LA FORZA DI CAMBIARE.
Dopo
quanto era successo sul tetto della scuola, Erian, in cuor suo, sapeva che
qualcosa era cambiato. Non lei, come persona o come galerians, ma il suo modo
di pensare e di concepire il mondo. Era più consapevole, più consapevole del
fatto che il dolore era qualcosa di fisico e materiale, qualcosa che si poteva
toccare. Adhara le aveva in qualche modo fatto capire che, in realtà, lei non
era la macchina priva di umanità che credeva di essere. Era stata capace di
provare dei sentimenti, come era già stata capace di provare odio.
Questi
pensieri le rigirarono in testa per tutta la mattina, bussando alle porte della
sua mente, come orde di barbari che vogliono conquistare la città. Più lei
cercava di ricacciarli dentro, più loro bussavano. Aveva accettato la mano di
Adhara, e questo significava che lei era diventata consapevole della sua
posizione, ma mille dubbi continuavano a vorticarle dentro. Se lei era
veramente un galerian, fatto solo di chip e metallo, come era stata in grado di
provare tutte quelle cose? Il semplice fatto di essere stata coinvolta così
tantola turbava. Era stata scossa in molte delle sue certezze, certezze che
nessuno, a parte Nova, poteva sapere.
Ma,
alla fine, la mattinata passò abbastanza tranquilla e, usciti da scuola, si
incontrarono tutti quanti al cancello per tornare a casa insieme. Rion cercava
lo sguardo di Erian ma non era ancora riuscito a catturarlo. Era come se
cercasse di sfuggirgli, come se quei occhi di ghiaccio non volessero incontrare
i suoi. Lei continuava a camminare a testa bassa, riflettendo. Avrebbe fatto
carte false per sapere cosa l'attanagliava, per riuscire a cogliere un solo,
piccolissimo, suo pensiero. Ma il
rispetto nei suoi confronti era ben superiore alla sua curiosità, così preferì
tacere.
Alhena,
che di certo una stupida non era, sapeva cosa era successo. Coglieva nell'aria
un certo nervosismo, troppo per i suoi gusti. Le rivelazione che Adhara aveva
fatto ad Erian potevano avere conseguenze terribili. L'aveva messa a conoscenza
di qualcosa di importante, troppo importante per voltare la testa e guardare
altrove. Ma, inconsapevolmente, sul suo volto si dipinse un piccolo sorriso.
Aveva fiducia nei suoi compagni, sapeva che non l'avrebbero tradita e che non
avrebbero messo a repentaglio il buon esito della loro missione. I suoi occhi
nocciola si posarono alcune volte sulle loro teste, cercando di vedere le loro
reazioni. Ognuno di loro aveva i suoi pensieri, che erano e dovevano restare
segreti e personali. Poi, d'un tratto, vide Rion avvicinarsi a lei.
"Allora,
cos'è che ti turba mio caro ragazzo? Non dire niente, lo leggo dai tuoi occhi
pensierosi" Disse lei, spostandosi un ciuffo di capelli dagli occhi.
"Io,
non voglio essere scortese o maleducato, ma non riesco a capire come mai i
rapporti tra di noi si siano così raffreddati." Abbassò gli occhi,
intimidito. Non si sarebbe mai aspetto che lei gli rivolgesse la parola. Si era
avvicinato perchè si sentiva di troppo tra Adhara ed Erian. Era come se si
stessero mandando dei messaggi nascosti, sussurrando frasi talmente piano che
l'orecchio umano non è in grado di sentire
"Non
hai di che preoccuparti per la tua amica, dolce Rion. E questo non è il momento
adatto per parlarne. Ogni cosa a suo tempo, presto scoprirai cosa c'è che la turba
e, forse, tra poco lo sperimenterai anche tu." Aumentò il passo,
distanziandolo.
"No,
ti prego, aspetta!" La intimò, cercando di seguirla. Lei si girò,
gelandogli il sangue con lo sguardo. Era di nuovo venuta fuori la bestia
selvatica, che non ha pietà delle sue prede e che non è capace di provare
sentimenti sinceri. Capì che il suo non era un consiglio, ma piuttosto un
ordine. Un ordine da seguire in religioso silenzio. Adhara aveva visto, sapeva
cosa era successo, ma era consapevole che prima o poi sarebbe giunto il momento
di liberare il suo potere, di far vedere a tutti ciò che nascondeva nei meandri
del suo cuore.
