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Autore: Panenutella    18/04/2013    2 recensioni
Lo guardai meglio: era un angelo….
Aveva il viso cordiale e aperto. Gli occhi neri e profondi come due pozzi guardavano attenti il mondo e risplendevano come la luna. I suoi lineamenti era fini e eleganti, proprio come quelli di un Elfo. La sua stretta era gentile, la sua pelle calda. I capelli corti e neri erano pettinati in modo sbarazzino. Indossava una maglietta bianca a maniche corte e mi salutò con un largo sorriso.
Nella mia mente contorta cominciai a sbavare come un mastino.
ATTENZIONE: la protagonista interpreta il ruolo della figlia di Galadriel – ovviamente inventata da me -, Hery, che ha una storia d’amore con Legolas e segue i protagonisti nel loro viaggio.
La maggior parte degli avvenimenti narrati in questa fic sono realmente accaduti, ma sono raccontati dal POV della protagonista.
Divertitevi, leggete e recensite in tanti! :)
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Orlando Bloom
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lesley's World'
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La mia vita sul set – Cap. 27

Era il colmo. La beffa assoluta di una giornata appena cominciata e già incredibilmente spossante.
Osservavo Colt dal prato verso la cima della collina, a braccia incrociate, affiancata da Viggo, Orlando, John e Brett e aspettando che Peter e gli altri si sbrigassero a finire quello che stavano facendo in modo da continuare a girare. Mi aspettavo di vedere Colt scalpitare per la rabbia da un momento all’altro ma, contro le mie più nere aspettative, quell’uomo vestito di gessato manteneva un temperamento calmo e si limitava a lanciarci un’occhiata furtiva di tanto in tanto, mentre osservava delle riprese.
Sbuffai a battei le braccia sui fianchi.
- È troppo tranquillo per i miei gusti!
- Già. Quand’è che ci mostra il suo lato divertente e si mette a strillare? – Commentò Orlando con un sorriso. La sua parrucca bionda scintillava al sole.
- Chissà, magari non ne ha voglia – disse Viggo.
- Non credo – ribattei. – Uno come lui ha sempre voglia di rompere le scatole.
Guardandolo torva da lontano, non riuscivo a levarmi dalla mente che l’ultima volta che ci eravamo visti Jessie gliene aveva dette di tutti i colori.
“Salta sulla macchina e fila via, imbecille!”, gli aveva detto. La stessa frase che ora era incisa sulla sua lapide a Queenstown. Un brivido mi percorse la schiena.
- Basta, mi sono stufata. Vado a vedere che stanno combinando – annunciai, e iniziai a scendere la collina con passo deciso, calpestando l’erba giallognola del prato. Nessuno dei miei amici mi seguì, magari perché volevano assistere alla scena da lontano.
- Salve – dissi non appena fui a portata di voce. Mi fermai proprio davanti a Colt, con la testa alta e lo sguardo fiero come se stessi ancora interpretando Hery. Lui, Peter e Mahaffie alzarono lo sguardo dalla telecamera nello stesso momento.
- Signorina Dalton – mi salutò lui formale. – È cresciuta.
Cresciuta? Io? Cosa crede, che sia una bambina? Colt si piegò sulla sua ventiquattrore e ne estrasse una rivista, per poi porgermela dicendo:
- Ho giusto qui la sua intervista di qualche tempo fa. Congratulazioni per il successo.
- Grazie – risposi prendendola. La poggiai su una telecamera. – La leggerò dopo. Peter? – Mi voltai verso di lui. – Non dovremmo riprendere a girare? Siamo indietro sulla tabella di marcia.
- Sì, sì, Les, certo. – Peter si voltò verso Colt. – Vuole assistere?
Lui annuì, e io cominciai a tornare sui miei passi, quando sentii:
- A proposito, Peter, dov’è quella ragazza che mi ha cacciato via l’ultima volta? Quella robusta che mangia patatine di continuo.
Mi bloccai raggelata fin dentro le viscere con un misto di agitazione, nausea e irritazione che mi ribolliva dentro. Mi voltai a guardare Colt dritto negli occhi con una smorfia.
- È morta. Nelle Torri Gemelle.  – Risposi con voce di ghiaccio, e la sorpresa si dipinse sul suo volto. Si voltò verso Peter.
- Mi dispiace, Peter. Deve essere stata una terribile perdita per la crew.
- Non faceva parte della crew – ribattei ancora – era una mia amica.
