34. The imperious life.
Anika era riversa sul fondo, gettata lì come una cosa
qualunque.
Aya sembrava rassegnata al suo destino, composta nel suo kimono di seta, mento
fieramente sollevato.
Claire non portava rancore, ma teneva il volto inclinato verso il basso, quasi a voler celare qualsivoglia tristezza.
Tuttavia, la piccola Stella la stava guardando dal basso,
seduta sul letto.
Accusatoria con quei suoi occhi di vetro, sembrava sfidare
il mondo intero a smuoverla di lì.
Sono un ricordo, diceva la piccola Stella. Non hai il diritto
di farmi questo.
Non ho tempo, rispondeva la ragazza, quasi avvertendo il
bisogno impellente di giustificarsi. Non ho tempo. Non posso.
Ma la piccola Stella continuava a guardarla accusatoria
dal basso. Fiera, bella, bionda ed indipendente.
Dagli occhi di vetro.
Animata da una nuova forza interiore, la ragazza la
afferrò per il collo. Non posso, ripeté, fermamente.
Gli occhi di vetro non cedettero. Con il cuore in gola,
Sakura strinse vigorosamente la stretta.
Poi, gettò Stella fra le altre bambole riposte nel
cartone.
Tuttavia, non trovò la presenza d’animo di sigillare la
scatola con il nastro da imballaggio, come si era ripromessa di fare. Deglutì,
richiudendola semplicemente con un cenno brusco, e voltandole le spalle.
Tradita, Stella dagli occhi scheggiati non distolse lo
sguardo dal coperchio scuro che la inghiottì nel buio.
* * *
L’erba fresca le solleticava le ginocchia nude, mentre la leggera brezza della sera ormai vicina le faceva ondeggiare serenamente i capelli lunghi ed fiocco rosso che li adornava.
La scatola era lì, davanti a lei, posata fra le radici
dell’albero. Semiaperta, riusciva a vedere ancora il barlume sinistro dello
sguardo della bambola dai riccioli biondi.
Stella. Che nome stupido.
Esattamente come colei che glielo aveva dato.
Con le mani cominciò a tastare a tentoni il terreno,
spostando qualche zolla facendovi pressione con le dita. Così presa e
concentrata, tuttavia, non sembrò affatto notare la presenza alle sue spalle.
“Che fai, fronte spaziosa? Ti diverti a giocare con il
fango?” arrivò la voce sibillina, divertita e cristallina, che Sakura non potè
fare a meno – a malincuore – di riconoscere.
“Quello lo fanno le scrofe, dovresti saperlo!” fu la
risposta immediata, mentre l’istinto la portava a gettarsi sulla scatola
semiaperta in un impeto di vergogna.
Non vuoi che mi veda? Sembrava dire il luccichio negli
occhi di Stella. Ma Sakura la ignorò.
Allo stesso modo in cui Ino ignorò del tutto il suo
commento suino. “Che cavolo hai lì?” domandò, piuttosto. Sakura si voltò per
guardarla da sopra le spalle, e ritrovarla bella come sempre.
Bionda come sempre. Fiera come sempre. Indipendente come
sempre. Ben vestita come sempre, con la sua gonna corta e lo zaino sulle
spalle. Quello stesso zaino che aveva così tante volte portato a casa sua,
quando si sarebbe fermata lì a dormire.
Ancora una volta, fu animata da una nuova forza interiore.
“Non sono affari tuoi, scrofa. Va’ via e non farmi perdere
tempo!”
Quella che seguì fu, in poche parole, una piccola rissa.
Ino le tirò indietro la testa dal nastro rosso fra i capelli tentando di dare
una sbirciatina, Sakura le morse una mano, Ino le diede uno spintone che la
fece cadere di lato, e nel cadere Sakura le diede un calcio ad uno stinco. Di
tutta risposta Ino le pestò una mano, Sakura le diede una gomitata sul piede ed
Ino una ginocchiata mirata alla fronte, che Sakura tuttavia riuscì ad evitare
all’ultimo momento.
