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Autore: shotmedown    16/04/2013    5 recensioni
"Ho cercato in mille modi di fartelo capire, Pierre. Non ho mai avuto a che fare con uno più testardo di te, e, dannazione, non sono ancora riuscita a rinunciare alla tua stupida faccia. Neanche dopo quindici anni."
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Pierre Bouvier
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cinque amici e un paio di chitarre.'
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Pierre’s pov



Sorridendo mi diressi in cucina, ove incontrai il motivo per cui ero lì. Non volevo Hailey facesse mosse azzardate, ma se lo avesse lasciato non mi sarebbe affatto dispiaciuto. Quell’uomo era un idiota, non avrei mai potuto ritrattare, neanche se fosse stata lei a chiedermelo.
<< Allora? Hailey sembra aver chiuso il discorso, ma io voglio sapere chi sei. >>
La sua voce roca giunse dai meandri della stanza, ove lo vidi versarsi un caffè fumante.
<< Te l’ho detto, il suo migliore amico. >>
Dissi, con fare noncurante, ma con tutta l’intenzione di scatenare una sua reazione.
<< Non mi ha mai parlato di te. >>
<< Abbiamo chiuso i rapporti per un po’. Ci siamo ritrovati da poco. Un paio di giorni, a dirla tutta. >>
Non capivo perché sentissi quel bisogno impellente di dargli delle spiegazioni, quando chiaramente avrei solo voluto sbatterlo fuori da casa Roy e prenderlo a calci sul vialetto.
Provavo un odio nei confronti di quel ragazzo che forse era innaturale.
Sto proteggendo Hailey. E’ compito di un amico.
Forse sussurrare quelle parole a me stesso non servì poi a molto, dato che numerosi dubbi ancora mi tenevano impegnato a non prestare attenzione all’energumeno che cercava di provocarmi.
<< … Mia sorella mi ha parlato della vostra band. >>
Colsi solo la coda del discorso.
<< Ma non avrei mai immaginato che il lead singer potesse essere legato alla mia fidanzata. >>
Il fatto che avesse alzato la voce pronunciando l’ultima parola mi infastidì alquanto. Hailey non era di nessuno, men che meno di quell’idiota col papillon.
Sentii le mani fremere, desiderose di sentire e provare la consistenza della faccia di Christian. Mi trattenni a stento, respirando sommessamente.
<< Piccolo il mondo, eh? Pensa, non avrei mai detto che tra tutti i ricconi di Vancouver lei avrebbe scelto proprio te. >>
Forse ci ero andato giù pesante, dato che sollevò di scatto la testa nella mia direzione.
<< Non è mai stata questione di scelte. Lei è sempre stata di mia proprietà. >>
Lei.
Sempre.
Di sua proprietà.
 Cosa ci fosse a trattenermi, non lo sapevo. Ma doveva essere qualcosa di potente, perché se lui non si era ancora ritrovato steso a terra in un fiume di sangue c’era un buon motivo.
Era il pensiero della delusione di Hailey a spingermi a restarmene al mio posto. Mi aveva sempre rimproverato per i miei bassi istinti, che in anni di lotta avevo cercato di reprimere.
Mi era bastato sentirlo parlare in quel modo per mandare tutto a farsi benedire.
<< Le ho dato tutto, in questi mesi. Regali impareggiabili, che lei ha saputo apprezzare e per i quali ha saputo ripagare. >> Ammiccò, sghignazzando.
Avevo capito cosa stava cercando di fare: sminuirmi e farmi ingelosire.
Non sapevo bene su quale aspetto stesse avendo la meglio, ma qualcosa dentro si smosse.
<< Non è così che comprerai il suo amore. Perché non ti ama, vero? >>
Sembrò che lo avessi colto sul più vivo, ed improvvisamente sentii di dover abbracciare la mia amica. Il fatto che non fosse mai cambiata aveva giocato a mio favore. La sua mascella si contrasse e distolse lo sguardo posandolo altrove.
<< Le serve tempo. >> Commentò, sorseggiando il caffè.
Ridacchiai, certo che lei non gli avesse mai parlato dei suoi tempi. Io, invece, ricordavo perfettamente una conversazione avuta il giorno di san Valentino, anni addietro.
 
