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Autore: afep    23/04/2013    1 recensioni
Non è facile ricostruirsi una vita a Skyrim. Soprattutto se non hai altro che una spada ed un segreto nel cuore. Soprattutto se sei straniera.
Ed è quando ti illudi di essere al sicuro che ti accorgi che, per quanto tu possa aver chiuso con il passato, il passato non ha ancora chiuso con te. E che sei in pericolo
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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Nei giorni che seguirono la sua prima trasformazione, Iselin si sentì come se fosse nata una seconda volta.
Il sangue di bestia che le scorreva nelle vene l’aveva resa più audace, più consapevole del mondo che le stava intorno, e la nuova forza che sentiva dentro di sé le aveva donato una sensazione di sicurezza che non credeva di poter più provare.
Durante la prima settimana, la giovane si recò a notti alterne alla Forgia Terrena, trasformandosi sotto lo sguardo attento di Aela. Grazie agli insegnamenti della sua Sorella di Scudo, Iselin imparò a padroneggiare la forza del lupo che dormiva dentro di lei e a controllarne gli istinti.
Con il passare del tempo si accorse di tutti quei numerosi, piccoli cambiamenti legati al sangue di bestia; era più forte, certo, e sicuramente più veloce ed attenta. Per contro, il desiderio della caccia era diventato quasi ossessivo, e la tormentava giorno e notte, togliendole il sonno.
Skjor ed Aela seguivano i suoi progressi con aria soddisfatta, aiutandola a sopportare la smania predatoria del lupo.
Non tutto il Circolo, però, si dimostrò compiaciuto dei suoi risultati.
I primi tre giorni, Vilkas si rifiutò di parlarle, ostentando un’aria talmente rabbiosa da tenere a distanza chiunque. Il quarto giorno andò a cercarla, e la bloccò davanti alla porta del dormitorio. Afferrandola per le spalle, la strinse con forza e si chinò su di lei, fissandola intensamente per un lungo istante. La ragazza rimase immobile, atterrita dal suo sguardo ghiacciato, incapace di dire o fare alcunché.
“Stupida.” Le sibilò infine con voce sommessa. Non c’era rabbia nella sua voce, solo una profonda amarezza, ed Iselin capì di averlo deluso.
Prima che potesse aprire bocca per ribattere, Vilkas la lasciò andare e si incamminò lungo il corridoio di pietra, diretto alla propria stanza.
La reazione di suo fratello fu completamente diversa. Farkas era troppo buono per rimproverarla, e si limitò a darle un benevolo colpetto su una mano.
“Sono cose che capitano.” Disse tranquillamente, come se lei non si fosse dannata per l’eternità, ma avesse semplicemente rovesciato una brocca di vino.
Quanto a Kodlak… il vecchio si limitava ad osservarla, scuotendo piano il capo con aria dispiaciuta e rassegnata.
“Spero che tu sappia quello che fai.” Le disse una sera, dopo averla convocata nell’elegante anticamera accanto alla sua stanza.
“Non devi preoccuparti per me, Kodlak.” Iselin sorrise, cercando di rassicurarlo. “Ho accettato tutto questo per una buona ragione, e ti assicuro che non l’ho fatto a cuor leggero.”
“Sono certo che è stato così.” L’anziano Compagno sospirò, lasciando cadere il discorso.
Iselin era dispiaciuta di non potergli confidare altro, ma era convinta di essersi già esposta a sufficienza.
Per quanto la sua nuova vita a Jorrvaskr la facesse sentire al sicuro, nel suo animo rimaneva una punta di inquietudine, che la spingeva a guardarsi le spalle più spesso di quanto sarebbe stato logico fare, e a controllare i volti dei forestieri in maniera quasi maniacale.
 
 
 
L’odore era forte. Fortissimo.
Si trovava sulle felci, le rocce ed i tronchi degli alberi, ed aleggiava nell’aria come un’invisibile traccia da percorrere.
Levando il muso verso l’alto, Iselin aspirò a pieni polmoni l’odore della sua preda, lasciandosi sfuggire un mugolio eccitato. Era vicina.
L’orecchio destro ebbe un piccolo guizzo captando un leggero fruscio, ma quando voltò il capo non vide altro che una gazza bianca e nera che prendeva il volo.