Nel caos del momento, la scatola – probabilmente animata
dalla sola forza di volontà di Stella – decise che quello era un ottimo momento
per essere spinta via da un piede di passaggio e riversare tutto il suo
contenuto sull’erba bagnata.
Il tempo si fermò.
Sakura, con il piede di Ino calcato sulla guancia e
sdraiata sul terreno, guardò la scatola.
Ino, la cui gonna sembrava star per cedere alla forza di
gravità –coadiuvata dalla mano di Sakura che si era serrata sull’orlo del
tessuto - guardò la scatola.
In tutta la sua gloria, Stella entrò in scena rotolando
via dal mucchio. Anika, che era stata sempre la più intraprendente dopo Stella,
la seguì a ruota.
Sakura aveva voglia di morire, ma Ino sembrava piuttosto
aver voglia di discutere. “Cosa…? Cioè, è Stella, quella? La mia
Stella?”
Sakura bofonchiò qualcosa, poiché il piede di Ino le
soffocava ogni capacità di espressione logica. Cogliendo l’implicita richiesta,
Ino ordinò al suo piede di tornare al proprio posto. Lievemente intontita,
Sakura si rimise seduta, poggiando la schiena contro l’albero.
“E’ lei. In tutto il suo splendore.”
“La stavi buttando via!”
“Non sei mai venuta a chiederla indietro.” Rimbeccò
Sakura, arricciando il naso. Questo sembrò zittire la bionda, che piuttosto si
avvicinò alla bambola, chinandosi e raccogliendola.
Con un gesto quasi materno, la ripulì dal terreno.
“Era la mia preferita.” Commentò.
“Tanto che l’hai dimenticata a casa mia.”
“Credevo di averla persa.”
Seguì soltanto un lungo, imbarazzante silenzio.
Imbronciata per essere stata colta con le mani nel sacco, Sakura scostò lo
sguardo. “Puoi riprendertela se vuoi. Io le stavo…”
“… le stavi mettendo dove mettevamo tutti i nostri vecchi
giocattoli.” Comprese Ino, abbassando la voce di un’ottava.
Nostalgia? Perché aveva nostalgia, ora, quella stupida?
Era tutta colpa sua!
Sakura non si rese conto di essere arrossita. “Beh,
scusami tanto. E’ l’abitudine, mi è venuto semplicemente…”
“…Naturale?” la interruppe Ino, lievemente amareggiata. Si
interruppe, quindi, per schioccare la lingua. “… anche a me.”
Sakura aveva già schiuso le labbra per ribattere qualcosa –
non sapeva bene cosa, ma sarebbe stato sicuramente un commento il più caustico
possibile – tuttavia le richiuse non appena il suo cervello elaborò ciò che Ino
aveva appena detto.
“… come?”
“E’ per l’esame di domani, no? Diventeremo adulte. Ho
pensato che avrei dovuto mettere via le bambole, fronte spaziosa. Non ci
arrivi, con quel cervello che ti ritrovi? Se occupa così tanto spazio, potresti
anche usarlo, sai?”
La bionda sembrava davvero amareggiata. Sakura provava, nel profondo del suo
cuore, una sensazione simile. Rimase ad osservare la rivale con sguardo
risentito, mentre quest’ultima – accarezzando distrattamente la chioma
riccioluta di Stella – passava in rassegna le altre bambole sparse per terra.
“Anika e Stella si erano ripromesse di collaborare per far
sì che il ragazzo di cui erano innamorate le notasse.”
“Uh?”
“Ma avevo lasciato lui a casa mia. Per questo lasciai
Stella da te. Avremmo dovuto giocarci il giorno dopo, no?”
“… il giorno dopo io mi sono innamorata di Sasuke-kun.”
Completò Sakura, facendo spallucce ed abbassando lo sguardo. “Te l’avevo detto,
comunque, che una situazione del genere non sarebbe mai potuta accadere nella
realtà. Non si collabora per ottenere l’attenzione di un ragazzo,
scrofa.”