Non aspettai un’altra risposta perché non sapevo che genere di reazioni avrei potuto avere se fossi rimasta lì a chiacchierare: avrei potuto scoppiare a piangere come prendere a vomitare, non lo sapevo. Tornai quasi di corsa sulla collina e, fermandomi al mio posto, sfiorai la mano di Orlando. Lui mi scrutò attento con gli occhi coperti dalle lenti a contatto azzurre: sapevo che aveva intuito qualcosa ma, per rasserenarlo, gli sorrisi. Cercai di rilassarmi anche se dentro di me mi sentivo una landa desolata, completamente vuota. E, com’era sempre successo quando mi ricordavo di Jessie durante le riprese, subentrò la paura di non riuscire a dare il meglio per il resto della giornata.
A quel punto la voce di Peter ci disse di ricominciare a correre.

“Ok Les, continua soltanto a correre” ripetei a me stessa. “Sono solo dieci minuti che vai avanti, non è così difficile. Un piede dietro l’altro. Non badare a Billy, Dom ed Elijah. Non guardarli!”.
Era una parola: mentre Peter, John e Colt ci scrutavano da dietro le telecamere e ci urlavano di continuo che cosa fare i tre Hobbit, appena arrivati, se ne stavano seduti belli comodi con gli occhiali da sole a bersi una gazzosa e a schernire il nostro modo di correre. Era da molto che non facevamo altro che andare con le ali ai piedi e ormai cominciavo a sentire la fatica appesantire le mie gambe e la milza, che aveva iniziato a pulsare dolorosamente. Ero arrivata in quella parte della corsa in cui cerchi in tutti i modi di distrarti dalla fatica ma l’unica cosa su cui riesci a focalizzare la tua attenzione è il tuo corpo che cede: i passi rimbombavano sul terreno e le braccia cominciavano a filarsela da tutte le parti, e lo sforzo di tenermi in posizione eretta e fingermi disinteressata era sfiancante. Soprattutto mi agitava il fatto che ci fosse anche Colt a guardarci, e che avesse parlato di Jessie. Guardai avanti a me: Orlando correva appoggiandosi ora su un piede ora sull’altro, cercando di non forzare troppo sul fianco ferito, e Viggo era molto avanti a noi fresco come una rosa. Orlando si voltò e scrutò dietro di me per riprendere John e esortare Gimli a correre ancora. Lo superai e approfittai dello stacco in primo piano su di lui per voltare il viso verso le telecamere e gli Hobbit, che appena mi videro alzarono i pollici e sorrisero in segno di incoraggiamento. Sorrisi e tornai a guardare avanti a me giusto in tempo per accorgermi che un enorme masso stava per farmi cadere: era troppo tardi per girarci intorno e stavo già per inciamparci, quando senza neanche volerlo ci misi un piede sopra e darmi lo slancio per saltare. Il tempo parve fermarsi durante il volo, poi vidi il terreno avvicinarsi e atterrai sul piede destro, per poi slanciarmi di nuovo verso l’alto e riprendere a filare sul terreno con nuova energia.   
E dopo un minuto e trenta la scena finì.
- Stop! – Urlò John. Crollai a sedere sul prato insieme ai miei amici, affaticati quanto e più di me, mentre l’elicottero per la ripresa aerea atterrava e la crew esplodeva in un applauso. I tre Hobbit corsero verso di noi in urla di festa, e arrivò applaudendo anche Colt.
- Siete stati fantastici! – Esclamarono.
- Ehi Lezzy, perché non fai più spesso quella cosa con la pietra? È stato eccitante! – Commentò Dom.
- Lezzy? – mi limitai a chiedere, intenta com’ero a cercare di controllare il fiato corto.
- Così quando puzzi posso appellarti “Oh Lezzy!” – ridacchiò. – Capito? Olezzi, Oh Lezzy… no?
Cercai di stampargli una manata sulla fronte mentre Elijah e Orlando cominciavano a ridere, ma Dom la evitò e mi diede un lungo bacio sulla guancia.
- Siamo felicissimi di essere di nuovo qui insieme a voi, ragazzi – disse Billy tirando fuori una sigaretta e accendendosela. – Ma, senza offesa, andate a farvi la doccia.
- E va bene! – dissi alzandomi in piedi. – Però ci vediamo tutti tra poco, va bene? Facciamo un giro ad Alexandra, non l’ho ancora vista.
- Noi ci stiamo – risposero in coro, per poi scoppiare a ridere per la loro sincronia e cominciare a battersi il cinque. Mi voltai verso Orlando e mi sforzai di sorridergli.