Abbassandosi sulle zampe anteriori, Iselin si avvicinò cautamente ad un gigantesco abete. Aprendo le fauci lasciò cadere in terra un grosso fagotto, spingendolo poi con il muso sotto l’intrico di radici che spuntavano dal terreno, in modo che fosse nascosto alla vista.
L’involto di stoffa non era altro che un mantello di panno nero, in cui aveva avvolto tutti i suoi abiti ed i suoi averi.
Era stata Aela ad insegnarle come avvolgere i propri vestiti in un mantello, formando in involto di stoffa facilmente trasportabile.
“In questo modo, non avrai più il problema di rimanere senza abiti.” Le aveva detto.
Una volta certa che il suo fagotto fosse al sicuro sotto al vecchio abete, Iselin riprese la sua caccia, seguendo la traccia olfattiva lasciata dalla sua preda.
Il suo naso nero ed umido tracciò un arco sul terreno, attorno ad un maso ricoperto di muschio. Lì l’odore era molto forte.
Poco più avanti, bene impressa sul terreno, trovò un’orma ampia, grande quanto la sua mano ed ancora fresca.
Procedendo silenziosa sulle quattro zampe, Iselin si inoltrò nel folto della foresta, seguendo la scia della sua preda; mentre passava accanto al tronco di un albero caduto, un raggio di sole colpì il suo manto chiaro, facendolo brillare come seta.
Non avrebbe dovuto cacciare di giorno. Aela e Skjor glielo avevano ripetuto fino allo sfinimento; il loro timore era che qualcuno potesse vederla trasformarsi o attaccarla mentre si trovava sotto forma di lupo, mettendo così a rischio il segreto del Circolo.
Iselin si era sempre mantenuta fedele a questa semplice regola, senza mai trasgredirla, fino a poco prima, quando, tornando da una semplice missione, non aveva incrociato la traccia lasciata da un animale di passaggio.
Senza pensarci due volte aveva abbandonato la strada che attraversava la foresta, aveva legato il cavallo, si era liberata dei vestiti ed aveva assunto la forma di lupo, rompendo quel labile confine che la separava dalla bestia che dormiva dentro di lei.
Muovendosi sinuosamente sul tappeto di foglie del sottobosco, Iselin si avvicinò ad una piccola radura che si apriva tra gli alberi. Lì, acquattandosi dietro un cespuglio, riuscì ad avvistare la sua preda.
Si trattava di un grosso cervo maschio di circa tre anni, con due grossi bitorzoli sulla fronte là dove presto gli sarebbero ricresciute le corna.
Reprimendo un brontolio eccitato, Iselin aprì la bocca, leccandosi le labbra nere e le zanne con la sua spessa lingua ruvida. Era quasi il momento di attaccare.
Il cervo sollevò elegantemente la testa, annusò l’aria e tornò a brucare la prima erba primaverile, ignaro del predatore appostato sottovento.
Accadde tutto in pochi istanti.
Raccogliendo le zampe posteriori sotto di sé, Iselin si piegò su sé stessa e balzò allo scoperto. La sua preda fece un piccolo scatto in direzione degli alberi, tentando la fuga, ma venne subito abbattuta con una zampata.
Prima che il cervo avesse la possibilità si rialzarsi, la lupa dal pelo chiaro gli fu sopra, affondandogli le zanne nel collo morbido. L’animale esalò un ultimo, debole bramito, mentre il velo della morte gli offuscava gli occhi.
Con un grugnito tutt’altro che dignitoso, Iselin lasciò la gola della sua preda e si avventò sul fianco, appena sotto il costato, squarciando la carne con zanne ed artigli.
Ogni trasformazione richiedeva una quantità impressionante di energia, ed aveva bisogno di nutrirsi. China sul corpo senza vita del cervo, Iselin strappava freneticamente brani di carne sanguinolenta, ingoiandoli senza quasi masticare. Doveva recuperare le forze.
Quando finalmente riuscì a placare la sua fame bestiale, della preda non era rimasto altro che una carcassa sanguinolenta, orribilmente dilaniata.
Indietreggiando di qualche passo, Iselin osservò lo scempio che aveva creato e frenò l’ululato di trionfo che sentiva risalirle lungo la gola. Era già grave che si fosse trasformata in pieno giorno, non c’era bisogno di annunciarlo ai quattro venti.
