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Autore: Sashuras    24/04/2013    0 recensioni
Train è un ragazzo di periferia che non sopporta il mondo in cui vive. Odia suo padre e la società in cui si ritrova e da cui cerca disperatamente di salvare la sorella e la povera madre. Si rifugia nella musica, l'unica che sa capirlo davvero. Ma scappare da quella realtà non sarà facile, soprattutto se ci sarà lei, Lady Cobra, a porta zizzagna e confusione nella sua vita. Cosa sceglierà Train: la vita lusso e piaceri di Lady Cobra o l'amore per ciò che gli rimane della sua famiglia? Riuscirà a raggiungere il successo con la sua band o continuerà a cantare nei bar di contea?
La mia seconda fanfiction, tratta dall'omonima trilogia che tanto ci ha fatto dannare! Spero apprezziate il mio lavoro e buona lettura!
Genere: Generale, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2. Stay the night
 

Se c’era una cosa che Train amava era la sera. Si, la notte buia ma stellata che scendeva dopo ogni giorno. Portava via tutta l’amara freddezza del mattino o gli scottanti litigi del pomeriggio, ed era proprio in questo momento che si riunivano ‘quelli del gruppo’. Già, 5 ragazzetti dalla testa bacata ma con la musica nelle vene. Si riunivano nei garage del quartiere o nei magazzini disabitati della zona, tutto pur di non perdere quelle 2 o 3 ore di prove, prima che l’alba portasse via ogni sogno di successo. Quella sera si erano riuniti in uno di quei magazzini malandati. Non era difficile trovar compagnia lì, visto che barboni e donne di mal’affare ci trovavano casa. “Non sono persone cattive, semplicemente sfortunate” ripeteva Darren ai suoi. Quel batterista, non l’avrebbero cambiato per nessuna ragione al mondo! Lui e Train erano nati insieme, si conoscevano da quando erano piccoli ‘così’. Nonostante tutto, Train non sapeva molto della vita di Darren, a volte capitava che non si vedessero per giorni se non la sera alle prove. Non era affatto un tipo taciturno, ‘quel batterista’, ma diciamo che non amava farfugliare i fatti suoi in giro.
I due furono i primi ad arrivare alla vecchia acciaieria, ormai in disuso da circa vent’anni, e cominciarono a montare i primi strumenti. Gli amplificatori e le casse parevano niente in confronto all’immensa batteria di Darren che, seppur favolosa, costava loro tanta fatica per montarla!
- Darren! E questo pezzo dove va? –
- In culo, Train! – gli rispose l’amico.
- Ah Ah Ah, che ridere! – e si rimise alla ricerca del punto in cui infilare quel dannato componente.
Poco dopo, si sentì il rombo di una motocicletta. Lo schioppettio di una vecchia Vespa 150 si fece sempre più forte. Logico, era Michael! Dio solo sa dove era riuscito a trovare quel vecchio rottame che lui, amorevolmente, chiamava ‘vespuccia’. La sua logica era “Finchè funziona, non ho motivo di cambiarla!” ed in effetti non faceva una piega. Raggiunse i suoi amici ancora in sella, con il basso dietro le spalle, e si fermò proprio davanti a loro.
- Una mano? – chiese, vedendo soprattutto Train in evidente difficoltà con un ennesimo enigmatico pezzo.
- Se ci vuol degnare della sua presenza, signor Michael, sarà ben accetta! – aggiunse Train in tono sarcastico.
Il bassista parchèggiò la vespa non troppo lontano. Aveva sempre il timore che qualcuno gliela rubasse, ma a chi sarebbe interessato un catorcio simile? Scese e dopo aver poggiato con cura il suo basso sopra una delle tanti travi di ferro, prese ad aiutare gli altri due. Mike aveva gli occhi blu scuro, proprio come la notte ed era facile perdersi in quell’oceano. Un tipo piuttosto taciturno, non molto socievole, ma che sapeva essere un grande amico! Aveva anche un gran bel fisico, il ragazzo. Muscoloso, ma non troppo, alto, ma non eccessivamente e con una chioma bionda che ondeggiava a destra e a manca ad ogni suo movimento. Non a caso, mezzo liceo cadeva ai suoi piedi (non solo le ragazze!). Train si divertiva spesso a compararlo ad Adone, a una di quelle buffe statue greche dell’antichità facendolo innervosire.
Giunsero anche Jonathan e Matthew, in estremo ritardo, come al solito. La seconda chitarra e la voce principale di quella band erano sempre, perennemente, in ritardo. Molto probabilmente avevano trovato problemi a fuggire di casa, visto i coprifuoco troppo ristretti di mamma Rose. Matthew e Jonathan non erano fratelli, ma condividevano un passato poco felice. Il primo, aveva perso entrambi i genitori in un grave incidente stradale. Non gli era rimasto nessuno, se non il suo piccolo amico John. La madre, Rose, decise di accogliere l’orfanello in famiglia, vista la mancanza di fratellini per Jonathan. Tuttavia, non era una delle migliori ‘famiglie’, se così si potessero chiamare. Rose soffriva d’insonnia e spesso passava le sue notti in compagnia di un bicchiere di troppo, che le faceva letteralmente perdere la testa e cominciare a sparare un mucchio di cazzate. Ma, per fortuna, era un’ora troppo tarda affinché Matt e John potessero udire le sue lamentele. Il padre di John era un militare, quindi per il 50% del tempo viveva fuori casa, ed il resto lo passava fuori, ad ubriacarsi con gli amici in attesa di essere convocato alla prossima missione suicida. Marito e moglie vivevano in completa autonomia, come se fossero a chilometri di distanza seppur condividessero lo stesso tetto. Chissà, magari non si sopportavano, magari avevano perso quel ‘fuoco’ che li aveva uniti anni or sono, ma almeno avevano un minimo di dignità nei confronti di quei due piccoletti e fingevano sorrisi pur di non sfasciare un’intera famiglia. Cosa che non si curavano di fare i genitori di Train.
 
