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Autore: MAMMAESME    02/05/2013    10 recensioni
La storia originale si interrompe poco prima della partenza dei fratelli Salvatore per nascondere il corpo mummificato di Klaus. Quello che avviene dopo è un miscuglio di “What if”, di scene trasposte e di personaggi noti … meno noti e inventati. Gli occhi che ci guideranno, la voce che racconterà non poteva essere che la SUA: una visione soggettiva, emotiva ed emozionante … almeno spero.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Damon/Elena
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 2

… E VENNE IL NULLA …

 
Il volo verso l’aeroporto di Washington non fu abbastanza lungo per immaginare tutti gli eventuali scenari che avrei trovato a Mystic Falls.
Avevo lasciato la mia Camaro parcheggiata in un garage che avevo acquistato poco lontano dal terminal circa dieci anni fa, prima di partire per l’Europa. Frugai nella tasca della mia valigia per trovarne le chiavi. Alzai la saracinesca e tolsi il telo che copriva la mia auto azzurra. La accarezzai come si fa con una donna trascurata per troppo tempo. Mi sedetti al posto di guida, infilando le chiavi nell’accensione.
“Dai piccola mia … fammi sentire la tua voce …”
Al primo giro di chiave la Camaro rispose con il suo rombo familiare, dolce musica per le mie orecchie. Feci retromarcia e uscii da quelle quattro mura che per troppo tempo avevano imprigionato la mia compagna selvaggia. Non mi preoccupai nemmeno di chiudere il garage: non che avessi fretta di tornare a quella che, per abitudine, continuavo a chiamare casa, ma volevo togliermi quell’incombenza il più velocemente possibile; volevo smorzare l’ansia che mi aveva infastidito all’avvicinarsi della data stabilita per l’appuntamento con Stefan che, ne ero certo, non si sarebbe accontentato di una semplice rimpatriata tra fratelli, di una bevuta e una di pacca sulle spalle. Conoscendolo, avrebbe posto domande che io cercavo di evitare, voluto risposte che non ero pronto ad ascoltare:
Come starà Elena? Come sarà diventata? Cosa avrà fatto? …. Andiamo a cercarla, giusto per vedere se sta bene, giusto per capire …”
Domande e risposte che avevo combattuto per tutti quegli anni, che avevo soffocato in un unico lunghissimo oblio.
 
