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Autore: viktoria    27/04/2013    0 recensioni
[Jonathan Rhys-Meyers]Jonathan e Laura sono finalmente riusciti a capirsi. Sembra che non parlino più una lingua diversa ma che siano arrivati effettivamente al loro Happy Ending. Eppure conosciamo tutti il caratteraccio di Laura, il passato di Jonathan e le cicatrici che ha lasciato in lui. Sarà Laura abbastanza “adulta” da guarirle o almeno da impedire che sanguinino? E Jonathan saprà capire che lei, infondo, è solo una ragazzina?
“L'amore è una forma di pregiudizio. Si ama quello di cui si ha bisogno, quello che ci fa star bene, quello che ci fa comodo. Come fai a dire che ami una persona, quando al mondo ci sono migliaia di persone che potresti amare di più, se solo le incontrassi? Il fatto è che non le incontri.”
[STORIA IN RISCRITTURA E REVISIONE]
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Whatever works'
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Lo studio in cui mi trovai era avvero enorme, con delle grandi vetrate che mostravano un meraviglioso scorcio di Londra anche se mi rendevo conto che doveva essere davvero molto distante dal centro. L’uomo attempato che sedeva dietro la scrivania stava parlando al telefono così velocemente e concitatamente che non riuscii a capire ciò che stava dicendo.

- Vuoi scusarmi, ti richiamo io.- si congedò dal suo interlocutore non appena alzò lo sguardo su Jonathan che camminava sicuro verso la scrivania.

- Signor Rhys-Meyers. Che piacere vederla. A cosa devo la sua visita?- domandò lui alzandosi e stringendo la mano che gli veniva porta.

- Ho una nuova cliente da proporle.- annunciò l’uomo al mio fianco facendomi spazio. – signor Hennington le presento Laura Caruso. Laura, lui è il mio manager.-

L’uomo mi guardò per un momento come se mi stesse studiando e solo dopo un attimo di esitazione mi strinse la mano che gli porgevo.

- Signorina Caruso.- mi salutò semplicemente facendomi arrossire.

- Signor Hennington.- risposi a mia volta sorridendo gentilmente e accomodandomi sulla poltrona che mi indicava.

- Allora, signorina, ha già lavorato nel settore?- mi domandò lui prendendo un fascicolo da un cassetto della scrivania.

- No.- risposi lapidaria e sincera.

- Neanche amatorialmente?- domandò di nuovo segnando qualcosa su un modulo che teneva davanti a se troppo lontano da me perché riuscissi a leggerlo.

- Sì, amatorialmente sì. Soprattutto teatro classico.- precisai accavallando le gambe lo sguardo dell’uomo corse dal foglietto al mio viso.

- Un’attrice tragica?- sentivo nella sua voce una punta di ironia che mi fece rispondere con un sorriso di sfida.

- Ho delle ottime doti.- mi vantai passandomi una mano tra i capelli.

- Ne sono certo.- rispose l’uomo sorridendo e tornando a scrivere su quei suoi foglietti. – ha del materiale che posso esaminare?- mi domandò riprendendo il suo interrogatorio.

- Materiale?- la sua domanda mi aveva lasciato basita. Alzai un sopracciglio e lui alzò il viso per guardarmi facendo un gesto della mano come se stessimo parlando di qualcosa di ovvio.

- Video?- mi domandò di nuovo con assoluta calma.

- No.- risposi onestamente riflettendo sul fatto che al massimo avevo delle foto sulla mia passata esperienza. E tra l’altro anche fatte male.

- Posso farvelo avere il prima possibile.- interruppe Jonathan che fino a quel momento era rimasto in silenzio.

Mi voltai verso di lui che continuava a guardare serio l’uomo attempato dietro la scrivania. Sorrisi tra me valutando la fortuna sfacciata che mi aveva permesso di avere un uomo simile. Avrei voluto alzarmi e baciarlo ma non ero ancora sicura delle sue reazioni fuori da una camera d’albergo figurarsi in uno studio lavorativo.