Alzandosi sulle zampe posteriori, levò il muso per annusare l’aria. Da qualche parte doveva esserci la tana di una lepre.
Le sarebbe piaciuto poterle dare la caccia, ma aveva già perso fin troppo tempo per inseguire il cervo. Doveva tornare a Jorrvaskr.
Leccandosi il sangue che le macchiava il muso, Iselin si abbassò sulle quattro zampe e trotterellò verso il gorgoglio liquido di un corso d’acqua che sentiva scorrere nelle vicinanze. Avrebbe fatto meglio a darsi una ripulita, prima di raggiungere Whiterun; non sarebbe stato saggio presentarsi tra i Compagni con il viso e le braccia sporche di sangue rappreso.
Non le ci volle molto per trovare il ruscello; accostandosi alla riva, Iselin inspirò l’odore umido e fresco della terra bagnata. Il livello di quel fiumiciattolo non superava i quaranta centimetri nel punto più alto, ma poteva andare.
Con un leggero sciaguattare entrò in acqua, accucciandosi nel punto più profondo. Rivoli gelidi le corsero sulla pelle, bagnandole la pelliccia e lavandole via il sangue. Era una splendida sensazione.
Tuffando il capo più volte sotto l’acqua, si ripulì il muso, aiutandosi goffamente con le zampe artigliate.
Quando fu sicura di avere eliminato ogni traccia di sangue, si sollevò e si dette una vigorosa scrollata, che la scosse dalla punta del muso fino in fondo alla coda e sollevò una marea di spruzzi.
L’aria fredda aggredì il suo pelo umido, ed Iselin si lasciò sfuggire uno sbuffo dal naso; probabilmente avrebbe nevicato ancora, andando ad aggiungere altra neve a quella ammucchiata lungo la strada. Non aveva mai visto una primavera più fredda.
Abbassando il capo, lappò l’acqua che scorreva quieta, sorbendone piccoli sorsi. Quando si fu dissetata sollevò il muso gocciolante, osservando compiaciuta il proprio riflesso.
Una maestosa lupa dai feroci occhi verdi ricambiava il suo sguardo dalla superficie increspata del ruscello; Il pallido color oro del suo manto scintillava al sole, stemperando nel bianco puro delle zampe ed in una calda sfumatura nocciola sopra il naso e sulla punta delle orecchie.
Era ancora impegnata a studiare la propria immagine quando il fischio di un merlo, da qualche parte sopra la sua testa, le ricordò che sarebbe dovuta tornare a Jorrvaskr.
Così tornò sui propri passi, fino a raggiungere l’abete dalle radici contorte sotto il quale aveva nascosto i suoi vestiti.
Infilando il muso sotto l’albero, Iselin recuperò il suo fagotto. Era giunto il momento di ritrasformarsi.
Fatto un gran respiro, prese lentamente le distanze dalla bestia e dai suoi istinti predatori, relegandola dietro quel sottile confine che li separava.
Il pelo chiaro si accorciò, il muso feroce si ridusse e tutta la sua figura rimpicciolì, finché il lupo non lasciò il posto ad una giovane donna inginocchiata sul terreno.
Boccheggiando, Iselin si passò le mani sul viso. La trasformazione era un processo doloroso, che la lasciava sempre spossata; era come se tutte le sue ossa, i suoi tendini ed i suoi muscoli prendessero gradualmente fuoco fino a raggiungere un apice quasi insopportabile.
Un fastidio, l’aveva definito Farkas. Ricordandolo, la ragazza scrollò il capo trattenendo un sorriso. La resistenza di quell’uomo era davvero impressionante.
Sospirando allungò una mano, si tirò il fagotto in grembo e lo svolse. La spada della sua famiglia, i suoi abiti e la sua bisaccia comparvero alla vista, all’interno del riquadro nero del mantello.
L’aria fredda le lambì la pelle ancora umida ed Iselin si affrettò a rivestirsi, infilandosi la parte inferiore dell’armatura e stringendo con rapidità i lacci del corpetto di cuoio.
Stava finendo di allacciarsi gli stivali, quando udì un fruscio alla propria destra. In meno di un istante fu in piedi, la spada sguainata, pronta a fronteggiare chiunque o qualunque cosa si nascondesse nella foresta.
“Chi va là?” Domandò in tono perentorio.
