiezza e dall'ambizione... ecco, Percy. Questo mi deluderebbe».
    Percy conficcò i denti nel labbro inferiore e si raddrizzò gli occhiali con un gesto di stizza.
    «Appoggiare Silente ora getterebbe la nostra famiglia ancora più nel ridicolo».
    Un silenzio di ghiaccio piombò nella piccola cucina della Tana. Molly trattenne il fiato e si coprì la bocca con entrambe le mani, soffocando a stento un lungo gemito. Arthur si alzò di scatto, rovesciò la sedia e fissò il volto del figlio con sguardo di fuoco.

    «Non osare ripeterlo».
    Il ragazzo deglutì a fatica. Agli angoli dei suoi occhi si stavano formando due piccole lacrime.
    «È colpa
    tua se siamo sempre stati poveri, papà. Solo colpa tua».

    Molly si lasciò cadere su una sedia, affondò le mani fra i capelli e scoppiò in un pianto disperato, mentre suo marito e suo figlio iniziavano a gridare con furia l'uno contro l'altro.
    «Io ho fatto
    di tutto per questa famiglia!».

    «Non hai mai fatto abbastanza! Indossiamo abiti dismessi, compriamo libri di seconda mano... e tutto perché tu sei sempre stato più interessato a quegli stupidi Babbani che alla tua carriera al Ministero!».
    «Hai sempre avuto lenzuola pulite, un piatto caldo in tavola e una famiglia che ti ha sempre amato! Con quale coraggio ora vieni a recriminare tutto ciò che abbiamo fatto per voi!?».
    «P-papà? P-Percy?».

    Arthur e Percy sobbalzarono contemporaneamente. Ginny era acciambellata sui gradini delle scale a chiocciola che portavano al piano di sopra con aria sconvolta. Alle sue spalle, Ron fissava i propri genitori con le orecchie rosse e un'espressione imbarazzata. Fred e George fissavano seri il fratello più grande, con le labbra serrate in una rigida linea severa. Percy rivolse a tutti e quattro un'occhiata distratta e alzò le mani in segno di resa.
    «Bene. Se questo è tutto...».

    «Non è tutto» tentò di fermarlo Arthur.
    «Sì, papà. Fidati. È tutto» ribatté in un sussurro penoso. «Io me ne vado».


    Aveva temuto di aver commesso un errore di cui si sarebbe pentito non appena si era Materializzato lontano dalla Tana con le sue poche cose infilate alla rinfusa nel vecchio baule, ma era stato bravo a convincersi di avere ragione. Se lo era ripetuto per mesi, per anni, ma quando lo aveva capito non aveva più trovato il coraggio di tornare indietro.
    Odiava il Ministero.

    «Weasley» lo chiamò perentorio O'Tusoe, affacciandosi nel suo minuscolo ufficio con una smorfia annoiata.
    «Sì, signore?».
    Odiava essere costretto a rivolgersi a loro con la parola “signore”. Non c'era nessun signore al Ministero. C'erano rimasti solo i porci, i cani e tutti quegli idioti come lui che continuavano a seguirli. Odiava ogni cosa, dal calamaio alla seggiola scomoda. Odiava quella dannata fontana nuova, odiava il suo lavoro, il suo monolocale, i suoi bei vestiti costosi. Odiava rincasare a tarda notte in una camera vuota e silenziosa, dove il rimbombo di ciò che aveva fatto quel giorno lo accusava fino all'alba.
    «È arrivata una nuova lista di Nati Babbani per i quali occorre un mandato di arresto immediato».
    «Sì, signore».
    O'Tusoe gettò un rotolo di pergamena sigillato fra le scartoffie che riempivano la scrivania di Percy. Il ragazzo la dispiegò senza battere ciglio.
    «Ne ho bisogno entro l'ora di pranzo».
    «Sì, signore».
    Il Ministro della Magia si fermò sull'uscio e gli rivolse un'occhiata inquisitoria. Poi le sue labbra si storsero in un sogghigno fastidioso.
    «Sei un bravo ragazzo, Weasley. Farai carriera in fretta».
    Percy annuì brevemente. Le dita strinsero con più forza la pergamena giallastra.
    «È un onore, signore».

    Quando O'Tusoe si fu richiuso la porta alle spalle, Percy esalò un lungo sospiro affranto e affondò il viso nelle mani. Poi rilesse nuovamente la lista, e poi ancora e ancora, fin quando non ebbe memorizzato ognuno di quei nomi.
    Sarebbe stata una lunga nottata: quella volta i Nati Babbani che avrebbe dovuto avvertire del pericolo erano più del solito.

   
 
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