- Non c’è alcun bisogno Jonathan, voglio vedere le doti di cui parla la signorina.- lo rassicurò lui alzando lo sguardo e sorridendo amabilmente verso di me. – lei è d’accordo?- mi domandò poi per non sembrare sgarbato.

- Certamente.- lo rassicurai io.

- Bene. Allora, ho appena ricevuto un copione per assegnare una parte per un certo telefilm…- aveva cominciato alzandosi e aprendo un armadio dal quale estrasse un fascicolo. – è un progetto a cui sta lavorando anche Jonathan è ti farebbe bene cominciare al fianco di qualcuno che conosci già.- mi aveva spiegato tornando a sedersi e porgendomi il copione.

Lo guardai per un attimo con le mani che mi tremavano. Sopra c’era scritto a caratteri grandi il nome del telefilm e quella dei produttori esecutivi e del regista. Stavo per piangere dall’emozione. Jonathan si era sporto verso di me e aspettava che girassi la prima pagina.

- Di che ruolo si tratta?- domandò improvvisamente curioso.

- Della figlia dell’uomo che aveva adottato Abraham nel passato e della sua reincarnazione nel presente. Una donna che vuoi morta.- spiegò semplicemente mentre io leggevo curiosa il copione del primo episodio in cui appariva il personaggio di Katherine.

- Perché voglio la sua morte?- domandò insistente apparendo quasi seccato.

Alzai lo sguardo dal copione nello stesso momento in cui il signor Hennington lo sollevò dalle sue scartoffie.

- È importante?- chiese l’uomo cercando di non sorridere ma l’ironia l’avvertivamo benissimo nel tono della sua voce.

- Altrimenti non l’avrei chiesto.- rispose lui incrociando le braccia al petto.

- Suppongo che sia legato al fatto che Abraham uccise Mina e che sei consapevole che Katherine è per lui ciò che Mina era per te.- precisò lui guardando dei moduli che aveva davanti porgendoli poi a Jonathan che non sembrava per nulla soddisfatto.

Rimanemmo per un attimo in silenzio mentre lui controllava i documenti che l’uomo gli aveva dato. Dopo un attimo d’attesa questo si alzò in piedi lentamente e mi guardò sorridendo.

- Vuole seguirmi signorina così proviamo un attimo qualche scena?- domandò l’uomo rivolto a me che intanto guardavo Jonathan per capire il perché della sua stizza.

- Certo.- risposi alzandomi.

Non appena fui in piedi anche lui si alzò posando i documenti sul tavolo.

- Posso aiutarvi. Magari proviamo qualche scena che deve girare con me.- precisò quando Hennington si voltò verso di lui dubbioso.

- Dovrei.- lo corressi sottovoce utilizzando un più appropriato condizionale. Non avevo voglia di illudermi e di veder poi distrutte completamente le mie misere speranze.

Ci accompagnò in una stanza dove un uomo più giovane stava lavorando al computer con delle grandi cuffie alle orecchie. La stanza non aveva nulla di particolare se non un divano ed una poltrona e un tavolino basso di fronte ad esse.

- Frank.- lo chiamò lui avvicinandosi all’uomo e poggiandogli la mano sulle spalle.

Quello ebbe un piccolo sussulto prima di vedere il suo capo e noi che lo guardavamo. Si tolse lentamente le cuffie e fulminò l’uomo che lo aveva chiamato.

- Signore, lei così mi farà morire un giorno.- sembrava che lo stesse rimproverando ma il signor Hennington rispose con una risata.

- Perdonami figliolo. Allora, lei è la signorina Laura Caruso, è qui per fare una registrazione video, il signor Meyers l’aiuterà, puoi occupartene?- gli chiese gentilmente presentandoci.

- Certamente.- rispose Frank alzandosi e avvicinandosi a noi con un sorriso.