- Ci vediamo in albergo.
Me ne andai ignorando le gomitate d’intesa che i ragazzi si stavano scambiando, e mi diressi dritta verso le telecamere e i tre uomini, superando con un mezzo sorriso e un’occhiata in tralice Colt, che intanto mi guardava ammirato. Ma prima di trovare un passaggio verso l’albergo presi dalla telecamera la rivista che mi aveva portato proprio lui, l’uomo che nei miei primi mesi di riprese aveva popolato i miei incubi più tremendi.

Tornai in albergo grazie al passaggio di un tizio della crew che doveva fare un salto in città, e appena entrai ebbi la tentazione di gettarmi sul letto.
- Come no, Les – dissi a me stessa – se di siedi su quel coso non ti alzi più.
Tipico di me, parlarmi da sola. Scossi la testa ed entrai nel bagno, dandomi un’occhiata veloce allo specchio.
- No! Ngila si infurierà…
Mi ero dimenticata il costume addosso come una stupida, e nessuno mi aveva fermato. Avrei dovuto trattarlo come fosse di cristallo, altrimenti Ngila mi avrebbe davvero ucciso. Avrei potuto mandarle un messaggio sul telefono ma non avevo il suo numero, e l’idea di dire a qualcun altro di tranquillizzarla quando avesse dato i numeri mi venne in mente solo dopo.
Me lo tolsi facendo attenzione, restando in biancheria intima, e lo piegai bene per terra. Poi mi tastai le orecchie, accorgendomi di essermi tenuta anche le protesi da elfo. Ero completamente fusa! Ma dove avevo la testa?
Cercai di staccarmele grattandole via, con l’orrendo risultato di ridurle quasi in polvere. Quello però non era un problema: per me, Orlando e tutti gli altri elfi c’era una scorta tale di orecchie da poterci truccare mezza popolazione neozelandese. Le buttai via.
Mi infilai nella doccia e mi lavai come un automa, troppo stanca per pensare bene a quello che stavo facendo e anche per accorgermi che, tra una corsa e l’altra, si erano fatte le sei del pomeriggio. Avevamo davvero corso per tutto quel tempo? Le corsette che mi facevo per allenamento da Villa del Lago alla location sul fiume non erano bastate per permettermi di superare con più facilità quella giornata di riprese. Una volta uscita dalla doccia mi infilai addosso una maglietta da calcio, vecchia e larga di Orlando, e poiché di statura ero più piccola di lui – e mi piaceva, soprattutto quando mi abbracciava – mi stava lunghissima. Mi buttai a pesce sul letto con i capelli ancora gocciolanti e mi addormentai in un lampo.
Lo strascico del vestito bianco strusciava sul tappeto rosso che correva in mezzo alle panche piene di gente. Il profumo di un bouquet di fiori fra le mie mani mi inebriava, e mio padre mi conduceva tenendomi per un braccio. Avanzavamo lenti lungo la navata, i quattro Hobbit stavano in prima fila insieme alla mia famiglia.
E Craig mi aspettava all’altare.

Aprii gli occhi di scatto, ritrovandomi sul letto nella stessa posizione in cui mi ero addormentata. Quanto tempo era passato? Non lo sapevo: potevano essere passati dieci minuti come due ore.
Con la mente ancora in subbuglio per il sogno appena fatto cercai di calmare il respiro corto che mi era venuto. Il cuore batteva forte e mi sentivo come se avessi tradito davvero Orlando. Cercai di alzarmi, ma mi accorsi che qualcosa me lo impediva: Il braccio di Orlando. Era lì sul letto accanto a me, addormentato, che mi stringeva alla vita come un bambino con l’orsacchiotto di pezza. Però, a differenza di me, si era levato sia il costume che le orecchie e la parrucca, e respirava profondamente. Quasi mi dispiaceva doverlo svegliare, ma anche se non conoscevo l’ora sapevo che di lì a poco saremmo dovuti andare in giro con gli Hobbit e gli altri attori. Gli accarezzai il braccio.
- Ehi – sussurrai. Lui rispose con un mugolio scocciato. – Dobbiamo andare dagli Hobbit.
- No, non voglio… restiamo qui – biascicò stringendomi ancora di più e accoccolandosi con la testa sulla mia pancia. Risi sommessamente.
- E va bene! – dissi. – Non mi fai neanche chiamare gli Hobbit per avvertirli?
- No – rispose mugugnando.