“Beh, fin qui c’ero arrivata, ora.” Commentò laconica Ino,
schioccando la lingua. “Oh, è Aya, quella? E anche Claire! Oh, quella era la
tua bambola che mi piaceva di più, quella.” Mormorò distrattamente,
accucciandosi per terra e poggiando lo zaino sull’erba. Lo aprì, con un sonoro ziiiip,
vuotandone il contenuto sul terreno.
Giocattoli. Interi anni di infanzia caddero con un tonfo
attutito dal tappeto di verde. Vestitini in miniatura, accessori per la casa
delle bambole, piccoli peluche, e persino un paio di diari segreti con dei
coniglietti disegnati sopra.
Sakura li riconobbe come i diari su cui avevano scritto
insieme, giorno per giorno, le testimonianze della loro amicizia. Che sarebbe
dovuta durare per sempre.
Anche quei diari caddero con un tonfo.
Sia Sakura che Ino, involontariamente, trasalirono.
“Muoviti a scavare, fronte spaziosa. Accanto ai vecchi
giocattoli. Su, che devo incontrarmi con Ami, dopo.”
Quella era la bandiera bianca di Ino, aggressivamente
alzata.
“Se hai tanta fretta scava anche tu, scrofa!”
Questa era la proposta di pace accettata da parte di
Sakura.
Tregua concordata.
“O mio dio! E’ Pallina, quella?”
“Ah, quello è il
peluche che ti prestavo sempre quando venivi a dormire a casa mia!”
“Quel vestito te lo cucii io, scrofa! Sei un’ingrata!”
“Ma se è uno sgorbio!”
“Mi dicesti che era bellissimo!”
“24 Novembre: Sakura-chan mi ha raccontato un fatto troppo
da ridere! Dice che stamattina, in piazza, ha incontrato quel tipo strambo con
i capelli biondi, e che…”
“27 Dicembre: sta nevicando, e siamo ancora una volta
rintanate sotto le coperte! Ino-chan non fa che farmi il solletico mentre
scrivo, per questo la calligrafia è così storta!”
“31 Dicembre: è finito un altro anno, e siamo ancora
rintanate sotto le coperte. Fuori c’è bel tempo, ed i fuochi d’artificio erano
bellissimi! Proprio come l’anno scorso! Ino-chan mi ha regalato un nuovo
nastro. Anche questo è rosso, ma è di seta. E’ luccicosissimo! Saremo amiche
per sempre, vero, Ino-chan? - Certo che sì, sceeema! Non ti eccitare per così
poco!”
Risero.
Risero dell’assurdità dell’intera situazione. Una risata amara e disillusa.
Sakura non sapeva se gli occhi di vetro di Ino celassero
qualcosa, ma sapeva benissimo di star ridendo semplicemente per non scoppiare a
piangere.
Anche Stella venne, insieme ad Anika, seppellita. Sakura si trattenne a stento
dal fare una piccola preghiera per la loro dipartita.
Si presero in giro senza pietà, ma non c’era malizia in agguato tra le loro
parole. Forse per questo motivo, Sakura si ritrovò a pensare che era davvero crudele,
il fatto che una tregua in tempo di guerra potesse assomigliare così tanto ad
una pace.
E tuttavia non esserlo affatto.
Probabilmente lo disse ad alta voce, poiché Ino mormorò un
rassegnato “già”, che però non significava assolutamente nulla. Non era una
proposta di pace, quella.
Il giorno dopo, Sakura diede indietro quel nastro rosso
che Ino le aveva regalato a Capodanno. Senza dire nulla – eppure Sakura avrebbe
giurato di aver visto finalmente qualcosa dietro quegli occhi di vetro
vivo – Ino lo accettò, con un piccolo cenno del capo.
La vita, imperiosa, continuò imperterrita ad andare avanti.
A/N: la Kodamy è momentaneamente tornata
Erano mesi che volevo scrivere una cosa del genere. Non ho nulla da dire, se non che devo necessariamente andare a dormire. Un semplice missing moment, tutto qui. Mi ha fatto un po’ male scriverlo, però. Come ogni volta che scrivo di queste due. Vabbeh, son cose che capitano. (L)
Vi amo tutti, indistintamente. [Ma Ross di più.]