NO … sarei tornato alla vecchia villa, avrei guardato in faccia mio fratello, mi sarei assicurato che stesse bene e poi sarei ripartito … dovevo ripartire: non potevo indugiare su ricordi che mi avrebbero riaperto ferite ancora non completamente rimarginate.
Forse, però, sarebbe stato più terapeutico guardare in faccia la realtà presente, vedere la nuova vita di una splendida quarantenne, irraggiungibile, ormai persa per sempre. Forse, in questo modo, sarei riuscito a voltare pagina una volte per tutte …
Forse così avrei potuto mettere una benda sul mio cuore sanguinante e lasciarlo guarire … Forse … o forse no.
Mentre guidavo, riflettevo … come avevo fatto in aereo … in cima al Duomo … ma non arrivavo mai ad una conclusione definitiva: il rischio era veramente troppo alto, la posta il gioco era il mio equilibrio precario tra la follia e il delirio.
Eppure non mi ero mai sottratto ad una sfida, non mi ero mai tirato indietro davanti ad una prova:  avevo sempre preferito pentirmi piuttosto che avere rimpianti … ma questa volta era dura … troppo!
Forse non volevo trovare una soluzione definitiva ai miei tormenti, probabilmente volevo rimanere attaccato a un’illusione.
Se non l’avessi vista, avrei potuto continuare a sperare di poter ritrovare, un giorno, la ragazza che avevo lasciato piangente; avrei potuto prenderla tra le mie braccia, chiederle perdono e riceverne in cambio quell’amore che non mi era stato concesso, quell’abbandono che si era preclusa.
Venticinque anni, per chi non invecchia mai, possono essere un lungo tunnel o un battito di ciglia. Guardandomi allo specchio, conservavo l’illusione che lo stesso potesse essere accaduto anche ad Elena: immutata …  umana … fragile e stupenda.
Il piede premette violento sul pedale del freno, a pochi centimetri dall’auto che mi precedeva. Appoggiai la fronte sul volante, maledicendo le mie elucubrazioni inutili. Ero diventato l’ombra di me stesso, un vigliacco che non sapeva affrontare la realtà, un inutile vuoto a perdere che galleggiava nel mare della malinconia. Un moto di dignità mi fece rialzare la testa: era venuta l’ora della verità ed io l’avrei affrontata da uomo!
Quando arrivai a Mystic Falls era già buio
“Il primo di novembre entro mezzanotte …”
Parcheggiai nel vialetto di fronte a casa. Nessuna luce traspariva dalle finestre, ancora completamente sigillate. Scesi dall’auto e m’incamminai verso l’entrata. Abbassai la maniglia nella speranza che fosse già aperta, che Stefan fosse già arrivato, ma non fui accontentato. Tornai alla macchina e recuperai le chiavi che avevo lasciato nel bauletto portaoggetti. Quei pezzi di ferro pesavano nella mia mano. Aprire quella casa significava farsi risommergere dai ricordi: strano come due anni pesassero nella mia memoria più dei centocinquanta che li avevano preceduti, molto di più dei venticinque che li avevano seguiti …
Erano le dieci.
Entrai e trovai la casa deserta e fredda … disabitata.
I teli erano nella stessa posizione in cui li avevo messi prima di partire, coperti da uno spesso strato di polvere. Tutto sembrava inalterato, tutto perfettamente uguale a come lo avevo lasciato … eppure …
Un brivido mi percorse la schiena … un presentimento strano … come una piccola macchia su un quadro, un graffio su una fotografia. Non riuscivo a spiegarmi quella sensazione, a mettere a fuoco il particolare distorto.
Mi diressi verso la vetrina che conteneva i liquori, afferrai una bottiglia di bourbon ancora sigillata.
“Ulteriori venticinque anni d’invecchiamento: o sarà ottimo o sarà pessimo”pensai, prima di trangugiare una sorsata di quel fuoco liquido. I bicchieri erano improponibili, oltre che superflui …
Un bicchiere …
Mi voltai verso camino e vidi un bicchiere appoggiato sul telo bianco che copriva tavolino di fronte. Mi avvicinai per osservarlo meglio: qualcuno era arrivato in casa prima di me. Presi il bicchiere per indovinarvi il contenuto: sangue. Una patina rossa e secca sporcava il fondo del bicchiere.
Mi guardai rapidamente intorno e notai che nessuna delle finestre era stata forzata. Feci un giro veloce del piano terra e tutto mi sembrò intatto.
Stefan … ma quando?
Tornai al bicchiere: la polvere copriva il sangue secco e attorno al bicchiere si era formata un’ulteriore aurea di sporcizia.
Da sotto il tavolino sbucava una cannuccia. L’afferrai e trovai la sacca di sangue da cui si era versato da bere: l’etichetta diceva “Ospedale di Atlanta marzo 2019” … quindici anni prima … quindici anni troppo presto!
Corsi in camera sua e trovai la sua valigia aperta sul letto, un cambio di vestiti sparso sul pavimento … il tutto ricoperto dalla stessa polvere che opacizzava il resto della stanza.
Stefan era tornato lì quindici anni fa.
Stefan era venuto a casa … si era cambiato … aveva bevuto del sangue umano ed era uscito, richiudendo la porta a chiave.
Stefan non era più rientrato.
Un’altra frase s’insinuava fastidiosa tra le varie, preoccupate ipotesi: Stefan non aveva rispettato il patto!
Lanciai la sacca vuota sul pavimento e mi appoggiai allo stipite della porta. Dove poteva essere andato, era una domanda scontata: sicuramente in cerca di Elena, ma … perché non era tornato a casa? Perché non era lì, dove avrebbe dovuto essere?
Guardai l’orologio e mi accorsi che era trascorsa quasi un’ora.
Aspettare fino a mezzanotte sarebbe stata un’inutile perdita di tempo: Stefan non sarebbe arrivato. Il presentimento era ormai una certezza. Era successo qualcosa a mio fratello … quindici anni fa … quindici anni troppo presto.
Perché era tornato? Perché non aveva aspettato?
Perché cazzo mi ero fidato di lui?
Dov’era? Cosa gli poteva essere successo?
Troppe domande affollavano la mia mente, e nessuna risposta poteva venirmi da quelle pareti disabitate da troppo tempo, nessuna spiegazione da quei mobili in disuso.
Tornai sulla soglia di casa. Guardai la notte silenziosa, ma nemmeno il vento leggero sapeva suggermi quale direzione prendere, da che parte dirigermi.
Era trascorsa solo una manciata di minuti dal mio ritorno in quella cittadina velenosa e già ero invischiato  in un problema da risolvere … lo volevo risolvere?
In fondo Stefan mi aveva tradito … aveva disatteso il patto … o forse no? Forse era venuto a sapere che Elena era in pericolo … ed io, per mia scelta ero irrintracciabile.
Forse un incontro casuale … forse il destino … o semplicemente la sua incapacità di starle lontano, di vederla, la voglia di bruciarmi sul tempo!
Ero diviso tra dubbi e gelosia, timori e rabbia.
Mille domande che si riducevano a due: perché era tornato? Perché era scomparso?
In quell’istante decisi che non potevo più vivere nell’ignavia … che non potevo più passare le notti a cercare il buio e abbandonandomi alla vacuità di pensieri malamente resettati.
Venticinque anni di niente non avevano cancellato dolore e frustrazione … al contrario avevano alimentato “se” e “ma” che non avevano soluzione.
Era tornato il tempo di agire, di trovare nuove immagini e nuovi scopi, per andare avanti o per chiudere … per vivere o morire.
Avrei cominciato cercando mio fratello … sicuramente avrei trovato anche tutto il resto.
… e lo avrei affrontato.
 