<< Quell’idiota di Collins ha cercato di rifilarmi un mazzo di rose. Finte. >> Borbottò, sedendosi sul letto accanto a me. Posai la chitarra alla mia destra e la vidi gettarmi in grembo l’oggetto causa del suo disappunto.
Quasi non caddi a terra per le risate, consapevole di quanto lei odiasse quel tipo, ma soprattutto di quanto detestasse i fiori finti.
Coinvolsi anche lei nella mia ilarità, dato che la vidi accennare un sorriso.
<< Suvvia, vorrebbe solo conquistare il tuo cuore… >> Continuai a ridere come un demente.
<< Battaglia persa in partenza! >> Si lasciò cadere sul materasso, sospirando.
Aveva le idee chiare.
<< E perché mai, Miss Cuore di Pietra? >>
<< Non saranno queste sciocchezze a farmi cadere ai suoi piedi. Non accadrà mai, a dire il vero. Se volesse davvero uscire con me dovrebbe cercare di capirmi e di capirsi. Non sono acquistabile. >>
 
Forse a Christian non aveva fatto lo stesso discorso, o molto semplicemente non era più la stessa. Man mano iniziò a farsi strada nella mia mente quella paura; e se Hailey fosse davvero diversa da come me la ricordassi?
Avevo tenuto gli occhi ben aperti quei giorni, avrei dovuto notare un cambiamento. Eppure sembrava sempre la stessa, con qualche taglia di seno in più e una freddezza maggiore, che probabilmente avevo contribuito a far crescere con la nostra rottura.
<< Mi amerà, prima o poi. Ci sposeremo. >> Intervenne improvvisamente Christian, interrompendo il flusso dei miei pensieri.
Sperai di aver capito male, perché quell’evento non l’avevo neanche valutato. Hailey sposata. Con lui?
Non sapevo cosa mi desse tanto fastidio, ma ero certo che lui non se la meritasse; la conoscevo troppo bene per immaginare un suo futuro con quell’essere.
<< Ragazzi, cosa state combinando? >>Ci voltammo di scatto verso Hail, appena entrata nella cucina.
I capelli ancora bagnati e gocciolanti, un leggero abito estivo: dov’era finita la vecchia Roy da shorts e canottiere nere?
Neanche seppi perché, ma lasciai la stanza, lasciandoli soli, ed uscii di casa. Avevo bisogno di pensare.
 
Hailey’s p.o.v


Cosa diavolo gli era preso? Ero confusa, non l’avevo mai visto comportarsi così. Immediatamente il mio sguardo si volse a Christian, indagatore, ma questi fece spallucce e tornò a bere il suo caffè.
Mia madre e mio padre tornarono, con un paio di buste piene di verdure. Senza neanche metterla a posto, la mamma iniziò a preparare da mangiare, lanciando di tanto in tanto occhiate a me e Christian.
 