- Bella roba! – Esclamò una voce dietro Orlando. – E noi che avremmo dovuto aspettarvi!
Restai immobilizzata per la sorpresa: di sentire un’altra voce oltre le nostre, ovviamente, ma soprattutto di riconoscere quel timbro scherzoso e giocondo che apparteneva a Dominic Monaghan.
Orlando restò tranquillo nella sua posizione, e io con qualche difficoltà mi allungai per guardare meglio oltre il suo testone: Dom se ne stava svaccato sul bordo del letto a premere i tastini del GameBoy alla velocità della luce. A guardarlo star così comodo nel letto matrimoniale mio e di Orlando mentre noi ci dormivamo  sopra non seppi se mettermi a ridere o arrabbiarmi con lui… anche se era impossibile arrabbiarsi con Dom!
- …Dom? – lo chiamai languida e torva allo stesso tempo.
- Les?
- Che ci fai qui?
Dom lasciò cadere il Gameboy sul suo stomaco e mi fece l’occhiolino.
- Mi annoiavo.
Aggrottai le sopracciglia e strinsi le labbra.
- E questo ti ha spinto a spaparanzarti sul mio letto e a giocare ai videogiochi?
Sentii il corpo di Orlando scosso da una risata sommessa, e Dom si passò una mano fra i capelli.
- In realtà è stato lui – indicò OB con il pollice – mi ha detto di farti da sveglia. Sai, giusto in caso…
- Giusto in caso avrei continuato a dormire? – completai. Orlando mosse la testa giù e su per annuire.
- Ma grazie! – Esclamai. – La vostra fiducia nei miei confronti è davvero commovente!
Risero entrambi mentre mi dilettavo a sfoggiare un’espressione offesissima.
- Ad ogni modo – continuai scostando il braccio di Orlando e rotolando giù dal letto. – vado a prepararmi. Dopo questa dormita mi sento rinata.
Peccato che mi ero quasi accidentalmente dimenticata di raccontare ad Orlando il mio strano sogno: certo che comunque farlo non sarebbe stato il massimo con le orecchie da Dumbo di Dom a venti millimetri di distanza.
Feci leva con le ginocchia sul pavimento per alzarmi e mi diressi in bagno, mentre i due cavalieri sul letto non si mossero di un centimetro.
Mi lavai alla meglio, tornai in camera ignorando i due sul letto che chiacchieravano e presi i primi vestiti che mi capitarono dall’armadio e tornai in bagno per infilarmeli. Mi misi una maglietta lilla a maniche corte aderente e un paio di pantaloni neri, mi legai i capelli in una coda bassa e mi infilai scarpe bianche ai piedi.
Diedi allo specchio un’ultima occhiata al mio aspetto stravolto sepolto sotto una spolverata di blush e tornai in camera. Vidi che anche Orlie si era cambiato, indossando una camicia aperta su una maglietta bianca.
- Ehi, Les, ottima intervista! – Esultò Dom lanciandomi il giornale.
- Belle foto, cucciola – si complimentò Orlie mentre lo afferravo al volo. – Sei bellissima.
- Oh mio Dio, me ne devo andare o morirò di diabete con tutto questo zucchero! – si lamentò Dom uscendo di corsa dalla porta.
Orlando sogghignò ancora. – Hai già letto l’intervista?
- Non ho fatto in tempo – risposi stringendomi nelle spalle. – Andiamo?

I bicchieri al bancone tintinnavano, i clienti al tavolo chiacchieravano e mangiavano hot dog tra le risate generali all’interno del locale. Sul terrazzo, dove eravamo noi, Dom e Viggo fumavano, Sean era impegnato a non fare respirare il fumo delle sigarette a sua figlia, Elijah chiacchierava con Billy bevendo birra, John beveva un daiquiri e mi raccontava di come fosse tremendo portare quella dannata maschera di lattice a forma di nano, Orlando coccolava Alexandra, che insisteva a giocare col posacenere ignorando i divieti di Sean, e io sfogliavo Heyou fino ad arrivare alla mia intervista. C’era molta confusione e l’unico che mancava era Craig, che era stato trattenuto in costumeria. Gli altri attori erano ancora sul set con Peter: non era strano, non era ancora calata la sera.
- Alex, non toccare quel coso! – Esclamò Sean per l’ennesima volta mentre Orlie se la posava sulle ginocchia. La bambina lasciò andare il posacenere, rise e cominciò a tirare i riccioli a Orlie. – Aleeeeeeeeex!