 
A quell'ora della notte forse avrei trovato aperto il Mystic Grill ... se ancora esisteva.
Lasciando l'auto dove l'aveva parcheggiata, mi fiondai verso il locale che spesso avevo frequentato durante ... durante quel breve periodo ... quel periodo lontano ma ancora troppo recente per poter essere dimenticato, archiviato nella categoria: " secoli fa ..."
Dovevo stare attento, non era passato abbastanza tempo perché tutti quelli che avevo conosciuto fossero abbastanza vecchi o tutti morti: incontrandomi mi avrebbero riconosciuto domandandosi perche il tempo non aveva lasciato segni sul mio volto.  
Il tempo era scivolato su di me … anni come perle nere infilate in un cordoncino senza un nodo alla fine … rotolati via senza diventare una collana di ricordi … lasciando il vuoto dentro e fuori.
Giunto davanti al locale, mi alzai il bavero del giubbotto, abbastanza per non dare in pasto agli astanti il mio viso. M’infilai in un angolo nella penombra: a quell'ora il bar era frequentato da adulti poco desiderosi di tornare a casa da mogli sfatte o da figli insonni. L'alcool aiutava a stordire quel senso d’inutilità che spesso prendeva chi aveva sognato una vita eccezionale e si era ritrovato a subire la fatica quotidiana del fallimento e dei sogni infranti.
Rivolsi lo sguardo al bancone del bar.
Una donna era seduta su uno degli sgabelli, con le gambe elegantemente accavallate, parlando amichevolmente con il barman, che le voltava le spalle per riporre le bottiglie sulle mensole.
Quelle spalle possenti e squadrate mi ricordavano un quarteback ... quel quarteback.
I capelli erano dello stesso biondo dorato, leggermente mossi e striati da qualche filo bianco. Quando si voltò, riconobbi lo sguardo bonario ed il sorriso cordiale:
Matt ...