Quella sera a cena c’eravamo tutti. Serena era stata amabile, i miei quasi la consideravano – già – una seconda figlia. Di giudizi su Christian non ne avevo sentiti. Mio padre, benché ascoltasse con attenzione i suoi movimenti all’interno della Holding, non mostrava molto entusiasmo, contrariamente a quanto accadeva quando a cena c’erano i ragazzi. La cosa mi preoccupava: che accettasse Chris era una cosa, ma che lo facesse solo per me erano un altro paio di maniche.
Non volevo costringerli a nulla, ecco perché non avevo ancora parlato loro di noi due. E di questo ancora dovevo parlargli.
Mi ritirai in camera mia prima del solito, ma non ero stanca: avevo bisogno di riflettere. Pierre era andato via senza tante cerimonie, quasi arrabbiato, Christian sembrava non saperne nulla, inoltre tornavano alla mente quei fogli trovati nella sua valigetta.
Cercai di addormentarmi, senza alcun risultato. Sentivo chiaramente i rintocchi dell’orologio, e stavo iniziando ad innervosirmi. Mi girai e rigirai nel letto a lungo, prima di decidermi a scendere. Infilai un giacchetto e chiusi la porta di camera mia per bene. Silenziosamente mi avvicinai alla portafinestra, aprendola leggermente: scricchiolava ancora, a distanza di anni.
Oltrepassai la soglia e cercai il ramo sul quale ero solita salire per scendere dal tronco dell’albero, e quando lo trovai sperai di avere ancora l’agilità di un tempo.
Quando i miei piedi toccarono terra, mi sentii sollevata.
Guardandomi intorno, avanzai lungo il vialetto e mi avviai verso la mia meta. La vidi, da lontano, casa Bouvier. Speravo Pierre fosse ancora sveglio, o avrei desistito e sarei tornata a letto.
 
Che diamine stai facendo?
 