Il fruscio si ripeté, ed un cespuglio di felce si mosse a pochi metri da  lei
“Vieni fuori.” Iselin sollevò la guardia e scrutò nel folto del bosco in quella direzione, ma non riuscì a vedere nulla.
“Ehm… Roarr!” Ruggì esitante una voce da dietro il cespuglio. “Grrr. Roarr roarr.”
La ragazza aggrottò la fronte, sollevando un sopracciglio. Non solo qualcuno la spiava, ma ora la prendeva pure in giro.
“È l’ultimo avvertimento.” Riprovò. “Fatti vedere, e non ti attaccherò.”Forse, soggiunse tra sé. Se lo sconosciuto dietro al cespuglio l’aveva vista trasformarsi, non avrebbe avuto scelta.
Le foglie di felce si agitarono di nuovo, ed il lembo di un mantello fece capolino tra la vegetazione.
“Grrr, grrr.”
Stanca di quella manfrina, Iselin strinse con forza l’impugnatura della spada e cominciò a spostarsi silenziosamente di lato. Se fosse riuscita ad aggirare il cespuglio senza farsi notare, avrebbe potuto cogliere lo sconosciuto di sorpresa.
“Roarr! M’aiq è un  leone, non puoi attaccarlo. Roarr!” Acquattato dietro la felce, uno sparuto Khajiit ringhiava senza troppa convinzione, con la coda avvolta attorno alle zampe. “Grrr, roarr!”
“Non mi sembri molto pauroso, come leone.” Commentò Iselin, sbucandogli alle spalle.
Al suono della sua voce il Khajiit sobbalzò, emettendo un miagolio di sorpresa; mentre cercava di alzarsi inciampò nella coda, pestò l’orlo della sua lunga tunica da mago e rovinò su un cespuglio che sorgeva lì accanto.
“Tirati su.” Gli intimò la ragazza, avvicinandosi con la spada sguainata. “Cosa ci facevi, nascosto qui dietro?”
“M’aiq non ha guardato.” Con una serie di contorcimenti ed un grande agitare di zampe, il Khajiit riuscì a mettersi in piedi. “M’aiq si è coperto gli occhi, così.”
Con le orecchie appiattite sul capo si portò le mani pelose al viso, coprendosi gli occhi. La punta della coda gli guizzava nervosamente sotto l’orlo dell’abito, come una serpe impazzita.
“Rispondi alle mie domande. Perché eri lì dietro, e cosa hai visto?” Riprese Iselin, e M’aiq la sbirciò attraverso le dita.
“Perché sì e niente. M’aiq vede la ragazza senza abiti, ma lui non guarda.” Il Khajiit scosse vigorosamente la testa, poi arricciò il naso, annusando l’aria. “M’aiq pensa che tu puzzi come un Nord.”
“Perché sono una Nord. E ad ogni modo, non puzzo.” Ribatté Iselin, irritata. Era chiaro che non l’aveva vista trasformarsi, ma ancora non riusciva a capire se quello strano personaggio sbucato dal nulla potesse essere pericoloso o meno; per sicurezza, decise che non avrebbe rinfoderato la spada, almeno finché quel tizio continuava a starle intorno.
“Invece puzzi. Puzzi di cane bagnato.” M’aiq fece fremere le vibrisse e si risistemò il cappuccio della veste sul capo. “Ma meno degli orsi mannari.”
“Orsi cosa?” Iselin corrugò la fronte. Quel Khajiit non doveva essere molto registrato.
“Orsi mannari. Uomini che sono orsi, orsi che sono uomini. M’aiq li ha visti.” Disse quello, annuendo con aria saputa. “M’aiq li ha sentiti parlare.”
“Oh, davvero?” Fece Iselin, scettica. “E com’erano?”
Per tutta risposta, il Khajiit si strinse nelle spalle.
“M’aiq non lo sa. Erano come persone, e tutte le persone sono belle, per lui.”
La ragazza sollevò un sopracciglio. M’aiq doveva essere strafatto di skooma.
“D’accordo, allora.” Cominciò cautamente. “Vai pure per la tua strada. Non ti attaccherò.”
Il Khajiit la guardò con diffidenza, inclinando la testa. Aveva un tic all’occhio destro, che gli dava un’aria sospettosa e folle al tempo stesso.
