A Londra, madre di tutti coloro che girano il mondo
con un libro di Shakespeare in borsa
e le bustine di tè tra i fogli.
- chylerblue
Aveva il sorriso stanco di chi nella vita non si arrende mai e soffre in silenzio.
Stava sdraiata su una distesa d’erba verde, senza scarpe, ad occhi chiusi.
Il vento soffiava lieve, caldo.
I capelli le ondeggiavano sul viso, né ricci né lisci.
Teneva gli occhi chiusi, quasi sempre, perché le piaceva immaginarsi in altri luoghi, nonostante il profumo d’estate montana fosse sempre presente, così come lo erano i suoni del bosco.
Le capitava, a volte, di trovarsi nel bel mezzo del deserto Sahariano, senza sapere come ci fosse arrivata.
L’unica pecca, di quei sogni ad occhi aperti, era che il ronzio di una vespa o lo scrosciare del torrente rischiavano sempre di richiamarla alla realtà, irrimediabilmente.
Era triste, con quel sorriso stanco.
Ma poi chiudeva gli occhi, e si immaginava felice.
Viveva il sogno come fosse realtà, si svegliava come se si trovasse in un incubo.
Ogni volta.
Era persa, con quella solitudine come unica compagna.
Ma poi si ricordava di quando il suo primo amore cantava per lei, di quanto fosse dolce quella malinconica sofferenza.
Viveva il ricordo come fosse presente, si dimenticava di non avere un futuro.
Ogni volta.
Era polvere, come una presenza intangibile.
Ma poi la si sentiva sussurrare nel vento, se solo ci si fermava ad ascoltare.
Stava tra le pagine dei libri, con quel profumo di mai che dura per sempre.
Era un attimo, che quasi nessuno sapeva cogliere.
Quasi nessuno.
Solo uno. Un giorno ne colse l’essenza come si colgono i fiori, come si indicano le stelle, come si accendono le candele.
Solo uno. Un giorno la guardò negli occhi, come nessuno aveva fatto mai, e le disse qualcosa di doloroso come le spine e di vero come le lacrime.
«Sei triste di una bellezza che fa male.»
Nessun altro sembrò capire.
Lei sorrise come la pioggia d’Inghilterra; decise di chiamarsi Bluebell.
Note:
Bluebell è un nome bellissimo che ho rubato al telefilm Sherlock (BBC). Lì non era altro che un coniglietto fosforescente, a cui ho voluto bene per varie ragioni che non c'entrano nulla con queste note.
Ho dato però, a questo nome, un significato tutto mio, una specie di etimologia personalizzata.
Blue ha a che fare con l'inglese, ma non con il colore. In Inghilterra dicono, quando sono tristi o depressi, che si sentono blu.
"I feel blue today", ad esempio.
Bell non ha nulla a che fare con le campane, ma deriva direttamente dall'italianissimo "Bella-Bellezza".
È una bellezza triste, Bluebell; fa male come possono farlo solo le cose belle.