Non lo sapevo affatto. Non era certo l’idea migliore presentarmi sotto la sua finestra a quell’ora, ma qualcosa mi diceva che tornare ai vecchi tempi sarebbe stato un modo per capire. E ne avevo bisogno, tanto.
Mi fermai sotto quella che doveva essere la finestra di camera sua, se da quando era tornato dai suoi ci dormiva ancora. Raccolsi un sasso e lo lanciai; una, due, tre volte. L’anta si spalancò e la testa di Pierre fece capolino: si stava sfregando gli occhi, confuso.
<< Psst! Pierre, scendi! >> Bisbigliai, circospetta.
Dio, mi sentivo ridicolmente adolescenziale.
<< Che diamine ci fai tu qui? Ma che ore sono? >>
<< Le tre del mattino. >> Solo dicendolo ad alta voce mi resi conto dell’assurdità di quella situazione.
Ma già che c’ero…
<< Ma sei impazzita?! >> Alzò di qualche decibel di troppo la voce, così gli intimai di zittire.
<< Potrei se non parlo con qualcuno. >> Mi strinsi le braccia al petto, chinando il capo. Lo sentii mormorare qualcosa, prima di sporgersi di più per sentire meglio.
<< Cos’è successo? >>
<< E scendi! >> Mi stavo raggelando. << Fa freddo! >>
<< Spero per te la motivazione sia valida o giuro che vengo meno ai miei principi e ti uccido. >> Lo vidi ridurre gli occhi a due fessure.
<< Dio, quanto la fai lunga. Muoviti. >> Trattenni un risolino, certa che in cuor suo avrebbe voluto stritolarmi.
Un tempo correva sotto la mia finestra e passavamo intere notti a parlare. Ora bisognava lanciargli massi sui vetri per farlo svegliare ed essere in punto di crollo nervoso per farlo muovere. Era cresciuto.
<< Prendiamo l’auto? >> Annuii, avvicinandomi a lui che si stava avviando verso il garage. Sollevò il portellone e mi intimò di salire, lanciandomi la sua felpa. L’accolsi con entusiasmo, infreddolita com’ero. << Mi dici che succede? >>
<< Forse… Non mi va di tornare a Vancouver. >> Ammisi, guardando le villette scorrere sullo sfondo. Probabilmente avremmo girato a vuoto, ma era rilassante vederlo guidare.
<< Semplice. Non farlo. >> Commentò, semplicemente.
<< Ma lì ho il mio lavoro, i miei alunni… >>
<< Christian. >> Concluse lui per me, con una nota di sarcasmo che finsi di non sentire.
<< Già. Ho costruito un’altra vita, non posso lasciare tutto per un capriccio. >> Forse stavo parlando più a me stessa che a lui.
Succedeva sempre così, quando si trattava di noi, ma in fondo era a questo che servivano le nostre lunghe chiacchierate.
<< Qui sono successe delle cose che… Sono confusa. >> Continuai.
<< Frena, frena. >> Eravamo arrivati nei pressi dei campi coltivati. <>
<< Be’, lo sai.. >> Arrossi violentemente, ma lui non lo avrebbe notato. Era ancora buio pesto.
Ora che me ne rendevo conto era un po’ spaventata dall’oscurità di quelle strade.
<< Se stai ancora pensando al bacio, smettila. E’ stata una debolezza. >> Quelle parole centrarono il punto.
Perché mi sentivo così ferita?
Una strana sensazione si fece largo dentro me e sentii di dover dire qualcosa. Qualsiasi cosa.
<< Una debolezza. >> Ripetei.
<< Un errore. >> Rigirò il dito nella piaga.
<< Un errore… >>
<< Hai preso la pappagallite? >> Ironizzò, continuando a guidare. Fu in quel momento che tornai alla realtà.
<< Incredibile. >> Mormorai. << Accosta. >>
Quando lo fece, titubante, incurante di tutto scesi furiosa dall’auto, allontanandomi da essa. Mi stava salendo su una rabbia insolita, e Pierre la stava alimentando con le palle che stava sparando.
O forse era la verità, per questo non riuscivo ad accettarla.
<< Che c’è adesso?! >>
<< Un errore, Pierre. Un. Errore. >> Borbottai. << Io non ci dormo la notte per cercare di capire cos’abbia sentito tu e ora te ne esci con questo. Grandioso! >> Mi fermai di scatto, voltandomi.
Lui era lì, di fronte a me, immobile e con le braccia lungo i fianchi.
Nel suo sguardo non leggevo nulla, e la cosa mi preoccupava.
<< Hai un fidanzato. E in secondo luogo l’attrazione c’era, perché io non ero ubriaco. E… siamo in una fase delicata. >> Sussurrò quelle ultime parole, quasi fossero una bestemmia.
<< Io non ce l’ho mai avuta con te. Questa storia del perdono deve essere stata convincente. >>
<< Hail… >>
<< Hail un corno! Un errore, Pierre. Una debolezza. >> Gridai, coprendomi il volto con le mani.
Perché reagivo in quel modo?
<< Cosa vuoi sentirti dire? >>
Non lo so.
<< E’ questa la verità? Non rifaresti nulla? >>
Da dove avessi tratto tutto quel coraggio non lo sapevo. Fatto stava che ora ero in gioco, e dovevo giocare. Sapere.
<< Non ora. Non puoi chiedermelo ora. Hail. >>
<< Cosa cambia tra ora, domani? >> Ero esasperata.
<< Perché ora siamo soli. Non mi e ti converrebbe. >> Non riuscivo più a seguirlo.
<< Ti spiacerebbe essere più chiaro? >>
Inspirò ed espirò, distogliendo lo sguardo e infilando le mani nella tasca del pigiama. Cercai i suoi occhi, ma non li trovai. C’era solo buio, e io avevo la necessità di vederlo per leggergli dentro.
Si stava nascondendo, e io non potevo accettarlo: mi ero appena messa a nudo, mi aspettavo lui facesse lo stesso. Evidentemente mi ero sbagliata su tutta la linea.
<< Se ti baciassi ora, non mi fermerei. E tu ti creeresti delle aspettative. Non posso attenderle ora, non ho potuto in passato. >>
<< In passato? >> Domandai, in un soffio di voce.
Annuì, iniziando a tornare indietro verso l’auto. Dovetti quasi correre per stargli al passo.
<< Non possiamo essere…amici. Non come un tempo. >>
Qualche pezzo del puzzle tornava al proprio posto.
<< L’unica cosa che cambia è che rispetto a dieci anni fa anche tu hai provato qualcosa. >> Disse, facendo spallucce.
<< Ho dovuto ignorarti perché con te ero un rammollito. >> Spiegò, e le parole di Chuck mi tornarono in mente, prepotenti come non lo erano state quella mattina al lago. Ma poi pronunciò quelle parole…
<< Tu non avevi neanche idea di quello che mi facevi. E non ce l’hai ora. >>  

  
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