- Bene, vi lascio nelle sue sapienti mani. A dopo.- ci salutò uscendo dalla stanza chiudendo la porta alle sue spalle.

- Ciao.- mi salutò Frank stringendomi la mano. – allora, hai già un testo su cui lavorare?- mi chiese facendomi segno di sedermi.

- Sì.- risposi sollevando il testo che tenevo in mano.

- Perfetto, allora prima cosa leggi con calma le battute e cerca di memorizzarle. Lei signore può fare lo stesso e quando siete pronti me lo dite che accendo la telecamera.- ci spiegò lasciandoci da soli sul divano mentre sistemava la telecamera davanti a noi.

Mi sedetti e lui prese posto accanto a me leggendo le battute del copione. Era una scena breve, Katherine era per strada da sola e si dirigeva nella scuola in cui insegnava. Il misterioso Mr. Grayson trova un modo per fermarla e capire se anche lei, come Abraham è stata trasformata o se come Mina è la reincarnazione della sorella del suo nemico.

- Chi è che interpreta Van Helsing?- domandai innocentemente finendo di leggere l’ultima battuta.

- Perché vuoi saperlo?- domandò lui piccato prendendo il copione dalle mie mani e allontanandosi un po’.

- Perché sono curiosa di sapere chi è il fratello di Katherine.- risposi semplicemente facendo spallucce. - Tanto per immaginarmelo.- precisai guardandolo.

- Non è il fratello di Katherine è il fratello di Kosara di cui Katherine è solo la reincarnazione.- precisò lui sviando il discorso.

- La storia è piuttosto confusa.- mormorai. In effetti era riuscito nel suo intento di farmi perdere il filo del discorso.

- Sì, è vero. Te la spiegherò meglio a cena ok?- domandò lui gentilmente facendomi un mezzo sorriso e alzandosi dal divanetto.

- Siete pronti?- domandò a quel punto Frank che aveva finito di sistemare l’apparecchiatura necessaria.

- Sì.- risposi io alzandomi e posando il copione sul tavolino in vetro.

- Bene, partite quando volete.- ci informò quello tornando a sedersi al computer e rimettendosi le sue enormi cuffie.

Presi un respiro profondo e cominciai a camminare lentamente con lo sguardo basso. Katherine doveva essere una ragazza molto triste in fin dei conti. Aveva un lavoro che le piaceva ma nient’altro. Aveva perso la sua famiglia e i suoi amici, era completamente sola e viveva in una piccola stanza di un pensionato. Non aveva proprio la vita che aveva sempre sognato. Ero troppo persa a immaginarmi Katherine per badare a Jonathan che si era piazzato proprio di fronte a me tanto che sbattei contro il suo petto rischiando quasi di cadere a terra. Mi afferrò per le braccia e lo guardai con aria di scuse. Stavo rovinando tutto con la mia disattenzione.

- Sta bene signorina?- mi domandò però lui con una voce che non era la sua.

Era bassa, suadente e meravigliosamente sexy ma non era di certo la voce che avrebbe usato se non…

stava recitando. E io stavo facendo lo stesso con lui. Oh mio Dio!

- Signorina?- mi richiamò di nuovo dolcemente aggrottando la fronte.

- Sto bene.- mormorai semplicemente allontanandomi da lui.

Katherine era una brava ragazza in fin dei conti. Nonostante lui fosse bellissimo era anche stranamente spaventoso e inquietante e lei avrebbe voluto solo scappare. Anche se ne era enormemente attratta. Come me del resto. Lo amavo, lo sapevo, eppure mi spaventava allo stesso tempo in quel momento più che mai visto che la mia vita era nelle sue mani.

- Non sembra, ha bisogno che l’accompagni da qualche parte?- domandò lui gentilmente con quella voce vellutata che mi attirava eppure mi allontanava nello stesso tempo.