“Sì, M’aiq deve andare. La tua armatura ha un sacco di pelo, e questo rende M'aiq molto nervoso." La coda guizzò irrequieta, facendo frusciare le foglie dei cespugli. “Meglio cercare compassi. Hai visto dei compassi?”
“Compassi?”
“Sì, compassi. C’erano, e ora non ci sono più. Chissà dove sono finiti…” Mormorò il Khajiit, voltandosi e guardandosi intorno come se potesse trovarne a dozzine appesi agli alberi.
Ormai del tutto dimentico della donna con la spada sguainata, M’aiq scavalcò il cespuglio di felce e si allontanò, borbottando qualcosa su Nani e Falmer.
Fatto e strafatto di skooma.” Pensò Iselin, scuotendo la testa.
Rinfoderata la propria lama, la giovane sollevò il capo, scrutando lo spicchio di cielo che si scorgeva tra i rami. Il sole non si vedeva, ma la luce intensa le diceva che doveva già essere metà mattina.
Con un sospiro ed una scrollata di spalle si voltò, cercando di orientarsi in quell’angolo di foresta.
Doveva tornare al suo cavallo e rimettersi in marcia.
 
 
 
Il viaggio di ritorno fu sorprendentemente tranquillo. Iselin spronò il cavallo fin quasi a sfiancarlo, e giunse a Whiterun in giornata, recuperando così il tempo perso con la caccia.
Una volta lasciato il povero animale alle scuderie, la ragazza attraversò la città, godendosi tutti i suoni, i colori e gli odori che le giungevano amplificati dal sangue di bestia.
La sagoma di Jorrvaskr si stagliava maestosa contro il cielo, e la ragazza salutò quella vista con un sorriso. Era bello poter avere ancora un posto da chiamare casa.
Quando entrò, spingendo il pesante battente di legno intagliato, rimase alquanto stupita. Ad eccezione di Tilma, impegnata a spazzare la polvere con una scopa di saggina, la sala degli incontri era sorprendentemente deserta.
Avvicinandosi all’anziana servitrice, Iselin non mancò di notare i boccali sparsi sulla tavola; alcuni erano ancora pieni, segno che i Compagni avevano abbandonato la sala in fretta e furia.
“Tilma, dove sono finiti tutti quanti?” Chiese, guardandosi intorno.
La vecchia sollevò su di lei i suoi occhi stanchi e le rivolse un sorriso tranquillo.
“Sono tutti in cortile. Io cerco sempre di stare ben lontana, quando cominciano a diventare maneschi.” Rispose tranquilla. “E poi, nevicherà presto. Le mie vecchie ossa non sopportano più tutto quel freddo. Preferisco stare qui dentro, accanto al fuoco.”
Iselin trattenne un sorriso. Quella donna era impagabile, sempre così discreta, eppure così indispensabile per l’organizzazione della vita di Jorrvaskr.  
Ringraziando Tilma, la ragazza la lasciò alle sue faccende e si diresse verso le porte che davano sul cortile; distrattamente, si chiese a chi si riferisse la vecchia, parlando di maneschi.
La riposta venne appena varcò la soglia e raggiunse gli altri Compagni sotto il portico di Jorrvaskr.
Sotto di loro, nel bel mezzo del cortile, Farkas e Vilkas erano impegnati in un violento corpo a corpo.
Ruggendo sfide ed imprecazioni, i due se le davano di santa ragione, mentre i tonfi sordi dei loro pugni riempivano l’aria.
Avevano i capelli arruffati e gli occhi luccicanti per la foga del combattimento, e gocce di sudore scorrevano lungo i muscoli tesi delle loro schiene nude. Avevano abbandonato armi ed armature in un angolo del cortile, ed indossavano solo un paio di calzoni di pelle e gli stivali.
Iselin prese posto accanto a Ria, che la salutò con un sorriso prima di tornare a guardare lo scontro.
“Da quanto tempo vanno avanti così?” Le chiese, mentre Vilkas schivava un violento pugno di suo fratello.
“Non lo so.” Rispose Ria, senza distogliere gli occhi dal combattimento. “Io sono qui solo da una quindicina di minuti.” Iselin annuì, anche se la sua compagna non poteva vederla.
I corpi dei due fratelli erano lucidi di sudore, i muscoli gonfi e tesi per lo sforzo, ed in alcuni punti cominciavano già a comparire i primi lividi.