  • Quando mi porti Eleanor per un controllo? La spalla lussata deve essere ricontrollata ... sai che potrebbe essere necessaria un'operazione per fissarla meglio, altrimenti la sua carriera di running back finirà prima di cominciare. –
Riconobbi anche quella voce, rimasta fresca e conciliante nonostante il passare degli anni: Meredith era ancora una gran bella donna, una cinquantenne affascinante, da quello che potevo vedere dalla mia postazione.
Una perfetta donna in carriera, un medico che forse doveva affrontare il turno di notte all'ospedale ... o che, forse, lo aveva appena terminato.
Matt ... Meredith ...
Che cosa avrebbero potuto dirmi di Stefan?
Cosa mi avrebbero raccontato di Elena?
Sicuramente, se mi fossi avvicinato, mi avrebbero riconosciuto: come avrebbero preso il mio ritorno?
Ancora una volta volsi il mio sguardo al locale. L’arredamento, pur essendo stato sobriamente rinnovato, non aveva subito stravolgimenti.  Il legno riscaldava l’ambiente, con i suoi toni morbidi, e le luci soffuse regalavano un'atmosfera accogliente ma abbastanza velata da potervisi rifugiare per sfuggire alla banalità del paese, sognando di essere chissà dove ... chissà quanto lontano.
La musica si diffondeva discreta, permettendo di colloquiare facilmente, senza però lasciar solo chi sedeva con la sola compagnia di un bicchiere di liquido ambrato.
Incurvando le spalle mi diressi verso il bancone, lasciando i tentennamenti nell'angolo semibuio.
Mi sedetti accanto a Mer ... nella stessa posizione in cui, anni prima, mi accomodavo per fare una bevuta o uno scambio di battute con il mio vecchio amico Rick ... altra persona di cui avrei dovuto scoprire il destino.
Gli sguardi delle mie due vecchie conoscenze si posarono su di me, che continuavo a mantenere la testa china, affondata nel giubbotto.

  • Cosa le servo? – mi chiese Matt, che cercava di guardarmi in viso.
  • Comincerei con un bicchiere di bourbon ... poi vediamo come volge la serata – gli risposi.
  •  Mi dispiace ... ma la sua serata sarà molto breve: alle 11.45 chiudiamo. -
  •  Mi piacerebbe trattenermi un po' più a lungo ... fare due chiacchiere con due vecchi amici che non vedo da ... -
  •  Damon ...? – Meredith aveva riconosciuto la mia voce.
Matt quasi fece cadere la bottiglia da cui mi stava versando da bere.
  •  Damon? - le fece eco.
Quante domande avrei voluto porre ... di quante risposte avevo bisogno.
Guardai con un sorriso tirato prima l’affascinante dottoressa che sedeva alla mia sinistra, e poi il quarantaduenne che mi stava di fronte. I suoi occhi azzurri avevano la stessa umana bontà che ricordavo; sul suo volto il tempo era passato clemente, donandogli una maturità serena, un fascino discreto di uomo adulto, nel pieno della sua virilità.