Non era Jonathan quando parlava così. Non mi sentivo innamorata di lui.

- No, la ringrazio. Sono già arrivata.- risposi sorridendogli appena e sviandolo per proseguire oltre. Lui mi bloccò per il braccio.

- Posso almeno conoscere il suo nome se non le reca troppo fastidio?- mi domandò con dell’ironia della voce.

Ero stata sgarbata. Katherine lo era stata non io, in realtà. Mi voltai verso di lui arrossendo, chissà per quale motivo.

- Mi spiace, sono stata maleducata. Mi chiamo Katherine signore, e la ringrazio per non avermi fatta cadere e mi spiace di esserle venuta addosso.- dissi velocemente. – adesso se non le spiace rischio di arrivare tardi.- mi scusai allontanandomi definitivamente.

Mi sentii afferrare di nuovo per il braccio e mi ritrovai schiacciata contro il suo petto con le sue labbra premute sulle mie. Non era più il vampiro cattivo ovviamente, sentivo che stava sorridendo sulle mie labbra come me.

- Ok, perfetto…- stava dicendo intanto Frank mentre Jonathan allentava un po’ la sua presa ferrea. – sei davvero brava sai?- si stava complimentando il ragazzo mentre spegneva la telecamera e tornava a sedersi.

- Ti ringrazio, sei molto gentile.- mormorai io ancora stretta in quell’abbraccio con le sue labbra premute contro la tempia.

- Allora.- cominciò dopo un attimo alzandosi e avvicinandosi a me. – questo è il dischetto, potete tornare nello studio di là e farlo vedere al signor Hennington.- mi disse porgendomi un compact disk.

Lo presi in mano e lo tenni ben stretto mentre uscivamo da quella stanzetta salutando Frank e tornammo nel grande studio.

- Già fatto?- domandò l’uomo avvicinandosi con un sorriso.

Io annuii porgendogli il disco e lui lo prese e si avviò verso un mobile a muro che, aperto, mostrò tutto il materiale necessario per un vero e proprio cinema.

- Vi prego accomodatevi su quel divano.- ci disse indicando un divano a parete.

Quando fummo seduti chiuse elettronicamente delle tende che oscurarono la stanza e su uno schermo che sembrava far parte della parete, apparve l’immagine della piccola saletta.

La scena era venuta davvero bene, potevo vederlo da sola. Gli occhi di Jonathan erano davvero inquietanti. Sembrava davvero un estraneo che mi vedeva per la prima volta. Io sembravo una svampita, depressa con problemi di educazione. Sembrava che volessi essere ovunque tranne che lì e sembravo spaventata a morte da quell’uomo eppure dall’altro lato sembrava che volessi saltargli addosso e baciarlo.

- Bene, molto bene. C’è davvero quel talento di cui parlavi.- scherzò lui riportando lo studio alla normalità facendo sparire il cinema.

Tornò a sedersi alla scrivania scrivendo qualcosa. Ero nervosa. Se avessi avuto quel lavoro in ogni caso avrei già avuto un’entrata.

- Parlando di remunerazione si tratta di poco purtroppo. Parliamo di trentamila al mese per un impegno piuttosto oneroso di quattro giorni a settimana.- mi informò lui.

- Trentamila?- domandai io sgranando gli occhi.

- Sì, mi spiace, è un personaggio marginale ma c’è larga facoltà di impiego e il tuo talento potrebbe servirti per far diventare il personaggio uno tra i principali.- spiegò lui mentre io meditavo sul fatto che avrei potuto mandare un terzo di quella cifra enorme alla mia famiglia.

- Per quante stagioni firma?- domandò Jonathan indifferente.

- Solo una. Solo tu, Jessica e Gaspard avete firmato per quattro stagioni.- spiegò l’uomo. – il contratto si rinnova di stagione in stagione.-

- Non credo sia conveniente.- borbottò Jonathan incrociando le braccia al petto.