Non
appena varcarono la soglia di casa, ognuno di loro si rifugiò in camera, nella
speranza di trovare quell'atmosfera silenziosa e tranquilla di cui tutti
avevano bisogno. Alhena, dopo alcuni minuti, tornò in cucina e cominciò a
preparare la cena. Sembrava quasi aver ritrovato il classico buonumore che la
contraddistingueva. Tagliava le carote intonando una dolce melodia con la voce.
Adorava stare da sola ed impegnarsi con qualcosa, le dava la bella sensazione
di essere viva e libera, nel limite della sua natura, ovviamente.
Molte
volte si era ritrovata a pensare a cosa avrebbe fatto se avesse deciso di
abbandonare la causa di Nova. Molto probabilmente sarebbe morta o, nel migliore
dei casi, sarebbe sopravvissuta grazie all'esprienza acquisita compattendo. Ma
niente l'avrebbe fatta sentire viva. Aveva un nome e basta, non aveva un'età
ben precisa, non aveva un posto in cui tornare, non sapeva dove era nata, non
poteva lavorare, non poteva avere una casa, non poteva sposarsi ed avere dei
figli. Lei non era altro che una macchina, una macchina che senza energia
smette immediatamente di funzionare. La cosa la rattristava, ma era pur sempre la
verità.
Tra
mille pensieri, la cena fu ben presto servita. Tutti mangiarono in silenzio,
evitando di guardare gli altri negli occhi. Furono molto sorpresi delle abilità
culinarie di Alhena ma, in fin dei conti, in addestramento ti insegnavano anche
questo. Non appena ebbe finito, Erian fu tentata di tornare in camera sua per
riposarsi, il giorno appena passato l'aveva resa stanca. Cercò di alzarsi ma fu
subito fermata dalla forte mano di Adhara.
"Resta
con noi, per favore. Ho bisogno di parlarvi, di parlare con tutti voi."
Accentuò di più le ultime due parole, a buon rendere. L'altra, dopo un momento
di diffidenza, fece come le avevano detto. "Innanzitutto mi scuso con mia
sorella, perchè mi rendo conto che le mie affermazioni delle volte sono stupide
e non ponderate. Ma veniamo al succo della questione. Dunque, è giusto rendervi
partecipi di una parte delle mia vita che, in realtà, è una parte anche della
vostra. La nostra compagna qui presente capisce cosa intendo, come penso lo
capisca mia sorella. Nova mi ha donato un potere, un potere terribile. Noi
siamo stati creati per uccidere, come tutti i galerians, e come tali dobbiamo
sottostare agli ordini della madre. Io sono diventata una macchina di morte di
mia spontanea volontà, senza che nessuno mi costringesse. Ma dentro di
me...dentro di me sento la sofferenza delle persone che uccido."
Rion
rimase per un momento senza parole, non sapeva cosa dire e non capiva bene cosa
intendesse dire la compagnia. "Non comprendo." Disse, infine.
"Non
comprendi? Oh, comprenderai..." Come era successo con Erian, il corpo del
ragazzo fu avvolto da un forte vento, Alhena si coprì gli occhi con una mano,
per non guardare all'interno del vortice, per non ricordare le persone che
aveva ucciso. Rion sentì come una pugnalata al cuore, poi rivide, uno ad uno,
tutti quelli che aveva ucciso. Sentì le sue mani sporche del loro sangue, che
gli colava persino dai capelli e dal volto. Rimase senza fiato e gli sembrò di
soffocare, fin quando l'illusione si sciolse e si ricordò di essere in casa.
"Cosa
è successo? Che mi hai fatto?" Chiese, tremante.
"Ti
ho fatto sentire quanto è devastante il tuo potere. Loro due l'hanno già
saggiato e c'eri rimasto solo tu. E ora, ditemi, siete disposti ad accettare la
realtà? Siete disposti ad accettare il fatto che noi possiamo provare dei
sentimenti? Siete disposti...a non uccidere più a meno che non ne siamo
costretti? So bene che è il nostro scopo, ma ora sapete che cosa succede alle
persone innocenti che periscono per mano nostra. Siete con me?"
Subito
dopo, Alhena fece cenno di sì con la testa. Dopo un momento di confusione,
anche Rion fece cenno di sì. Tutti gli occhi si spostarono su Erian, che se ne
stava seduta a testa bassa. Alzò un momento lo sguardo e incontrò i loro occhi,
fiduciosi e tristi.
"Sono
con voi." Disse, alzandosi ed andando in camera. "Ma non posso
assicurarvi che riuscirò ad accettare le vostre condizioni, perchè in fondo io
sono un galerian, e niente cancellerà quello che esiste ora."
CONTINUA...