La ragazza non li aveva mai visti senza armatura, e si soffermò ad osservarli con un certo piacere misto a curiosità. Erano guerrieri abili e forti, oltre che due uomini piuttosto attraenti.
La loro pelle era costellata dalle cicatrici delle battaglie a cui avevano preso parte, e rilucevano pallide sotto un sole ancora più pallido.
Sul petto di Farkas, all’altezza del pettorale sinistro, erano visibilissimi tre lunghi squarci che ad Iselin ricordarono le ferite che lei stessa aveva inferto alla sua preda; le stesse cicatrici ricomparivano sul ventre a sinistra dell’ombelico e sulla schiena; Vilkas aveva segni simili su una spalla e su un fianco, come se entrambi fossero stati aggrediti da un grosso predatore.
“Ahi. Questo deve far male.” Commentò Ria con una smorfia.
Al centro del cortile Vilkas cadde sulla schiena, sospinto da una spallata; l’urto era stato talmente forte che gli fece compiere una capriola all’indietro.
“Forza, in piedi!” Gli urlò Torvar, prima di ingollare un lungo sorso di idromele.
Il giovane guerriero non se lo fece ripetere due volte. Con un ruggito si sollevò e si lanciò a testa bassa contro lo stomaco del fratello, atterrandolo.
Seguì un breve istante in cui i due si rotolarono tra la polvere, in una confusione di pugni e gomitate, finché all’improvviso Farkas non scattò in piedi con un urlo spaventato.
“Cosa succede?” Chiese Iselin, vedendo Vilkas scoppiare a ridere, in ginocchio in mezzo al cortile.
“Non lo so.” Ria allungò il collo. “Da qui non si capisce.”
Continuando a ridacchiare, Vilkas si alzò in piedi e raccolse delicatamente qualcosa da terra. Teneva le mani a coppa l’una sull’altra, come se si trattasse di un qualcosa estremamente piccolo e delicato.
“Non preoccuparti, fratello. Ci penso io.” Disse, incamminandosi verso il muro di pietra che delimitava un lato del cortile.
Con estrema calma raggiunse il punto di osservazione che si affacciava sulla piana di Whiterun e lanciò nel vuoto il suo qualcosa.
“Ecco fatto.” Esclamò a gran voce, rivolto a Farkas. “Ora non c’è più.”
“Sei sicuro? E se tornasse? Quei cosi sanno arrampicarsi, sai?”
Vilkas sospirò esasperato e si passò una mano sul viso.
“È un maledettissimo ragno, Farkas. Se mai dovesse tornare, schiaccialo.”
“Uhm.” Ribatté suo fratello. Non sembrava molto convinto.
In piedi sotto il portico, Iselin inclinò il capo verso Ria.
“Cos’è questa storia dei ragni?” Chiese.
“Farkas ha il terrore dei ragni.” Un sorriso balenò sul volto della giovane guerriera. “Non dirmi che non lo sapevi.” Insinuò.
Iselin scosse la testa, ed in quel momento i suoi occhi incrociarono quelli di Vilkas.
L’aria scocciata scomparve dal viso del giovane ed un angolo della bocca guizzò verso l’alto; era quanto di più simile ad un sorriso che lui le avesse mai concesso.
“Guarda un po’ chi è tornata.” Commentò. Nella sua voce c’era ancora traccia della risata che lo aveva scosso poco prima.
Farkas si voltò, vide la ragazza in piedi accanto a Ria e sul suo volto si aprì un sorriso radioso che andava da un orecchio all’altro.
“Iselin!” Esclamò felice. Abbandonando lo scontro con il fratello, la raggiunse a gran passi e la sollevò in un abbraccio soffocante, stringendosela sul petto sudato.
“Bentornata.” Le disse, stritolandola affettuosamente tra le braccia, ed i Compagni attorno a loro ridacchiarono. Quando la lasciò andare, Iselin prese un gran respiro, riempiendo nuovamente i polmoni.
“Ouf! È bello rivederti, Farkas.” Boccheggiò, portandosi una mano alle costole. Se l’avesse stretta ancora un po’, sarebbe riuscito ad incrinarne qualcuna.
Dietro la schiena del gigantesco Compagno comparve il viso contrariato di Vilkas. Il giovane guerriero raddrizzò le spalle e sollevò le braccia, come se avesse intenzione di abbracciarla a sua volta, ma all’ultimo momento parve rendersi conto di ciò che stava facendo e si posò le mani sui fianchi.