- No, voglio provarci.- dissi invece io convinta stringendogli il braccio con la mano e sporgendomi in avanti verso l’uomo.

- Davvero?- domandò lui aggrottando la fronte.

- Bisogna pur cominciare da qualche parte no? E per un’attrice che neanche conoscono stanno già aprendo troppo generosamente il portafogli. Credo. Quindi sì, mi sta bene. E poi è solo una stagione.- costatai io tranquillamente rivolgendogli un sorriso.

- Perfetto. Allora mi serve solo una firma qui e poi le consegnerò i documenti che mi hanno fatto avere.- rispose l’uomo indicandomi un modulo.

Lo firmai con mano sicura e in quel momento mi sentii la donna più potente del mondo.

Dopo aver salutato e ringraziato uscimmo da quello studio immenso. Quando fummo al sicuro tra le pareti di metallo dell’ascensore mi volta verso di lui, gli afferrai il viso tra le mani e lo baciai con trasporto. Era la prima volta che prendevo l’iniziativa, che io ricordassi almeno, ma ero così su di giri, emozionata, felice che quella giornata si fosse dimostrata così perfetta che non riuscivo a credere che potesse andare storto qualcosa.

Lui infatti non mi spinse via come avrei creduto. Mi spinse contro la parete e mi prese in braccio passandomi le mani sulle gambe nude.

Le sentivo bollenti risalire sotto l’orlo della gonna e tenermi saldamente in una presa ferrea.

Io gli stringevo un braccio intorno al collo e con l’altra mano gli accarezzavo la guancia morbida tenendolo in modo che non si allontanasse.

- Sei stata bravissima.- sussurrò contro le mie labbra. – davvero bravissima.- continuò scendendo lungo il mio collo con quella scia di baci che mi facevano tremare.

- Te lo avevo detto che gli ascensori fanno quest’effetto…- sussurrai io sorridendo appena alzando il viso per dargli libero accesso al collo.

In quel momento però le porte si aprirono ed entrò un signore. Lui mi lasciò andare immediatamente portandosi al mio fianco fingendo indifferenza. Abbassai lo sguardo per non scoppiare a ridere e l’uomo, imbarazzato per aver capito di aver interrotto qualcosa, cercò di non guardare mai verso di noi.

 

Quando fummo in macchina aprì il fascicolo che tenevo in mano e lo lessi lentamente. Riassumeva ciò che mi aveva già spiegato il signore attempato nell’ufficio enorme. Se mai avessi avuto un ufficio nel mio futuro sarebbe stato esattamente come quello.

- Quando hai il primo appuntamento con il cast?- domandò Jonathan guidando prestando attenzione alla strada.

- Lunedì.- mormorai sconsolata chiudendo il fascicolo e incrociando le braccia al petto sfiduciata. Ovviamente non poteva andare sempre tutto bene.

- Che c’è?- domandò lui in apprensione voltandosi verso di me.

- Guarda la strada!- gli ordinai spostandogli il viso spaventata. – non farlo mai più.- gli ordinai scuotendo la testa.

- Rispondi!- ordinò lui seccato.

- Lunedì avevo la prima lezione.- mormorai prima di sorridere più tranquilla. – ma non si può voler tutto dalla vita no?- scherzai dandogli un bacio sulla guancia.

- Gli altri forse, tu sì. Andiamo agli studio e poi ti riaccompagno. A che ora hai lezione?- mi domandò lasciandomi esterrefatta. Diceva sul serio?

- Alle undici.- risposi semplicemente sperando che si rendesse conto dell’assurdità.

- Mi sembra perfettamente fattibile allora. alle 8 saremo agli studios alle dieci e mezza andiamo via e alle undici sarai a scuola.-

- Jonathan, possiamo essere realistici per tipo due minuti?- lo rimproverai dolcemente sapendo però che tutto quello lo avrebbe fatto per me ed essendogliene in realtà immensamente grata. – non c’è bisogno di uccidersi. Diamo la priorità al lavoro e a lezione andrò il giorno dopo.- proposi semplicemente facendogli una carezza sulla mano che teneva sul cambio.