- Sean, lascia stare, è divertente! – ribatté Orlando cercando di togliersi dai capelli le manine della bambina. Si divertiva anche più di Alex! Sean invece cominciò a brontolare.
- Non capisco perché sua madre non se la sia portata dietro invece di scaricarla a me.
- Perché si sarebbe annoiata in una SPA, penso… - risposi distrattamente mentre osservavo la prima foto della mia intervista, quella in cui sorridevo in direzione della macchina fotografica appoggiata alla ringhiera sul lago.
- Ehilà, principessa, che fai? – mi distrasse la voce di Craig, appena arrivato al locale. Alzai la testa e lo scrutai.
- Leggo la mia prima intervista! – risposi. – Vuoi leggere?
Craig si sedette sulla panca in mezzo ai vasi di azalee e si sporse oltre la mia spalla per vedere.
- “Compare come una visione Lesley Dalton, la debuttante che sta facendo rumore nel cinema ancora prima dell’uscita del suo primo film. Acqua e sapone, vestiti semplici, occhi grandi color di foglia, sembra essere la classica frivola ragazza di campagna, ma mai prima impressione si rivela più sbagliata. Perché Lesley non è di campagna, non è frivola, è tosta. Tosta nella sua semplicità.”. Mmmm, non ti sembra che ti abbia leccato un po’ troppo i piedi, Les?
- Già, soprattutto la parte della frivola ragazza.
Craig sghignazzò. – Beh, almeno non è andato a farti domande su matrimonio e cose del genere. – Arrossii. – Ehi, che ho detto?
Non risposi e gli feci cenno di avvicinarsi. Lui si sporse con un orecchio.
- Prima ho sognato che ci sposavamo.
- Chi? Tu e Orlando? – chiese a bassa voce. Scossi il capo. – E allora chi?
Tentennai e esalai:  – Io e te.
Craig cercò di trattenere una risata e finì con lo strozzarsi con la birra, che finì col farlo saltare in piedi e farsi uscire i polmoni dal petto a forza di tossire, che finì in uno scoppio di risa che fece voltare tutti i nostri amici e zittire buona parte del locale. Io avrei voluto scavare una fossa tra le mattonelle del terrazzo e infilarci la testa, mentre Craig continuava imperterrito a ridere contagiando anche gli altri.
- Che ci trovi tanto da ridere? – Esplosi dopo due minuti buoni. Craig si asciugò le lacrime dagli occhi e mi rivolse un sorriso smagliante, mettendomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, sussurrandomi la sua risposta. Per un attimo temetti che stesse per baciarmi.
- Lesley, tu sei completamente matta! Io non ti sposerei mai! – Rispose invece - Non perché tu non sia una bella ragazza, per carità – aggiunse notando la mia espressione infastidita – ma perché, prima cosa, sei fidanzata con Bloom. E seconda cosa, perché sono gay fino al midollo delle ossa.
Spalancai gli occhi e raddrizzai le orecchie, non riuscendo a credere a quello che avevo appena sentito.
- Dici sul serio o mi prendi in giro?
Craig sorrise e scosse la testa, poi si sedette più vicino. – Pensa, non lo sa quasi nessuno. Neppure gli altri del cast, penso. Eppure per me non è una cosa strana, e nemmeno un segreto, ma dal momento che nessuno lo sa mi conviene dirlo a pochi qui in giro, anche perché c’è una schiera di ragazze, al bar, che non fa altro che fissare il mio sedere.
Mi sporsi oltre la sua spalla per guardare dentro al locale nella luce del sole ormai tramontato che scemava lentamente mentre le luci sul terrazzo si accendevano, e vidi davvero un gruppetto di cinque o sei ragazze che bevevano da bicchieri sottili e ridacchiavano e parlottavano osservando il sedere di Craig, atteggiandosi da civette. Sorrisi tra me e me. – Perché non alimenti le loro speranze andando a prendermi un Bloody Mary?
Lui mi scoccò un’occhiata complice e andò dentro al locale. Una volta arrivato al bancone si sporse esattamente al centro del gruppo di donne – che si spostarono per ammirare meglio il panorama, ossia i muscoli di Craig -, appoggiò il gomito sul piano e disse qualcosa al barista, che gli diede un bicchiere dallo stelo sottile dopo pochi attimi. Craig lo prese, posò una banconota sul bancone, si girò verso di me e, dopo essersi accertato che le civette lo stessero guardando, mi mandò un bacio sulla punta delle dita. Tornò indietro con il bicchiere in mano mentre quelle mi scoccavano occhiate invidiose.