“Come è andata la missione?” Le chiese, schiarendosi la voce.
“Bene” Iselin si ravviò una ciocca dietro l’orecchio. “Sono riuscita a convincere quel tipo senza alzare le mani. È stato anche fin troppo facile.”
Vilkas annuì, ed in quel momento i suoi occhi colsero qualcosa che lo fece irrigidire.
“È andato tutto bene, dici?” Le narici del giovane si dilatarono, fiutandola. “Non è successo niente che vuoi dirmi?”
“Non capisco cosa stai insinuando.” Iselin sollevò il mento, mettendosi sulla difensiva. “Non è successo niente di diverso dal solito.”
“Davvero?” Chiese Vilkas, sollevando un sopracciglio. Prima che la ragazza potesse ribattere, le prese tra le dita la treccia bionda che le riposava su una spalla e la sollevò, in modo che lei potesse vedere la minuscola macchiolina di sangue rappreso sulla punta dei capelli.
Iselin si morse un labbro, ed il giovane le lasciò andare la treccia.
“Seguimi.” Le intimò, severamente.
La ragazza seguì Vilkas all’interno di Jorrvaskr, giù per le scale e lungo il corridoio dei dormitori. Davanti a lei, l’ampia schiena nuda del guerriero era lucida per il sudore e percorsa da fasci muscolari asciutti e guizzanti; mentre la fissava, provò l’irresistibile impulso di allungare una mano e farla scorrere su quei muscoli per saggiarne la forza, ma si trattenne. Se si fosse azzardata a farlo, probabilmente Vilkas gliela avrebbe staccata a morsi.
“Qui dentro.” Il giovane guerriero stava aprendo la porta della propria stanza, ed Iselin ebbe un attimo di esitazione. “Avanti, non ti mangio. Promesso.”
La ragazza entrò titubante, e lui le chiuse la porta alle spalle.
Senza dire una parola, Vilkas si avvicinò ad un bacile su un treppiede e lo riempì, usando l’acqua contenuta in una brocca.
La stanza era sorprendentemente ordinata; il letto era rifatto alla perfezione, i libri disposti con precisione sugli scaffali della libreria ed i mobili non avevano un grano di polvere.
Iselin aveva sempre invidiato i membri del Circolo perché potevano disporre di camere personali, mentre a lei toccava dividere la camerata con gli altri Compagni. Non era facile dormire, quando nel letto di fianco Torvar russava così forte da risvegliare i morti.
Mente lei osservava la stanza, Vilkas prese un piccolo asciugamano di tela, lo inumidì con l’acqua e cominciò a passarselo sul corpo per lavarsi via il sudore.
“Sei andata a caccia.” Le disse di punto in bianco. Non era una domanda.
“Sì.” Ammise la ragazza, preparandosi ad una sfuriata.
“In pieno giorno.” Continuò il giovane. “E non dire che non è vero. Il sangue è ancora fresco. Lo sento dall’odore.”
L’asciugamano colpì il bacile, facendo schizzare l’acqua sul pavimento e sui muri di pietra.
“Ti rendi conto di cosa hai fatto?” La voce di Vilkas era tesa, ma non rabbiosa. Sembrava preoccupato. “Se qualcuno ti avesse vista, avrebbe potuto ucciderti.”
“Non è successo.” Iselin incrociò le braccia al petto. “È stato uno sbaglio, d’accordo, ma tu ne stai facendo una tragedia. Ho solo dato la caccia ad un cervo.”
Alle sue parole il giovane guerriero si irrigidì come se lo avesse insultato.
“Una tragedia” Ringhiò, voltandosi a fissarla con occhi gelidi. “Tu davvero non te ne rendi conto. Hai idea del rischio che corri, se ti lasci dominare dal sangue di bestia?”
La stanza non era molto larga, e a Vilkas bastarono tre lunghi passi per raggiungerla.
“Non solo tu non fai niente per reprimere l’istinto, ma ora cacci anche di giorno. Come se accettare questa maledizione non sia stata un’idea abbastanza stupida…”
Smettila di darmi della stupida.” Iselin sollevò la testa, lanciandogli un’occhiata di fuoco.