- Laura avrai tutto il tempo per andare a lezione lunedì, fine della discussione.- concluse lui pronto a litigare. Neanche io mi sentivo a quel punto molto disposta a lasciar correre. Stava diventando una cosa di principio.

- Ti ho detto che non voglio andarci lunedì a scuola ok? Se anche tu dovessi accompagnarmi io non entrerei!- lo avvisai in un sussurro.

- Non funzionano con me i ricatti Laura.- sussurrò lui arrabbiato quanto me socchiudendo gli occhi. Sapevo che a quel punto anche per lui era diventata una questione di principio. Mi sentivo tornata in Italia.

- E con me non funziona la prepotenza Jonathan.- risposi semplicemente incrociando le braccia al petto.

- Vorrà dire che dalle undici di Lunedì mattina sarai liberissima di vagare per la città perché io comunque ti accompagnerò al college.- concluse lui semplicemente parcheggiando sul margine della carreggiata di una strada in pieno centro.

- Come farai a portarmi via di lì? Litigheremo davanti a tutti mentre io faccio la diligente lavoratrice che capisce qual è il suo dovere?- gli domandai scendendo dalla macchina e sbattendo la portiera con eccessiva forza.

- Non prendertela con la mia macchina.- a quel punto sentivo che stava per ridere. Era sceso anche lui dalla macchina e mi stava raggiungendo sul marciapiede.

- Ti prego John si serio e smettila di rompere le scatole per una cosa che sai che non sta ne in cielo ne in terra.- mormorai mentre lui continuava ad ignorare le mie proteste.

Mi prese per mano mentre ero ancora troppo impegnata a lamentarmi e a mostrargli i pro e i contro della mia proposta mettendo chiaramente in risalto i punti positivi. Mentre ancora blateravo mi strinse un po’ più forte la mano.

- Facciamo così, se abbiamo finito ti accompagno, altrimenti niente. Va bene?- mi domandò lui voltandosi verso di me.

Mi stava guardando con i suoi disarmanti occhi azzurri e mi resi conto di essere in mezzo alla strada mano nella mano con lui. Circondata da gente che ci guardava, incuriosita, per cercare di riconoscere anche me dopo aver riconosciuto lui. Qualcuno scattava anche delle foto col telefono. Lasciai il suo sguardo e lo fissai sulla gente intorno a noi.

Il loro sguardo faceva trasparire benissimo i loro pensieri. Mi voltai verso la vetrina di un negozio e vidi la nostra immagine riflessa. Io ero bassa, piccola, smagrita, lui era alto, bello e con un viso da trentenne. La differenza d’età sembrava quella tra un padre ed una figlia. Il nostro atteggiamento no.

- Ti da fastidio?- mi domandò lui abbassandosi su di me e dandomi un leggero bacio sulla tempia.

- No, non è un problema per te?- domandai io con un filo di voce voltandomi verso di lui e alzando il viso per guardarlo.

- Pubblicità per me, per te e per il telefilm.- rispose lui facendo spallucce.

La sua risposta mi fece capire che in realtà sì, gli dava fastidio che la gente ci guardasse in quel modo, che avrebbe voluto che si facessero i fatti loro.

Lasciai la sua mano e mi meritai un’occhiataccia da parte dell’uomo al mio fianco.

- Perché?- domandò lui piccato.

- Perché non voglio che tu faccia nulla che non vuoi fare.- risposi semplicemente incrociando le braccia al petto e continuando a camminare.