  • Ragazzi … vorrei veramente poter scambiare ricordi e battute con voi … vorrei chiedervi mille cose ma … tagliamo i convenevoli: avete notizie riguardo a Stefan?
Di proposito mi trattenni dal pronunciare il nome di Elena.
  • Sì, grazie Damon, anch’io sto bene … - ironizzò Meredith.
Inclinai la testa per osservarla di sbieco, con un sorriso tirato sulle labbra.
  • Davvero Meredith – dissi, posandole la mia mano sulla sua. – desidero ardentemente conoscere la storia degli ultimi venticinque anni qui a Mystic Falls, ma qualcosa mi dice che non ho tempo per le chiacchiere … Matt, lavori ancora qui? – mi venne spontaneo domandare.
  • Adesso il locale è mio … ma come dicevi tu: bando alle ciance. Cosa ci fai qui?-
Il suo tono non era né arrabbiato né scocciato … solo un leggero tremore delle mani rivelava la sua preoccupazione.
  • Una vecchia promessa fatta a mio fratello, che però non si è presentato all’appuntamento. Quindi, prima di scoprire la storia di questi ultimi decenni, vorrei sapere se l’avete incontrato, se è stato qui. –
  • Io non lo vedo da quando ve ne siete andati – asserì Meredith.
  • Matt? – insistetti, vedendo un lieve imbarazzo attraversare il suo volto.
  • È stato qui … - sussurrò.
Sia io che la dottoressa ci voltammo a guardarlo.
  • Quando? – lo incalzai.
  • Anni fa … dieci … forse dodici … - rispose.
  • Quindici … è possibile? –
  • Forse sì … anzi, sono proprio quindici! ….  Beth era incinta di Elly … giusto quindici anni fa! –
Non volli approfondire chi fossero Beth ed Elly … probabilmente la moglie e la figlia.
  • E… -
  • E, come te, entrò furtivo …-
  • Ovviamente ti chiese di Elena … -
Nel pronunciare quel nome, mi ferii le labbra.
  • Sì … senza troppi giri di parole. Voleva sapere le solite cose … come stava … dove fosse …  -
A quelle parole la voce si spezzò. Rivolsi lo sguardo a Meredith, che lo abbassò. Tornai, con l’espressione inquisitoria, a fissare Matt. Lui mi voltò le spalle, fingendo di risistemare le bottiglie alle sue spalle.
  • Ok … sputa il rospo … che fine ha fatto mio fratello? Cosa sai? –
  • Di lui non ho più avuto nessuna notizia da quella sera … non l’ho più rivisto. –
Mi rispose Matt.
  • Per favore: non fatti tirar fuori le parole con le tenaglie … cosa mi stai nascondendo? –
Il dubbio e l’ansia mi stavano facendo perdere la pazienza.
Senza voltarsi, Matt si sforzò di parlare.

  • Siete spariti … ve ne siete andati … -
  • Che cosa stai blaterando? – mi stavano per saltare i nervi.
  • Ci avete lasciati soli … l’avete lasciata sola … -
  • MATT … cazzo, parla chiaro!! – sbraitai, facendo voltare gli altri pochi clienti presenti.
  • Dico a te quello che dissi a lui: fatti un giro al cimitero! –
Ancora una volta cercai la conferma a quelle parole negli occhi della dottoressa, e la tristezza che vi trovai fu l’atroce conferma al terribile significato di quell’invito a … morte.
Il bicchiere che avevo tra le mani finì in frantumi sul pavimento, mentre veloce come un respiro uscii dal locale.
Non so come, mi ritrovai davanti ai cancelli del cimitero, dove riposavano mio padre, mia madre, e alcune vittime di quella battaglia sovrannaturale che da sempre minacciava l’esistenza di quello strano piccolo paese.
Andai a sbattere contro i cancelli chiusi con un nodo che mi chiudeva lo stomaco e la disperazione che mi appannava gli occhi.
Matt aveva detto a Stefan di andare al cimitero …
Il motivo poteva essere uno e uno solo.
Con un salto superai quella barriera inutile e mi diressi verso la tomba dove erano sepolti i genitori adottivi di Elena, Jenna e John: una famiglia decimata …
Mi avvicinai alla lapide da dietro: non avevo né il coraggio né la forza di leggere quel nome inciso sulla pietra, segno eterno di una vita troncata.
Appoggiai le mani sul marmo freddo e umido, cercando un sostegno.
Inspirando la nebbia che cominciava a scendere nella notte, mi spostai per cercare conferma ai miei atroci sospetti.
Nonostante il buio, riuscii a leggere quei graffiti lasciati a memoria di vite passate in un batter d’occhio e finite in modo tragico. Il nome di Elena non c’era. Per un breve istante il sollievo che provai fu talmente intenso che rivolsi lo sguardo al cielo, quasi a ringraziare un Dio di cui avevo quasi dimenticato l’esistenza.
Non feci in tempo a formulare un pensiero: la mia attenzione fu catturata dalla statua di un angelo con le ali spezzate a guardia di una cappella molto simile alla tomba di famiglia dei Salvatore. La costruzione era molto più recente e, ne ero sicuro, non l’avevo mai vista prima.
Mi avvicinai sentendo il panico crescere e invadere le mie vene.
L’angelo aveva il volto dolce di una donna con l’espressione triste ma non disperata. Le ali spezzate ricadevano ai lati del corpo esile e lo sguardo era rivolto verso il basso. Cercai il nome della famiglia a cui il sepolcro apparteneva, ma il piccolo timpano, posto sopra l’entrata, non aveva inciso alcun cognome.
Appoggiai le mani alla porta, e con un lieve sforzo la spalancai. All’interno candele di cera illuminavano pareti di marmo rosa. Al centro, una panca rotonda invitava a sedersi per dialogare con il nulla.
Mi guardai attorno fino a quando i miei occhi trovarono un’epigrafe. Quasi trascinandomi mi avvicinai abbastanza per leggere. L’incisione, semplice ed elegante, riportava un nome e due date:

Elena Gilbert Mikealson
1992 – 2017



La prima reazione a quella scritta fu stranamente fredda e razionale.

"Mikealson?" pensai " perché quel cognome era associato a ..."
Ricacciai in gola quel nome.
Cercai tracce di Stefan, ma era ovvio che dopo quindici anni non poteva essere  rimasto nulla del suo passaggio, nemmeno una lieve traccia di cenere ...
Cenere ...
Polvere ...

Improvvisa come un treno incorsa, la consapevolezza di quello che avevo letto mi travolse: tutti i particolari incoerenti si fusero in un unico nome, "quel” nome inciso su una lapide ... una tomba ...
Mi voltai ancora una volta verso quello che realizzai essere il sepolcro di Elena.
Quelle lettere scolpite mi trafissero gli occhi e mi dilaniarono il cuore che, in quell'istante … per un istante … sembrò riprendere vita per poi bloccarsi di nuovo.
Elena ... morta ...
Elena era più ... non respirava più ... non viveva più!
Non era possibile!
Io ancora esistevo, e sapevo che la cosa era inconciliabile con la scomparsa da ciò che gli umani chiamano vita, di colei che dava un senso al mio vagare nel buio.
Elena non poteva avermi lasciato solo su questa misera Terra ... non poteva essersene andata senza di me.
Gli occhi si chiusero su lacrime che non volevano scendere.
Mi sedetti di peso su quella panca al centro della cappella, circondato da un silenzio che sbraitava il suo nome, e mi accartocciai su me stesso.
Inconsapevolmente cominciai ad ansimare ... respiri inutili per il mio corpo da parassita.
Non sentivo né rabbia né dolore: ero annientato, come risucchiato dal nulla per tornare al nulla a cui appartenevo.
Non mi feci nessuna domanda … nessuna risposta mi avrebbe ridato Elena, nessuna spiegazione poteva giustificare la sua morte.
Il nulla.
Sui miei occhi scesero le tenebre ... sulla mia anima perduta la notte eterna.
Nessuna reazione violenta, nessuna disperazione …
Il nulla.
Annientato, appoggiai i gomiti alle mie cosce, incrociando le mani.
Senza guardare, afferrai l'anello e lo sfilai, gettandolo ai piedi della parete in cui Lei giaceva ... dove le sue ossa giacevano ...
Scacciai quelle immagini lugubri e mi focalizzai sul suo volto ... il volto che ricordavo.
Rimasi immobile come una statua, come l'angelo guardiano che presidiava l’entrata di quel luogo per me surreale: Io non avevo le ali spezzate ...  ero io ad essere  irrimediabilmente spezzato, annientato da una bomba al napalm che aveva raso al suolo ogni cellula del mio essere.
Smisi di respirare ...  di pensare ... di ricordare ... di immaginare … e mi immersi nel nulla, in attesa del primo raggio di sole che, da statua di ghiaccio, mi avrebbe ridotto in cenere.
Io ero già morto una volta ...l’alba avrebbe reso definitiva quella condizione, che una scelta aberrante aveva tenuto in sospeso per quasi duecento anni.
In quell'assenza di stimoli e vita, un ultimo pensiero attraversò la mia mente svuotata:
Stefan ...
Probabilmente le sue ceneri erano state soffiate via dal vento quindici anni prima ... Probabilmente anche lui aveva concluso quell’esistenza che rinnegava da quasi due secoli ...
Probabilmente ...

Ma non mi interessava più.

Anche l'ultima scintilla si spense.

… e venne il nulla …



 
 
 
 
 
 
 
  
 
 
 
  
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