“Non ho altre definizioni, per chi accetta questa… cosa.” Vilkas la afferrò per le spalle, proprio come aveva fatto pochi giorni prima davanti alle porte del dormitorio. “Ho cercato di avvertirti, dannazione. Ho cercato di convincere Skjor a non farlo, ma nessuno di voi mi ha ascoltato. E adesso ti rifiuti anche di riconoscere che tutto questo è sbagliato.”
Iselin gli puntò le mani contro il petto e lo allontanò con uno spintone.
“Potrà anche essere sbagliato, ma ormai il danno è fatto.” Ribatté. “Qual è il tuo problema, Vilkas? Hai forse paura della bestia?”
“No.” Il guerriero la fissò così intensamente da farla sentire a disagio. “Ma ho paura di quello che può fare.”
La ragazza sbatté gli occhi, stupita. Non si aspettava che Vilkas ammettesse qualcosa del genere; nell’immagine che si era formata nella sua mente, lui era al di sopra di ogni paura.
“Cosa può fare?” Gli chiese sommessamente. La rabbia svanì dagli occhi del guerriero, lasciando il posto ad un’aria amareggiata.
“Cose terribili.” Mormorò, scuotendo la testa. “Tu non sai cosa significhi, convivere con la bestia per così tanti anni. Combatterla è dura, ma se non lo fai, se assecondi i suoi istinti ogni volta che senti il desiderio della caccia, presto non riuscirai più a controllarti. Capisci quello che dico?”
“Sì.” Iselin si sedette sul bordo del baule, ai piedi del letto. Non sapeva cosa dire, quindi rimase in silenzio, osservando i gesti misurati del suo compagno, che era tornato accanto al treppiede con il bacile.
Prendendo l’asciugamano di tela, Vilkas lo strizzò, togliendogli l’acqua in eccesso, e se lo passò sul collo. Piccole gocce gli scivolarono sul corpo, impigliandosi tra i peli neri del petto.
“Non volevo alzare la voce.” Le disse piano il giovane, fissando l’acqua nella bacinella. “Vai pure. E fa attenzione, la prossima volta.”
Silenziosamente, Iselin si alzò ed uscì dalla porta, chiudendola dietro di sé.
Fu in corridoio che vide Farkas; seduto su una panca, aveva tutta l’aria di stare aspettando lei. La ragazza ne ebbe la conferma quando, passandogli davanti, lo vide farle cenno di avvicinarsi.
“Vilkas ti ha sgridata?” Le chiese, facendole spazio accanto a sé. “Vi ho sentiti gridare.”
“Abbiamo avuto una discussione, ma niente di grave.” Iselin gli si sedette accanto, incrociando le caviglie. Per tutta la vita aveva cercato di attenersi agli insegnamenti paterni e di fare la cosa giusta, ma negli ultimi anni le sembrava che fosse andato tutto a rotoli.
In quel momento si sentiva terribilmente in colpa, e la presenza di Farkas era un vero sollievo.
“Mio fratello ha delle buone intenzioni, davvero. Non è colpa sua, se a volte si arrabbia.” L’imponente Compagno le strinse fugacemente una mano, rivolgendole un timido sorriso. “Se vuoi ti possiamo aiutare, con quella faccenda della caccia. Va bene?”
Iselin si aggrappò alla mano di Farkas come ad un’ancora di salvezza, e sollevando lo sguardo fissò gli occhioni chiari e dolci del guerriero.
“Va bene.” Gli rispose ricambiando il suo sorriso, e subito si sentì meglio.
Avrebbe fatto tutto il possibile per non perdere la famiglia che aveva trovato a Skyrim.
 
 



 
 
 
Eccomi! Di un giorni in ritardo sulla tabella di marcia, ma ci sono!
Come si era già capito dal capitolo precedente, nella mia storia i lupi mannari non sono tutti neri e con gli occhi gialli, come nel videogame. Dal momento che ogni personaggio ha le sue caratteristiche, mi sembrava logico che queste si rispecchiassero anche nella sua forma “lupesca”.
M’aiq il Bugiardo è una bizzarria che mi è saltata in mente mentre sistemavo il capitolo, e così ho deciso di inserirlo. Spero vi sia piaciuto, perché è facile che ricompaia. O magari no. Non è mai facile riuscire ad intercettare quel Khajiit ;)
Al prossimo capitolo XD
  
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