- Mi spiace ma non posso spaccare la faccia a tutti quanti quelli che ti guardano come fossi una prostituta e guardano me come fossi un pedofilo. Ci sono cose che la legge non mi permette di fare anche se vorrei. Quindi devo accontentarmi di starmene buono. Ma almeno mentre me ne sto buono sarebbe carino se la mia ragazza non mi scacciasse solo perché le tengo la mano.- aveva fatto un discorso lungo che ci aveva spinti a fermarci in mezzo al marciapiede.

Anche alcune persone si fermarono continuando a guardarci. Qualcuno si era anche avvicinato per fare una foto ma vedendo il modo concitato di parlare di Jonathan avevano cambiato idea. Gli rivolsi un mezzo sorriso di scuse e mi strinsi al suo fianco passandogli un braccio intorno alla vita. Lui sospirò e mi strinse un braccio intorno alle spalle.

- Non sarà mai più semplice Lorie. La gente cercherà sempre di trovare qualcosa in noi.- mi spiegò più tardi mentre stavamo seduti al tavolo del ristorante in cui mi aveva portata.

- Perché?- domandai io disorientata guardando la sua mano che teneva la bottiglia d’acqua sospesa in aria mentre mi versava da bere.

- Perché è interessante vedere un uomo e una ragazzina. Perché si chiederanno il perché tu stia con me. il fatto che lavoreremo insieme smorzerà un po’ le chiacchiere ma nasceranno un milione di altre stupide idee.- mi avvisò lui tenendo lo sguardo basso.

- Non importa.- risposi io mordendomi il labbro con forza.

- Per adesso.- aggiunse lui sospirando.

- Perché cerchiamo problemi prima che sorgano?- domandai io accarezzandogli il dorso della mano. Lui mi guardò ed io gli sorrisi. – che ne dici di fare qualcosa di normale nel pomeriggio?- proposi sorridente.

- Cosa?- domandò lui senza troppa convinzione.

- Mostra un po’ più di entusiasmo.- gli ordinai mettendo il muso senza essere offesa davvero.

- Cosa?-riprovò lui cercando di non ridere. Meglio vederlo ridere che tenere il muso.

- Andiamo a fare la spesa!- proposi entusiasta meritandomi un sorriso complice.

Ovviamente l’idea di Jonathan di fare la spesa divergeva diametralmente della mia. mi portò infatti, come da mia richiesta, stressante a detta del sopracitato, in un piccolo supermercato in periferia dove non c’era praticamente nessuno. La disposizione della merce non differiva particolarmente da quella italiana e almeno questo mi facilitò un compito più che arduo al fianco di quello che sembrava un bambino. Prendeva e metteva nel carrello praticamente tutto ciò che attirava la sua attenzione.

- Voglio sperare che tu non scegli le persone con cui stare come scegli cosa comprare al supermercato.- lo presi in giro mentre rimettevo al suo posto l’ennesima inutilità che aveva distrattamente buttato nel carrello.

- Perché?- mi domandò curioso con un pacco di chissà cosa nelle mani.

- Cos’è quello?- gli domandai alzando un sopracciglio indispettita.

- Quello cosa?- domandò lui voltandosi indietro come per guardare qualcosa che gli avevo appena indicato.

- Quello che tieni in mano John, cos’è?- chiesi di nuovo seriamente avvicinandomi a lui.

- Ha una confezione carinissima, sarà sicuramente qualcosa di buono.- rispose lui.

Io scoppiai a ridere della sua battuta e lo guardai. Era serio e anche confuso dalla mia reazione. A quel punto cominciai anche io a sentirmi confusa.

- Stai scherzando vero?- domandai prendendo ciò che teneva in mano per vedere cosa fosse. – mangi prugne secche?- chiesi cercando di trattenere le risate.

- Prugne secche?- domandò lui strappandomi la confezione dalle mani e guardandola a sua volta. – cavolo la confezione era così carina. Mi sento tradito adesso.- brontolò ridendo di se stesso con un’autoironia che non avevo mai visto in lui.