- Siete pronti? – chiese la chitarra solista, cioè Train. Tutti gli strumenti erano stati montati. Alla voce c’era Matthew, il quale aveva impiegato pochi minuti per montare il suo microfono. Alla chitarra solista c’era, appunto, Train e alla ritmica Jonathan. Darren era alla batteria e Mike al basso. Dopo il conto alla rovescia di Matt, cominciarono a suonare il loro primo inedito, “Suburbia”.
Passavano i secondi, poi i minuti, poi le ore, ed i ragazzi non sembravano accorgersene minimamente, troppo presi dai loro amati strumenti e dalla loro amata musica, che tanto volte li aveva salvati, tante volte li aveva divisi per poi riunirli maggiormente. Si scatenarono anche in qualche vecchio pezzo dei Green Day, dei Blink o degli Oasis per poi tornare a qualcosa di più ‘classico’ o, come lo chiamava Darren ‘epicissimo’, dei Pink Floyd. Variavano spesso il loro genere, non avevano un’idea precisa su che tipo di musica suonare. Ciò che provavano, i loro sentimenti, li mettevano nero su bianco e bam, in pochi minuti ecco sfornato un piccolo capolavoro. Il testo veniva esaminato e, in particolar modo per Mike, che adorava i lavori meticolosi, studiato. Così la sera seguente si presentavano con la loro base di chitarra, basso, batteria o chicchesia. A quel punto bastava solo fondere il tutto e vedere quale minestra ne uscisse fuori! Il più delle volte, era un completo disastro, ed erano costretti a cambiare parecchie note pur di avere almeno un minimo di punto in comune tra tutti gli strumenti.
Durante una loro ennesima pausa, Train sentì un applauso provenire dal fondo del magazzino dismesso. I ragazzi si voltarono e pian piano affiorò dal buio più totale una figura femminile.
- Ma che bravi che siete – disse con voce provocante, poi fece un tiro alla sua sigaretta. La donna avanzò lentamente, mentre con i tacchi vertiginosi solcava il  pavimento. La luce della luna rischiarò finalmente il suo volto: aveva gli occhi chiari, un naso a punta e labbra carnose. Delle lunghe ciocche corvine le scendevano lungo tutto il viso e sul petto. Indossava un vestito rosso, corto, che lasciava intravedere ogni suo curva e con degli splendidi merletti ai bordi. Le spalle erano coperte da un giacchetta di pelle trasandata, la quale le stava appiccicata, come se le calzasse una taglia in meno.
Dai suoi movimenti, il corpo magro e il viso delicato pareva avere a stento 25 anni. Se non fosse per il rosso fiamma del suo rossetto e l’ombretto scuro, l’avrebbero presa per una quindicenne.
Si avvicinò a Darren, seduto alla batteria, e cominciò a massaggiargli le spalle.
- C’è un locale in centro città, si chiama ‘Roger White’, scommetto che la vostra presenza sarebbe molto gradita – con la sua voce calda stuzzicava le orecchie di Darren mentre pronunciava queste sue parole.
- Se è un locale per donne di facili costumi, mi dispiace mi cara, ma non ci interessa! – rispose Train alla proposta della giovane. Ella si voltò, quasi fulminandolo, gli si avvicinò ed incrociò le mani.
- Lo so che è difficile fidarsi di una prostituta, ma sai, anche le ‘donne di facili costumi’ hanno una vita al di fuori del loro lavoro – disse, cacciò un bigliettino bianco e leggermente macchiato e glielo porse – qui c’è l’indirizzo del bar, il recapito e tutto il resto. –
Passo dopo passo, voltò le spalle e si allontanò dai ragazzi, non senza aver mandato ad ognuno di loro un’occhiata felina.
Scomparve così nell’oscurità. Train rimase a guardarla ancora un po’, prima che la sua immagine si confuse con i colori morti della fabbrica. Non conosceva neanche il suo nome, ma qualcosa gli disse che l’avrebbe rivista. Fissò il bigliettino con degli appunti scritti a mano, sia sul retro che sul davanti.
Poi la band riprese a suonare, la notte era ancora lunga e giovane, e così sarebbe rimasta.

 
 

“Stay, stay the night
Cause we're runnin' out of time
So stay the night
I don't want to say goodbye”

  
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