Mi porse l’alcolico con un sorriso e si sedette accanto a me.
- Bloody Mary per la signorina.
Osservai le ragazze, che adesso avevano adocchiato Orlando, e mi rivolsi di nuovo a Craig:
- Ci tieni proprio a fare la figura del sex-symbol, eh?
- Certo. Però ora ti consiglierei di marcare il territorio – mi indicò Orlando con un gesto del mento. Mi girai e vidi gli occhi del gruppo di ragazze puntati fissi su di lui e sulla bambina.
Eh no, ora erano fastidiose!
Bevvi un sorso di cocktail facendo una smorfia di disgusto per il sapore forte, poi mi alzai e andai verso di lui. Appena Orlie mi vide gli occhi si illuminarono, posò Alex a terra e mentre lei correva tra le braccia di Sean, Orlie mi attirò a sé e mi baciò con tenerezza. Potei quasi sentire i versi di delusione delle ragazze al bancone: dovevano avere capito che su quel terrazzo la regina ero io.
Mi allontanai delicatamente e gli accarezzai una guancia.
- Vado dagli Hobbit – mi congedai.
Mi avvicinai quasi di corsa a Dom e mi buttai seduta tra lui e Viggo, dritta in mezzo alla nuvola di fumo che stavo producendo.
- Dai, ragazzi – tossicchiai – siete peggio delle ciminiere!
- Lo so – rispose Viggo.
- Che c’è, Les? – mi chiese invece Dom posando la sigaretta accesa nel posacenere e picchiettando la punta incandescente sul vetro per spegnerla.
- Avrei bisogno di una mano, Dom. Con Orlando.
Mi guardò di sottecchi e accennò un sorriso. – Di nuovo la Ricuci-Rapporti?
- No. Stavolta è uno scherzo – risposi innocente. Dom si illuminò. – Mentre eravamo in ospedale per la costola di Orlie una schiera di infermiere ha fatto pazzie per riuscire a vedere un pezzo del suo didietro, e lui non ha fatto niente apposta per farmi ingelosire. Adesso voglio ricambiare, non ti sembra giusto?
Dom guardò di soppiatto Orlie e rispose: - Giustissimo. Che pensavi?
- Veramente mi volevo affidare alla tua follia.
Si aprì in un sorriso: - Quando torneremo sul set fa’ finta di inciampare, cadere o qualsiasi altra cosa, basta che tu finisca a terra. Io avrò convinto tutti gli uomini presenti ad accorrere in tuo aiuto e a fare i cascamorti, e vediamo come la prenderà Orlando – Suggerì. – Che ne dici?
- Dico che è perfetto! – esclamai, e gli battei un pugno sulla spalla.
- Les, hai preso qualcosa per il raffreddore? – Mi chiese Viggo a quel punto. Mi voltai verso di lui.
- Non da quando sono tornata il albergo. Perché?
Viggo si grattò il naso – Perché domani sera andremo tutti insieme a far campeggio fra i monti per girare un pezzo di corsa all’alba. Un’idea di Peter. – Alzò le spalle. – Non vorrei che ti becchi l’influenza.
- Ah, ho capito. Beh, chiederò ad Annie. Grazie Viggo!
- Beh, però ora pensiamo a mettere a punto il nostro piano! – Esclamò Dom.
Sorrisi: sembrava così lontano il set, quella sera, che potevamo essere benissimo soltanto un gruppo di amici usciti una sera per bere qualcosa e non degli attori famosi in giro per una città che avrebbero visto ancora per poco tempo.
Ma in realtà era proprio quello che eravamo: attori che bevevano fra una giornata e l’altra di riprese. Ad un tratto sentii tutta la stanchezza accumulata in quei mesi: mancavano ancora poche settimane alle vacanze di Natale e al mio viaggio a New York insieme a Orlando, ma sembrava non dovessero arrivare mai.
Sarebbe stata dura girare Le Due Torri, e avevamo appena cominciato.

Lo so, chiedo perdono, ho impiegato troppo tempo a scrivere questo infimo capitolo. La scuola diventa difficile in questo ultimo periodo del mese e tra la gita e la marea di compiti che ci hanno dato ci si è messo pure il blocco dello scrittore. Per tutto questo tempo ho avuto la sensazione che questo capitolo sia brutto.  No, davvero, se fa schifo non mi offendo.
Ditemi la vostra, vi prego!
   
 
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