- Tu sei il perfetto prototipo del consumatore ideale.- lo presi in giro divertita. – ti mostro come ci si procaccia di che vivere.- lo avvertì affidandogli l’arduo compito di tenere il carrello.

- Sei allergico a qualcosa?- gli domandai mentre prendevo un sacchetto nel reparto ortofrutta.

- No, ma odio l’ananas, e le arance, e le mele e le susine bianche, e le pesche troppo rosse e…- l’elenco non sembrava avere una fine quindi lo fermai con la mano.

- Facciamo che mi dici cosa ti piace?- scherzai prendendo delle zucchine, delle melanzane e dei funghi freschi.

- Le pere, non mi danno fastidio, e le pesche gialle, ammesso che non siano troppo schiacciate e mollicce e fragole e ciliegie.- concluse soddisfatto della sua lista.

- Sei serio? Niente mandarini, arance, anguria, niente del genere?- domandai sbalordita. – a casa le mangiavi.-

- Infatti io ti stavo suggerendo cosa comprare qui. A casa era tutto buono, qui non siamo in Sicilia.- mi ricordò poggiandosi al banco frigo.

- Capito.- mormorai delusa prendendo le sole quattro specialità di frutta che mi aveva suggerito e qualche limone.

Era stata mia madre ad insegnarmi a comprare. Era una vera e propria arte quella del fare la spesa ed io ne ero follemente innamorata. Mi rilassava e mi faceva sentire grande. Anche perché a casa mia mi era sempre stato detto che chi fa la spesa decide cosa si mangia. Quindi non mi era mai dispiaciuto uscire per andare al supermercato. Comprammo l’acqua, il pane, generi alimentari a lunga conservazione da mettere in frigo e nel frizer.

- Guarda che non c’è bisogno di rimanere due ore a guardare due pezzi di formaggio che sono praticamente gli stessi, se non sai quale prendere prendili entrambi.- mi suggerì lui mentre ero ancora intenta a leggere la confezione di uno strano formaggio che avevo in mano.

- Non è per quello. Non capisco perché questo costi tanto e questo invece così poco.- mormorai più a me stessa che a lui.

- Prendi quello con la data di scadenza più lontana.- mi suggerì indifferente.

- Ma costa troppo.- mi lamentai io.

- Ehi, capisco che il nuovo stipendio possa sembrarti scarno ma esageri un po’.- mi prese bonariamente in giro.

In realtà non era per quello. Non ero mai stata abituata a prendere ciò che mi piaceva di più senza guardare il prezzo. C’erano delle situazioni nel sud italia che lui non poteva capire e da cui era stato tenuto ben lontano. Gli sorrisi rassicurante e feci come mi aveva detto.

Accantonati però questi problemi potei dedicarmi al bambino che c’era in Jonathan. Mi pregava di comprare un numero enorme di schifezze e dopo un po’ non riuscì più a dirgli di no.

Tornati a casa mentre riempivamo il frigo e la dispensa mi resi conto di ciò che avevamo effettivamente acquistato.

- Potremmo dare una festa.- lo presi in giro divertita.

- Non abbiamo comprato tanti alcolici, anzi solo una bottiglia di amaro, il resto è tutto liquore per dolci.-

- Diciamo allora che possiamo fare una festa per minorenni ok?- precisai aprendo lo sportello di un mobile che avevamo affidato solo a cioccolata, patatine e bibite gasate. – la prossima volta non chiedere nulla del genere perché tanto non ci sarebbe dove metterla.- lo avvisai.

Lui sorrise con quel sorriso furbo che mi faceva arrossire, come se volesse salirmi addosso e baciarmi da un momento all’altro. Mi piaceva quando mi guardava così.

- La prossima volta, dopo il supermercato, passeremo da un negozio di mobili.- sussurrò lui prima di prendermi tra le braccia e chiudermi le labbra in un bacio impedendo alla mia risposta di uscire e distraendomi con un attività ben più interessante.

  
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